ASSURDO (dal lat. absurdus; fr. absurde; sp. absurdo; ted. absurd; ingl. absurd)
Per i matematici ha sempre il significato preciso di contraddizione logica. Riduzione all'assurdo è quel metodo di dimostrazione in cui si stabilisce una proposizione a, facendo vedere che dall'assumere come ipoteticamente vera la proposizione contraddittoria non-a, si deduce una contraddizione.
Di questo metodo fa uso frequentissimo Euclide nei suoi Elementi, fin dal 1° libro. Critici come il Houel, Essai critique sur les Principes fondamentaux de la géometrie, Parigi 1867, intr. p. 7, e Duhamel, Des méthodes dans les sciences de raisonnement, Parigi 1879, I, pp. 60, 342, vedono in codesta forma dimostrativa la preoccupazione di chiudere la bocca ai sofisti, e ad ogni modo un procedimento indiretto seppure utile, per cui, pur facendo vedere che una cosa è, non se ne spiega il perché. La repugnanza per codesta forma entra in gran parte nel giudizio che lo Schopenhauer dava della geometria euclidea, nelle cui dimostrazioni vedeva un giuoco di destrezza e una "brillante stortura".
Tutte queste critiche muovono dall'ideale scientifico-pedagogico della dimostrazione basata sull'evidenza intuitiva; onde, per stimarne giustamente il valore, conviene riconoscere la parte necessaria che, nell'assetto razionale delle matematiche, spetta alla logica. La veduta storica illumina il cammino.
L'origine del ragionamento per assurdo risale alla scuola d'Elea, ed è quindi anteriore ai sofisti.
Nei ragionamenti paradossali degli Eleati, specie in argomenti come l'Achille di Zenone, si può riconoscere una riduzione all'assurdo della tesi monadica pitagorica, che attribuiva al "punto" una certa estensione. Zenone stesso, secondo Diogene Laerzio, sarebbe l'inventore della dialettica, cioè della logica intesa come regola della riduzione all'assurdo. Siccome negli argomenti di Zenone entra in giuoco la determinazione della somma d'una serie infinita di termini (e precisamente d'una progressione geometrica), così le origini della logica vengono naturalmente ad incontrarsi con quelle dell'analisi infinitesimale. E l'incontro non è casuale. Finché il pensiero umano si limita a ragionare intorno a qualcosa che cada immediatamente sotto l'intuizione, non ha bisogno di regole particolari per controllare i passaggi del ragionamento, che rispondono a passaggi intuitivi. Ma l'esigenza del rigore più preciso sorge non appena il ragionatore si volga a qualcosa, come l'infinito, che supera l'intuizione. Qui accade che il ragionamento debba assumere la forma negativa propria della riduzione all'assurdo: i passaggi successivi della deduzione dall'ipotesi, lungi dal cadere sotto il controllo dell'evidenza, tendono a manifestare sempre più la falsità dell'ipotesi stessa, che si rivela infine nell'ultima conclusione. Quindi la coerenza del ragionamento deduttivo dev'essere valutata secondo criterî puramente logici, che perciò appunto si richiede di rendere consapevoli.
Il rapporto proprio del procedimento di riduzione all'assurdo con l'analisi matematica dell'infinito viene in luce nell'elaborazione della teoria delle aree e dei volumi secondo il metodo d'esaustione, inventato da Eudosso di Cnido (nel sec. IV a. C.) e adoperato più largamente da Archimede. Secondo questo metodo, due aree di cui si vuole dimostrare l'uguaglianza vengono paragonate, supponendo a priori che debbano essere uguali o disuguali, e che, in questo secondo caso, debba esservi una differenza, che si dimostra poi dover essere minore d'un'area piccola ad arbitrio, e perciò nulla. L'argomento dissimula chiaramente una divisione delle figure in infinite parti, quale si mette in opera nell'analisi infinitesimale (v. integrale). E convien dire che, se nel linguaggio moderno il ragionamento sembra assumere forma diretta, abbandonando la riduzione all'assurdo degli antichi, ciò accade perché l'idea negativa si è fatta entrare nella definizione del limite, la cui esistenza viene ricondotta - una volta per tutte - ad un criterio di continuità.
Ora, relativamente al valore euristico che può competere in generale al ragionamento per assurdo nelle questioni matematiche, conviene rilevare il legame di codesto procedimerito con l'analisi dei problemi (v. analisi). Se, in una certa questione, si presentano come possibili due ipotesi contraddittorie e però esclusive l'una dell'altra, a e a′, l'analisi consiste nel dedurre da una qualunque delle due ipotesi una serie di conseguenze, finché si arrivi ad un'ultima proposizione che si conosca per vera o per falsa. Ma, se l'ipotesi a è vera, e l'ultima proposizione da essa dedotta - dicasi n - venga conosciuta per vera, l'analisi del problema essendo così compiuta, resta a fare la sintesi, per il che si richiede che tutti i passaggi della deduzione vengano invertiti, sicché in ultimo a si riveli come conseguenza di n. Invece, se siamo partiti dall'ipotesi falsa a′, e da essa si sia dedotta una conseguenza n′ che venga conosciuta per falsa, la falsità di a′ resta senz'altro stabilita e quindi anche la verità di a: perciò il metodo di riduzione all'assurdo corrisponde ad un caso in cui l'analisi del problema porge da sola la risposta senza bisogno d'una sintesi integratrice. In questa osservazione rientra il valore che generalmente viene riconosciuto al nostro procedimento per la dimostrazione delle proposizioni reciproche. Per l'uso d'un simbolo designante l'assurdo o il "non-ente" vedi logica, matematica.
Bibl.: F. Enriques, Sul procedimento di riduzione all'assurdo, in Bollettino della Società Mathesis, Bologna 1919. Confronti col metodo sperimentale si trovano in P. Duhem, La théorie physique, in Revue de Philosophie, 1905, e G. Vailati, Scritti, Firenze 1911, p. 593.