PETRAZZI, Astolfo
PETRAZZI, Astolfo. – Nacque a Siena il 20 novembre 1580 da Lazzaro di Giovan Francesco da Modena, di professione cappellaio, e da Lucrezia (Avanzati, 1987, p. 59).
Petrazzi è ricordato in importanti voci della letteratura artistica del XVII, XVIII e XIX secolo, soprattutto in qualità di pedagogo, poiché «tenne aperta in sua casa [un’] accademia di pittura, frequentata molto da’ Senesi» (Lanzi, 1795-96, 1968, pp. 253 s.), presso la quale sostò in giovane età anche il celebre pittore francese Jacques Courtois detto il Borgognone (Mancini, 1617-21, I, 1956, p. 212; Chigi, 1625-26, 1939, pp. 303, 305, 307, 314; Ugurgieri Azzolini, II, 1649, pp. 385 s.; Baldinucci, 1681-1728, IV, 1974, pp. 330-332; Della Valle, 1786, III, 1976, pp. 435-439; Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 629-709). Scarsamente studiata lungo tutto il Novecento, la figura di Petrazzi è oggi ampiamente nota grazie alla pionieristica e organica disamina operata da Elisabetta Avanzati, alla quale recentemente ha fatto seguito l’ancora più aggiornato contributo di Marco Ciampolini, la cui consultazione è indispensabile soprattutto per la monumentale messe di informazioni riguardanti la biografia dell’artista e il catalogo delle opere (Avanzati, 1987; Ciampolini, 2010). L’evoluzione stilistica della lunga e prolifica carriera di Petrazzi, assai complessa e perciò facilmente fraintendibile a una superficiale disamina, è stata icasticamente decifrata da Alessandro Bagnoli, il quale ha saputo cogliere come Petrazzi, cresciuto in un ambiente influenzato dalla figura di Francesco Vanni, durante gli anni Venti paia interessato alle ricerche luministiche dei suoi concittadini Manetti e Rustici e dei fiorentini Rosselli e Cigoli, per arrivare negli anni Trenta a riflettere sulla grande lezione dei bolognesi Carracci e di Domenichino (Bagnoli, 1988, I, pp. 341 s.).
Non si hanno notizie certe riguardanti i primi anni di attività di Petrazzi, essendo egli citato per la prima volta il 25 febbraio 1618, in un documento che lo vede competere, ormai quasi quarantenne, con Simondio Salimbeni e Sebastiano Folli per la decorazione della volta della chiesa di S. Lucia a Siena, affidata a quest’ultimo il 5 marzo (Avanzati, 1987, p. 60; Guiducci, 1988, p. 842; Ciampolini, 2010, pp. 563, 566). Soltanto alcune ipotesi, ancora da confermare, provano ad attenuare l’oblio degli anni precedenti su questa data cruciale. Secondo Simona Sperindei, l’artista senese andrebbe identificato nel pittore «Alessandro Petrasi», documentato nel 1610 come residente a Roma nella parrocchia dei Ss. Nicola e Biagio ai Cesarini (Sperindei, 2009, p. 294). Secondo Ciampolini, al primo periodo noto di Petrazzi andrebbe attribuito il Ritratto di Francesco Piccolomini, conservato nel palazzo Piccolomini di Pienza, recante sul retro la data 1613 (Ciampolini, 2010, pp. 566, 574).
Anche la formazione artistica di Petrazzi e l’identità del suo maestro risultano a tutt’oggi ignoti. È comunque lecito supporre che egli compì il suo apprendistato pittorico all’ombra della grande tradizione tardomanierista locale, così come suggerito da Filippo Baldinucci, che lo ricorda allievo di Francesco Vanni, di Ventura Salimbeni e di Pietro Sorri (Baldinucci, 1681-1728, IV, 1974, p. 330), anche se alla moderna critica tale affermazione pare alquanto generica e scontata, essendo quelli citati gli artisti più famosi operanti a Siena a cavallo tra il XVI e il XVII secolo (Avanzati, 1987, pp. 61 s.).
Nonostante tale disarmante scarsità di notizie, Petrazzi, con l’aprirsi degli anni Venti del Seicento, doveva essersi conquistato non poca fama, se nel 1622 poteva lasciare una sua opera nel centro artistico più importante dell’epoca, la città papale. A Roma, infatti, dove è già documentato l’8 marzo in una lettera di Giulio Mancini (Sperindei, 2009, p. 294), il 10 gennaio 1622 siglò con una croce «per non sapere scrivere» (Papini, 2003, p. 181 n. 19) il contratto per la S. Maria Maddalena in gloria, da collocare nella cappella Capponi della chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini; opera, questa, già attribuita al senese da Carlo Del Bravo e oggi ascrivibile con certezza al maestro grazie a ritrovamenti d’archivio (Del Bravo, 1961, p. 324 n. 2; Papini, 2003, p. 181 n. 19). Il 10 giugno del medesimo anno Petrazzi era ancora a Roma (Maccherini, 1999, p. 139 n. 19), mentre il 2 ottobre dello stesso anno è documentato il trasferimento della tela della Maddalena dall’abitazione romana dell’artista alla chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini (Papini, 2003, p. 181 n. 19; Ciampolini, 2010, pp. 564, 567, 576).
Probabilmente anteriori al soggiorno romano appena ricordato, e sicuramente precedenti alla stesura dell’Elenco di Fabio Chigi, sono i dipinti senesi che in questa preziosa fonte vengono citati (Chigi, 1625-26, 1939, pp. 303, 305, 307, 314): l’Adorazione dei Magi nell’oratorio di S. Sebastiano in Vallepiatta, l’Adorazione dei Magi nella chiesa di S. Raimondo al Refugio e la Conversione di S. Paolo nella chiesa dedicata al medesimo santo. Sono invece perduti gli affreschi delle lunette dei locali dove aveva sede la Compagnia della Morte e il Martirio di s. Lucia della chiesa di S. Margherita in Castelvecchio, anch’essi citati da Chigi (Avanzati, 1987, pp. 62 s.; Ciampolini, 2010, pp. 567, 590-591, 593). Attorno a questo nucleo di dipinti di sicura autografia, la critica ha riunito per via stilistica altre tele conservate a Siena, datandole quindi, tra il primo e il secondo decennio del Seicento. Tra le più importanti figurano l’Ecce Homo della Pinacoteca nazionale, la Natività di Gesù Bambino della chiesa di S. Rocco, il Riposo durante la fuga in Egitto nel Complesso museale del S. Maria della Scala, il S. Giovanni con due angeli nei locali attigui alla chiesa di S. Giovannino in Pantaneto, un gruppo di Madonne col Bambino nei Conservatori femminili riuniti, la Madonna col Bambino e s. Caterina da Siena e le Stimmate di s. Francesco della Collezione Chigi Saracini. Dipinto, quest’ultimo, che, considerati gli aspetti stilistici, è probabilmente il più antico della produzione di Petrazzi, e databile ai primissimi anni del XVII secolo (Avanzati, 1987, pp. 62-64, 69 s., catt. 1-2; Ciampolini, 2010, pp. 563, 578-580, 592, 584 s.). Databile al quadriennio compreso tra il 1624 e il 1627 è certamente il dipinto murale in un riquadro della volta della Cancelleria di Biccherna in Palazzo Pubblico a Siena, raffigurante L’arcivescovo di Magonza rende noti i benefici fiscali concessi da Federico I; nella lunga iscrizione che accompagna l’opera è citato infatti Jacopo Chigi, committente del dipinto e camerlengo di Biccherna proprio in quegli anni (Borghini, 1983, p. 150; Ciampolini, 2010, pp. 567, 582 s.). È comunque probabile che il dipinto sia stato terminato già prima del 29 giugno 1626, data in cui il pittore è documentato nuovamente a Roma come partecipante a una riunione dell’Accademia di S. Luca, presieduta dall’assai più famoso collega francese Simon Vouet (Sperindei, 2009, p. 294; Ciampolini, 2010, pp. 567).
Documentato ancora a Roma in una lettera di Fabio Chigi del 18 maggio 1628 (Angelini, 2000, pp. 33 s.; Ciampolini, 2010, p. 567), Petrazzi fu sicuramente a Siena allo scadere del decennio per realizzare un nuovo dipinto murale nella citata sala del Palazzo Pubblico: il Martirio di s. Savino. Considerati gli stemmi araldici in esso raffigurati, è indubbio che l’opera fu eseguita per volere di Francesco Tantucci, camerlengo di Biccherna tra il 1628 e il 1630 (Borghini, 1983, p. 151; Ciampolini, 2010, pp. 567, 583).
Oltre alla tela per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, Petrazzi lungo questo decennio lasciò a Roma altri dipinti ormai perduti, di cui resta memoria nelle carte d’archivio o nelle fonti: un «quadro d’Amore» è citato nell’inventario dei beni di Costanzo Patrizi stilato il 27 febbraio 1624, lo stesso anno in cui probabilmente affrescò alcune sale della villa del cardinale Garzia Mellini a Monte Mario. Verso la metà del decennio dipinse anche la tela raffigurante l’Incoronazione di Urbano VIII per il ciclo pittorico con Storie di Urbano VIII, che il cardinale Lorenzo Magalotti aveva affidato ad alcuni dei pittori toscani più famosi in quegli anni, tra i quali Giovanni da San Giovanni e Pietro da Cortona. I nove dipinti che formavano questo prezioso ciclo, venduti dallo stesso cardinale a Filippo IV di Spagna alla metà del Seicento, andarono perduti a causa dell’incendio che nel 1734 distrusse l’Alcázar di Madrid (Ciampolini, 2010, p. 567).
A differenza di quanto constatato per il periodo precedente, le informazioni riguardanti Petrazzi si fanno sempre più numerose con l’aprirsi degli anni Trenta del Seicento, quando ormai è documentato stabilmente nella città natale.
Due tele di Petrazzi raffiguranti Nature morte con strumenti musicali sono ricordate in una lettera del governatore di Siena Mattias de’ Medici, datata 15 maggio 1630, in cui le doti del maestro nel campo della pittura di genere sono esplicitamente apprezzate, tanto da essere ritenute superiori a quelle dell’artista più famoso in questo periodo in città: «Astolfo, pittore, dopo Rutilio Manetti il primo, ma in questo genere meglio di lui» (Ciampolini, 2010, p. 568). Acquistati nello stesso anno da Giovan Carlo de’ Medici, fratello del governatore, i due dipinti andarono dispersi dopo il 1664 e soltanto uno di essi è stato recentemente rinvenuto in una collezione di cui è ignota l’ubicazione (Mascalchi, 1997, pp. 107, 122; Ciampolini, 2010, pp. 567 s.).
Reca la firma dell’artista e la data 1631 la tela raffigurante l’Ultima Comunione di s. Girolamo, posta sull’altare Rocchi della chiesa di S. Agostino a Siena che, a leggere le fonti, fu tra le più apprezzate della sua intera produzione (Ciampolini, 2010, pp. 568, 585 s.).
Il dipinto, vagamente ispirato alla tela di analogo soggetto di Domenichino conservata nella Pinacoteca Vaticana, oltre ai riferimenti al classicismo bolognese, evidenzia un cromatismo vibrante che ricorda quello delle opere di alcuni pittori fiorentini come Ludovico Cardi detto Cigoli o Matteo Rosselli (Avanzati, 1987, p. 66).
A causa del successo riscosso dal dipinto per S. Agostino, le commissioni per il maestro a Siena e nel Senese si moltiplicarono, tanto che le successive prove della sua prolifica carriera si susseguirono con una cadenza quasi annuale.
Rimandando alla bibliografia innanzi citata per più dettagliate informazioni circa la totalità delle opere riferibili al pittore, il cui numero è invero troppo vasto per essere ricordato in toto in questa sede, si elencano soltanto quelle di sicura autografia: del 1632 è la Madonna del Rosario e santi nella chiesa di S. Spirito; reca la data 1633 il Transito della Vergine nella chiesa di S. Petronilla, mentre all’anno successivo risalgono le pitture murali nella chiesa dei Ss. Niccolò e Lucia (Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 645 s., Ciampolini, 2010, pp. 589 s., 593). Il 1635 è la data che compare sulla tela raffigurante Il corpo di s. Ludovico da Tolosa condotto al sepolcro risana gli appestati, posta nel sottarco della sede della Compagnia dei Ss. Ludovico e Gherardo a Siena, che si accompagna alle pitture eseguite dal maestro sulle pareti di due campate di questo luogo, raffiguranti numerosi episodi della vita di s. Gherardo (Ciampolini, 2010, pp. 587 s.). Nello stesso anno Petrazzi siglò e datò la Madonna col Bambino e santi per l’altare maggiore della chiesa di S. Regina, realizzando anche le pitture murali della cappella dedicata alla Natività di Gesù nel duomo di Colle Val d’Elsa. La stessa cattedrale in cui, in un momento imprecisato compreso tra il 1635 e il 1642, dipinse le pareti della cappella della Resurrezione (pp. 569, 571 s., 591).
Il 30 agosto 1636 acquistò una casa nella contrada di S. Marco a Siena (p. 569). Nel 1638 firmò e datò la Sacra Famiglia e i ss. Giovannino e Tommaso apostolo conservata nella chiesa di S. Giovanni Battista dei Tredicini e dipinse la tela raffigurante S. Cerbone ricevuto dal papa, oggi nella sede dell’Archivio di Stato di Siena (pp. 569, 576, 588). L’anno successivo realizzò la tela raffigurante S. Giovanni nel deserto consolato da angeli per la chiesa di S. Giovannino in Pantaneto (pp. 569, 588). Nello stesso periodo Petrazzi lasciò una sua ulteriore traccia nella Cancelleria di Biccherna del Palazzo Pubblico, realizzando le pitture murali raffiguranti il Martirio di s. Crescenzio e S. Giuseppe in gloria. Gli stemmi araldici presenti in queste scene, relativi a Pompilio della Ciaja, camerlengo di Biccherna dal 1637 al 1639, indicano in tale biennio il momento della realizzazione dei dipinti (Borghini, 1983, pp. 147-151; Ciampolini, 2010, pp. 569, 583 s.).
Tra il 1639 e il 1640 il già ricordato Courtois, allora diciottenne, frequentò l’Accademia di pittura che l’artista senese aveva istituito nella propria dimora (Baldinucci, 1681-1728, IV, 1974, pp. 332 s.; Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 650 s.; Ciampolini, 2010, pp. 569). Sempre nel 1640, Petrazzi, firmò e datò la tela raffigurante la Pietà e Santi per la chiesa di S. Desiderio, oggi in deposito presso il Complesso museale del S. Maria della Scala a Siena (Ciampolini, 2010, pp. 569, 584 s.).
Al 1643 risalgono le tele raffiguranti la Miracolosa cessazione della peste, conservata nella chiesa di S. Maria dei Servi, e la Madonna della Cintola e santi, oggi nel Museo di arte sacra di Suvereto (Livorno) (pp. 569, 588 s., 593 s.). Sono datate all’anno successivo il Martirio di s. Bartolomeo nell’omonima chiesa di Ancaiano, nei pressi di Sovicille, e la Madonna e santi della chiesa dei Ss. Simone e Giuda a Radicondoli (pp. 570, 588 s., 593 s.). Nel 1645 Petrazzi dipinse l’Educazione della Vergine, oggi conservata nella chiesa di S. Andrea, e l’anno successivo realizzò le pitture murali raffiguranti gli Apostoli nella chiesa di S. Rocco. Sulle pareti della volta della medesima chiesa, nel 1648, raffigurò anche le Storie di Giobbe (pp. 570, 586, 591 s.).
Come accennato, Petrazzi si cimentò anche con la pittura di genere, dando prova di un brioso estro creativo già apprezzato dai suoi contemporanei e oggi stimato dalla moderna critica. Di tale produzione, oltre alle già rammentate Nature morte con strumenti musicali realizzate per Giovan Carlo de’ Medici, si conservano ancora oggi numerose prove, fra le quali di indubbio fascino sono quelle nella collezione Chigi Saracini di Siena, raffiguranti il Macellaio e l’Estate, o la Suonatrice di liuto della Pinacoteca nazionale della stessa città (pp. 573, 577-579, 585).
L’interesse nutrito da Petrazzi per la natura morta è visibile anche in un buon numero di tele raffiguranti un tema iconografico particolarmente caro alla pittura dell’inizio del Seicento, quello dell’Amor vincitore. Si osservino in tale senso l’affascinante interpretazione del tema conservata nella Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Barberini di Roma e i numerosi esemplari sparsi in diverse collezioni private (pp. 570 s., 576, 579, 594 s.).
Del pittore è noto soltanto un presunto Autoritratto con tavolozza, conservato agli Uffizi di Firenze (Meloni Trkulja, 1979; Ciampolini, 2010, pp. 573 s.).
Ormai «assai grave di età», così come lo descrisse Isidoro Ugurgieri Azzolini nel 1649, Astolfo Petrazzi morì a Siena, nella parrocchia di S. Martino, l’11 agosto 1653 e fu sepolto nella Cattedrale (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 658; Avanzati, 1987, p. 60; Ciampolini, 2010, p. 570).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-21), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, presentazione L. Venturi, I, Roma 1956, p. 212; F. Chigi, L’elenco delle pitture, sculture e architetture di Siena (1625-26), a cura di P. Bacci, in Bullettino senese di storia patria, n.s., X (1939), pp. 197-213, 297-337; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi o’ vero relazione delli huomini, e donne illustri di Siena, e suo Stato, II, Pistoia 1649, pp. 385 s.; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di P. Barocchi, IV, Firenze 1974, pp. 330-332; G. Della Valle, Lettere sanesi (1782-86), III, Sala Bolognese 1976, pp. 435-439; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (1795-96), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, pp. 253 s; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi dal secolo XII a tutto il XVIII (ms. ante 1835), IX, Firenze 1976, pp. 629-709.
C. Del Bravo, Una figura con natura morta del Seicento toscano, in Arte antica e moderna, 1961, n. 4, pp. 322-342; S. Meloni Trkulja, Gli Uffizi. Catalogo generale, coordinamento generale e direzione scientifica di L. Berti, Firenze 1979, p. 956 cat. A687; G. Borghini, La decorazione, in Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, a cura di C. Brandi, Milano 1983, pp. 145-349; E. Avanzati, A. P., in Bernardino Mei e la pittura barocca a Siena (catal., Siena), a cura di F. Bisogni - M. Ciampolini, Firenze 1987, pp. 59-82; A. Bagnoli, La pittura del Seicento a Siena, in La pittura in Italia. Il Seicento, I, Milano 1988, pp. 338-350; A.M. Guiducci, P., A., ibid., II, Milano 1988, pp. 842 s.; S. Mascalchi, Il granducato di Ferdinando II (1628-1670): il cardinale Giovan Carlo (1611-1663), in Il giardino del granduca. Natura morta nelle collezioni medicee, a cura di M. Chiarini, Torino 1997, pp. 105-136; M. Maccherini, Novità su Bartolomeo Manfredi nel carteggio familiare di Giulio Mancini: lo ‘Sdegno di Marte’ e i quadri di Cosimo II granduca di Toscana, in Prospettiva, 1999, nn. 93-94, pp. 131-141; A. Angelini, Rapporti artistici tra Siena e Roma ai tempi di Flavio Chigi, in Alessandro VII Chigi (1599-1667). Il papa senese di Roma moderna, a cura di A. Angelini - M. Butzek - B. Sani, Siena 2000, pp. 33 s.; M.L. Papini, Palazzo Capponi a Roma. Casa vicino al Popolo, a man manca per la strada di Ripetta, Roma 2003, pp. 179, 181 n. 19; S. Sperindei, Briciole documentarie sulla famiglia Verrocchi a Roma, in Atti delle Giornate di studi sul Caravaggismo e il naturalismo nella Toscana del Seicento, a cura di P. Carofano, Pontedera 2009, pp. 291-294; M. Ciampolini, Pittori senesi del Seicento, II, Antonio Nasini-Ventura Salimbeni, Siena 2010, pp. 563-607.