ATENAGORA (᾿Αϑηναγόρας; Athenagŏras)
Apologeta cristiano. Nacque nella prima metà del II sec. d. C. in Atene. È probabile che abbia passato parte della sua vita in Alessandria e sia lui quel filosofo A. al quale, secondo la testimonianza di Fozio (Bibi. cod., 155), l'alessandrino Boeto dedicò, dopo il 18o, un libro sui vocaboli difficili in Platone. Di A. ci rimangono due opere: una Πρεσβεία περὶ Χριστιανῶν, Legatio, seu supplicatio pro Christianis, indirizzata, tra la fine del 176 e la metà del 178, agli imperatori Marco Aurelio e Commodo; l'altra, Περὶ ἀξαστάσεως νεκρῶν, trattatello sulla resurrezione dei morti.
La prima contiene un acuta e vivace difesa dei cristiani, nella quale si dimostra quanto siano assurde le accuse di ateismo, d'incesto e di antropofagia, rivolte ai seguaci della nuova religione. A differenza degli altri apologeti, come Taziano, Ermia, Tertulliano, A. non rivela un disprezzo per la cultura pagana, né si abbandona a una denigrazione sistematica dei filosofi pagani. In ciò egli precorre Clemente Alessandrino. A., pur lamentando le ingiuste persecuzioni, loda la pietà e l'umanità degli imperatori, ne esalta l'amministrazione e il governo. S'indovina in lui quasi un vago desiderio di un accordo tra l'Impero e il Cristianesimo. A. è uno scrittore ordinato e chiaro. L'esposizione della dottrina trinitaria e della provvidenza rivelano in lui buone qualità speculative. Egli è abbastanza colto e ha una discreta erudizione, anche se non attinta direttamente alle fonti, ma a manuali e repertorî. Il suo linguaggio filosofico è, quasi sempre, esatto e preciso, per cui si può concludere, con l' Ubaldi, che il nome di filosofo, attribuitogli dalla tradizione manoscritta, non sia del tutto fuori luogo.
La difesa dei cristiani contro l'accusa di ateismo è divisa in due parti: nella prima si espone il monoteismo, professato dalla nuova religione; nella seconda si dimostra l'assurdità del politeismo.
Tra gli argomenti riportati contro l'idolatria nella sua Πρεσβεία, v'è quello dell'origine recente delle statue degli dei, alle quali i pagani rendevano un culto come a divinità. Gli autori di queste statue, come A. dice, erano vissuti ieri o l'altro ieri. Seguendo l'uso degli scrittori della seconda sofistica, i quali spesso facevano sfoggio delle loro conoscenze intorno alle arti figurative, A., nel cap. 17, accenna brevemente alle origini della plastica, della pittura e della statuaria, enumerando gli artisti ai quali erano attribuite alcune statue. Prima queste arti non esistevano; Saurias di Samo inventò l'arte del disegnare a contorni, Kraton di Sicione e Kleantes di Corinto inventarono la statuaria. Una fanciulla di Corinto trovò la coroplastica. Dedalo, Theodoros e Smilis inventarono la plastica e la statuaria. L'Artemide di Efeso e l'Atena seduta furono scolpite da Endoios, scolaro di Dedalo; l'Apollo di Delo e l'Artemide sono lavori di Tektaios e di Angelion, l'Hera di Samo e quella di Argo sono opere di Smilis, l'Afrodite di Cnido è di Prassitele; l'Asklepios di Epidauro è di Fidia; l'Apollo Pỳthios è opera di Theodoros e di Teleches.
A. non vide certamente tutte le opere che cita; probabilmente, attinse alcune notizie da manuali e da tradizioni non sempre sicure.
Hanno esagerato però quei critici, che hanno creduto questo capitolo pieno di errori. A. non è un critico d'arte, ma un polemista il quale, per rincalzo alla sua tesi attinge le sue prove da un manuale di storia dell'arte. La maggior parte delle notizie da lui riportate trovano un riscontro in altre fonti, specialmente in Plinio e in Pausania; né vi sono ragioni per rigettare quelle che soltanto lui ricorda. La falsa attribuzione dell'Apollo di Epidauro a Fidia, invece che a Trasymedes è, probabilmente, da attribuirsi a una corruzione del testo, che non è sempre sicuro.
A. ha un'estesa erudizione; frequenti sono le citazioni di Omero, Esiodo, Erodoto, Euripide, Platone, ai quali possono aggiungersi Apollodoro, Aristotele, Callimaco, Ctesia, Empedocle, Ermete Trismegisto, Erodoto, Eschilo, Sofocle e altri tragici anonimi, Pindaro e gli Oracoli sibillini. È un greco che ha letto molto. Anche se le sue citazioni sono desunte da compendî, florilegi e raccolte di sentenze, esse rivelano sempre l'uomo nutrito di vasta cultura.
Bibl.: Le uniche notizie sicure intorno alla bibliografia di A. sono quelle che si ricavano dalle sue opere. A. fu quasi ignoto all'antichità cristiana, soltanto Metodio di Olimpo, Epifanio e Fozio riportano qualche brano della Apologia. Le notizie contenute nel codice Barocciano, 142, sec. XIV, della Bodleian Library di Oxford risultano errate. Sull'ateniese a cui l'alessandrino Boeto dedicò il suo libro, cfr. Zahn, Forschungen, III, 60.
Sugli apologisti del II sec. in generale e su La Supplica di A. sono da consultarsi specialmente: L. Arnoud, De Apologia Athenagorae, Parigi 1898; I. Geffcken, Zwei griechische Apologeten, Lipsia 1907; A. Puech, Les apologistes grecs du IIe siècle de notre ère, Parigi 1912; J. Tixerant, L'Apologie d'Athénagore, in Mélanges de Patrologie et d'Histoire des dogmes, Parigi 1912, pp. 74-89; G. Pardy, Athénagore, Supplique au sujet des Chrétiens, Parigi 1943; A. Casamassa, Gli apologisti greci, Roma 1943, pp. 163-84; M. Pellegrino, L'elemento propagandistico e protreptico negli Apologeti greci del II secolo, in Riv. di Filol., LXIX, 1942, pp. 1-18, 97-109; La composizione della Supplica ai cristiani di A., in Atti R. Acc. delle scienze di Torino, LXXVII, 1942, pp. 189-220; Gli apologeti greci del II secolo, Roma 1947, pp. 146-170. Sono da consultarsi pure le introduzioni premesse alle principali edizioni e traduzioni. Il più antico ms. che ci ha tramandato le opere di A. è il Parisinus 451, scritto nel 914 dal segretario del vescovo di Cesarea, Areta. Da esso dipendono direttamente il Parisinus 174, sec. XII, e il Mutinensis, III d. r., sec. XI. Da questi derivano tutti gli altri codici. L'editio princeps comparve nel 1557 a Parigi per cura di Enrico Stefano. Buone edizioni dettero poi il maurino D. Maran, Parigi 1742, riprodotta nel Migne, P. G., VI, c. 1743-1816; Otto nel Corpus Apologetorum saeculi secundi, vol. VII, Iena 1858, E. Goodspeed, Gottinga 1915, F. Schwartz, in Texte und Untersuchungen, IV, 2; P. Ubaldi, La supplica per i cristiani, testo critico e commento, Torino 1933. In quest'opera possono trovarsi altre notizie sui codici, le edizioni antiche e le versioni. Una buona traduzione italiana fu data da P. Ubaldi, Atenagora, La supplica per i Cristiani tradotta, Torino 1913, migliorata in P. Ubaldi e M. Pellegrino, Atenagora. La Supplica per i Cristiani. Sulla resurrezione dei morti, in Corona Patrum Salesiana, XV, Torino 1947.
Sugli artisti greci citati nel cap. XVII, cfr. J. Overbeck, Schriftquellen; R. Forster, Ueber die ältesten Herabilder, Breslavia 1868, nettamente ostile ad Atenagora. Giuste osservazioni in contrario in Arnauld, De Apologia Athenagorae, Parigi 1858, p. 138 ss.; B. C. Kukulé, Alterbeweis und Künstlerkatalog in Tatians Rede an die Griechen, Vienna 1900. Cfr. pure Kukulé, in Rhein. Mus., N. F. XL, II, 19, 522 ss. e J. Geffcken, op. cit., p. 195 ss.; ma specialmente G. Botti, A. quale fonte per la storia dell'arte, in Didaskaleion, IV, 1915, pp. 395-417, le cui conclusioni, favorevoli ad A., sembrano accettabili.