ATLETICA (dal gr. ἆϑλος "lotta")
Parte della ginnastica, comprendente un certo numero di esercizî sportivi specialmente adatti a far conseguire al corpo umano il più alto grado di sviluppo fisico e la massima armonia delle funzioni organiche.
Nell'antichità greco-romana l'appellativo di atleti (ἀϑληταί, athlētae) venne dato, nella sua accezione più ampia, a tutti coloro che nei pubblici giochi prendevano parte a una qualsiasi gara, la quale poteva essere ginnica, ma poteva anche essere musicale, equestre, ecc.; e questo significato ampio la letteratura cristiana antica ha trasportato a indicare coloro che combattono le lotte (ἇϑλοι) per il trionfo della fede (cfr. "santo atleta" detto da Dante di S. Domenico, Par., XII, 56). In senso alquanto più ristretto, atleti furon detti coloro che partecipavano alle gare ginniche; con maggiore delimitazione ancora ebbero infine, in epoca abbastanza tarda, tale appellativo coloro che di quelle gare fecero la loro professione.
Da principio i concorrenti alle gare ginniche non solo non furono professionisti, ma appartennero bene spesso alle migliori classi sociali: ciò avvenne ancora durante tutto il sec. VI a. C. e la prima parte del V: basti pensare alla maggior parte dei vincitori esaltati da Pindaro e da Bacchilide. E non concorrevano costoro per l'utile materiale che sperassero dalla vittoria, ma per il conseguimento degli onori davvero straordinarî che spesso erano decretati ai vincitori. Si pensi che talora il vincitore, trasportato da un cocchio tratto da quattro cavalli bianchi, rivestito d'un mantello di porpora, circondato da parenti e amici festanti, seguito da infinito codazzo di popolo, faceva il suo solenne ingresso in patria per una breccia appositamente aperta nelle mura. Quest'onore, che da principio era concesso ai soli vincitori nei quattro grandi ludi nazionali ellenici (v. ludi), fu più tardi esteso a numerosi altri. Ma venivano poi altre ricompense infinite: l'erezione di colonne e statue, l'esenzione da pressoché tutti i gravami, l'onore della proedria, l'onore della sitesi, gratificazioni, talvolta persino culto d'eroi dopo morte.
Si capisce come gl'infiniti vantaggi che l'atleta vincitore conquistava favorissero la formazione di una classe di professionisti. Ed è d'altra parte naturale che l'impossibilità per un dilettante di vincere in certe gare, come la lotta o il pugilato o il pancrazio, chi si fosse sottoposto a un lungo allenamento professionale, facesse col tempo, almeno per certe specie di concorsi, diminuire d'assai il numero dei dilettanti.
Ma il predominio dei professionisti nocque all'atletica come arte di armonioso sviluppo del corpo, poiché è naturale che i professionisti tendessero a rendere il più possibile formidabili quei mezzi ch'erano acconci a farli trionfare. In particolar modo pertanto i pugilatori e i lottatori di professione dovevano curare l'enorme sviluppo dei muscoli, e questo si studiavano di conseguire oltre che con speciali esercizî, anche con uno speciale regime dietetico a base d'alimentazione prevalentemente carnea: enorme era la quantità di carni arrostite, specialmente di bue o di maiale, ch'essi ingerivano: il che non poteva certo favorire in loro l'affinarsi dell'intelligenza e d'ogni altra dote dello spirito. Di qui il disprezzo, talora formidabile, che gli uomini di studio, e poeti e prosatori - i filosofi più d'ogni altro - manifestano per gli atleti di professione, da Euripide a Socrate, a Isocrate, ai cinici, ai moralisti dell'epoca imperiale; alle quali voci poche si contrappongono che per l'atleta suonino ammirazione. Anche l'arte, dopo l'invadenza del professionismo, ci pone sott'occhio ben altri campioni; sicché alle meraviglie di un Diadumeno, di un Doriforo, di uno Strigilatore e simili si vengono a contrapporre i brutali realismi dell'Eracle in riposo e più del Pugilatore del Museo delle Terme e più ancora degli atleti del musaico lateranense proveniente dalle terme di Caracalla.
Gli atleti incominciavano naturalmente a esercitarsi nelle più o meno importanti gare locali, da cui agognavano, si comprende, di passare al più presto ai quattro grandi certami nazionali, che erano quelli cui si connettevano gloria maggiore e maggiori vantaggi. Solo la vittoria in uno di questi dava diritto all'ambito titolo di ἱερονίκης; περιοδονίκης poi si diceva colui che avesse vinto in tutti e quattro. Nell'epoca imperiale l'ultimo ambitissimo titolo era talora concesso abusivamente a chi avesse comunque riportato cospicuo numero di vittorie, anche se non avesse trionfato in tutti e quattro i massimi ludi. Né le iscrizioni delle statue onorifiche mancavano di mettere in rilievo qualsiasi combinazione di vittorie di cui non si fosse ancora avuto esempio o gli esempî ne fossero molto rari. Naturalmente la gloria e gli altri vantaggi che l'atleta vincitore conquistava erano talora causa che si tentasse di carpire la vittoria - se non si sperava di poterla conseguire altrimenti - con la frode: di qui la necessità del giuramento di comportarsi lealmente, che in più luoghi si faceva prestare sia dagli atleti sia dai loro parenti e dai maestri. Con tutto ciò, casi di corruzione degli avversarî per mezzo di somme di denaro non mancarono, se anche non furono frequentissimi: alcuni sono ricordati da Pausania. Se la frode veniva scoperta, entrambe le parti venivano colpite d'ammenda: a Olimpia coi proventi di queste ammende s'innalzavano statue a Zeus che dovevano servire di ammonimento perenne ai futuri concorrenti.
Gli atleti erano divisi in "pesanti" (βαρεῖς) e "leggieri" (κοῦϕοι), chiamandosi pesanti quelli che professavano solo la lotta, il pugilato e il pancrazio. Rispetto all'età si distinguevano generalmente in παῖδες "ragazzi" (fino a 16 anni), ἀγένειοι "giovani" (dai 16 ai 20), ἄνδρες "uomini" (dai 20 in su): pochi però gli esercizi per i ragazzi e i giovani. La durata della carriera era assai varia a seconda delle tempre o delle contingenze: di rado un atleta che avesse preso parte ai certami dei ragazzi e dei giovani continuava a trionfare fra gli uomini: lo sforzo precoce era quasi sempre fatale. Così pure si comprende come qualche accidente potesse avere l'effetto di mettere assai presto a riposo anche fibre eccezionali. Quando la carriera si svolgeva, diciamo così, regolarmente, poteva durare in media otto o nove olimpiadi: spesso, chiusa la carriera professionale, l'atleta si dava all'insegnamento o all'allenamento dei futuri concorrenti.
Le gare atletiche non s'introdussero a Roma che negli ultimi due secoli della repubblica. Né godettero da principio molto favore: la nudità ch'esse esigevano spiaceva, tra l'altro, ai Romani del vecchio stampo. Ma con l'Impero, specie con Nerone e dopo di lui, anche i Romani vi presero prima gusto e poi passione: anche qualche imperatore, come Lucio Vero, Commodo, Alessandro Severo, non disdegnò gli esercizî atletici. E i migliori atleti furono ricercati per averne lezioni pagate a caro prezzo: vi furono persino donne che vollero profittare dei loro insegnamenti. La maggior parte degli atleti professionisti rimase tuttavia greca o asiatica: pochi nomi romani figurano nelle liste dei vincitori. A differenza dei gladiatori e degl'istrioni, gli atleti professionisti non erano colpiti d'infamia: essi potevano raggiungere un alto grado sociale e le loro associazioni godettero più d'una volta il favore imperiale. Conosciamo del II secolo un'associazione di atleti, che sembra esser poi durata ancora molto tempo dopo, detta degli Ercolani; essa rendeva culto a Ercole, aveva in Roma la sua curia, il suo tempio e i suoi archivî, e il suo presidente copriva pure la carica di sovrintendente dei bagni imperiali. Con Teodosio e i provvedimenti di questo imperatore contro gli stessi ludi maggiori, l'atletica classica vede la sua fine.
Nel Medioevo gli sport atletici, sotto svariate denominazioni, ebbero in complesso assai scarso favore, ma seguitarono a essere particolarmente praticati gli esercizî di lotta libera e quelli, in genere, atti a sviluppare nel singolo le possibilità di offesa e di difesa personale. Beninteso ci riferiamo all'atletica propriamente detta, e non ai tornei o ai varî giuochi (arco, palla ecc.), che furono invece attivamente esercitati. E, per quanto si possano ricordare competizioni medievali di corsa, di lancio della pietra, di salto; per quanto si sappia che non pochi autori consigliavano gli esercizî atletici a chi voleva conservare la propria salute, solo verso la fine del sec. XIX (dopo un'eclissi pressoché totale nel XVIII) l'atletica comincia a essere nuovamente praticata, gli esercizî vengono distinti, le loro modalità sottoposte a regole fisse, gli atleti si uniscono in gruppi, società, federazioni nazionali e internazionali. Sorge, in una parola, l'atletica moderna.
Oggi viene chiamato, inesattamente, atleta chi pratichi una forma qualsiasi di esercizio sportivo. Dalla definizione generica data più sopra risulta invece che è necessario, a formare l'atleta, una somma di esercizî rivolti a svilupparne armonicamente l'organismo, con particolare riguardo al sistema muscolare. La cultura atletica fa però risentire di riflesso la sua azione benefica su tutte le altre funzioni organiche: il dinamismo secretorio e ormonico, il sistema nervoso centrale e periferico, ecc. Essa deve svolgersi in maniera progressiva e metodica, adeguandosi all'efficienza degli allievi; gli esercizî si divideranno dunque in varî gradi, secondo l'età di chi li coltiva. Dopo i diciotto anni l'uomo sano e allenato può affrontare gli sport atletici propriamente detti.
L'atletica si divide in leggiera e pesante.
La prima comprende le seguenti specialità: 1. marcia; 2. lanci (disco, giavellotto, palla di ferro, palla vibrata, martello scozzese); 3. salti (in lungo, in alto, triplo, con o senza rincorsa, salto con l'asta); 4. corse: a) piane: a staffette; di velocità pura, su percorsi non superiori a m. 200; di velocità prolungata, su percorsi da oltre 200 m. fino a m. 400; di mezzo fondo, da m. 800 a m. 1500; di fondo, da oltre 1500 fino a m. 10.000; di gran fondo, da oltre m. 10.000 fino a m. 42.750, lunghezza della corsa di Maratona, istituita in ricordo della fatica eroica del soldato greco che recò la notizia della vittoria di Milziade sui Persiani, nel 490 a. C.); b) corse con ostacoli naturali cioè corse attraverso la campagna (cross-country races), su percorsi varianti da sei a dodici km. o più; corse con ostacoli artificiali variati (steeple-chases) su percorso di m. 3000; corse con ostacoli artificiali uniformi (hurdles) su percorsi di m. 110 (con 10 ostacoli alti m. 1,06); di m. 200 (con 10 ostacoli alti m. 0,75); di m. 400 (con 10 ostacoli alti m. 0,914, pari a un yard).
Gare complessive di atletica leggiera sono il pentathlon (salto in lungo con rincorsa, lancio del giavellotto, corsa piana di m. 200, lancio del disco, corsa piana di m. 1500) e il decathlon (salto in lungo con rincorsa, corsa piana di m. 100, lancio della palla di ferro, salto in alto con rincorsa, corsa piana di m. 400, corsa con ostacoli di m. 110, lancio del disco, salto con l'asta, lancio del giavellotto, corsa piana di m. 1500).
L'atletica pesante comprende la lotta e il sollevamento dei pesi.
La lotta greco-romana insegna il modo di vincere un competitore, atterrandolo in maniera che tocchi il suolo contemporaneamente con le due spalle. Per ottenere questo scopo non si possono usare colpi pericolosi o brutali, pugni, sgambetti ecc., ma soltanto prese e leve a carico degli arti superiori e del tronco.
Il sollevamento dei pesi, cioè di manubrî a bilanciere, può essere fatto con uno o con tutt'e due gli arti superiori. Le principali varietà di sollevamento vengono denominate strappo, slancio e volata.
I lottatori, sono divisi, agli effetti della classifica, nelle seguenti categorie: peso gallo, piuma, leggiero, medio-leggiero, medio, medio-massimo, massimo; i pesisti nelle seguenti: piuma, leggiero, medio, medio-massimo e massimo.
La Federazione italiana di atletica leggera (F.I.D.A.L.) e la Federazione atletica italiana (F.A.I.) riuniscono nel nostro paese le associazioni e i gruppi delle due categorie surricordate; la prima inquadra presentemente anche il movimento atletico femminile. (V. Tavv. LIX a LXVI).
Bibl.: Cfr. Reisch, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclop. d. class. Altertumswiss., I, col. 2058 segg.; II, col. 2049 segg.; Bussemaker e Saglio, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités grecques et romaines, I, i, p. 515 segg.; A. Zucca, Acrobatica e atletica, Milano 1902; E. Weber, Sports athlétiques, Parigi 1905; E. N. Gardiner, Greek athletic sports and festivals, Londra 1910; F. A. M. Webster, Athletics, Londra 1925; G. Sorrentino, L'atleta. Coltura pre-atletica e coltura atletica completa, Milano 1925; L. Ferretti, Il libro dello sport, Roma 1928; E. Brambilla, Atletica leggera, Milano 1929.