MUGGIA, Attilio Giacomo
– Nacque a Venezia nel 1861 da Angelo e da Clementina Vivante, in una famiglia di commercianti, primogenito di otto figli.
Compiuti gli studi tecnici, nel 1885 conseguì la laurea in ingegneria civile alla Scuola di applicazione per gli ingegneri di Bologna. Subito nominato assistente da Cesare Razzaboni, collaborò a numerosi corsi: statica grafica, meccanica applicata alle costruzioni, ponti e costruzioni idrauliche, geometria pratica e celerimensura, stili architettonici, costruzioni stradali e ferroviarie e architettura tecnica. L’intensa attività didattica lo portò in breve ad ampliare conoscenze ed esperienze nelle discipline tecniche e architettoniche e gli consentì una carriera universitaria molto rapida: nel 1891 conseguì la libera docenza in architettura tecnica, nel 1892 fu incaricato dell’insegnamento della stessa materia nel primo corso della Scuola di ingegneria di Bologna, per il quale compilò in seguito i testi di studio necessari (Lezioni di architettura tecnica, Bologna 1894). Professore straordinario di costruzioni civili dal 1899 a Bologna, divenne ordinario nel 1905. Nel 1912 passò, sempre come professore ordinario, alla cattedra di architettura tecnica, che tenne fino al 1935. Fra il 1923 e il 1927 fu direttore della Scuola di ingegneria.
Contemporaneamente all’insegnamento universitario, Muggia svolse un’intensa attività professionale come ingegnere e imprenditore edile, nella quale cercò di conciliare l’aspetto tecnico e quello formale, l’architetto e l’ingegnere civile, lo strutturista e lo scenografo. Non è possibile inquadrare la sua opera architettonica entro ambiti definiti proprio a causa della molteplicità e varietà dei progetti realizzati; si può però attribuirgli, complessivamente, un’originale capacità di sintesi formale nel suo fondere il rigore progettuale e strutturale con la ricerca della qualità architettonica.
Fu uno dei pionieri nel campo del cemento armato, un’innovazione fondamentale in un paese come l’Italia privo di materie prime e ancora arretrato dal punto di vista tecnologico. Già nel 1899 illustrò il nuovo sistema costruttivo (sistema razionale Hennebique) in una conferenza tenuta a Firenze alla Società toscana degli ingegneri, un sistema che sviluppò poi anche dal punto di vista teorico all’interno dei suoi insegnamenti. Fece parte inoltre della commissione, nominata dalla Associazione italiana per gli studi sui materiali da costruzione, che introdusse le prime norme sulle costruzioni in cemento armato in Italia (1906).
Queste competenze fecero sì che per molti anni fosse considerato tra i pochi tecnici in grado di realizzare grandi manufatti in cemento armato, con ardite caratteristiche tecniche in ponti a travate stradali e ferroviari (ponte sul Magra a Caprigliola, ad archi ribassati, lungo 300 m, 1905), nei cantieri marittimi (moli di Porto Corsini a Ravenna, 1900) e nei più diversi manufatti di cantiere, tutti con brevetti propri. Tali opere furono ideate, progettate e realizzate dalla Società costruzioni cementizie (con sedi a Bologna e Firenze), una delle imprese edili allora maggiori d’Italia e di cui Muggia fu comproprietario e direttore tecnico generale dal 1905 al 1925.
La sua versatilità gli permetteva di passare dalla progettazione di edifici civili a quella di ponti o di monumenti funebri. Tra i più rilevanti progetti di quegli anni vi è quello che vinse il primo premio ex aequo al concorso per il nuovo Tempio israelitico di Roma del 1890, connotato da un rigoroso processo di ricerca storico-filologica. Analogo rigore denota anche il progetto di concorso per il Museo delle antichità egizie al Cairo del 1895. In ambito bolognese si ricordano la scalinata della Montagnola, progettata nel 1892 in collaborazione con Tito Azzolini e inaugurata nel 1896, palazzo Maccaferri (1896) e palazzo Bacigalupo (1898). Alla stessa poetica, che combina tecnologia ed estetica, si può associare la villa Gina (o villa Flora), realizzata nel 1900 a Borgo Panigale per il conte Cosimo Penazzi. Ogni edificio fu per Muggia un laboratorio per sperimentare e ricercare nuove soluzioni.
L’integrazione tra la formazione scientifica e il suo diretto utilizzo all’interno di un’attività industriale e imprenditoriale è la caratteristica dominante dell’operato di Muggia, come dimostra il frequente riscontro nei suoi progetti dell’analisi degli aspetti economici, finalizzata alla stima dei costi per la realizzazione dell’opera. Questo tipo di approccio multidisciplinare influenzò anche il suo impegno verso la riorganizzazione della didattica a livello sia locale (con la promozione della Scuola superiore di chimica industriale di Bologna, inaugurata nel 1922) sia nazionale (con un progetto di riforma degli studi di ingegneria presentato nel 1918 al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione che prevedeva l’introduzione di nuovi indirizzi per gli ingegneri: civile, minerario, elettrotecnico, chimico e agrario).
Muggia, consapevole che l’architettura stava attraversando una fase di transizione, concesse ai suoi allievi ampia libertà di confrontarsi con i nuovi linguaggi, facendo tesoro delle sue conoscenze architettoniche e della sua padronanza della tecnologia del cemento armato. Gli allievi ricambiarono questa fiducia e mantennero con lui stretti rapporti, primo fra tutti Giuseppe Vaccaro, che fu anche suo assistente, distante linguisticamente dal maestro ma a lui legato per la disciplina professionale. Altro illustre allievo fu Pier Luigi Nervi il quale, dopo la laurea in ingegneria civile presso la Scuola di Bologna nel 1913, lavorò per dieci anni nell’ufficio tecnico della Società costruzioni cementizie a Bologna, formandovisi come tecnico esperto di problematiche strutturali.
Fondamentale per capire il ruolo di Muggia all’interno del panorama culturale italiano è la sua nomina a membro della giuria del concorso per il palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra nel 1930. In quell’occasione si confrontarono due concezioni dell’architettura assai differenti, quella storicista e accademica e quella razionale e modernista; Muggia fu uno dei principali avversari delle nuove idee architettoniche, che gli apparivano espressione di una semplice applicazione tecnologica, priva di qualsiasi idea artistica.
Morì a Bologna il 12 febbraio 1936, lasciando la moglie Clotilde Norsa e tre figli: Aldo, Guido ed Olga.
Fonti e Bibl.: le notizie relative alla vita e all’attività di Muggia sono dedotte principalmente dal suo archivio privato, donato dagli eredi all’Ordine degli architetti di Bologna, dove è depositato. Queste carte permettono di comprendere la genesi e la realizzazione di circa 800 progetti, la maggior parte dei quali risultavano precedentemente sconosciuti e, contemporaneamente, di ricostruire tutta la sua attività accademica e imprenditoriale. Si vedano inoltre: G. Muggia, A.M., in Notiziario dell’associazione dei laureati della facoltà di ingegneria di Bologna, VI (1960), pp. 8-12; P. Lipparini, A.M. tra tecnicità, tradizione e architettura, in Architetti Emilia Romagna. Giornale della federazione degli ordini degli architetti dell’Emilia Romagna, VII (1996), pp. 7 s.; Id., A.M.: tecnica e didattica nell’architettura, in Strenna storica bolognese, XLVIII (1998), pp. 259-279; Id., Ingegneria-architettura, la conciliazione improbabile di A.M., in Norma e arbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna, 1850-1950 (catalogo), a cura di G. Gresleri - P.G. Massaretti, Venezia 2001, pp. 163-176; G. Gresleri, Lo ‘stile del conglomerato cementizio armato’. A. M. e la scuola di Bologna, Torino 2003, pp. 180-215; A. M. Una storia per gli ingegneri, a cura di B. Bettazzi - P. Lipparini, Bologna 2010.