MANFREDI, Astorgio (Astorre, Estore)
Secondogenito di Giovanni di Ricciardo e di Ginevra di Mongardino, non è nota la sua data di nascita né quella del fratello maggiore Francesco: sappiamo che furono mandati in ostaggio a Padova, presso i da Carrara, nel 1356, quando il padre dovette restituire Faenza al cardinale Egidio de Albornoz, legato apostolico per l'Italia. Il M. sposò Leta di Guido da Polenta sicuramente dopo il 1369: Leta infatti, sposata nel 1366 con Francesco di Guido Gonzaga, ne rimase vedova nel 1369. Da queste poche notizie, possiamo ipotizzare che i due Manfredi fossero nati fra gli ultimi anni Quaranta e i primi anni Cinquanta del Trecento.
Dei primi anni di vita del M. non abbiamo notizie certe: non sappiamo neppure quando gli fu concesso di tornare dall'esilio padovano. La scarsità di notizie sul M. e sul fratello per gli anni 1356-75 non è d'altro canto stupefacente: persa Faenza nel 1356, il padre trascorse questi anni nel tentativo di recuperare la città nel più ampio contesto degli scontri e conflitti provocati dall'espansionismo visconteo. Il M. dovette con ogni probabilità crescere a Bagnacavallo, solo possesso sicuro rimasto al padre sino al 1368-69, e farsi le ossa seguendolo nelle imprese da lui compiute per lo più al soldo di Bernabò Visconti.
La prima notizia relativamente certa che abbiamo del M. è del 1375: in quell'anno Firenze, in lotta con il Papato (era scoppiata allora la guerra degli Otto santi), prese a favorire attivamente i signori romagnoli contro la S. Sede. In particolare, armò il M. e gli permise di iniziare a riacquistare il controllo sui territori già paterni, di cui non restava ai due figli praticamente nulla. Fortificatosi in Granarolo, il M. prese a fare scorrerie nel territorio faentino. Tali movimenti infastidirono il cardinale legato Roberto di Ginevra, che inviò a Faenza il condottiero inglese John Hawkwood (Giovanni Acuto) per controllare i movimenti del M., che, nel frattempo riconciliatosi con Giovanni di Alberghettino, cugino del padre del M., continuava nella tenace opera di riconquista dei castelli già appartenuti al padre, in particolare nella Val di Lamone (Brisighella e Laderchio). La città di Faenza, sotto il diretto dominio della Chiesa, non era intanto in migliori condizioni dei suoi antichi signori: dopo avervi acquartierato le milizie di Hawkwood per più di un anno, Roberto di Ginevra, ormai a corto di denaro, vendette Faenza al marchese Niccolò (II) d'Este nella primavera 1377. L'Estense inviò in città un piccolo presidio di armati guidati da Salvatico Boiardo: il M. colse l'occasione con rapidità, e col sostegno fiorentino entrò in città nel luglio di quell'anno, proclamandosene signore con il titolo di dominus et capitaneus generalis.
Niccolò non si rassegnò immediatamente al fatto compiuto, ma il M., sostenuto da Firenze e da Milano, costrinse il marchese alla pace il 22 maggio 1379. Grazie all'accordo, il M. tornava in possesso di Faenza pagando all'Estense 24.000 fiorini d'oro in 4 anni; egli avrebbe tenuto Faenza in feudo da Niccolò per otto anni e poi ne sarebbe divenuto compiutamente signore. Papa Urbano VI ratificò l'accordo concedendo al M. nello stesso anno il vicariato apostolico sulla città.
Riprese così, dopo un ventennio, la signoria di un Manfredi su Faenza. La concessione del vicariato apostolico definì e qualificò il potere del M. sulla città: per quanto concesso a tempo determinato e con obblighi formalmente più pesanti di quelli richiesti ai vicari imperiali, il vicariato apostolico costituiva infatti, rispetto al potere detenuto di fatto o per delega degli organi comunali, una forma potente di legittimazione e una cornice formale di relativa stabilità.
Fattosi un nome come capitano, in quegli anni il M. armò una propria compagnia di ventura (la compagnia della Stella). Al soldo di Bernabò Visconti, tra 1379 e 1380 mosse senza fortuna contro Genova. Rientrando verso Faenza, si trovò a fronteggiare la ribellione del fratello Francesco che, vedendo la partita per la città temporaneamente persa, si rifugiò a Solarolo; ma la sua posizione era fragile, e nel 1381 cedette il castello al Comune di Bologna in cambio di 3000 fiorini, un vitalizio di 60 fiorini al mese e un palazzo a Bologna. I cronisti coevi generalmente lo dicono morto poco dopo, anche se Messeri ritiene che egli sia morto nel 1393, dopo avere contrastato il fratello un'altra volta quando questi favorì, nel 1386, il tentativo di Taddeo Pepoli di rientrare in Bologna.
Il M., sempre più saldo nel proprio dominio faentino, in questi anni combatté in Romagna alternativamente al soldo di Gian Galeazzo Visconti e di Firenze, tentando di allargare la sua influenza su Cesena e Forlì. Nel 1389 aderì a una lega antiviscontea orchestrata da Firenze e Bologna: egli era a capo di 400 fanti e di 250 cavalieri. Nel 1390 tentò ancora invano di occupare Cesena; nello stesso anno si recò a Roma a compiere atto di sottomissione a Bonifacio IX, da cui ottenne la conferma del vicariato su Faenza per altri dieci anni, al censo annuo di 1500 fiorini: gli fu anche concessa l'onorificenza pontificia della Rosa d'oro.
Nel 1391, rinnovata l'adesione alla lega antiviscontea, mosse con 50 lance verso la pianura Padana in aiuto a Francesco Novello da Carrara, dall'anno prima di nuovo signore di Padova e a capo dello schieramento antivisconteo. Chiusa la guerra con un accordo che lasciava al Visconti Feltre e Belluno, ma non Padova (pace di Genova, 20 genn. 1392), il M. strinse una lega difensiva (trattato di Bologna, 11 apr. 1392) che riuniva gli antichi alleati guelfi (Firenze, Bologna e Padova) e i signori emiliano-romagnoli (Alberto d'Este, Ludovico Alidosi di Imola, i da Polenta di Ravenna e il M.).
La guerra riprese nel 1394, quando la successione di Niccolò (III) ad Alberto d'Este fu minacciata da Azzo di Francesco d'Este, segretamente appoggiato da Francesco Novello da Carrara: Niccolò, col sostegno di Firenze e di Bologna (a fianco della quale combatteva il M.), sconfisse Azzo a Portomaggiore nell'aprile 1395 e lo affidò al M., che lo condusse prigioniero a Faenza. L'appoggio dato a Niccolò (III) valse al M. il castello di Savignano, i beni degli sconfitti Montanari e il sostegno ferrarese nelle operazioni contro Lugo e Barbiano. Il M. in questi anni era all'apice del prestigio: una bolla pontificia gli confermò il 27 sett. 1397 il vicariato su Faenza e conferì a lui e al figlio Gian Galeazzo, a lui associato, il vicariato apostolico anche su Fusignano, Montemaggiore e Donegaglia. Nel 1396 (secondo altri nel 1397) Gian Galeazzo sposò Gentile di Galeotto Malatesta di Rimini, sorella di Carlo.
La pressione del Visconti sull'Italia centrale andava aumentando: Firenze e Bologna (dove i Pepoli, antichi alleati del M., erano stati esautorati) erano sempre più in guardia. In questo contesto, i rapporti fra Bologna e il M. si deteriorarono bruscamente. Il M. aveva intrattenuto rapporti altalenanti, ma prevalentemente buoni col grande Comune emiliano: a Bologna possedeva almeno un palazzo, su cui campeggiava la sua insegna "Wan ich mach". L'alternarsi delle parti bolognesi fece però precipitare la situazione nel 1399. Il M., appoggiata la parte dei Maltraversi contro i Bentivoglio, combatté contro il conte Giovanni da Barbiano, suo antagonista sin dal 1395, che fu fatto prigioniero e giustiziato su consiglio del M. nel settembre 1399.
Nel tumultuare dei conflitti fazionari felsinei, riuscì a ottenere dai bolognesi Gaspare Bernardini e Antonio delle Caselle il castello di Solarolo. Il Comune di Bologna allora ingaggiò il condottiero Alberico da Barbiano e mosse contro il M. che tentò di contrattare, offrendosi di restituire Solarolo, ma la sua proposta non fu presa in considerazione. I da Carrara, gli Este e Pino Ordelaffi, signore di Forlì, aderirono alla lega antimanfrediana. Nella primavera 1400 l'Ordelaffi mosse contro Faenza e la Val di Lamone da ovest, mentre il Barbiano e Ottobuono Terzi giungevano da nord ad assediare la città. Il M. ricevette l'appoggio di Carlo e Pandolfo Malatesta, signori di Rimini e suoi congiunti. In particolare Carlo nell'autunno 1400 tentò di convincere il duca di Milano a schierarsi a fianco del M., che consigliò di recarsi segretamente di persona - lasciata Faenza nelle mani del figlio - a Milano a offrire la città al Visconti. Il duca di Milano si era peraltro già impegnato sull'altro fronte, permettendo ad Alberico da Barbiano di combattere il M. per conto di Bologna. Il M., rientrato in Faenza dopo avere invano offerto la propria fedeltà anche a Venezia, fece uscire il figlio dalla città assediata, con la madre, la moglie Gentile e la cognata Isabetta, moglie di Carlo Malatesta, diretti a Milano. La comitiva cadde però nelle mani di Niccolò (III) d'Este, che aveva motivi di rancore nei confronti del M.: per riavere i familiari, dovette consegnare a Venezia Azzo d'Este, prigioniero a Faenza dal 1395; questo epilogo segnò anche la fine delle trattative con Milano.
La guerra di Faenza durò sino ai primi mesi del 1401: la presa del potere di Giovanni Bentivoglio a Bologna mutò l'orientamento bolognese verso il M. e ne permise la temporanea sopravvivenza. Il M. infatti negoziò col Bentivoglio la cessione di Solarolo (accompagnato secondo taluni da 4000 fiorini) e ne ottenne la pace (7 luglio 1401).
La situazione in Romagna precipitò per l'incalzare della pressione viscontea: il duca di Milano era ormai pronto a muovere verso Bologna, dove era giunto anche il legato pontificio Baldassarre Cossa. Nel giugno 1402 le truppe viscontee, sconfitto Giovanni Bentivoglio a Casalecchio, entrarono in Bologna.
La morte improvvisa di Gian Galeazzo Visconti il 3 sett. 1402 arrestò bruscamente l'avanzata viscontea verso l'Italia centrale. La situazione del M. non si fece però più facile con la morte del Visconti: nel 1403 e 1404 egli fu perseguitato da Alberico da Barbiano e da Braccio da Montone (Andrea Fortebracci), che continuarono una loro guerra ormai privata contro di lui. Nel settembre 1404 la situazione del M. divenne insostenibile: egli inviò allora il figlio Gian Galeazzo per accordarsi con Paolo Orsini, capitano del Cossa, per cedere Faenza alla S. Sede per dieci anni (la Val di Lamone per cinque) in cambio di 2400 fiorini annui come pensione dal Papato. Carlo Malatesta, che tentò di trarre dall'accordo il miglior partito possibile per il M., assunse la custodia delle fortezze a Faenza e nel contado, e i Manfredi si rifugiarono a Rimini. Il Barbiano, privato di Faenza su cui vertevano le sue mire personali, si ribellò al legato e fu sconfitto nel 1405 da Carlo Malatesta.
In questa guerra anche il M. si schierò contro il Barbiano, militando dalla parte del legato e guadagnando da questo temporaneo riallineamento la restituzione di Brisighella e della Val di Lamone. In veste di capitano pontificio, nell'ottobre 1405 il M. fu poi inviato contro Forlì che, dopo essersi liberata di Cecco Ordelaffi, rifiutava di arrendersi alla S. Sede: giunto alle porte della città romagnola, tentò il doppio gioco, ma questa volta con poca fortuna. Il Cossa infatti ne ebbe sentore e, fattolo tornare a Faenza senza sospetti, lo imprigionò con l'accusa di tradimento e lo fece decapitare il 28 nov. 1405. Fu sepolto in S. Francesco a Faenza.
Il M. fu per Faenza un signore colto e attento: nonostante una vita trascorsa in imprese di guerra, ebbe grande consapevolezza della dignità della sua carica e del suo valore simbolico; intraprese iniziative edilizie e monumentali di respiro, incentrate soprattutto sul complesso residenziale dinastico: tra 1392 e 1394 provvide infatti all'ammodernamento del palazzo del Popolo, ormai adibito a residenza signorile, grazie all'elevazione su tutto il fronte di un portico su colonne e alla creazione di un giardino contiguo, inaugurato nel 1396 per le nozze del figlio con Gentile Malatesta. Rimise anche in auge la Zecca faentina, come ricorda un atto del dicembre 1398, apparentemente inattiva dopo gli esordi nell'età di Francesco il Vecchio. Il M. fu anche signore attento alla vita di corte e alla cultura del suo tempo: un episodio celebre sembra confermare le sue inclinazioni letterarie. Il M. invitò infatti nel maggio 1396 come podestà a Faenza il toscano Franco Sacchetti, con cui intrecciò uno scambio di sonetti che testimoniano un rapporto relativamente aperto di amicizia. Il Sacchetti rimase, su richiesta del M., un secondo semestre a Faenza: avrebbe più tardi ricordato la dinastia manfrediana (Francesco il Vecchio, Giovanni e lo stesso M.) in alcune novelle. Con Coluccio Salutati, il M. ebbe negli anni 1397-98 uno scambio epistolare su questioni di letteratura latina (Virgilio, Svetonio), di cui restano solo le risposte del Salutati; ebbe anche rapporti epistolari con l'umanista bolognese Pellegrino Zambeccari.
Ebbe da Leta da Polenta un solo figlio, Gian Galeazzo, e una figlia, Antonia, andata sposa a Alberico di Ludovico da Barbiano, conte di Cunio.
Fonti e Bibl.: G. Gatari - B. Gatari, Cronaca carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 1, vol. I, pp. 183 s., 400, 433, 439, 447, 452, 485; M. de Griffonibus, Memoriale historicum, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, pp. 90, 94 s.; L. Bruni, Historiarum Florentini populi, a cura di E. Santini - C. di Pierro, ibid., XIX, 3, pp. 253, 266 s., 280 s.; Hieronymus de Flochis, Chronicon, a cura di A. Pasini, ibid., 5, pp. 4, 7, 15, 29; Iohannes de Curribus [G. Cocchi], Excerpta, a cura di L. Simeoni, ibid., XX, 2, pp. 17 s.; Annales Forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, pp. 69-71, 73, 75, 77-79, 81, 83; G. Albertucci de' Borselli, Cronica, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXIII, 2, pp. 55, 60, 62 s., 67 s., 70, LIII s.; B. Azzurrini, Cronica breviora, a cura di A. Messeri, ibid., XXVIII, 3, pp. 76 s., 83, 87-91, 93 s., 131; Statuta civitatis Faventiae, a cura di G. Ballardini, ibid., 5, pp. XXXVII, XXXIX-XLIII, 27; M. Battagli, Marcha, a cura di A.F. Massera, ibid., XVI, 3, p. 86; G.B. Mittarelli, Ad scriptores rerum Italicarum accessiones, Venetiis 1771, Index septimus, s.v.; Rime antiche di autori faentini, a cura di F. Zambrini, Faenza 1836, p. 70; A. Theiner, Codex diplomaticus, Roma 1861-62, III, pp. 67, 91; Pietro di Mattiolo, Cronaca bolognese, a cura di C. Ricci, Bologna 1885, p. 178; G. Sercambi, Croniche, I, a cura di S. Bongi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIX-XXI, Roma 1892, pp. 119 s.; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, Roma 1896, III, pp. 147, 232, 259; P. Zambeccari, Epistolario, Roma 1929, pp. 24, 99, 115, 133, 147, 197; P.P. Vergerio, Epistolario, a cura di L. Smith, Roma 1934, p. 49; F. Sacchetti, Libro delle rime, a cura di A. Chiari, Bari 1936, nn. cclx s., cclxiv, cclxviii, cclxxiii, cclxxviii; Id., Le lettere, a cura di A. Chiari, Bari 1936, pp. 104-109; Id., Le Trecento novelle, a cura di V. Pernicone, Firenze 1946, nn. CCXXII, CCXXIII; G.C. Tonduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675, s.v.; B. Corio, Storia di Milano, Milano 1855-57, pp. 425 s.; G. Panzavolta, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1884, pp. 22-40; F. Argnani, Cenni storici sulla Zecca, sulle monete e medaglie dei Manfredi, Faenza 1886, pp. 19-22; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, Torino 1893, p. 321; A. Messeri - A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, ad ind.; G. Ballardini, Di una impresa manfrediana, in Felix Ravenna, VII (1913), pp. 272-277; F. Bosdari, Il Comune di Bologna alla fine del secolo XIV, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le prov. di Romagna, s. 4, IV (1914), 1-3, pp. 173-183; G. Ballardini, La costituzione della contea di Brisighella e di Val d'Amone, in Valdilamone, VII (1927), pp. 28-31; Id., Alcune lettere dei Manfredi ai Gonzaga, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna, I (1935-36), pp. 99-102; G. Donati, La fine della signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938, pp. 7 s.; P. Zama, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954, pp. 115-142; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, pp. 502, 506; Id., Il Ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria Visconti, ibid., VI, ibid. 1955, pp. 48, 60; R. Paladini, Franco Sacchetti e A. I M., in Studi romagnoli, VIII (1957), pp. 189-197; J. Larner, Signorie di Romagna, Bologna 1972, pp. 121, 133, 209, 227, 229; P.J. Jones, The Malatesta of Rimini, London 1974, pp. 97, 106, 113, 117, 119, 121 s.; M. Mallett, Signori e mercenari, Bologna 1983, p. 50; T. Dean, Land and power in late Medieval Ferrara, Cambridge 1988, p. 24; F. Bertoni, La cattedrale nel programma urbanistico dei Manfredi, in Faenza. La basilica cattedrale, a cura di A. Savioli, Napoli 1988, p. 29; G. Cattani, Politica e religione, in Faenza nell'età dei Manfredi, Faenza 1990, pp. 20-22; B.G. Kohl, Padua under the Carrara, 1318-1405, Baltimore-London 1998, pp. 273, 303, 309; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Manfredi di Faenza, tav. IV.