ATENOLFO
Figlio di Atenolfo IV conte d'Aquino e di Pontecorvo, della famiglia dei conti d'Aquino, nacque presumibilmente ai primi del sec. XI. Fedele sostenitore ed alleato di Pandolfo IV principe di Capua, ne sposò, in data non precisata, la figlia Maria, mentre suo fratello Landone si univa con un'altra figliola del principe di cui ci è ignoto il nome. Quando, nel 1038-1039, Corrado II scese nell'Italia meridionale, e, alleatosi con Guaimario di Salerno, rovinò la potenza di Pandolfo, anche la fortuna di A. subì un grave tracollo. Mentre il suocero si chiudeva nella fortezza di Sant'Agata e poi fuggiva a Costantinopoli (1039), A., nell'aprile del 1039, veniva catturato "cum aliis non paucis" (Leone Marsicano, p. 677) da Laidolfo conte di Teano e imprigionato. I suoi familiari, guidati dal fratello Landone, tentarono allora invano di assalire Teano per liberarlo; fermati da Richerio, nuovo abate di Montecassino, riuscirono, con un colpo di sorpresa, a catturare costui il 10 maggio del 1039 e a trascinarlo prigioniero in Aquino, rilasciandolo soltanto quando Guaimario, "non multo post" (ibid., p. 677), ebbe liberato Atenolfo. Subito dopo, comunque, i due fratelli, fecero pubblica ammenda della grave offesa recata al monastero cassinese e restituirono ai monaci la località di Sant'Angelo di cui s'erano antecedentemente appropriati. Ma, evidentemente, si trattava soltanto di una tregua.
Quando, infatti, nel 1041 Pandolfo di Capua, fuggito da Costantinopoli, dove era stato imprigionato dall'imperatore, tornò in Italia e rioccupò alcune località intorno a Caserta, mirando a riconquistare il principato sfuggitogli, i conti d'Aquino furono pronti a rinnovare la precedente alleanza. Con lui era rientrato in Italia anche il greco Basilio che Pandolfo aveva posto nel 1036 a capo dell'abbazia cassinese e che era stato sostituito nel 1038 da Richerio per volontà di Corrado II. Con l'aiuto dei conti d'Aquino, Basilio tentò allora di rioccupare l'abbazia; ma l'intervento di truppe normanne prontamente inviate da Guaimarlo stroncò il tentativo, costringendo alla fuga l'intruso; né pare che i conti d'Aquino abbiano saputo offrirgli un consistente aìuto militare.
Gli anni immediatamente seguenti furono quelli della massima potenza di Guainiario. Ma ben presto fra il principe di Salerno e i suoi alleati normanni sorsero contrasti sempre più gravi, che compromisero la stabilità politica della Canipania. Fra il 1039 e il 1044-1045 (data della sua morte: cfr. Fedele, Il ducato, pp. 66-67) era stato duca di Gaeta, oltre che conte d'Aversa, il normanno Rainulfo, cui successe Aisclittino suo nipote, morto però quasi subito. Allora un grave contrasto scoppiò fra Guaimario e i vari capi Normanni, che, contro le intenzioni del principe, sostenevano la candidatura di Rodolfo Trincanotte e lo crearono conte d'Aversa. Di tale contrasto approfittarono in Gaeta gli avversari di Guaimario, molto probabilmente sostenuti da Pandolfo di Capua, i quali, "ob invidiam Guaimarii" (Leone Marsicano, p. 680), fecero duca della città, fra il maggio e il luglio del 1045, Atenolfo.
Questa elezione rappresentava un grave colpo per Guaimario, che, raccolto immediatamente un esercito, lo inviò contro Gaeta. A. accettò la battaglia in campo aperto, ma fu battuto, catturato e condotto per la seconda volta prigioniero presso Guaimario. Contrariamente ad ogni previsione, Pandolfa non mosse in soccorso del genero e si rifiutò perfino di rilasciare, in cambio della libertà di costui, una sorella dei conti di Teano che tratteneva prigioniera; approfittando invece della situazione favorevole, assalì le terre del monastero cassinese, ponendo l'abate Richerio in gravi difficoltà.
Il dispetto per l'indifferenza mostrata da Pandolfo nei suoi riguardi, ma, ancor più, il convincimento - maturato certo durante la prigionia - che ormai soltanto schierandosi dalla parte di Guainiario avrebbe potuto riottenere libertà e ducato, indussero A. ad un repentino rovesciamento di alleanze. Appreso che Pandolfo aveva assalito i possedimenti cassinesi, egli promise al principe di Salerno di divenire, in cambio della libertà, il tutore sicuro dei monaci di S. Benedetto e il suo fedele vassallo. Guaimario, certo anche per l'intervento di Bartolomeo abate di Grottaferrata, che, sollecitato dai conti d'Aquino, chiedeva in quei giorni a Salerno la liberazione dell'illustre prigioniero, accettò l'offerta di A. e lo liberò nel corso dello stesso 1045. Il conte d'Aquino, cui Guaimario, in cambio di un solenne giuramento di pace e fedeltà prestato ai monaci e a lui stesso, aveva restituito il ducato di Gaeta, si recò a Montecassino e ricaccìò indietro Pandolfo con la sola minaccia di un esercito prontamente raccolto. Molto probabilmente fu in questa occasione che Emilia, figlia di A., sposò Landolfa figlio di Guaimario, cementando la nuova alleanza con un matrimonio politico che durava ancora nel 1092.
Per gli anni immediatamente seguenti si hanno scarse notizie dell'attività di A., che nel 1047 circa, in qualità di "comes et dux" di Gaeta, presiedette un giudicato nel quale i conti di Traetto si impegnarono a non rivendicare ulteriormente nel futuro alcuni possedimenti del monastero cassinese, e che mantenne indisturbato il suo ducato sia durante la discesa di Enrico III nel 1047, sia dopo la morte del suocero Pandolfo di Capua nel 1049 (19 febbraio), con il quale non pare si fosse nel frattempo riconciliato.
Certo è che egli, come tutti i maggiori e minori signori longobardí dell'ltalia meridionale, doveva vedere nel rafforzamento della potenza normanna il più grave pericolo per il suo dominio. Cosicché non è strano vederlo, il 10 giugno 1053, far parte dell'eterogeneo esercito che in quel giorno si raccoglieva in Sala intorno a Leone IX, intento a muovere contro i Normanni per realizzare la sua sfortunata crociata. Otto giorni dopo, A. fu certo attore della battaglia di Civitate, che vide i Normanni clamorosamente vincitori e il pontefice prigioniero. Ma il duca di Gaeta ne uscì illeso, tanto che il 26 luglio seguente già poteva, nella sua città, presiedere ad un giudicato.
Dopo il fallimento del tentativo antinormanno di Leone IX, A. continuò nella sua politica di alleanza con Roma e con Montecassino: nell'aprile del 1057 si recò a Roma, ove Vittore II aveva radunato un concilio, accompagnandovi l'abate cassinese Pietro, accusato di essere stato eletto in modo non regolare. E fu proprio il mutato orientamento della politica cassinese e romana intervenuto nel frattempo, rispettivamente con il nuovo abate Desiderio (1059) e con Niccolò II papa, a indurre in questo periodo A. a rivedere drasticamente il suo atteggiamento antinormanno e a cercare una nuova piattaforma d'amicizia con Riccardo conte d'Aversa.
Fra il duca di Gaeta e il conte normanno venne infatti (nel 1058?) concordato un matrimonio che doveva vedere uniti uno dei figli del primo con una figliola del secondo; ma essendo morto, prima della celebrazione delle nozze, il figlio di A., e avendo questi negato a Riccardo il pagamento della "quartula", il conte d'Aversa assediò Aquino e ne devastò le campagne, non desistendo dalle ostilità se non quando l'abate di Montecassino, Desiderio, convinse A. a versare la somma richiesta (1058-1059). Subito dopo, forse nel 1059, il duca di Gaeta aiutò i Cassinesi a respingere le ostilità degli abitanti di una località del comitato di Traetto, collaborando alla costruzione di un castello difensivo sul monte Perano.
Ma l'amicizia di Desiderio non bastava a salvaguardare sufficientemente il debole ducato gaetano dalla prepotente politica d'espansione perseguita da Riccardo, il quale, riconosciuto nel 1059 da Niccolò II principe di Capua, investì del dominio di Aquino e di Gaeta il genero Guglielmo di Montreuil, quasi a far capire a A. che i giorni del suo ducato erano contati.
Comunque, almeno per il momento, altre cure impedirono al conte di Aversa di realizzare i suoi progetti per quanto riguardava il dominio di A., sì che A. moriva il 2 febbr. 1062 senza aver visto gli odiati Normanni insediarsi nella sua Gaeta.
Ad A. Alfano di Salerno dedicò un magniloquente epitaffio in cui lo qualificava "magnanimus, sapiens, fortis, pius, impiger, acer", mentre i monaci cassinesi, annotandone la scomparsa nel loro obituario, lo ricordavano come "dux et monachus", sottolineandone, nella memoria della sua ascrizione alla confraternita benedettina, i legami che l'avevano unito per gran parte della vita all'abbazia.
A lui successe l'assai meno fortunato figlio Atenolfo II, che, minorenne, ebbe per tutrice la madre Maria. Costei, costituita il 1° giugno dello stesso 1062 un'alleanza con i minori conti longobardi della zona e unitasi a Guglielmo di Montreuil, scopertosi nemico di Riccardo, resistette al Normanno per oltre un anno. Nel giuglio del 1063, però, Gaeta cadde finalmente nelle, mani dell'ormai potentissimo Riccardo, che lasciò al governo del ducato, accanto a suo figlio Giordano, l'ancora minorenne Atenolfo II, mentre Maria si rifugiava a Pontecorvo. Questo precario condominio, tuttavia, durò poco più di un anno, perché l'ultimo documento in cui compaia il nome dello sfortunato figlio di A., cui la morte, con ogni probabilità, risparmiò un'umiliante destituzione, è dell'ottobre 1064.
Fonti e Bibl.: Leonis Marsicani et Petri Diaconi Chronica monasterii Casinensis, a cura di G. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VII, Hannoverae 1846, pp. 676, 678, 680, 681, 690, 704; Codex diplomaticus Caietanus, I, Montis Casini 1886, pp. 356 s.; II, ibid. 1891, pp.1 s., 15-17, 25-27 (per Atenolfo II: pp. 41-43, 48-50, 55, 64);.Storia de' Normanni di Amato di Montecassino, a cura di V. de Bartholomacis, Roma 1935, in Fonti per la storia d'Italia, LXXVI, pp. 107 s., 140, 152, 178, 191-193, 201, 259 (per Atenolfo II: pp. 260 s., 265 s., 272, 288, 302, 314, 315, 316); Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a, cura di V. Federici, III, Roma 1938, ibid., LX, p. 86;P. Fedele, Il ducato di Gaeta all'inizio della conquista normanna, in Arch. stor. per le prov. napol., XXIX (1904), pp. 68-92,; Id., Due nuovi docum. gaetani dell'età normanna, ibid., XXXII(1907), pp. 345-448;F. Chalandon, Histoire de la domin. normande en Italie et en Sicile, I, Paris 1907, pp. 109, 135, 145 s., 216 (per Atenolfo II: pp. 216, 216, 219); M. Merores, Gaeta im frühen Mittelalter, Gotha 1911, pp. 37-42.