ASTURIO (Astyrius Flavius)
Console del 449 d. C. cui è intitolato un dittico d'avorio di cui si conserva una valva inserita nella legatura medievale di un codice del museo di Darmstadt. Della valva perduta si conserva una copia all'acquarello del XVI secolo. Era assai simile a quella pervenutaci, e unita a questa dava l'iscrizione: flavius astyrivs vir clarissimus et inlustris com•es ex r:magistro vtrivso(q)ue militiae consul oe(r)dinarius. A. di origine sconosciuta, forse gallo, combatté in Gallia e in Spagna; iniziò il suo consolato ad Arles (Sidon. Apoll., Ep., viii, 6).
Lo sfondo del dittico è occupato dalla rappresentazione del tribunal, che consta di quattro colonne a spirale, scolpite senza il minimo accenno alla rotondità e con i contorni delimitati da un listello, sormontate da capitelli corinzi, anch'essi molto schematici ed appiattiti, su cui posa direttamente un attico, delimitato in alto e in basso da due cornici dentellate e, agli angoli, da due grosse foglie d'acanto. In mezzo un timpano triangolare,, privo di base, in cui è posta una conchiglia anch'essa molto appiattita, paragonabile ad una metà di una rosetta; ai lati pendono due festoni, schematicamente delineati. Tutti questi motivi non sono tra loro organicamente legati; non è osservata neanche la loro ripartizione simmetrica sullo sfondo. Tali accenti tardo-antichi sono ancora più sensibili nel trattamento e nella concezione delle figure. A. siede sulla sella curulis con indosso la toga contabulata, la tunica talaris e la dalmatica; ha nella sinistra lo scettro su cui sono due busti, evidentemente di Teodosio II, e di Valentiniano III, e nella destra il rotulo. Sulla fronte ricadono i riccioli, tradotti in un caratteristico partito decorativo; gli occhi sono grandi, fissi in avanti, la fronte aggrottata, le guance scavate, la bocca semichiusa: tutto concorre ad esprimere un'intensa vita psichica, secondo gli ideali della tarda antichità nel "ritratto" tipologico di personalità ritenute superiori, ed è in contrasto con la trattazione più sommaria e quasi inespressiva dei due littori che stanno a lato del console. Di questi, quello a sinistra regge i fasci, del tipo particolare frequente in monumenti tardi (cfr., per esempio, il clipeo di F. A. Aspare, del Museo Arch. di Firenze), quello a destra regge, sembra, una capsa per i rotuli, o, più probabilmente, un calamaio cilindilco (cfr. con il dittico di Probiano, Berlino, Staatsbibliothek) ed ha dietro di sé un'insegna con tre busti. Entrambi reggono gli emblemi rispettivi coprendo con il mantello la mano sinistra, secondo il cerimoniale delle "mani velate". Il console è raffigurato come dispensatore dei giochi circensi, non nell'atto di presiedervi, in quanto ha il rotulo per i codicilli e non la mappa con cui aprire le gare; questa circostanza, insieme alla mancanza degli elementi del costume proprio della pompa triumphalis (ad esempio, il console non indossa la trabea triumphalis), sembra indicare che la scena rappresentata è immaginata non nella capitale, ma in provincia. Caratteristica la cornice della tavoletta che ripete pesantemente un motivo di palmette a cuore, paragonabile, con qualche approssimazione, ai bordi decorativi, di due mosaici di Antiochia (D. Levi, Antioch Mos. Pav., tavv. lxxix-lxxx, e cxxxi). Nella valva perduta sembra che in alto ai lati la cornice fosse semplificata in un motivo a nastro.
Mentre la data del dittico può essere stabilita con relativa certezza - anche nel caso che non fosse stato appositamente scolpito per A. l'oscillazione di anni non dovrebbe essere molto sensibile - molte incertezze suscita la definizione dell'ambito artistico cui esso appartiene, anche in considerazione della sua qualità non alta. È stato variamente attribuito a Roma, o alla parte orientale dell'Impero (Delbrück) o alla Gallia (Volbach).
Bibl.: C. Langins, nella sua Geschichte Lüttichs, ms., presenta la copia all'acquarello della valva perduta; ne dà notizia lo Schuermans, in Bulletin des commissions royales d'art et d'archéologie, 1884, pp. 149-177 (ivi la bibl. locale precedente) e ne pubblica una riproduzione a colori il Delbrück (v. oltre), alla tav. 2.
J. O. Westwood, A Descriptive Catalogue of the Fictile Ivories in the South Kensington Museum, Londra 1876, n. 44; L. v. Sybel, Christliche Antike, Marburg 1909, p. 232; P. Toesca, Il Medioevo, Torino 1927, p. 319; R. Delbrück, Die Consulardiptychen, Berlino-Lipsia 1929, p. 95, n. 4; id., in Festschrift des Röm. Germ. Zentralmuseums, Magonza 1951, p. 45; W. F. Volbach, Elfenbeinarbeiten der Spätantike u. des frühen Mittelalters, Magonza 1952, p. 23, n. 3; H. Stern, in Cahiers Arch., VII, 1954, p. 112; Degel, Führer des Hessischen Landesmuseum Darmstadt, II, Frühmittelalt. Kunsthandwerken, Darmstadt 1955, p. 6; V. Erbeln, Werdendes Abendlan and Rhein u. Ruhr, Essen 1956, 3, p. 173, n. 274; L. B. Ottolenghi, in Catalogo della mostra degli avori dell'alto medio evo, Ravenna 1956, p. 38, n. 24.