Atalanta
Del mito di A. esistono due versioni, una arcadica, l'altra beotica; la seconda è documentata da Ovidio (Met. X 560-680) che D. cita esplicitamente come propria fonte in Mn II VII 10.
A., figlia del beota Scheneo, è una fanciulla abilissima nella corsa e restia alle nozze; per eliminare i pretendenti, li sfida a gara, ponendo come pena la morte a chi risulti vinto e promettendosi in isposa all'unico che riesca a superarla. Il privilegiato sarà Ippomene, figlio di Megareo e di Merope, che tuttavia la vince solo con l'inganno: innamoratosi della fanciulla, che a sua volta subisce il fascino del giovinetto e cerca di distoglierlo dall'affrontare la prova, Ippomene implora l'aiuto di Venere e riceve dalla dea tre mele d'oro che fa rotolare a tre riprese, durante la gara, ai piedi di A.; spinta da curiosità femminile, la fanciulla si ferma a raccoglierle e rimane sconfitta.
Nel passo citato della Monarchia D. indica nell'episodio di A. e Ippomene un esempio del secondo modo con cui si rivela il giudizio di Dio: il primo è la singolar tenzone, nel corso della quale è lecito ai contendenti intralciarsi a vicenda; l'altro è la competizione tra più concorrenti che vogliono arrivare primi a una meta, come la gara di corsa, nella quale non è concesso intralciare gli altri competitori.