Momigliano, Attilio
Critico letterario (Ceva 1883 - Firenze 1952), uscito dalla scuola torinese del Graf e del " Giornale Storico " e per tempo sensibile alla lezione crociana, si mantenne sempre in una sua aristocratica e indipendente posizione di finissimo lettore di poesia come rivelazione di umanità. Docente di lettere prima nelle scuole secondarie, poi di letteratura italiana nelle università di Catania, di Pisa, di Firenze, nella sua ampia e varia attività di critico indirizzò prestissimo la sua attenzione a D.: e ancora negli ultimi mesi di sua vita pensava, dopo l'esperienza del commento alla Commedia, a uno studio unitario sulla poesia di Dante. La quale viveva veramente in lui " non modo memoria sed medullis ": sicché la sua carriera di critico fu punteggiata da penetranti letture sia del capolavoro che delle altre opere dell'Alighieri.
Fin dal 1908 - frutto anche del suo ‛ perfezionamento ' nella Firenze del Rajna e del Parodi - avvicinò uno dei testi danteschi più ardui, La prima delle canzoni pietrose (in " Bull. " XV [1908]). Si tratta della canzone Così nel mio parlar voglio esser aspro, che il M. ritiene la prima cronologicamente fra quelle dedicate a Madonna Pietra, contro l'opinione che poi prevarrà nell'ordinamento dell'edizione del '21 ma secondo buone ragioni poi riprese autorevolmente dal Pézard (Resumé, in " Annuaire du Collège de France " LV [1955] 313). Il M. non solo sottolinea felicemente l'energia psicologica e lessicale del testo, ma si addentra anche in un esame metrico metodologicamente nuovo. Osserva infatti che la sirima rinnova, con altre rime, la quartina di cui consta ognuno dei piedi, aggiungendo, a chiusura, un endecasillabo sull'ultima rima. Ne risulta - essendovi solo rime baciate dal sesto verso in poi - un effetto d'insistenza incalzante.
Così fin dal suo primo esercizio dantesco, il M. avvalora il suo felicissimo intuito con verifiche singolarmente nuove e precise. È un'impostazione che caratterizza i due saggi seguenti: Il significato e le fonti del canto XXV dell'Inferno (in " Giorn. stor. " LXVIII [1916]), e La personalità di D. e i canti di Cacciaguida (in " Rivista d'Italia " XXX [1927] 232-247). Al M. pare che in questi canti da una parte il " sospiro verso Firenze " raffreni in qualche modo l'ascesa mistica, e dall'altra che la fiorentinità, cioè " il movente più affettivo e più intimo del poema ", qui finalmente nel Paradiso ritorni a voce spiegata. Così nel canto XV D. può ritrovare una felicità ritrattistica che pareva obliata e svilupparla nel XVI, per poi impostare nel XVII il suo discorso con un " pathos virile ", in una solitudine morale altissima.
Questi puntuali ma cauti avvicinamenti sono dominati dalla convinzione che la poesia dantesca è " così asserragliata nella sua potente e severa armonia che è difficile penetrarla davvero e impossibile esaurirla ". E questa la convinzione che impone al M. l'impegno di quasi un ventennio per superare le limitazioni e le riserve crociane sull'unità della Commedia e la sua poesia e per raggiungerne insieme una descrizione e una definizione valide: dalle approssimazioni nel saggio Il paesaggio della Divina Commedia (in " Annali Scuola Norm. Sup. Pisa " n.s., I [1932] 37-51) e in alcuni articoli (per es. quelli raccolti poi in Elzeviri, Firenze 1945, e soprattutto in D. Manzoni Verga, Messina 1944), e dalla visione unitaria nel capitolo dantesco della Storia della letteratura italiana (Milano 1934) riesce ad approdare così al commento alla Commedia (Firenze 1946-48). È l'opera che un temperamento di studioso diversissimo dal M., Michele Barbi, si era augurato vent'anni prima, quando si rivolgeva ai dantisti perché volessero " faticare un poco di più per giungere a cogliere quello che il poema contiene di più alto e di più bello ".
Il M., in questa che è la sua più impegnativa opera nel dopoguerra, ha trovato l'atteggiamento in cui avvicinare la Commedia e dare unità al suo commento soprattutto nella sua assorta sensibilità alla poesia ascoltata, quasi religiosamente, come supremo messaggio umano. Così non è stato difficile al M. superare l'ostacolo che l'opposizione crociana di poesia e di struttura aveva frapposto allo sforzo di tutta la critica moderna, per giungere all'intuizione dell'unità fantastica della Commedia. La poesia dantesca, nella sua continuità così variamente modulata, è spesso sfuggita - nota il M. - perché è mancata l'attenzione alla costruzione unitaria, non su idee o allegorie, ma sullo svolgersi mirabilmente armonioso del paesaggio, dell'atmosfera spirituale e materiale, delle suggestive rispondenze di visioni allucinanti e di buio spettrale, di grida violente e scomposte e di silenzi misurati e solenni (e per questo, significativamente, il Purgatorio è la cantica preferita).
Si può desiderare un'attenzione e una sensibilità maggiori ai motivi di tradizione letteraria-culturale e di coscienza morale-religiosa, che costituiscono l'unità spirituale su cui si leva anche quell'unità di fantasia. Si può rilevare un eccessivo valore dato alla ‛ varietà ' come elemento di poesia, per cui il Paradiso sembra qualche volta meno delle altre cantiche congeniale al critico. Ma nessuno può disconoscere che per la via risolutamente intrapresa il M. è giunto, prima e meglio di ognuno dei contemporanei, a ricostruire quell'unità della poesia dantesca che da troppi anni sembrava dispersa e smarrita. E, anche senza scendere alla valutazione dei singoli episodi, vari degli aspetti nuovi della poesia dantesca, rilevati dal M., s'impongono come intuizioni particolarmente indicative e illuminanti. L'armoniosa connessione fra canto e canto, fra episodi e contesto narrativo, sottolineata nei momenti e nei toni più diversi, rivela tutto un impegno di fantasia - e anche di lingua - troppo insospettato prima; la potenza espressiva di certe figure identificata nella coscienza della dannazione e nel senso di ieratico orrore, dà loro una nuova singolare evidenza fantastica; le immagini che continuamente illuminano il discorso poetico, sempre " nutrite assai più di vita che di letteratura ", interrompono " una tradizione che invece si continuerà ancora per secoli nella nostra letteratura cavalleresca e lirica e tramonterà solo dopo il Carducci ", perché " non riproducono, come invece quelle dell'Ariosto e del Tasso, i luoghi topici della poesia omerica e virgiliana ".
Forse a cogliere note e toni con sensibilità e attenzione così nuove il M. è giunto soprattutto per l'atteggiamento libero e spregiudicato con cui si è accostato alla poesia della Commedia. Canti ed episodi ormai avvolti in tutto un alone di vibrazioni sentimentali, accumulate dalla più diversa letteratura, sono stati rimessi nella loro luce, e, se occorre, ridotti alle loro reali proporzioni. Basti vedere il ridimensionamento di quello di Francesca per la prima parte del quale si parla di " lirismo e fiorettatura ", di " impressione di cosa un po' atteggiata ", scenografica e oratoria; ma poi si precisa per la seconda parte: " La storia di Francesca è il primo saggio della parte che ha Dante nell'azione del poema: viaggiatore curioso dei luoghi, pellegrino pensoso degli insegnamenti dell'oltremondo, testimone dei propri tempi, ma anche, e più, antagonista o compagno delle anime... Questo poeta che al sentire la storia di Francesca china il capo avvolto dall'onda delle proprie emozioni.., è molto più che un ascoltatore: le parole di Francesca hanno smosso dentro di lui tanti ricordi. L'eco che le parole di Francesca destano nell'animo di Dante è più profonda che le parole stesse di quella donna. Francesca è l'anima di quel dramma, Dante la coscienza ". E d'altra parte passi e raffigurazioni su cui l'attenzione troppo era scivolata sono stati quasi scoperti nella loro più sottile poesia (il valore di certi " silenzi ", la rappresentazione della Fortuna, i centauri, Beatrice nel Purgatorio, la poesia della musica e della luce nel Paradiso, ecc.). L'attenzione è in questo commento particolarmente schiva di ogni concessione sentimentale e romantica. È presa soprattutto dai motivi di raffigurazione, di fantasia: di " pura visibilità ", se è lecito trasferire alla critica letteraria un termine della critica d'arte. Motivi che sono sottolineati nelle loro luci diverse dal linguaggio sempre preciso, suggestivo, aderente alle inflessioni più varie, che è caratteristico del discorso critico del M.; basti vedere come il colore medievale di certi aspetti della poesia dantesca è suggerito mediante sobri richiami alla sensibilità figurativa e retorica dell'età.
Naturalmente, questa risoluta indipendenza e libertà di giudizio e di valutazione ha favorito alle volte insistenze nella ricerca e nella determinazione dell'" inespresso " o richiami a impressioni musicali o pittoriche o di letture contemporanee. E ha persuaso anche il M. a mettere innanzi il suo gusto personale alle ragioni filologiche nelle questioni di testo: dove tuttavia l'implicita reazione contro la ricostruzione del Vandelli (basata in modo troppo esclusivo e meccanico su criteri diplomatici e di contrapposizioni di manoscritti, e su ‛ lectiones difficiliores ') è, in senso generale, giusta, e coincide in fondo con le documentatissime posizioni del Barbi, del Casella, e ora del Petrocchi.
Non è questo il solo caso in cui la fine e sorvegliata sensibilità del M. alla poesia giunge per suo conto, e quasi per intuizione, agli stessi esiti a cui è arrivato per via più lunga e oggettiva il dantismo storico filologico; indizio questo di una critica rigorosa e severa, remota da variazioni tutte esteriori, da problematicismi fatti fine a sé stessi, dalla nuova retorica dello stile e della parola. Nella storia della comprensione della poesia della Commedia, questo commento segna un momento essenziale, dopo quelli che hanno il nome del De Sanctis, del Parodi, del Croce, dell'Auerbach.
Bibl. - G. Marzot, Pagine sul M., in " La Nuova Italia " VI (1935); G. Petronio, Un maestro: A. M., in " Nuova Antol. " LXXXII (1947); L. Russo, La critica letteraria contemporanea, Bari 1947², III 73-117; C. Varese, A. M., in Cultura letteraria contemporanea, Pisa 1951; V. Branca, A. M., in " Siculorum Gymnasium " n.s., VI (1953), ampliato nell'introduzione ad A. M., Saggi goldoniani, Venezia 1959; E. Cecchi, A. M., in " Corriere della Sera " 8 aprile 1953; G. Trombatore, Due critici, in Saggi critici, Firenze 1953; F. Maggini, Due maestri, due amici, in " Convivium " n.s., I (1954); M. Fubini, Commemorazione di A. M., in Critica e poesia, Bari 1956; G. Di Pino, A. M., in I Critici, III, Milano 1969; E. Bigi, A. M., in Critica e Storia Letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, Padova 1971. Più particolarmente per M. critico dantesco: A. Bocelli, M. interprete di poesia, in " Risorgimento Liberale " 1 giugno 1947; R. Macchioni, Romanticismo del M., in " Convivium " n.s., I (1947); A. Vallone, La critica dantesca contemporanea, Pisa 1953; G. Getto, D. e il gusto del Novecento, in Poeti, critici e cose varie del Novecento, Firenze 1953.