ATLANTIDE
. Già nell'antichità classica (e cfr. per ciò, specialmente, il Timeo e il Crizia di Platone) si favoleggiava d'una grande isola Atlantide, più grande dell'Asia e della Libia prese insieme, situata innanzi alle colonne d'Ercole. L'abitava un popolo forte e guerriero, che una volta era mosso all'invasione dell'Europa e dell'Asia, ma era stato ricacciato dai Greci comandati dagli Ateniesi, finché, poi, si era inabissato nel mare con tutta l'isola.
Il nome di Atlantide è stato poi adottato dai geologi per indicare un ipotetico continente (v. paleogeografia), che avrebbe occupato fino da tempi geologicamente remotissimi l'Atlantico settentrionale, e del quale la Groenlandia, le Azzorre e fors'anche le Canarie sarebbero gli ultimi avanzi. L'ipotesi si appoggia da una parte sulla natura e sulla distribuzione dei sedimenti paleozoici nell'America del Nord e nella Scandinavia e sulla direzione delle catene montuose che si fronteggiano in queste regioni; dall'altra, sulla forma del fondo attuale dell'oceano, con la sua vasta zona mediana relativamente poco profonda, accidentata, vulcanica, che si diparte appunto dalla Groenlandia; sulla forma delle coste canadesi, irlandesi, bretoni, indicanti un rilievo recentemente sommerso; sulla distribuzione geografica di animali e piante attuali ed estinti, che accennerebbe a connessioni continentali e facilità di migrazione. Lo sprofondamento sarebbe avvenuto in varî momenti e gli ultimi sarebbero forse anche posteriori al Terziario; ma l'opinione di taluni, che vorrebbero protrarre le fasi ultime dell'Atlantide a epoca antropozoica, fino a identificare l'Atlantide dei geologi (o almeno gli ultimi suoi rottami) con quella di Platone, sembra fantastica e poco fondata. Se quella degli autori greci non è una pura leggenda, o per meglio dire, se a tale leggenda si vuole attribuire una base nella realtà, converrà supporre che le indicazioni di Platone circa l'estensione del paese (cfr. perciò la minuta descrizione del Crizia) si riferissero al regno, di cui l'isola scomparsa avrebbe rappresentato la capitale, e cercare quindi l'Atlantide sia nella Spagna meridionale, in un'isola posta alla foce del Guadalquivir, che potrebbe identificarsi con l'emporio di Tartesso e con l'omerica isola dei Feaci; sia nel nord dell'Africa e precisamente nella Tunisia, dove la sebkha di Melah, non lontana da Gabes, rappresenterebbe l'ultimo residuo del mare in cui sorgeva l'isola. Quest'ultima interpretazione, se darebbe ragione della presenza di elefanti selvatici nell'Atlantide, di cui è fatto cenno dagli autori, presuppone però profondi cambiamenti nel clima africano: cambiamenti che, secondo il parere della maggior parte degli studiosi, è da escludersi si siano verificati in epoca tanto recente.
Secondo le dottrine dei moderni teosofi l'Atlantide sarebbe stato il teatro dell'evoluzione della quarta fra le razze madri dell'umanità attuale. Dai primi progenitori di questa, provenienti dal continente di Lemuria, ancor più antico di Atlantide e già in corso di sommersione, procedettero sette sottorazze, in seno alle quali si svolsero grandi civiltà (i termini di razza e sottorazza hanno nella tradizione occulta significato diverso dall'ordinario). Ai cataclismi tellurici di Atlantide si accompagnarono grandi migrazioni di popoli sulle terre dei nuovi continenti, sicché dalle ultime sottorazze atlantidee derivarono grandi famiglie dell'umanità attuale. È detto che gli Atlantidi avessero naturalmente sviluppate facoltà occulte di chiaroveggenza e di dominio sulle forze sottili della natura, che ne fecero degli stregoni.
Bibl.: Platone, Timeo, cap. III; Crizia, cap. III segg.; A. Schulten, Tartessos: ein Beitrag zur ältesten Geschichte des Westens, Amburgo 1908; L. Germain, Le problème de l'Atlantide et la zoologie, in Annales de Géogr., XXII (1913), pp. 209-226; G. Perrone, L'Atlantide, Torino 1918; P. Termier, L'Atlantide, 2ª ed., Parigi 1919; R. Dévigne, Un continent disparu: l'Atlantide, Parigi 1924; P. Henning, Das Ratsel der Atlantis, in Meereskunde, XIV (1926); L. Giannitrapani, L'Atlantide, in L'Universo, VIII (1927), pp. 1279-1320; P. Borchardt e altri, in Petermann's geogr. Mitt., LXII (1926) e LXXIII (1927).