Astronomia multicanale
Per lungo tempo le osservazioni astronomiche sono state effettuate soltanto nella parte visibile, od ottica, dello spettro elettromagnetico, prima a occhio nudo e, dalla fine del XIX sec., con un uso via via più frequente di lastre fotografiche. L'assorbimento delle radiazioni da parte dell'ozono e di altre molecole presenti nell'atmosfera terrestre limita l'intervallo di lunghezze d'onda osservabili a λ>300 nm (1nm=10−9 m); un altro limite deriva dalla bassa sensibilità dell'occhio e delle lastre fotografiche per λ>750 nm. Nel 1931 Karl Jansky scoprì un'emissione radio alla lunghezza d'onda di 15 m; a partire dal 1950, la costruzione di radiotelescopi e lo sviluppo della tecnologia dei ricevitori permise di estendere il campo delle osservazioni alle lunghezze d'onda dell'ordine dei centimetri e, successivamente, dei millimetri. La realizzazione di radiotelescopi sempre più grandi portò sia a una maggiore sensibilità, sia a una migliore risoluzione angolare, ossia a un'accresciuta capacità dello strumento di distinguere il segnale proveniente da due sorgenti vicine sulla volta celeste. Lo sviluppo della radioastronomia svelò un Universo totalmente nuovo, nel quale, per importanza, il gas interstellare, gli elettroni di alta energia e i campi magnetici presero il posto delle stelle.
Attorno al 1950 furono costruiti razzi che permisero di trasportare la strumentazione al di sopra dell'atmosfera terrestre, rendendo realizzabile l'osservazione della radiazione X di origine celeste. In questo modo fu possibile investigare la natura di un gran numero di processi fisici energetici, anche grazie alla successiva messa in orbita di satelliti in grado di effettuare osservazioni nel campo dei raggi X e gamma. La parte dello spettro elettromagnetico più difficile da analizzare rimase l'infrarosso, perché, a prescindere dal fatto che tale banda può essere osservata soltanto al di sopra dell'atmosfera, è necessario raffreddare gli strumenti in modo che la radiazione termica che essi emettono non disturbi le osservazioni. La prima esplorazione del cielo alla ricerca di sorgenti infrarosse fu effettuata nel 1984 dal satellite IRAS (Infrared astronomy satellite): in molte regioni dello spazio furono scoperti addensamenti di gas e polvere a bassa temperatura, nonché intere galassie, che emettono una gran quantità di energia. In meno di quattro decenni l'intervallo delle lunghezze d'onda osservate è passato dall'avere estremi che differivano per un fattore di circa 2 o 3, caratteristico dello spettro visibile, a un fattore 1020, dalle più lunghe onde radio ai raggi gamma di energia più elevata.
Le onde elettromagnetiche non rappresentano l'unica fonte di informazioni sull'Universo. All'inizio del XX sec. furono scoperti i misteriosi raggi cosmici, costituiti principalmente da protoni di alta energia e da nuclei atomici pesanti, i quali, come oggi è noto, possono raggiungere un'energia di 1020 eV. Altri settori astronomici potenzialmente interessanti sono quelli riguardanti lo studio dei neutrini e delle onde gravitazionali. La collaborazione tra gli astronomi e i fisici delle particelle potrebbe portare alla scoperta, sulla Terra, di nuove particelle non ancora individuate, ma che potrebbero essersi prodotte durante le fasi primordiali dell'Universo.
Alla fine del XIX sec. il diametro delle lenti dei telescopi rifrattori raggiunse le dimensioni di circa 1 m. Oltre questo limite esse tendono a flettersi sotto l'azione del loro stesso peso; con i telescopi riflettori tale problema meccanico non si presenta, in quanto gli specchi, che sostituiscono le lenti, sono sostenuti nel loro retro da adeguati supporti. Nella prima metà del XX sec. non sono stati costruiti telescopi a riflessione con diametro maggiore, fino al completamento, nel 1949, di quello di 200 pollici (5 m ca.) di Monte Palomar, in California, seguito nel 1976 da quello di 6 m realizzato sul Monte Pastukhov, nel Caucaso (Russia). Negli anni Settanta e Ottanta sono stati costruiti molti telescopi europei e statunitensi, tutti più piccoli di quello di Monte Palomar e, generalmente, di circa 4 m di diametro: questa scelta è motivata dal fatto che, al crescere del diametro d, il costo di un telescopio aumenta rapidamente (approssimativamente come d2,6), ma la capacità dello strumento di scoprire oggetti assai deboli non cresce molto. Per di più, va progressivamente migliorando l'efficienza dei rivelatori ottici, tanto che un telescopio di 3-4 m di diametro che usi tali rivelatori è in grado di raccogliere molta più luce di quanto non potesse fare alcuni anni fa uno strumento di 5 m.
L'efficienza di una lastra fotografica è dell'ordine dell'1%, vale a dire che il 99% della luce incidente va persa. La situazione è cambiata con i rivelatori a stato solido, in particolare i CCD (Charge coupled device), che per alcune lunghezze d'onda hanno permesso di raggiungere efficienze di rivelazione dei fotoni che superano l'80%. Il guadagno di luce raccolta è pari a quello che si otterrebbe aumentando di un fattore nove le dimensioni di un telescopio e ciò ha ridotto fortemente lo stimolo a costruirne di più grandi. Per quanto riguarda la , in linea di principio essa è proporzionale al diametro del telescopio, ma gli effetti della diffrazione ne limitano il valore a
[1] θ≈1,2 λ/d radianti ≈ 250.000 λ/d secondi d'arco
dove λ è la lunghezza d'onda e d il diametro dello specchio del telescopio. Un'ulteriore limitazione è dovuta alla turbolenza dell'atmosfera terrestre, che, rifrangendo la radiazione luminosa, impedisce di analizzare i dettagli dell'immagine e di osservare le stelle molto deboli. Se, per esempio, con un telescopio di 5 m di diametro si osserva la luce blu con lunghezza d'onda di 0,4 μm emessa da una stella, la risoluzione angolare dovrebbe essere θ=0,02″, ma nella realtà si ottengono immagini con un diametro angolare molto maggiore, dell'ordine di 1″.
Quando osserviamo una stella, l'atmosfera terrestre, la e le sorgenti luminose più distanti danno origine a una luce diffusa di fondo. Più piccola è l'immagine, minore è la quantità della luce di fondo e più chiaramente la stella risalta. Tenendo conto della [1], perciò, se si aumentasse il diametro del telescopio il problema dello sfondo diminuirebbe; tuttavia, se il diametro dell'immagine è determinato dall'atmosfera terrestre, tale vantaggio risulta vanificato, in quanto un telescopio più grande raccoglie più luce stellare ma anche più luce di fondo. Per questo motivo, piuttosto che aumentarne le dimensioni, si è cercato di installare i nuovi telescopi in località dove il disco di seeing dovuto all'atmosfera fosse piccolo: su montagne alte e isolate nelle zone subtropicali, e preferibilmente vicino a un oceano freddo, dove la turbolenza atmosferica è minore. Per evitare, o quanto meno ridurre, il tremolio causato dall'atmosfera terrestre (fenomeno detto appunto seeing) si possono seguire due strade: collocare il telescopio nello spazio o compensare gli effetti della turbolenza deformando la superficie degli specchi mediante la cosiddetta ottica adattabile.
È possibile migliorare la risoluzione angolare mediante l'interferometria: se anneriamo alcune piccole parti dello specchio primario di un telescopio, che supponiamo di diametro d, la luce raccolta diminuirà leggermente, ma la risoluzione angolare si ridurrà di una quantità minima; anche se anneriamo la maggior parte della superficie dello specchio, conservando comunque alcune zone riflettenti ben distribuite, la risoluzione angolare risulterà poco modificata. Se dunque disponiamo ognuna delle parti riflettenti su un supporto indipendente e combiniamo la luce di ognuna di esse mediante specchi appropriati, avremo a disposizione un gruppo di piccoli telescopi, con risoluzione angolare data ancora dalla [1], ove però d rappresenta il diametro dell'intero gruppo, che corrisponde al diametro del grande telescopio originario. In tal modo, è naturale che si perda parte dell'informazione relativa all'immagine, ma se i telescopi sono ben distribuiti il problema è trascurabile. Se riduciamo ulteriormente il numero delle zone riflettenti, l'informazione persa diventa sempre maggiore e la nostra conoscenza dell'immagine sempre più imprecisa; tuttavia, anche se alla fine del processo rimanessero due soli telescopi a distanza d, parte dell'informazione si conserverebbe comunque: se osservassimo una stella, la cui immagine possiamo considerare come un disco uniformemente illuminato, l'informazione che ne trarremmo sarebbe sufficiente a determinarne il diametro angolare. Con tre telescopi ben posizionati si è in grado di valutare se il disco sia più luminoso all'interno o all'esterno e ogni telescopio aggiuntivo fornisce ulteriori informazioni sull'immagine. Alla lunghezza d'onda di 0,4 μm, una serie interferometrica di telescopi distribuita su un'area del diametro di 100 m ha una risoluzione angolare di 0,004″. La turbolenza dell'atmosfera rende la combinazione della luce da parte dei differenti telescopi un'operazione delicata, per la quale risulta utile ricorrere all'ottica adattabile.
I telescopi per le osservazioni nell'infrarosso sono fondamentalmente dello stesso tipo di quelli ottici, ma in tale settore dello spettro elettromagnetico l'osservazione presenta alcuni problemi specifici. Se si escludono alcune ristrette 'finestre' comprese negli intervalli 3÷30 μm e 300÷1000 μm, l'atmosfera è opaca alla radiazione infrarossa, a causa principalmente dell'assorbimento da parte del vapore acqueo. Sebbene alcune di queste finestre diventino più ampie a bordo di aerei in alta quota oppure negli elevati altipiani dell'Antartide, le osservazioni nell'infrarosso richiedono che i telescopi siano collocati nello spazio. Un altro problema è che, anche a temperature vicine a 0 °C, un telescopio e la relativa strumentazione emettono una forte radiazione infrarossa, che genera un fondo molto più intenso rispetto alla radiazione che normalmente ricevono dalle sorgenti celesti, ed è necessario pertanto raffreddare gli strumenti. A causa della grande lunghezza d'onda, inoltre, nell'infrarosso i telescopi hanno bassa risoluzione angolare e infine, poiché in questa regione dello spettro i fotoni sono poco energetici, la realizzazione di adeguati rivelatori a stato solido non è stata possibile se non in tempi abbastanza recenti.
Nel 1995 l'ESA (European Space Agency) ha lanciato la prima grande strumentazione nel campo infrarosso, l'Infrared space observatory (ISO), dotata di un telescopio di 60 cm di diametro, raffreddato a circa 2 K (−271 °C ca.) mediante la lenta evaporazione di 2300 l di elio liquido; la missione è terminata dopo ventotto mesi, quando l'elio si è esaurito. Con il suo piccolo telescopio, l'ISO aveva una risoluzione angolare di non più di 40″ alla lunghezza d'onda di 100 μm, ma, grazie alle sue camere per immagini e ai suoi spettrografi, ha permesso numerose scoperte: la presenza di acqua nel mezzo interstellare; l'esistenza di minerali nei dischi di materia che circondano le stelle appena nate, dove possono formarsi i pianeti; una grande varietà di molecole nel gas interstellare; galassie con una luminosità infrarossa migliaia di volte maggiore di quella della Via Lattea. Nel 2003 è partita una missione della NASA (National Aeronautics and Space Administration) nell'infrarosso, lo Spitzer space telescope, precedentemente conosciuto come Space infrared telescope facility (SIRTF), con un telescopio di 85 cm. In futuro è prevista la costruzione di telescopi più grandi, operanti nell'intervallo di lunghezze d'onda 100÷600 μm, che non richiede temperature estremamente basse.
Nella zona dello spettro elettromagnetico che separa la banda infrarossa da quella radio, a lunghezze d'onda di circa 1 mm, è stata scoperta la , corrispondente alla radiazione di un corpo nero alla temperatura di 2,7 K. Essa pervade l'intero Universo e, residuo delle sue fasi evolutive primordiali, fornisce informazioni su ciò che avvenne poco dopo il big bang. La radiazione cosmica di fondo è quasi uniforme, ma presenta variazioni dell'ordine di circa una parte su 105, scoperte per la prima volta nel 1992 dal satellite Cosmic background explorer (COBE) della NASA, che aveva una risoluzione angolare di 7°. Attualmente è in orbita un secondo satellite della NASA, il Microwave anisotropy probe (MAP), con una migliore risoluzione angolare (12′), cui seguirà nel 2008 il satellite Planck dell'ESA, che avrà una risoluzione di 5′ d'arco. Sono state effettuate osservazioni anche a bordo di palloni stratosferici, ma soltanto per aree limitate di cielo.
Una delle più grandi sfide del futuro è la ricerca di pianeti simili alla Terra orbitanti intorno a stelle a noi vicine, che dovrebbero emettere prevalentemente radiazione infrarossa con lunghezza d'onda intorno a 10 μm. A tale scopo è necessario condurre osservazioni con un'elevata risoluzione angolare ed eliminare il disturbo della luce stellare, che è alcuni milioni di volte più intensa rispetto a quella cercata. La tecnica interferometrica può fornire la soluzione. Un progetto di questo tipo prevede il volo in formazione di sei telescopi spaziali indipendenti, distanti tra loro fino a 250 m. Poiché la distanza tra i telescopi dev'essere mantenuta costante entro una frazione della lunghezza d'onda, è necessario controllare con estrema cura il movimento degli strumenti durante il volo nello spazio. Sarebbe particolarmente interessante osservare l'eventuale assorbimento a 10 μm da parte dell'ozono (O3), perché la presenza di ozono indica anche quella di ossigeno: si ritiene che, in mancanza di forme di vita di tipo microbico, nell'atmosfera terrestre non vi sarebbe ossigeno, che si troverebbe tutto inglobato nelle rocce sotto forma di ossidi, e pertanto la scoperta di ozono potrebbe essere indicativa della presenza di vita su altri pianeti.
3. Radioastronomia
Nell'intervallo di lunghezze d'onda che vanno dai millimetri ai decimetri, i radiotelescopi non differiscono significativamente dai telescopi ottici, che però sono molto più difficili da realizzare e senza dubbio più costosi, poiché, per ottenere buone immagini, le imperfezioni nella superficie dello specchio dovrebbero avere dimensioni lineari non superiori a λ/20, dove λ è la lunghezza d'onda. I più grandi radiotelescopi totalmente orientabili hanno un diametro di circa 100 m. Dalla [1] si ricava una risoluzione angolare di 25″ alla lunghezza d'onda di 1 cm e di soli 0,7° a 1 m; per migliorarla è necessario ricorrere all'interferometria. Il Very large array (VLA), costruito nel 1980 presso Socorro nel New Mexico, è un grande sistema di radiotelescopi che utilizza tecniche interferometriche, composto da 27 telescopi mobili di 25 m di diametro distribuiti a forma di Y, che possono raggiungere una risoluzione angolare equivalente a quella di un unico disco di 36 km di diametro: 0,07″ alla lunghezza d'onda di 1 cm. Un sistema interferometrico ancora più grande, il Giant meterwave radio telescope (GMRT), comprendente 30 telescopi di 45 m di diametro ciascuno, è stato realizzato vicino Poona, in India. Poiché a grandi lunghezze d'onda non è necessario avere uno specchio solido, la superficie riflettente è costituita da una rete di fili, che diminuiscono notevolmente sia il peso sia il costo. Per quanto il GMRT sia lo strumento più sensibile alle grandi lunghezze d'onda, esso non può essere comunque utilizzato al di sotto dei 20 cm.
Una risoluzione angolare anche migliore può essere ottenuta con il Very long baseline interferometry (VLBI), nel quale i dati ricavati da una serie di telescopi molto distanti tra loro sono registrati su nastri magnetici ad alta capacità e sincronizzati da orologi atomici assai precisi. La configurazione interferometrica prevede che la distanza tra i telescopi possa essere grande quanto il diametro della Terra, e ancora maggiore qualora si collocasse uno dei telescopi in un'orbita spaziale. L'agenzia spaziale giapponese ISAS ha lanciato un telescopio di 10 m, denominato HALCA, in un'orbita con una distanza massima dalla Terra di 21.000 km. Combinato con il VLBI terrestre, esso ha consentito di ottenere una risoluzione angolare di 0,0007″ alla lunghezza d'onda di 6 cm. Questo sistema è stato utilizzato per studiare i processi energetici che avvengono attorno ai buchi neri situati nei e nelle .
A lunghezze d'onda millimetriche e inferiori, la condizione che la superficie degli specchi non presenti alterazioni diventa essenziale e ciò fa aumentare i costi; la risoluzione angolare di telescopi singoli, sebbene migliori, rimane per molti scopi insufficiente. Inizialmente anche i ricevitori comportavano alcuni problemi. L'assorbimento della radiazione da parte del vapore acqueo presente nell'atmosfera, inoltre, rende necessario collocare i telescopi in luoghi a elevate altitudini e dal clima secco. Attorno al 2010 entrerà in funzione un sistema di telescopi interferometrici di piccole dimensioni, l'Atacama large millimeter array (ALMA), ancora più piccolo di quelli di modesta grandezza finora costruiti. L'ALMA consisterà in 64 telescopi di 12m di diametro e sarà collocato sul Llano de Chajnantor (200 km a est della città di Antofagasta, in Cile), a un'altezza di 5200 m; la precisione geometrica della superficie degli specchi sarà sufficiente per effettuare osservazioni alla lunghezza d'onda di 0,3 mm. Con i telescopi distribuiti su un'area di circa 10 km, la risoluzione angolare dovrebbe essere di 0,025″ alla lunghezza d'onda di 1 mm. Grazie a queste due caratteristiche senza precedenti, l'ALMA dovrebbe consentire di osservare la formazione di pianeti attorno alle stelle, la chimica del gas interstellare e i processi di formazione delle galassie nell'Universo primordiale.
Alle lunghezze d'onda minori di 91 nm, fino a circa 10nm, il gas interstellare è opaco e le stelle al di fuori della nostra galassia risultano invisibili, mentre è possibile osservare le stelle vicine. La prima sorgente di raggi X fu scoperta dai fisici che studiavano i e per questo motivo è prevalso l'uso di misurare l'energia dei fotoni in elettronvolt (eV), piuttosto che fare riferimento alla lunghezza d'onda (1 keV corrisponde alla lunghezza d'onda di 1,2 nm). Gli specchi impiegati nella costruzione di telescopi ottici riflettono i raggi luminosi ad angoli di incidenza vicini a 90°, ma, se si eccettuano angoli di incidenza molto bassi, hanno una scarsa riflessività per i raggi X, per i quali si rendono necessari telescopi di diversa concezione. Le prime osservazioni nella banda dei raggi X furono effettuate mediante contatori proporzionali puntati verso il cielo. Tali contatori contengono un gas i cui atomi possono essere ionizzati dai raggi X; gli elettroni di ionizzazione sono poi raccolti da un anodo a molti fili. Davanti a questo dispositivo è collocata una sorta di collimatore metallico che limita le direzioni da cui i raggi X possono raggiungere il contatore, ma si tratta di una configurazione che permette una scarsa risoluzione angolare. La necessità di disporre di grandi rivelatori, al fine di ottenere una sufficiente sensibilità, rende inoltre maggiore il disturbo dovuto agli effetti di fondo; il problema si riduce notevolmente con l'ottica di focalizzazione, che permette di utilizzare rivelatori molto più piccoli.
L'ottica di focalizzazione per i raggi X è stata sviluppata nel secolo scorso e si basa su una doppia riflessione con angoli di incidenza molto piccoli, ottenuta mediante una superficie parabolica e una iperbolica. Tale ottica è in grado di assolvere il proprio compito fino a energie di 10 keV. Tuttavia ci si aspetta che, utilizzando uno speciale rivestimento multistrato per lo specchio, il limite possa essere portato a 50 oppure anche a 100 keV. Questo tipo di ottica è stato impiegato in astronomia per la prima volta da un gruppo di ricercatori guidato da Riccardo Giacconi e Bruno Rossi, che nel 1962 scoprirono la prima sorgente di raggi X esterna al Sistema solare. Il satellite Einstein, in grado di osservare molte sorgenti di raggi X, fu lanciato nel 1978, seguito da numerosi altri con le medesime finalità, tra cui ROSAT (1990), ASCA (1993) e BeppoSAX (1996). Nel 1999 sono stati lanciati il Chandra dalla NASA e l'XMM-Newton dall'ESA. Il primo ha una risoluzione angolare inferiore a 1″, il secondo un'area di raccolta di fotoni molto estesa.
La differenza rispetto ai telescopi ottici resta però cospicua: complessivamente, l'area efficace di raccolta dei due satelliti è minore di 1 m2. In linea di principio, sono circa 50 milioni le sorgenti di raggi X che potrebbero essere scoperte, ma servirebbero circa 5000 anni per esplorare l'intero cielo a una profondità sufficiente. Queste sorgenti sono costituite per la maggior parte da nuclei galattici attivi e stelle, ma grande interesse suscitano anche i residui di supernova, alcuni dei quali contengono elementi chimici sintetizzati da relativamente poco tempo. Nei nuclei galattici attivi e nelle quasar parte dei raggi X si produce in vicinanza del buco nero centrale, dove il gas si muove a velocità dell'ordine di un decimo della velocità della luce. In un futuro non immediato è prevista la costruzione di telescopi a raggi X di dimensioni ancora più grandi. La missione X-ray evolving universe spectroscopy (XEUS), in corso di pianificazione all'ESA, è previsto che abbia un'area di raccolta efficace da 20 a 100 volte maggiore di quella dell'XMM-Newton. Un progetto alternativo della NASA, denominato Constellation-X, coinvolgerebbe un certo numero di satelliti indipendenti, ognuno con un telescopio a raggi X più modesto, i dati dei quali sarebbero combinati elettronicamente.
Senza l'ausilio dell'ottica di focalizzazione, la radiazione gamma può essere osservata soltanto esponendo direttamente i rivelatori al cielo. Ciò non costituisce un grande svantaggio per le energie corrispondenti ai raggi gamma duri, perché le particelle secondarie da questi ultimi generate permettono di seguirne la traccia attraverso il rivelatore e di determinare la direzione d'incidenza della radiazione. Poiché nel cielo le sorgenti di raggi gamma sono poco numerose e, in pratica, sono tutte puntiformi, la risoluzione angolare che così si ottiene è sufficiente. La natura delle particelle o dei fotoni incidenti si può appurare analizzando le singole tracce e perciò protoni o elettroni locali non generano effetti di fondo rilevanti. La situazione cambia per i raggi gamma molli, attorno a 1MeV, che subiscono processi di diffusione anche senza aver bisogno di attraversare strati di materia molto spessi, il che non permette di determinarne con sufficiente precisione la direzione di provenienza, che può essere individuata soltanto collocando una maschera davanti al rivelatore. Attraverso l'impiego di maschere codificate (coded masks), nelle quali queste direzioni sono opportunamente selezionate, è possibile raggiungere risoluzioni angolari dell'ordine di 10 minuti d'arco. Dal momento che il rivelatore può essere investito anche da particelle di alta energia non identificate, è sempre presente un effetto di fondo considerevole, relativamente uniforme, che riduce la sensibilità. Questa problematica regione dello spettro è importante perché intorno a 1 MeV sono stati scoperti raggi gamma prodotti da elementi radioattivi sintetizzati di recente nelle supernovae. Inoltre, gli spettri dell'ordine dei MeV forniscono utili informazioni sulle energie raggiunte dalle particelle presenti nei nuclei galattici attivi e in altre sorgenti.
La banda elettromagnetica intorno a 1 MeV è attualmente oggetto di studio da parte del satellite Integral dell'ESA. La NASA, invece, in continuità con il Compton gamma ray observatory (CGRO) degli anni Novanta del secolo scorso, prevede di lanciare alla fine del 2007 il Gamma-ray large area space telescope (GLAST), che dovrebbe essere in grado di rilevare raggi gamma con energie fino a 100 GeV. È possibile individuare raggi gamma di energia ancora più elevata utilizzando come rivelatore l'atmosfera terrestre. Quando un fotone di tale energia colpisce l'atmosfera, lascia una traccia di radiazione Čerenkov che può essere rilevata mediante telescopi terrestri a largo campo. Con questa tecnica sono stati scoperti raggi gamma con energie fino ad alcuni TeV (1 TeV=1012eV), che possono essere prodotti in parte da protoni di alta energia che interagiscono con i gas, in parte da elettroni altamente energetici interagenti con fotoni dell'ambiente della sorgente.
La radiazione elettromagnetica costituisce la fonte principale di informazioni riguardanti l'Universo, ma non è l'unica: importanti sono anche i raggi cosmici, i neutrini e le onde gravitazionali. I raggi cosmici sono costituiti in prevalenza da protoni e, in proporzione minore, da particelle alfa e nuclei più pesanti, questi ultimi con abbondanza relativa mediamente maggiore rispetto alla materia della nostra galassia. È stata scoperta anche una presenza dell'1% di elettroni: la componente non termica delle onde radio emesse dalla nostra galassia è dovuta a elettroni che, immersi nei campi magnetici interstellari, emettono radiazione di sincrotrone. I raggi cosmici di alta energia che colpiscono l'atmosfera superiore creano una pioggia di particelle secondarie, che forniscono informazioni sull'energia di quelle primarie. Sono state osservate alcune particelle, dette Extreme energy cosmic-rays (EECR), con energie fino a 1020 eV e forse più: sebbene molto rare, rivestono per diversi motivi notevole interesse. Raggi cosmici di energia più bassa sono deflessi dai campi magnetici interstellari e rimangono in larga parte confinati nella nostra galassia; tali campi sono però troppo deboli per deviare significativamente gli EECR, che quindi, essendo distribuiti in maniera largamente isotropa, non sono di origine galattica. Il fatto che siano poco deflessi rende forse possibile ripercorrerne all'indietro le tracce e individuarne il luogo di origine. In ogni caso, EECR con energie maggiori di 1020 eV, ammesso che esistano, non potrebbero provenire da luoghi molto distanti dell'Universo, perché l'interazione con i fotoni della radiazione cosmica di fondo li distruggerebbe.
Per campionare le particelle secondarie, e ottenere di conseguenza le energie delle primarie, è stato costruito in Giappone, nell'ambito del progetto AGASA, un sistema molto esteso di contatori con una superficie di 100 km2. AGASA registra ogni anno circa 100 eventi con energia maggiore di 1019 eV, ma solo pochi sembrano eccedere i 1020 eV. Un altro sistema molto esteso di rivelatori, distribuiti su un'area di alcune migliaia di chilometri quadrati, è in costruzione in Argentina. Si tratta del progetto Auger, frutto di una cooperazione mondiale, il cui scopo è quello di determinare in modo preciso l'energia degli EECR e l'eventuale anisotropia nelle loro direzioni di provenienza, come suggerito dallo studio dei dati di AGASA. Per determinare la composizione chimica dei raggi cosmici bisogna collocare i rivelatori nello spazio. Attualmente si ha un quadro abbastanza dettagliato dell'abbondanza dei principali elementi chimici e di molti isotopi, anche se conosciamo soltanto la composizione chimica dei raggi cosmici di energia relativamente bassa (di ca. 1 GeV per ogni nucleone). Di particolare interesse sono i dati relativi ad alcuni isotopi radioattivi prodotti nelle esplosioni delle supernovae, che mostrano come l'accelerazione verso energie elevate avvenga molte migliaia di anni dopo l'esplosione, presumibilmente negli urti che si verificano nel mezzo interstellare prodotto dalle supernovae. I raggi cosmici sono composti anche da antiprotoni, prodotti principalmente nelle collisioni tra i protoni di alta energia e la della nostra galassia. In linea di principio, è possibile che l' esista anche nell'Universo, ma su questo gli antiprotoni non forniscono alcuna informazione. Antinuclei più complessi degli antiprotoni, invece, non possono essere prodotti mediante collisioni distruttive: si è perciò deciso di intraprendere la ricerca di antielio, mediante l'Anti matter spectrometer che sarà collocato sulla Stazione spaziale internazionale. I raggi cosmici sono composti probabilmente anche da neutrini di alta energia. A causa della loro debole interazione con la materia, i neutrini attraversano indisturbati l'atmosfera ma sono difficili da osservare. La tecnica più promettente per individuarli consiste nell'osservare la luce Čerenkov emessa da neutrini che attraversano grandi volumi di materia trasparente. In Antartide, per esempio, mediante un gran numero di fotomoltiplicatori sarà esaminato un chilometro cubo di ghiaccio; altri rivelatori analizzano una quantità analoga di acqua marina profonda. Lo studio delle tracce lasciate dai neutrini aiuta a capire da dove essi provengano.
Quando una stella di grande massa, al termine della propria vita, collassa per diventare una supernova e lasciare quindi il posto a una stella di neutroni, emette gran parte dell'energia sotto forma di neutrini. Neutrini di energia minore provengono anche dal Sole e sono stati osservati, per esempio, misurando il tasso di trasformazione degli isotopi del cloro in quelli di argo. Le onde gravitazionali, previste dalla teoria della relatività generale, non sono ancora state osservate sperimentalmente; di esse esistono soltanto alcune indicazioni indirette. Tali onde causano piccolissime dilatazioni o compressioni nella struttura dello spazio-tempo. Per individuarle sono stati costruiti rivelatori molto sensibili, sia negli Stati Uniti sia in Europa; vicino Pisa è stato completato il progetto italo-francese Virgo. Con questi rivelatori si possono osservare le onde gravitazionali prodotte dal collasso di una supernova. Altre possibili sorgenti sono le stelle doppie molto vicine tra loro oppure la fusione di due buchi neri di grande massa; il periodo così prodotto è piuttosto lungo, dell'ordine di un'ora. Tali onde potranno essere scoperte soltanto al di fuori del campo di gravità della Terra. La NASA e l'ESA hanno cooperato per pianificare un esperimento spaziale ‒ LISA (Laser interferometer space antenna) ‒ che partirà a metà del prossimo decennio.
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