ASTROLATRIA e Astralismo
Astrolatria (dal gr. ἀστηρ "astro" e λατρεία "culto") vale "adorazione degli astri", cioè del sole, della luna, delle stelle, dei pianeti e delle costellazioni. Per astralismo s'intende quella concezione della vita e dell'universo che ha per fondamento l'astrolatria, la divinità degli astri e la loro azione sul mondo e sugli uomini. Questo termine denota dunque un concetto più vasto che astrolatria. Sta in intimo nesso poi con l'astrolatria, come sua diretta e necessaria conseguenza, l'astrologia (v.). Questa non presuppone necessariamente l'adorazione degli astri, perché si può ammettere la loro azione sul mondo senza attribuire loro carattere divino; tuttavia nella storia della nostra civiltà, tanto in Babilonia, culla dell'astrolatria e dell'astrologia, quanto presso i popoli di civiltà ellenistica, l'astrologia si basò sull'astrolatria e ne derivò. L'astrologia è un elemento integrante dell'astralismo. Per astralismo s'intende pure un indirizzo della scienza delle religioni, il quale crede di potere spiegare tutti o quasi tutti i miti come originati dall'osservazione del cielo e degli astri: tutte le figure mitologiche, nonché parecchi lineamenti delle figure di uomini celebri nella storia, sarebbero direttamente o indirettamente derivati da miti astrali, concernenti il corso e le congiunzioni del sole, della luna e delle stelle. Questo tipo di mitologia è chiamato appunto mitologia astrale.
Qualche elemento astrolatrico hanno avuto sempre e hanno ancora oggidì tutte le religioni, comprese quelle primitive. Il calor del sole, la lucentezza degli astri, la regolarità dei loro movimenti le variazioni periodiche della luce e della tenebra, del caldo e del freddo, e delle stagioni dell'anno, dipendenti dagli astri maggiori: tutte queste circostanze hanno suscitato presso quasi tutti gli uomini la convinzione che gli astri siano divinità o manifestazioni di esseri onnipotenti, intelligenti, buoni, ma qualche volta anche cattivi, che tengono nel loro pugno il destino degli uomini. Non bisogna credere però che l'astrolatria stia addirittura alla base della religione, ch'essa rappresenti quasi i primi balbettamenti dello spirito religioso. Al contrario, essa, che suppone già una certa conoscenza del movimento degli astri e una certa riflessione, è caratteristica di tempi già evoluti. Questo è pienamente confermato dalla storia della religione babilonese, la quale non fu in origine che molto mediocremente astrolatrica e venne accentuando tale suo carattere siderale soltanto più tardi, specie nell'ultimo stadio della sua evoluzione, nel periodo neobabilonese o caldeo.
I Semiti adoravano già in tempi antichissimi il sole, la luna e le stelle, senza che perciò avessero sviluppato una concezione astrale del mondo o della vita. Questo tipo di religiosità troviamo nell'Arabia preislamica, non senza qualche elemento dell'astralismo babilonese.
Tra le divinità troviamo il pianeta Venere, il sole, di sesso femminile, Shams, e infine all'ultimo posto la luna, maschile. In Egitto il dio del sole nelle sue varie manifestazioni locali è stato sempre la figura più cospicua del pantheon, accanto alla quale scompariva quasi del tutto l'adorazione della luna, rappresentata dal dio Thot. Un notevole elemento astrolatrico è pure presente nell'antica religione persiana anteriore alla riforma di Zarathustra, e grande venerazione per il sole e la luna si ebbe ancora ai tempi dei Parti e dei Sāsānidi. In India l'adorazione del sole occupa il primo posto nella religione vedica. Nel Rgveda, Sūrya, il dio del sole, è adorato quale sole sorgente, culminante e tramontante. Egli è il datore di vita che ogni mattina sveglia l'universo. Quale Pūsan, egli è il guardiano del bestiame, il compagno dei viaggiatori, la guida dell'anima, l'onnicreatore, l'onniveggente, il signore della creazione. L'adorazione del sole è molto intensa, specialmente tra le stirpi dravidiche. Molto secondaria è invece l'adorazione della luna, quantunque la si adori dappertutto nella penisola. I pianeti non sono generalmente adorati in India, hanno però un loro tempio a Benares. Le costellazioni sono divinità importanti. Nel Giappone la dea del sole, Amaterasu, è la divinità principale del pantheon. Suo fratello Tsuki-yomi, la luna, è invece una figura divina del tutto secondaria. Si adoravano pure le stelle. È noto come anche gli antichi Greci adoravano il sole (v.), la luna (v.) e qualche pianeta.
Il paese classico dell'astrolatria e dell'astralismo è però la Mesopotamia. Nello stadio più antico della religione babilonese, cioè in quello sumero, si adoravano bensì il sole, la luna, il pianeta Venere e qualche altra stella, ma accanto a queste divinità avevano non minore importanza gli dei di altri fenomeni della natura, come quelli del vento, della tempesta, del fuoco, della terra, e specialmente della fecondità, gli dei agrarî e ctonî. Si può anzi dire che la religione sumera fu in origine essenzialmente agraria con qualche traccia di astrolatria, non maggiore però di quella che si riscontra anche in altre religioni dell'antichità. In questo periodo più antico quegli elementi astrali che più tardi prenderanno il sopravvento si scorgono appena: e persino gli dei astrali hanno caratteri prettamente personali, antropomorfi: se, per esempio, non sapessimo che Innini è il pianeta Venere, noi non potremmo dedurlo senz'altro dalle qualità e dagli attributi onde va rivestita questa dea. Parimente il dio del sole, Babbar, rispettivamente Šamaš in accadico, e quello della luna, Nannar o Sin, hanno tutti i caratteri di dei personali. Tuttavia una certa tendenza all'astralismo già in tempi molto antichi si può rilevare dal fatto che il segno per indicare il dio è una stella. Il dio sumero era quindi già da principio concepito anche come un essere siderale, o per lo meno sono stati gli dei astrali quelli che hanno determinato il carattere di ciò che significa divinità o dio. Questo carattere astrale divenne col tempo sempre più forte per motivi che, allo stato attuale degli studî, noi ancora ignoriamo, ma che probabilmente vanno ricercati in misura prevalente nei progressi fatti già di buon'ora dall'osservazione del cielo stellato. Divenne comune la tendenza a identificare ogni divinità con qualche pianeta o stella o costellazione. Ogni figura divina fu riguardata come manifestazione e personificazione di un astro. Tutto il pantheon babilonese e assiro fu collocato quindi sulla volta celeste. In Babilonia e Assiria si adoravano oltre al sole e alla luna tutti i pianeti e moltissime costellazioni. Si andò anzi tanto oltre nelle identificazioni di divinità con pianeti e stelle, da vedere personificato un dio in più di un astro. Ištar era il pianeta Venere, diverso alla mattina e alla sera, e inoltre la Spica e Sirio, la stella dell'arco; Marduk era Giove, ma anche Mercurio; Nabū era Mercurio. Il pianeta Saturno rappresentava Nimurta, dio della guerra, e Nergal, dio della morte e della distruzione, era il pianeta Marte. Questi dei-pianeti passarono poi nell'astralismo della civiltà mediterranea. Tra le costellazioni si adoravano segnatamente le seguenti: il Gran Carro, l'alpha Draconis, Cassiopea, il Cancro, Orione, il Pesce, le Pleiadi, Alcione, il Polo celeste, Arturo, il Capricorno, la Vergine. Qualche divinità che in origine non aveva affatto carattere astrale (come, p. es., il dio del cielo Anu e sua moglie Antu), si sdoppiò, quando la s'identificò con una stella, e si adorarono perciò Anu quale dio del cielo e Anu quale stella, facendo alle due figure divine anche sacrifici separati. Anche i miti degli dei, i quali nella loro forma più antica non hanno affatto per la maggior parte carattere astrale, assunsero caratteri spiccatamente siderali nel periodo neobabilonese. Di questo periodo abbiamo inni agli dei, nei quali le allusioni al carattere astrale delle divinità sono chiarissime. I sacrifici agli dei stellari si facevano di preferenza di nottetempo sul tetto dei templi. Nel periodo neobabilonese il pantheon consiste, si può dire, di due specie di dei: quelli antichi, di carattere moderatamente astrale, sia perché erano già dapprima gli astri o qualche stella importante, sia perché furono dalla speculazione identificati con stelle e costellazioni, e quelli più recenti, di carattere nettamente siderale. Questa differenza di origine si riverberava anche nel culto. La tendenza alla distribuzione e all'ordinamento sistematici, propria della mentalità babilonese, fece sì che l'astralismo divenne una vera concezione dell'universo e della vita, una filosofia che permeò tutta l'attività spirituale e pratica dei Babilonesi e degli Assiri. Siccome gli astri sono tutti divinità e regolano il corso del mondo e la vita degli uomini, furono concepiti come fissatori del destino, al quale tutti gli esseri devono piegarsi. Il destino non è però immutabile, poiché l'uomo può con le sue pratiche religiose, con sacrifici e con preghiere, persuadere il dio a cambiargli il suo cattivo destino e a concedergliene uno buono. Può darsi però - sebbene nessun documento lo attesti - che nello stadio culminante dell'astralismo, nel periodo neobabilonese, il concetto di destino abbia assunto questo carattere più rigido, che esso ebbe anche nel periodo ellenistico. Se gli dei siderali regolano, quali ordinatori del fato, il corso degli eventi, deve esser possibile prevedere ciò che succederà, se si osservano ed esaminano attentamente il loro corso, le loro qualità, i loro cambiamenti. Così dall'astrolatria si sviluppa l'astrologia, la quale ha però, come scienza mantica, anche altri presupposti esorbitanti dal campo dell'astralismo. Gli astrologi mesopotamici composero numerosi e vasti trattati, che, tradotti in greco, fecero conoscere ai popoli del Mediterraneo l'astrologismo della Mesopotamia. L'astralismo s'intensificò e si approfondì ancora più, e concepì la terra come l'esatta immagine del cielo: ciò che succede in cielo, succede anche in terra, e tutto ciò che avviene quaggiù è preformato e predetto dal cielo. Questa concezione può essere derivata dall'astrologia, ma può anche, come esigenza sentita ancora in maniera inconscia, esserne stata il presupposto.
La scarsità delle fonti non ci permette per ora di stabilire esattamente qual grado di sistemazione e d'elaborazione scientifica avesse subito l'astralismo già in Babilonia prima di passare nella civiltà ellenistica. Possiamo però affermare che tutte le idee fondamentali dell'astralismo ellenistico si trovano già in quello babilonese, e che le aggiunte date dalla civiltà mediterranea sono di secondaria importanza. Questa gli diede certamente veste più filosofica e rigorosa, secondo la tendenza propria dello spirito greco e occidentale; non va però scartata l'ipotesi, fortemente avvalorata anzi dalle ricerche più recenti, che l'astralismo babilonese avesse a subire nella stessa sua patria l'azione dello spirito scientifico greco. La civiltà babilonese del periodo dei Seleucidi fu infatti una civild sincretistica, babilonese-greca.
I primi accenni in Grecia a una concezione astrale del mondo si trovano nella mistica dei pitagorici. In Platone troviamo il riconoscimento del carattere divino delle stelle (ammesso anche da Aristotele) e l'idea che l'anima umana subisca in un certo modo l'azione delle potenze siderali. Filippo di Opunte, scolaro di Platone, è pieno di reverenza per la scienza astrale dei Caldei. Ma dopo la conquista dell'Asia anteriore da parte di Alessandro il Macedone e la fondazione di regni ellenistici nel prossimo Oriente, la scienza dei Caldei - così erano allora chiamati i Babilonesi - si versa in densi fiotti in Occidente. Beroso, sacerdote di Bel a Babele, si trasferisce nell'isola di Cos e vi fonda una scuola di astrologia. Un alleato preziosissimo trova l'astralismo mesopotamico nel sistema della filosofia stoica: la teoria astrologica si adattava esattamente al determinismo insegnato dagli stoici, parecchi dei quali furono semiti e alcuni precisamente babilonesi. Posidonio di Apamea (100 a. C.) fu un fervido propugnatore dell'astrologia e contribuì più di qualunque altro a far trionfare l'astralismo in Occidente. I libri di predizioni astrologiche che allora si scrissero in grande quantità, la vostra letteratura ermetica e apocalittica, il magismo sempre più fiorente e i misteri, tutte queste manifestazioni dello spirito ellenistico sono profondamente pervase da dottrine astrali e in buona parte si basano sull'astralismo e sull'astrologismo. Questo grande successo della mentalità mesopotamica e orientale si spiega col carattere razionale e apparentemente scientifico di questa dottrina, con le condizioni spirituali del tempo sconvolte, incerte, in cerca di qualche cosa di nuovo, e con la superiorità della teologia astrale in confronto del semplice e ingenuo politeismo più antico. Le condizioni politiche dell'età, che vide la dissoluzione dell'antica città-stato, con la sua religione cittadina, e il costituirsi di grandi regni con amministrazione accentrata, v'ebbero pure la loro parte. Il cittadino degli stati ellenistici vive nella fede assoluta che tutta l'esistenza degli stati e delle nazioni, non meno che quella dei singoli individui, dipenda, persino nei più minuti incidenti, dalle stelle. Si nasce "sotto buona o cattiva stella": importa quindi conoscere la posizione degli astri, quali erano in congiunzione, p. es., al momento della nascita di un individuo, per sapere la sua sorte; non si può intraprendere nulla che non sia stabilito o determinato dal corso delle stelle, non vi è affare, grande o piccolo, che si voglia intraprendere senza consultare l'astrologo, che esamina la posizione delle stelle nel momento interessante, e trae l'oroscopo. Tutto l'astralismo e specialmente l'astrologia si basa su di un dogma degli stoici, cioè sulla somiglianza e la reciproca simpatia che esiste tra l'uomo, il microcosmo, e l'universo, il macrocosmo. Anche nella civiltà ellenistica le stelle sono divinità, propizie o funeste, le cui relazioni per influsso continuo determinano la sorte umana. Il cielo era popolato di divinità, di eroi, di mostri e animali. Gli uomini celebri sono trasferiti sulla volta stellata, e divengono dopo la loro morte stelle (catasterismo). Si adorarono in ispecie i dodici segni dello zodiaco, il tempo, stabilito dagli astri, i secoli, gli anni, le stagioni, i mesi, i giorni e le ore: con alcuni imperatori, come con Settimio Severo, l'astrologia s'inserisce nella religione ufficiale; e in particolare il sole sotto varie forme e con diversi nomi, fu la suprema divinità tutelare dell'Impero e dell'imperatore, da Aureliano fino a Costantino. La sorte stabilita dagli astri è una necessità inflessibile, dominante l'universo. La Tyche (Fortuna) domina non soltanto gli uomini, ma anche gli dei. Il fatalismo siderale è un tratto essenziale dello spirito astrologico. Nessuno può sottrarsi alla sorte se non con la magia. Questo è l'unico mezzo potente che possa scongiurare la sorte. La magia fiorì quindi rigogliosamente accanto all'astrologia, nonostante alcune proteste. Tacito (Hist., I, 22) con tace il suo disprezzo per gl'indovini che pullulavano in Roma. Alla fine del sec. IV, S. Agostino ci dice la potente attrazione che l'astrologia esercitò su di lui in gioventù, sebbene alcuni spiriti più avvezzi alla riflessione scientifica non vi credessero più (Confess., III, 4 seg.; VII, 8), e ci racconta (C. Acad., I, 17) le meravigliose divinazioni di un tale Albicerio di Cartagine, e nel De doctrina christiana esclude appunto l'astrologia e la magia dal novero delle scienze utili per il cristiano. E, nell'Impero cristiano, Valentiniano I comminò contro i mathematici (come allora venivano chiamati) la pena di morte (Cod. Theod., IX, 16,8). Ma già fin dal sec. I a. C. l'astralismo orientale aveva impresso in modo indelebile sulla civiltà mediterranea la sua impronta. Questa impronta è rimasta alla nostra civiltà fino ad oggi, sebbene in misura attenuata. Per tutto il Medioevo però e ancora fino a quasi tutto il Seicento l'astrologismo costituì un tratto cospicuo della nostra cultura; e il linguaggio - p. es. nei nomi dei giorni della settimana - ne conserva ancora più d'una traccia.
Per astralismo s'intende inoltre una teoria sull'origine dei miti. Essa dice, come la formulò nettamente C.S. Volney (Les ruines, Parigi 1791) e subito dopo C.F. Dupuis (Origine de tous les cultes ou religion universelle, Parigi 1795), preceduti l'uno e l'altro dal nostro Francesco Bianchini (Istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi, Roma 1697), che tutti i miti non sono che riflessi dell'osservazione del corso degli astri e in generale che la religione ha origine dal culto astrale. Tale teoria fu da alcuni assiriologi tedeschi posta a base delle loro ricerche nel campo della religione babilonese e assira nella forma radicale che le era stata data da E. Stucken (v. Bibl.). H. Winckler e il suo seguace A. Jeremias credettero di poter sostenere che l'astralismo era antichissimo nell'Asia anteriore, e che informava di sé tutta la vita e tutte le concezioni religiose e anche non religiose dei popoli mesopotamici e di quelli che da questi dipendevano per la loro civiltà. Questa sarebbe la visione paleo-orientale della vita e dell'universo, l'altorientalische Weltanschauung, postulata dai sostenitori del cosiddetto panbabilonismo, secondo il quale le basi della nostra civiltà furono gettate in Babilonia. Se i panbabilonisti hanno ragione per varî riguardi, bisogna riconoscere, come s'è detto, che il completo astralismo fiorì in babilonia soltanto nell'ultimo stadio, cioè nel periodo neobabilonese e che la sua interpretazione della religione babilonese non trova che molto debole conferma nei fatti. Le sue teorie hanno quindi avuto assai scarsa fortuna, come pure il tentativo fatto da qualche dotto (p. es. Arthur Drews) di applicare tali concezioni anche allo studio delle origini cristiane.
Bibl.: Manca finora una trattazione scientifica minuta sulla storia dell'astrolatria e dell'astralismo. Per l'astrolatria nelle singole religioni bisogna consultare i libri dedicati alla trattazione delle stesse che si troveranno indicate nelle bibliografie annesse ai relativi articoli. Per la Babilonia si veda anche lo studio esauriente di F. X. Kugler, Sternkunde und Sterndienst in Babel, Münster 1907-1914; G. Schiaparelli, I primordî ed i progressi dell'astronomia presso i Babilonesi, in SCientia, III (1908), p. 214 segg., IV (1908), p. 27 segg. Sulla concezione astrale paleobabilonese si veda: H. Winckler, Im Kampfe um den alten Orient, Lipsia 1907; A. Jeremias, Die Panbabylonisten, der alte Orient und die ägyptische Religion, Lipsia 1907; id., Handbuch der altorientalischen Geisteskultur, Lipsia 1913; sulla mitologia astrale: E. Stucken, Astralmythen der Hebräer, Babylonier und Aegypter, Lipsia 1907. Per l'astralismo del periodo ellenistico, cfr. F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, Bari 1913, pp. 164-197; R. Eisler, Weltenmantel und Himmelszelt, Monaco 1910; H. Gressmann, Die hellenistische Gestirnreligion, Lipsia 1925; i varî articoli raccolti sotto il titolo generale Sun, Moon and Stars in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, Edimburgo 1921, XII, pp. 48-103 (la parte musulmana, pp. 88 B-101 B di C. A. Nallino); per una trattazione generale, benché compendiosa, F. Cumont, Astrology and Religion among the Greeks and Romans (con un capitolo introduttivo, The Chaldeans), New York e Londra 1912 (American Lectures on the History of Religions, series of 1911-1912).