ATTILA
. Re degli Unni dal 434 al 453, è forse il più famoso fra i re barbari. Figlio di Munzuco, salì al potere, insieme col fratello Bleda, nel 434, succedendo allo zio paterno Rua (Prisc., p. 276 Dindorf). Con l'uccisione di Bleda, avvenuta nel 444 (Prosp., ad a.), rimase unico sovrano di tutta la nazione unna. A quanto risulta dal ritratto fisico e morale che gli storiografi contemporanei ne dànno (Iord., Get., XXXV, 182 e XXXVI, 186; Prisc., pp. 281, 289-323, 325, 328), la tradizione contemporanea giudicava A. superficialmente, considerandolo, pur non dandosene ragione, come l'uomo nato a sconvolgere il mondo e rappresentandolo come un cieco conquistatore di null'altro avido che di dominio e di distruzione. Dallo studio dei fatti si è invece autorizzati a giudicarlo diversamente. Egli voleva unificare le varie tribù unne fino allora vissute indipendenti l'una dall'altra, facendone una nazione compatta. La mancanza di unità degli Unni, tenuti insieme da legami troppo tenui di federazione, era causa della loro debolezza, della quale approfittavano e i Romani e i duci germanici per valersene gli uni a impedire le invasioni dei barbari, gli altri a sopraffare i due imperatori. Questa debolezza scomparve quando A., seguendo la politica già iniziata dallo zio Rua, accentrò tutto il potere nelle sue mani. L'azione di A., oltreché all'unificazione e all'accentramento, mirò all'espansione della potenza unna. In Oriente sottomise tutta la Scizia e tutte le tribù unne della Russia meridionale (Prisc., pp. 228-229 e 312; Iord., XXXIV, 178). Pare che imprendesse ad assoggettare anche la Persia (Marc., ad a. 441). In Occidente il re barbaro dominava su gran parte delle popolazioni germaniche. Ciò risulta dall'enumerazione dei popoli che combatterono sotto la bandiera di A. nella battaglia dei Campi Catalaunici. Sidonio (Paneg. Avit., VII, 321-325) enumera: Rugi, Geloni, Gepidi, Reti, Burgundî, Unni, Bellonoti, Neuri, Bastarni, Turingi, Bructeri, Alemanni, Franchi. Molto più attendibile di questa lista e anche di quella di Giordane (XXXVIII, 199) è l'elenco di Landolfo (XIV, 2) che ricorda: Gepidi col loro duce Ardarico, Ostrogoti con a capo Valamiro (Iord., XXXVIII, 199 aggiunge anche Vidimiro e Tiudimero), Marcomanni, Suevi, Quadi, Eruli, Turcilingi, Rugi. Quando sia avvenuta questa espansione è incerto: tuttavia la ripetuta comparsa degli Unni sul Reno verso il 430 come ausiliarî dei Romani (ora contro i Burgundî, ora contro i Visigoti) e nel 450 presso i Franchi, è prova sicura che già prima del 451 la Germania meridionale dipendeva da Attila. Con certezza si sa che nel 448 egli riuscì a conquistare sulla riva destra del Danubio una striscia di terra larga cinque giornate di viaggio, dal fiume a Nissa. In conclusione il regno di A. comprendeva tutta la Russia meridionale e tutto il bacino del Danubio (Dacia, Pannonia, Germania meridionale). La capitale di questo regno era nella pianura ungherese nord-occidentale. Prisco (p. 303 e 310-311) la descrive come un gran villaggio. Gli edifizî reali erano al centro, in alto, costruiti in legno e di mediocre altezza, circondati da un muro di cinta munito di torri, più per pompa che per difesa. Tutti gli edifizî erano in legno, e il materiale doveva essere importato da altri luoghi. Di questa capitale non conosciamo il nome.
Quanto alle relazioni col duplice Impero romano, già prima di A., esse erano più aspre con Costantinopoli che con Roma. Attila poi si comportò verso le due parti dell'Impero come con due nazioni diverse. Le relazioni con l'Impero orientale (imperatore Teodosio II) si presentano con carattere ufficiale. Già dal 433 vigeva un trattato, che poi a Margo fu meglio spiegato e fissato nei suoi particolari, col quale s'imponeva ai Romani di restituire tutti coloro che con la fuga si erano sottratti al dominio unno, rifugiandosi nel territorio romano, e di pagare un nuovo tributo, doppio dell'antico, di 700 libbre d'oro. Seguirono a questo trattato, che è il primo passo verso l'asservimento completo dell'Impero, otto anni di pace, fino al 441, dal quale anno s'inizia una guerra di devastazione, durata fino al 447 (Marc. ad a. 441 e 442; Prosp. ad a. 442; Prisc., 280). Nel 445 fu devastata la Tracia, e questa invasione due anni dopo dilagò in Grecia fino alle Termopili. Settanta città furono distrutte (Marc., ad a. 447); Prisco (p. 282) parla di battaglie nel Chersoneso, Marcellino (447) precisa il luogo della decisiva sulle rive dell'odierno Vid (Utus della Mesia). Dopo questa battaglia fu dettato ai Romani un trattato del seguente tenore: i fuggitivi dovevano essere riconsegnati agli Unni; 6000 libbre d'oro dovevano essere pagate per gli antichi tributi; il tributo era triplicato e saliva a 2100 libbre d'oro; per ogni prigioniero di guerra romano fuggitivo doveva essere pagato un indennizzo di 12 monete d'oro (Prisc., p. 282). I Romani accettavano tutto, pur di avere la pace. Ma la condiscendenza di Teodosio favoriva le pretese sempre maggiori di A., il quale, dopo aver mandato ripetutamente ambasciatori per la completa applicazione del trattato (Marc., ad a. 448), nel 448 imponeva, oltre alla solita restituzione di fuggitivi, di non più coltivare la striscia di terra sulla destra del Danubio, larga cinque giornate di viaggio. Il mercato in avvenire si doveva tenere a Naisso, città sul nuovo confine. Inoltre dovevano venire a lui, come legati, i più nobili consolari, ai quali egli sarebbe andato incontro fino a Sardica (Prisc., p. 286 e 287). Come si vede, ormai A. dettava legge nell'Impero orientale. I rapporti di A. con Roma riguardano principalmente Ezio: relazioni improntate ad amicizia, e che hanno carattere più privato che pubblico. Da Roma (imperatore Valentiniano III) A. riceveva annualmente, per quanto sotto il titolo, compatibile con l'onore dell'Impero, di generale romano, una paga che era poi un vero e proprio tributo (Prisc., p. 313). Ma nel 448 le relazioni con Roma mutano carattere, e A. comincia a trattare con Valentiniano non meno arrogantemente di quanto non facesse con Teodosio, dicendo che i generali dell'imperatore (quindi anche Ezio) erano suoi servi, e i suoi generali erano pari di grado all'imperatore romano (Prisc., p. 314). Nel 450 il contrasto fra Ezio e l'Unno si accentua nell'occasione di una lite scoppiata alla morte di uno dei re dei Franchi, per la successione al trono, fra i suoi due figli, dei quali il maggiore chiese l'aiuto di A. e il minore andò a Roma, adottato da Ezio, e conchiuse un'alleanza di guerra con l'Impero. Ezio comprese che l'intromissione di A. nelle faccende dei Franchi mirava ad assoggettare la Gallia, dove erano favorevoli agli Unni gli Alani (Iord., XXXVII, 194) e i Bacaudi (Chron. gall., ad a. 448), e ben presto sia i due imperi sia i popoli germanici ancora liberi videro la necessità di un'intesa. Perciò nel 450 riuscì facile ad Ezio gettare le basi di un'alleanza formale delle potenze occidentali contro gli Unni, tanto più che tra Roma e i Visigoti fino dal 439 si era avuta non solo pace durevole, ma forse anche un'alleanza (Iord., XXXVI, 186). L'atteggiamento risoluto di Roma ebbe una ripercussione a Costantinopoli, dove al debole Teodosio II era succeduto il risoluto Marciano, il quale ad A., che aveva richiesto il solito tributo, rispose che non avrebbe pagato nessun tributo e che in caso di guerra i suoi soldati non erano inferiori a quelli unni (Prisc., p. 329). Mentre questo succedeva in Oriente, A. aveva mandato a Roma un'ambasceria per risolvere la questione di Onoria sorella di Valentiniano, sua fidanzata, alla quale competeva lo scettro imperiale. La risposta recisa e negativa dell'imperatore fece comprendere all'Unno che non v'era tempo da perdere, ad evitare la comune azione dell'intera potenza romana. Non mancò A. di giocare l'ultima carta, tentando di rompere l'unione goto-romana. Questi negoziati ebbero luogo quando già l'invasione in Gallia era cominciata, ma non ebbero effetto.
Nella primavera del 451 gli Unni passarono il Reno e si sparpagliarono per i campi dei Belgi (Sidon., Paneg. Av., 327-328), distruggendo molte città fra cui Metz (Hyd.,451), che fu espugnata il giorno prima di Pasqua (Greg., Hist. franc., II, 6). Nel mese di luglio gli Unni sono riuniti ad Orléans per conquistare questa città che Sangibano, re degli Alani ivi residenti, aveva promesso di consegnar loro (Iord., XXXVII, 194). Ma A. fu prevenuto nell'attacco della città da Teodorico ed Ezio uniti (Iord., XXXVII, 195), i quali ben comprendevano il valore strategico di Orléans, posta nel cuore della Gallia e nodo importantissimo di strade. Attila doveva o accettare la sfida o ritirarsi. Preferì ritirarsi, passando per Troyes-Châlons e riguadagnò la grande via militare Reims-Metz, la quale conduceva direttamente al Reno. Per ragioni tattiche, prima del passaggio delle Argonne, si vide costretto ad accettare battaglia. La battaglia avvenne nei campi Catalaunici (Champagne), verosimilmente nel tratto fra Châlons e le Argonne (v. catalaunici, campi; cfr. Iord., XXXVI-XLII, Hyd., 451; Greg., II, 7). Lo schieramento sul campo era, per l'esercito unno: al centro A. e gli Unni, ala sinistra Ostrogoti e Gepidi, ala destra gli altri; per l'esercito romano: ala destra Visigoti, ala sinistra Romani e gli altri, al centro gli Alani per poterli sorvegliare meglio (Iord., XXXVII, 197). La furiosa zuffa cessò per il sopravvenire della notte. Vi morì Teodorico (Iord., XL, 207-210). A., per quanto fosse riuscito a sfondare il centro dello schieramento avversario, dové ritirarsi nelle sue trincee di carri. Non osò riattaccar battaglia, e riparò nella Pannonia.
Non pose però tempo in mezzo, e, appena giunto nella Pannonia, si volse contro l'Italia. Trovò la prima resistenza ad Aquileia. Solo dopo un lungo assedio giunse a distruggerla, ed allora gli Unni si sparsero nell'Italia settentrionale conquistando varie altre città. Ma quando la fame e le malattie invasero le schiere unne, e Marciano inviò, secondo la promessa, soccorsi ai Romani, con l'aggravante della minaccia d'assalire le terre dei barbari, A., che aveva anche notato nei suoi soldati, restii ad andare contro Roma, indizî di stanchezza, colse l'opportunità che gli offriva il messaggio del pontefice Leone in nome di Dio, concluse una pace onorevole e ritornò al di là delle Alpi. Così si può ricostruire l'avvenimento della calata unna in Italia nel 452, comparando le fonti, che sono notevolmente discordi. La discesa unna in Italia diede luogo a molte leggende, le quali esagerarono i danni dell'invasione ed esaltarono il papa Leone.
Attila, ritornato nelle sue sedi, morì, e non ebbe affatto luogo una seconda spedizione in Italia come afferma Giordane (XLIII, 225-227). Secondo Prisco (in Iord., XLIX, 234) A., dopo avere aggiunto alle sue innumerevoli mogli Ildico, rimase, nella notte delle nozze, per aver bevuto eccessivamente, soffocato da un'emorragia del naso. A. fu onorato con esequie sontuosissime (Iord., XLIX, 257).
Morto A., la discordia serpeggiò subito fra i figli per la successione. Di essa approfittarono subito i Gepidi, ai quali presto si unirono altre nazioni, per affrancarsi dal dominio degli Unni. I quali, in seguito a una vittoria dei popoli ribelli, dovettero retrocedere fino al Mar Nero. Dei figli di A., Ellac morì nel conflitto con i popoli germanici, Ernac si stabilì nell'odierna Romania, Dengizico forse nell'Illirico; dopo un infelice tentativo di riscossa, Dengizico nel 469 fu ucciso, e la sua testa portata a Costantinopoli. Finì con lui per sempre l'impero degli Unni (Marc., ad a., 469).
Nella leggenda eroica germanica, A. è messo in rapporto con i re dei Burgundî, con Teodorico il Grande, con Gualtiero di Aquitania e con altri, ed è variamente rappresentato a seconda che la sua figura rispecchia la concezione che di lui ebbero storicamente i Franchi suoi nemici o quella che se ne vennero formando i suoi alleati Ostrogoti. Nella prima, rappresentata dalla leggenda nordica conservata nelle canzoni eddiche, A. è il crudele tiranno infido e avido di ricchezza, il barbaro sanguinario, il flagello di Dio; nella seconda, che informa i poemi alto-tedeschi, rivive quale il saggio sovrano, la cui corte è il rifugio degli esuli, mite, pacifico che afferra le armi solo in difesa dei suoi protetti o della giusta causa.
Caratteristica è pure la trasformazione che, anche per cause etiche, nella leggenda subì il motivo storico della sua morte accidentale accanto alla giovine sposa, sospettata anche dai contemporanei d'essere stata l'autrice del delitto. Nella forma settentrionale della saga nibelungica, certamente la più antica, A. muore appunto ucciso nottetempo dalla consorte, che qui ha il nome di Gudrun e che vendica in tal modo la strage dei suoi parenti; nella leggenda alto-tedesca invece, egli sopravvive; e Crimilde, che l'ha sposato dopo la morte di Sigfrido, vendica invece la morte del marito sui proprî congiunti e sui loro vassalli, mentre A. stesso non è che il mezzo di cui essa si è servita per acquistare potenza e mettere in esecuzione il suo piano di vendetta. Questa trasformazione, oltre ad essere conseguente alla diversa concezione di cui si è detto più sopra, risponde anche alle esigenze della maggiore importanza sociale che venne acquistando il vincolo matrimoniale di fronte a quello della consanguineità.
La tradizione storica concernente A. è assai povera in paragone all'importanza della figura del re unno. Le fonti principali, in ordine di interesse, per le notizie circa A., sono rappresentate da Prisco, Prospero Aquitano, Idazio, Marcellino, Giordane, Sidonio, Landolfo; seguono altre fonti minori e indirette, che riguardano solo qualche particolare.
Bibl.: A. Thierry, Hist. d'A. et de ses successeurs jusqu'à l'établissement des Hongrois en Europe, Parigi 1856 e ediz. successive, voll. 2; Haage, Gesch. Attilas, Celle 1862; E. von Wietersheim e F. Dahn, Gesch. der Völkerwanderung, 2ª ed., II, Lipsia 1881, p. 217 segg.; L. Schmidt, Allgemeine Gesch. d. german, Völker, Monaco 1909, p. 121 segg.; O. Seeck, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 2214 segg.; id., Geschichte des Untergangs der antiken Welt, VI, Stoccarda 1921, p. 279 segg.; A. Solari, Gli Unni e Attila, Pisa 1916.