ASTROLABIO (fr. e ingl. astrolabe; sp. astrolabio; ted. Astrolabium o Astrolab)
Nome di varî tipi di strumenti di rame o d'ottone, usati ancora nel sec. XVIII per determinare l'altezza del Sole o d'un astro qualsiasi sull'orizzonte e quindi risolvere molti problemi di astronomia sferica. Il vocabolo deriva dal greco ὄργανον ἀστρολάβον "strumento che prende gli astri" (o anche semplicemente ὁ ἀστρολάβος), ma indirettamente, poiché la forma medievale latina (poco dopo il 1000) astrolabium è il latinizzamento dell'arabo asṭurlāb o aṣṭurlāb. Nell'Almagesto di Tolomeo (circa 150 d. C.) è designata con questo nome la sfera armillare (v. armilla), che gli Arabi combinarono con il globo celeste e perfezionarono assai, facendone il cosiddetto astrolabio sferico.
Ma l'astrolabio propriamente detto è l'astrolabio piano, piccolo strumento portatile piatto e di forma circolare, avente da 10 a 15 centimetri di diametro, detto Astrolabium planisphaerium dagli scrittori medievali e del Rinascimento, e basato sulla proiezione stereografica della sfera celeste sopra un piano. Esso era già noto ai Greci al tempo d'Ipparco (circa 150 a. C.), ma prese una straordinaria diffusione soltanto con gli Arabi, che lo perfezionarono e poi, agl'inizî del sec. XI, lo trasmisero all'Europa latina insieme con parecchie denominazioni arabe delle sue parti (almuri, alidada, ecc.). Le parti fondamentali sono:1. la madre, disco dal bordo rialzato e graduato, nel quale come in cassetta circolare, sono collocate varie lamine circolari; la sua superficie esterna si chiama dorso, ha l'orlo graduato, che con l'aiuto dell'annessa alidada serve a determinare l'altezza di qualsiasi astro sull'orizzonte, e spesso contiene anche una specie di calendario perpetuo; la sua superficie interna si chiama faccia; 2. altri dischi o lamine, per lo più nove, collocati nella madre; ognuno di essi, in ciascuna delle due facce, dà, per una determinata latitudine terrestre, la proiezione stereografica (veduta da uno dei due poli come centro) degli almucantarat (v.) o circoli paralleli all'orizzonte, dei circoli verticali o azimutali, dell'equatore celeste e dell'eclittica, essendo il piano di proiezione tangente al polo opposto e parallelo all'equatore; 3. la rete o aranea, lamina circolare collocata nella madre sopra le altre e intagliata il più possibile, per lasciar leggere le indicazioni della lamina sottostante; essa dà la proiezione dello zodiaco e delle stelle fisse fondamentali con i loro nomi; ha l'aspetto d'una striscia con molte linguette a punta, intagliate in modi bizzarri e indicanti le posizioni delle stelle fisse più notevoli; 4. l'alidada (v.) o diottra, che è un doppio traguardo girante sul dorso della madre intorno al centro comune di questa e di tutte le lamine e che serve a prendere l'altezza dell'astro voluto; 5. l'asse o polo, chiodo che attraversa il centro di tutte le parti dello strumento e le mantiene insieme. L'astrolabio dà immediatamente, per osservazione diretta, l'altezza del Sole o d'un pianeta o d'una stella qualsiasi sull'orizzonte, e quindi anche le ore trascorse del giorno o della notte; serve inoltre a risolvere, senza bisogno di calcoli, tutti i problemi dell'astronomia sferica e anche a calcolare la distanza d'un luogo inaccessibile, l'altezza d'un edifizio, ecc.
Poiché ogni tracciato delle lamine, di cui al n. 2, serve per una sola latitudine terrestre, occorrerebbero molte lamine per usare lo strumento a qualsiasi latitudine. Perciò l'arabo spagnolo az-Zarqálī (per lo più Arzachel nelle traduzioni latine e Zarquiel nei libri astronomici spagnoli di Alfonso X di Castiglia) ideò verso il 1070 un astrolabio universale, che con una sola lamina serve per qualsiasi luogo; ottenne ciò mediante la proiezione stereografica orizzontale, nella quale l'occhio dell'osservatore s'immagina al punto est o al punto ovest dell'orizzonte (ossia in uno dei due punti equinoziali), mentre il piano di proiezione è il piano del coluro solstiziale ossia del meridiano passante per i punti solstiziali. Sulla lamina sono rappresentati, mediante tale proiezione, l'equatore celeste con i suoi circoli di declinazione e con i suoi paralleli, e l'eclittica con i suoi circoli di latitudine e di longitudine. Questo tipo d'astrolabio piano universale fu chiamato poi dagli scrittori europei asaphea o saphaea, dall'arabo aṣ-ṣafīḥah "la lamina" (di az-Zarqālī).
Più semplice, ma meno preciso dell'astrolabio piano, è l'astrolabio lineare, ideato da Naṣīr ad-dīn aṭ-Tūsī (morto circa 1213-1214); ha l'aspetto d'un regolo calcolatore e rappresenta l'intersezione del piano del meridiano con il piano di proiezione dell'astrolabio ordinario su una retta del suo stesso piano; i punti indicati sul bastone indicano le divisioni dell'eclittica, le ascensioni rette e oblique, gli almucantarat, ecc., mentre fili attaccati al bastone servono a misurare gli angoli.
Gli astronomi di professione facevano scarso uso dell'astrolabio piano, insufficiente per misurazioni di precisione; ma fra i naviganti e gli astrologi quello strumento portatile e comodissimo ebbe grandissima voga fino a gran parte del sec. XVIII, quando il sestante venne a detronizzarlo negli usi marinareschi. Astrolabî arabi sono frequentissimi nei musei d'Europa; e in Oriente se ne fabbricano ancor oggi. (V. Tavv. XIX e XX).
Bibl.: J. Stoflerinus (Stöffler), Elucidatio fabricae ususque astrolabii, Oppenheim 1513 (ristampato parecchie volte); E. Danti, Dell'uso et fabbrica dell'astrolabio, Firenze 1569 (2ª ed. 1578); C. A. Nallino, art. Asturlāb nel volume I della Encyclopédie de l'Islām (del 1911, con bibliogr.); J. Frank, Zur Geschichte des Astrolabs, Erlangen 1920 (anche nei Sitzungsber. d. physikal.-mediz. Sozietät in Erlangen, L-LI (1920), pp. 275-305; H. Seemann, Das kugelförmige Astrolab... von Alfons X von Kastilien, Erlangen 1925 (Abhandl. zur Gesch. d. Naturwiss. u. d. Medizin, VIII, con uso di fonti arabe).
Astrolabio a prisma.
È detto anche strumento delle altezze uguali, e permette infatti all'osservatore di determinare gl'istanti in cui varie stelle raggiungono successivamente una medesima altezza apparente, molto prossima ai 60°.
Lo strumento è fondato sulla seguente proprietà del prisma avente un angolo di rifrangenza A eguale a 60°. Se due raggi di luce monocromatica SI, S′I′, perpendicolari allo spigolo A, cadono sulle facce A B e A C del prisma e formano tra loro un angolo di 120°, essi, dopo una rifrazione in I e I′ e una riflessione totale in H e H′, dànno luogo a due raggi DL, H′ L′, fra loro paralleli.
E reciprocamente se H L, H′ L′ sono paralleli, S I ed S′ I′ formano tra loro l'angolo di 120°.
Infatti, contando gli angoli in I e I′ dalle normali ai raggi incidentì e rifratti positivamente in un determinato senso (per es. contrario agl'indici d'un orologio), si ha dal quadrilatero A I D I′ e dai triangoli A I H e A I′ H′ (v. la figura seguente, cui l'angolo D è supposto qualsiasi)
ossia:
Se A = 60° e D = 120° segue dalla (1) i = i′, quindi, per le proprietà della rifrazione, r = r′e perciò dalla (2) e + e′ = 60° = A, il che avviene solo se H L, H′ L′ sono paralleli.
Reciprocamente se questa condizione è verificata si ha e + e′ = A, ossia e + e′ = 60°, quindi, per la (2), r = r′, perciò i - i′ e, per la (1), D = 120°.
Il prisma è montato davanti all'obiettivo M N di un cannocchiale di sposto orizzontalmente, mentre davanti ad esso e un poco al di sotto sta un orizzonte artificiale a mercurio, cioè un recipiente contenente un sottile strato di mercurio, la cui superficie libera P Q funge da specchio perfettamente orizzontale. I raggi paralleli provenienti da una stella, arrivano all'obiettivo del cannocchiale, o, come S I H L, dopo aver incontrato direttamente la faccia A B del prisma, o, come S1 S′ I′ H′ L′, dopo essere stati riflessi dall'orizzonte a mercurio. Si hanno quindi all'oculare del cannocchiale due immagini della stella, che si sovrappongono soltanto quando HL e H′ L′ sono paralleli, cioè quando S D S′ = 120°; ossia quando S1 S′ D = 60°, il che vuol dire che che lo strumento sia perfetto, e quindi, in primo luogo, che il prisma sia esattamente equiangolo, a facce piane e spigoli paralleli, e perfettamente omogeneo; in secondo luogo, che lo spigolo A del prisma sia perpendicolare al piano verticale della stella al momento della coincidenza delle due immagini.
Un piccolo errore dA nell'angolo del prisma altera soltanto l'altezza apparente raggiunta dalla stella al momento in cui le sue due immagini si sovrappongono; la detta altezza, anziché essere di 60° esatti, è 60 − ½ [3 n -1] dA, essendo n l'indice di rifrazione del vetro del prisma, ma rimane, dunque, la stessa per tutte le stelle. Le altre condizioni a cui lo strumento deve soddisfare sono raggiunte in misura sufficiente o dal costruttore o con opportune rettificazioni permesse da appositi dispositivi.
L'astrolabio a prisma serve a determinare contemporaneamente la latitudine del luogo d'osservazione e il tempo, cioè l'ora esatta e viene adoperato specialmente in operazioni di astronomia geodetica.
La seguente figura dà una veduta d'insieme dello strumento. Esso è montato sopra un treppiede ed è girevole intorno a un asse verticale. Un apposito cerchio graduato orizzontale permette di dirigere il cannocchiale nell'azimut in cui la stella prescelta deve venire osservata. Il cannocchiale porta superiormente un ago magnetico che facilita l'orientazione dello strumento, ha ad un'estremità il prisma, e sotto questo sta il disco destinato a ricevere sulla faccia superiore, leggermente concava, un sottile strato di mercurio. All'altra estremità del cannocchiale stanno due oculari: uno di piccolo ingrandimento e a vasto campo, per la ricerca della stella qualche minuto prima dell'osservazione, l'altro di forte ingrandimento da usare al momento dell'osservazione stessa per ottenere una precisione maggiore.