ĀTMAN ("sé stesso")
TMAN Termine della filosofia indiana. Qualunque sia il significato etimologico, tuttora controverso, della parola ātman, la sua più antica accezione è quella di "sé stesso" in antitesi con ciò che sé stesso non è, quindi "il proprio corpo, la propria persona, il proprio Io psico-fisico", non ancora "l'anima spirituale ed eterna". Meditando sull'unità sostanziale delle forze cosmiche, la speculazione teologica indiana era giunta a ravvisare nel brahman (v.) il loro occulto motore, causa prima di ogni cosa e unica realtà. Nel contempo l'introspezione aveva rivelato agli asceti dell'età vedica il recondito sostrato delle "forze vitali" (prāṇāḥ), cioè l'alito, il respiro, chiamato "il prāṇa che sta nel mezzo" (Bṛhadāraṇyaka-upaniṣad, I, 5, 21; II, 2, 1), o anche, per antonomasia, prāṇa senz'altro. Esso è già identificato con l'ātman nel Śatapathabrāhmaṇa 4, 2, 3, 1; e dopoché Yāiñavalkya ebbe scoperto che l'ātman è la conoscenza (prājña ātman, Bṛh.-up., IV, 3, 21), l'identificazione avviene fra il prāṇa e il prājña ātman (Kauṣitaki-up., II, 14; III, 2 segg., IV, 20). Ma la vita cosciente, che troviamo anche rappresentata nello "spirito fatto d'intelligenza", insito nelle forze vitali (Bṛh.-up., II, 1, 16; IV, 3, 7; IV, 4, 22), non è ancora l'anima individuale, sebbene sia per la prima volta nettamente distinta dalla materia. La luce d'intelligenza che rischiara ogni essere emana dall'intelletto cosmico, nel quale la coscienza si dilegua quando sopraggiunge la morte. "Non c'è coscienza (saṃjñā) dopo morte" afferma in due luoghi la Bṛh.-up., II, 4, 12; IV, 5, 13. L'universo è il brahman e il brahman in noi è l'ātman (Chāndogya-up., III, 14); l'ātman è il brahman (Bṛh. up., IV, 4, 5; 25). L'unità del brahman e dell'ātman sarà quindi innanzi il tema favorito delle dissertazioni upaniṣadiche, le quali si compendiano nella formula: "tu sei questo (ātman)" (Chand.-up. VI, 8 segg.), o "in verità ciò (di cui abbiamo parlato) è desso" (Kaṭha-up., II, 4, 3, passim).
"L'Autogeno aperse verso l'esterno le finestre (dei sensi), onde noi vediamo al di fuori, non dentro di noi. (Ma) qualche saggio desideroso d'immortalità, allontanato lo sguardo (dalle cose sensibili), vide entro sé stesso l'ātman". Così sentenzia la Kaṭha-up., II, 4, 1, la prima che riesca a distinguere in modo chiaro ed esplicito l'anima individuale dall'anima universale; e quando il panteismo mistico delle Upaniṣad trova assetto sistematico nella filosofia del Vedānta (v.), il brahman prende il nome di ātman supremo (paramātman) e l'Io empirico, che del brahman è parte (aṃaś), quello di ātman individuale (jīvātman). Nel Nvāya-vaiśeṣika è adoperata la stessa terminologia.
Bibl.: P. Deussen, Allgemeine Geschichte der Philosophie, I, Lipsia 1899, i, pp. 282-366; ii, pp. 78-90, 359 segg.; C. Formichi, Le Upanishad e il loro più recente interprete, Napoli 1897, p. 11 segg.