CAVALLI, Atanasio
Nato ad Asti intorno al 1717 (poiché il Diamilla Müller lo dice ottuagenario al momento della morte, avvenuta a Roma poco prima del 1798), ebbe una vita sostanzialmente oscura fino al 1764, quando si trovava a Torino come professore di teologia nel convento dei carmelitani, del cui ordine faceva parte col nome di Atanasio di S. Luigi. In quest'epoca figura già attivamente inserito nella vita culturale della città, come dimostrano anche l'origine accademica della sua prima pubblicazione, le Lettere di Filalete accademico libero (Torino 1764), e l'appartenenza successivamente attestata alla locale Accademia delle scienze. Le Lettere toccavano temi di varia erudizione, ma fino da questi anni il suo interesse culturale più vivo era quello scientifico. Significativi sintomi di questo orientamento sono già presenti nel trattato Delle apparizioni ed operazioni de' Spiriti (Milano 1765).
Nella notte del 25 giugno 1764 nella cella dove il C. dormiva, nel convento torinese dei carmelitani, vennero percepiti luci, rumori, spostamenti di oggetti, senza che egli fosse in grado sul momento o il giorno seguente, quando mostrò i segni di quanto era avvenuto ai confratelli, di spiegare scientificamente tali fatti. Fu così indotto a studiare il problema dell'occultismo e dello spiritismo, raccogliendo molte testimonianze su fatti naturali inspiegabili. Il risultato delle sue ricerche fu poi espresso nell'opera, in sei capitoli, che attribuisce positivamente ad esseri immateriali, gli spiriti della tradizione magico-occultistica, una serie di fenomeni oscuri attestati nel folklore ed anche in singole fonti storico-letterarie. Di tali spiriti il C. tenta anche una classificazione, distinguendoli in buoni e cattivi (o folletti) e inserendo tutta la materia entro le categorie della dogmatica cattolica.
Non si coglie compiutamente la collocazione storica dell'operetta considerandola meramente come un testo superstizioso, curioso o al più come anticipazione della parapsicologia scientifica. Ciò che il C. tentava era una difesa dell'incorporeo di fronte alle drastiche tesi riduttive dello scetticismo e del materialismo illuministico; la sua difesa, che ambiva a collocarsi sul terreno della scienza, si basava sulla tesi della legittimità del ricorso a racconti e tradizioni che, pure selezionati, mantenevano un intrinseco carattere di genericità e incertezza. Proprio su tale carattere costitutivo della tradizione spiritistica, per negarne ogni validità, aveva fatto leva in Italia anni prima la scepsi illuministica di autori come G. Tartarotti, G. R. Carli, S. Maffei e P. Frisi, dando luogo coi difensori della realtà di quei fenomeni a una polemica, alla quale il C. chiaramente si riallaccia. Il vero oggetto del dibattito, come ha chiarito F. Venturi (Settecento riformatore, Torino 1969, pp. 355-385), non erano i concreti lineamenti storici degli episodi spiritici, ma il fatto che le credenze di questo genere, lungamente incorporate nel patrimonio affettivo e ideologico di interi popoli, potessero per ciò stesso pretendere di continuare ad esistere: era, nella sostanza, il dilemma tra un uso filologico della ragione storica, inteso come chiarimento degli esatti contorni di leggende e narrazioni, e un suo uso critico, che vanificasse il loro stesso fondamento. Nel suo libro, che si colloca nella prima delle due classi ora delineate, il C. cerca di provare che la stessa frequenza e persistenza delle tradizioni spiritiche sono prova del loro fondamento obiettivo; altrimenti, nota, mostrando così di aver bene colto le profonde implicazioni della disputa, oltrepassanti di molto l'argomento delimitato su cui verteva, molti "sconcerti, perturbazioni e confusioni" potrebbero nascere dall'applicazione integrale di un rigoroso sperimentalismo "nella Chiesa, nella società civile e nella famiglia".
Già nel Delle apparizioni il C. accenna a suoi interessi sperimentali nel settore dell'elettrologia, allora, in particolare voga; essi risultano confermati in un'opera dell'anno seguente, i tre dialoghetti Del fulmine, e della sicura maniera di evitarne gli effetti (Milano 1766). In genere la sua attività scientifica non verterà sulla ricerca fondamentale, bensì sull'osservazione astronomica, meteorologica e in genere naturalistica, condotta ed esposta con interesse per l'aspetto curioso dei fenomeni e per i loro addentellati storici e letterari.
In questo ambito si spiega la modesta, ma assidua attività poetica che svolse nelle varie accademie di cui fu membro, tra cui quelle degli Immobili e degli Infecondi, inserita nella tradizione del poemetto naturalistico affermatasi a partire dall'Arcadia; il frutto maggiore di questa attività è IlVesuvio, poemetto storico-fisico con annotazioni del P. A. C., con dedica alla poetessa arcade Corilla Olimpica (Maria Maddalena Morelli), edito a Milano nel 1769, in due canti e corredato da un ampio apparato di note, che supera di molto il testo. Esso mostra le caratteristiche di tutta la produzione poetica del C., una certa spontaneità e inventiva fantastica che stentano però a calarsi in una forma limpida e priva di durezze.
Verso il 1770,per cause imprecisabili, il C. chiese ed ottenne la secolarizzazione e si trasferì a Roma, dove tenne la cattedra di fisica e poi di filosofia morale nell'università Gregoriana. Anche qui seppe inserirsi nel mondo culturale e accademico, entrando in Arcadia col nome di Filaresio Tomeio e svolgendovi una certa attività di poeta e conferenziere, tra i cui prodotti si possono ricordare il poemetto Per la solenne acclamazione in pastori arcadi delle loro altezze reali i signori principe e principessa di Piemonte (Roma 1776) e la Canzone sulla utilità delle lettere (ibid. 1776), una sorta di commento elogiativo a un discorso sullo stesso tema tenuto nell'accademia dal principe Luigi Gonzaga, cui è dedicata. In quest'ultima è da notare un'appassionata difesa della letteratura e della società civile in genere nei confronti del primitivismo rousseauiano.
Negli stessi anni pubblicò a Roma un discorso Agli amatori dello studio della religione (1778) e la commemorazione accademica In funere Iosephi I Lusitanorum, et Algarbiorum regis fidelissimi (1777), che elenca le benemerenze del sovrano e si sofferma, con l'interesse del naturalista, sul terremoto di Lisbona.
Tra i personaggi romani con i quali il C. entrò in contatto va ricordato il duca Francesco Caetani; questi aveva impiantato un proprio osservatorio astronomico e meteorologico, la cui direzione fu affidata prima all'abate De Cesaris, poi al C. stesso che fu coadiuvato da Eusebio de Veiga. Sotto l'impulso dei due e con la frequente partecipazione dello stesso Caetani si compì un'intensa serie di osservazioni, poi sfociata nell'iniziativa di stampare effemeridi annue, iniziate col volume relativo al 1784 (Roma 1785) e poi regolarmente proseguite. Da cenni sparsi nei vari volumi (Tavole dell'effemeridi astronomiche per l'anno 1787. Calcolate al mezzogiorno tempo vero nel Meridiano di Roma ad uso della specola Caetani, Roma 1787, Avviso al lettore, p. 3) si ricava che fu il C. ad assumersi il carico maggiore del lavoro. L'entità non trascurabile del suo lavoro d'osservazione si manifesta anche nella sua opera più nota, le Lettere meteorologiche romane (Roma 1785), dedicata al cardinale F. S. de Zelada.
Il piano dell'opera prevedeva due volumi, ma il secondo, relativo alle precipitazioni e ai fenomeni elettrici dell'atmosfera, il cui piano è anticipato partitamente nel primo volume regolarmente edito, non risulta essere stato pubblicato. La prima parte comprende tredici lettere, di cui le prime sei trattano dei requisiti tecnici di un osservatorio e della sua strumentazione, la settima della metodologia dell'osservazione e le rimanenti dell'atmosfera, iniziando dalle origini e caratteristiche generali e restringendo progressivamente l'oggetto dell'indagine al concreto clima romano, in particolare ai venti. Nell'introduzione il C. dichiarava d'aver raccolto i dati esposti nelle Lettere in osservazioni compiute insieme con lo stesso Zelada e con l'abate G. Calandrelli; quest'ultimo sarà suo successore nella cattedra di fisica e svilupperà in profondità il suo lavoro nell'osservatorio annesso al Collegio Romano.
Al lavoro astronomico si riferisce anche la Lettera del Sig. Ab. D. A. C. al Ch. Ab. D. Gio. Tosi, datata 10 giugno 1786 e stampata a Roma nello stesso anno, riguardante un passaggio di Mercurio sul disco solare osservato dalla specola Caetani il 4 maggio di quell'anno. In essa il C. tenta l'esatta determinazione del tempo di sovrapposizione dei due corpi celesti confrontando i dati ottenuti a Roma con quelli di altre città italiane.
La data esatta della sua morte non è nota. Il termine ante quem è il 1798, anno del decesso del Veiga, e non si errerà di molto collocando quello del C. uno o due anni prima.
Bibl.: Novelle letterarie, XXVI (1765), coll. 739-744; XXX (1769), coll. 383-84; n.s., IX (1778), coll. 73 s.; F. A. Soria, Mem. stor-crit. degli stor. napolitani, II, Napoli 1782, p. 628; G. M. De Rolandis, Not. degli scrittori astigiani, Asti 1839, p. 43; D. Diamilla Müller, Biografie autogr. ed inedite di illustri Ital. di questo secolo, Torino 1853, pp. 99 s.; D. Carutti, Breve storia dell'Accademia dei Lincei, Roma 1883, p. 104; F. Zingaropoli, Uno scrittore spiritista del 1700: padre A. C.,in La Nuova Parola, IV(1905), pp. 202-26; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, p. 364; A. Cosatti, I periodici e gli atti accad. ital. dei secoli XVII e XVIII posseduti dalla Bibl. dell'Acc. dei Lincei, Roma 1962, pp. 169 s.; G. Natali, IlSettecento, Milano 1964, II, p. 102; J. C. Poggendorff, Biographisch-literar. Handwörterbuch zur Geschichte der Exakten Wissenschaften, III, p. 248.