Abstract
La voce esamina la struttura e la funzione del nuovo trattamento di disoccupazione, introdotto dall'art. 2 della l. 28.6.2012, n. 92 e denominato Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi). Tale prestazione è destinata a sostituire, a regime, i previgenti trattamenti, in primis quello ordinario di disoccupazione e l'indennità di mobilità; ad essa si affianca un’ulteriore indennità, la mini-Aspi, rivolta ai lavoratori con storie lavorative brevi e frammentate.
Con il dichiarato obiettivo di rendere «più efficiente, coerente ed equo» l’assetto degli ammortizzatori sociali, «in una prospettiva di universalizzazione» la l. 28.6.2012, n. 92 (art. 1, co. 1, lett. d) ha ridefinito il sistema degli strumenti di sostegno al reddito alla cessazione del rapporto di lavoro, portando a compimento il progetto riformatore più volte annunciato, e mai attuato (v. le leggi delega 17.5.1999, n. 144 e 24.12.2007, n. 247). L'esigenza di una riforma era, invero, avvertita da molto tempo, e per diverse ragioni: tra queste spiccano, da un lato, l'iniquità dell'assetto di tutele, in ragione della presenza di forti disparità di trattamento tra diverse categorie di lavoratori; dall'altro, l'esiguità dell'assetto protettivo rivolto ai soggetti sempre più esposti a frequenti mutamenti occupazionali e, dunque, a frequenti fasi di alternanza tra periodi di lavoro e di non lavoro.
Primo e condivisibile obiettivo del legislatore del 2012 è, dunque, l'introduzione di un sistema egualitario, capace di superare il previgente assetto binario delle tutele contro la disoccupazione involontaria, fondato sul trattamento di disoccupazione ordinaria e sull’indennità di mobilità; due trattamenti, questi, divergenti sotto il profilo del quantum e, soprattutto, della durata di erogazione, nettamente più favorevole per i percettori del secondo. La modalità prescelta è l’introduzione di una nuova indennità, denominata Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), disciplinata nell’art. 2 della l. n. 92/2012; la nuova misura, erogata in relazione agli eventi di disoccupazione insorti a decorrere dal 1.1.2013, si configura quale istituto cardine del nuovo sistema degli ammortizzatori sociali e sostituirà, all’esito di un periodo transitorio, il trattamento di disoccupazione non agricolo a requisiti nomali e l'indennità di mobilità, oltre che i trattamenti di disoccupazione speciali del settore edile. Nel disegno riformatore del 2012 alla nuova indennità si affianca, poi, la cd. mini-Aspi, specificamente rivolta – al pari della previgente indennità di disoccupazione con requisiti ridotti – ai lavoratori con carriere lavorative brevi e discontinue (v. infra, § 8).
Come già i primi commentatori hanno evidenziato, al mutamento nominalistico dell'istituto non è corrisposta una sua innovazione di tipo sostanziale (di un’operazione maquillage parla Liso, F., Il “nuovo” trattamento di disoccupazione, in Riv. dir. sic. soc., 2013, 1, spec. 13). A fronte di un ambizioso progetto di riordino e miglioramento delle tutele in caso di disoccupazione, la legge del 2012 opera infatti una razionalizzazione dell'esistente, facendo per lo più convergere nella nuova indennità regole già note, proprie dei due principali trattamenti in essa confluiti. La nuova disciplina si concentra prevalentemente sugli istituti nei quali si sono registrate le principali differenze normative tra il trattamento ordinario di disoccupazione e l'indennità di mobilità, introducendo soluzioni regolative che appaiono solo a tratti, e per ipotesi specifiche, effettivamente innovative. Il prodotto finale è un quadro legislativo complesso, ma non esaustivo, della nuova prestazione, da coordinarsi con l’impianto normativo previgente in materia, che resta confermato «in quanto applicabile» (co. 24-bis, dell’art. 2, introdotto dall’art. 1, co. 250, lett. e, l. 24.12.2012, n. 228; per una puntuale analisi della nuova indennità v. Bozzao, P., L'assicurazione sociale per l'impiego (Aspi), in Cinelli, M.-Ferraro, G.-Mazzotta, O., a cura di, Il nuovo mercato del lavoro. Dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Torino, 2013, 427 ss.).
Muovendo la presente analisi dal campo di applicazione soggettivo dell’Aspi, si registra la sua estensione, con formula molto ampia, a «tutti i lavoratori dipendenti» (art. 2, co. 2). E tuttavia l'impatto innovativo si rivela contenuto, soprattutto se rapportato all’obiettivo universalistico conclamato dal legislatore, il cui raggiungimento resta escluso, a priori, in ragione della tradizionale limitazione delle tutele ai soli lavoratori subordinati che perdono una precedente occupazione, e non anche a quelli che la ricercano senza successo. Si tratta, dunque, di una universalizzazione che opera «sempre nell’ambito di una sicurezza sociale occupazionale» (Treu, T., Riequilibrio delle tutele e flexicurity, in Magnani, M.-Tiraboschi M., a cura di, La nuova riforma del lavoro. Commentario alla legge 28 giugno 2012, n. 92, Milano, 2012, 24) e lascia scoperte ampie fasce di popolazione, primi tra tutti i giovani inoccupati e i disoccupati di lungo periodo, involontariamente esclusi dal mercato del lavoro. In piena sintonia con la tradizionale impostazione lavoristica, l’evento protetto dall’Aspi rimane, infatti, la disoccupazione involontaria, derivante dalla perdita di una precedente attività lavorativa: così confermandosi l'esclusione dei lavoratori occupati con contratti di lavoro a tempo parziale verticale su base annua, che continueranno a restare privi di tutela nei periodi di non lavoro connaturati al rapporto lavorativo in essere (v. già, in tal senso, C. cost., 24.3.2006, n. 121 e art. 13, co. 9, d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. in l. 14.5.2005, n. 80).
Beneficiari del nuovo trattamento di disoccupazione sono, come si è detto, tutti i lavoratori dipendenti, con indicazione di alcune categorie di lavoratori in essi espressamente ricomprese (co. 2), ovvero escluse (co. 3). Relativamente alle prime, la novità principale si rinviene nell'estensione del trattamento, oltre che agli artisti dipendenti, agli apprendisti, peraltro già beneficiari di una forma di tutela contro la disoccupazione, sia pure attraverso misure transitorie, per effetto della legislazione sugli ammortizzatori sociali in deroga degli anni passati. Si tratta di una previsione in linea con l’incentivazione legislativa di tale tipologia contrattuale, specie nella versione professionalizzante, in virtù della sua configurazione – sintonica alle più virtuose esperienze europee - quale istituto principale per il passaggio dei giovani dalla scuola al mercato del lavoro. Di rilievo è poi la ricomprensione, nell'ambito di applicazione dell'Aspi, dei soci lavoratori di cooperativa titolari di un rapporto di lavoro subordinato, già generalmente beneficiari del trattamento di disoccupazione (art. 24, co. 2, l. 24.6.1997, n. 196), seppure con alcune significative eccezioni, che vengono ora superate.
Restano invece espressamente esclusi dalla nuova indennità non solo gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato, ma anche il personale delle Pubbliche Amministrazioni, relativamente ai dipendenti a tempo indeterminato; si conferma così l'estensione della tutela al personale a tempo determinato del pubblico impiego, ivi compresi i lavoratori precari del comparto scuola. A fronte di alcune incertezze iniziali, la nuova indennità non si applica ai collaboratori a progetto, per i quali la l. n. 92/2012 conferma – stabilizzandolo, ma sempre entro determinati vincoli di risorse - il regime di tutela separato già previsto in via sperimentale dalla l. n. 2/2009 e s.m.i.
Relativamente ai requisiti di accesso all’Aspi, la legge del 2012 conferma quelli vigenti per il trattamento ordinario di disoccupazione, continuando ad essere richiesti due anni di anzianità assicurativa e almeno un anno di contribuzione nell’ultimo biennio, con tutte le difficoltà che da ciò discendono sia per i lavoratori occupati per brevi periodi temporali (qualora non soddisfino neanche i requisiti di accesso alla mini-Aspi), sia – ovviamente – per chi svolge attività lavorativa attraverso rapporti esclusi dall’assicurazione. Il riconoscimento (e la fruizione: art. 2, co. 14) dell’Aspi è altresì subordinato al possesso – ed alla permanenza – dello stato di disoccupazione ai sensi della normativa in materia di servizi all’impiego (d.lgs. 21.4.2000, n. 181 e s.m.i), alla cui perdita è prevista la decadenza dal trattamento previdenziale (art. 2, co. 40); le innovazioni introdotte dal legislatore del 2012, anche in materia di incontro tra domanda e offerta di lavoro (art. 4) enfatizzano il già stringente collegamento tra fruizione del trattamento di disoccupazione, perdita dello stato di disoccupazione e politiche di attivazione per la riqualificazione e riallocazione lavorativa, nell’evidente finalità di promuovere il reinserimento occupazionale e contrastare, quanto più possibile, abusi e disincentivi connessi con il godimento dei sussidi.
Restano esclusi dalla fruizione dell'Aspi i lavoratori cessati dal lavoro per dimissioni o per risoluzione consensuale del rapporto (co. 5). Sotto il primo aspetto, nel silenzio del legislatore ma in ragione del rilievo dei beni protetti, deve ritenersi ancora operante la tutela riconosciuta in caso sia di dimissioni per maternità, sia di dimissioni per giusta causa, come tali intendendosi quelle non riconducibili alla libera scelta del lavoratore, in quanto indotte da comportamenti altrui idonei ad integrare la condizione della improseguibilità del rapporto (C. cost., 24.6.2002, n. 269). Relativamente alla risoluzione consensuale del rapporto, la legge fa espressamente salva la sola ipotesi in cui questa sia intervenuta nell’ambito della procedura conciliativa presso la direzione territoriale del lavoro, da attivarsi qualora il datore di lavoro intenda procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 1, co. 40, l. n. 92/2012; per ulteriori ipotesi, v. la Circ. Inps n. 142/2012).
L’Aspi subentra in modo graduale al trattamento ordinario di disoccupazione e all’indennità di mobilità (nonché al trattamento speciale di disoccupazione per i lavoratori dell’edilizia). Il nuovo istituto, entrato in vigore il 1° gennaio 2013, opera infatti con modalità diversificate a seconda dell’età anagrafica del beneficiario e dell’anno in cui vi si accede: la durata delle prestazioni aumenta gradualmente fino a raggiungere, il 1.1.2016, l'assetto definitivo, consistente in un trattamento spettante per 12 mesi ai lavoratori con meno di 55 anni e per 18 mesi ai lavoratori con più di 55 anni (per questi ultimi prevedendosi – in ragione del carattere marcatamente assicurativo del trattamento – che la durata dell’indennità sia soggetta al limite delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni). Da sottolinearsi è l'elevazione dell'età di riferimento (da 50) a 55 anni, che tiene conto dell'effetto indotto derivante dall'incremento dei requisiti di accesso al pensionamento, operato dalla riforma pensionistica del dicembre 2011.
L’indennità di mobilità resta solo temporaneamente in vigore e la durata di godimento della prestazione viene progressivamente ridotta; a decorrere dal 1.1.2017 le norme che disciplinano la materia saranno abrogate e tutti i lavoratori accederanno all’Aspi. La modulazione decrescente delle durate di erogazione, che riguarderà tutti i lavoratori collocati in mobilità entro il 31.12.2016, sconta indubbiamente i rilevanti problemi – derivanti dall'abolizione dell'istituto – nella gestione degli esuberi di personale e, in particolare, nell'accompagnamento dei lavoratori anziani verso il pensionamento; da qui la necessità di una gestione soft della sua abrogazione, che di fatto consentirà ai lavoratori over cinquanta occupati nelle aree del Mezzogiorno di poter beneficiare di tale trattamento fino a tutto il 2018.
Solo per gli eventi di disoccupazione con decorrenza successiva al 1.1.2017, dunque, potrà parlarsi di vera omogeneizzazione ed uniformità, con evidente penalizzazione degli ex percettori dell’indennità di mobilità (che potevano beneficiare di tale trattamento fino a 48 mesi, in ragione dell’età anagrafica del beneficiario e dell’area territoriale in cui è ubicata l’azienda) e sensibile miglioramento nella durata di percezione del trattamento previdenziale per i disoccupati “ordinari” (che potevano beneficiare del relativo trattamento per un massimo di 8/12 mesi, in ragione del superamento o meno della soglia anagrafica dei 50 anni), soprattutto se di età inferiore ai 50 anni o superiore ai 55 (nel primo caso, l’incremento è pari a 4 mesi; nel secondo, a 6).
Molteplici innovazioni si registrano con riferimento alle modalità di calcolo della nuova prestazione. Cambia, innanzitutto, l’arco temporale di riferimento per la identificazione della retribuzione parametro ai fini del calcolo dell’Aspi; dalla retribuzione media degli ultimi tre mesi precedenti l'inizio della disoccupazione si passa, ora, alla retribuzione imponibile media degli ultimi due anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33; in sostanza, l’importo dell’Aspi viene direttamente correlato alle settimane di contribuzione versate nel biennio, così accentuandosi la natura contributivo-assicurativa del nuovo istituto. L'ampliamento dell'arco temporale di riferimento per la identificazione della base retributiva di calcolo riflette, dunque, la storia lavorativa del beneficiario nell’ultimo biennio, con un impatto tendenzialmente sfavorevole per i lavoratori caratterizzati da una maggiore stabilità lavorativa (per la negativa influenza che può esercitare la dinamica salariale), ma con esiti del tutto variabili relativamente ai lavoratori occupati in attività discontinue. All'allungamento del periodo retributivo di riferimento si affianca, poi, l'identificazione degli emolumenti che andranno a comporre la retribuzione parametro per il calcolo dell'Aspi, «comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive». L'ampiezza della formula utilizzata, seppure di incerta portata normativa, consente di allargare la base imponibile cui rapportare la nuova indennità, facendovi rientrare anche gli elementi retributivi di carattere non continuativo, ad oggi esclusi, con conseguente arricchimento del quantum previdenziale riconosciuto al disoccupato.
La seconda novità investe la percentuale di calcolo del trattamento, che viene portata al 75% della retribuzione, nel limite di una soglia reddituale annualmente rivalutata e pari, per il 2014, a 1.192,98 € mensili; per gli importi retributivi più elevati, è previsto un incremento pari al 25% del differenziale tra l'importo della retribuzione mensile e il predetto importo. Seguendo una linea di politica legislativa già consolidata nel corso degli ultimi anni, finalizzata ad incentivare la ricerca di una nuova occupazione, si ripropone l’idea del decalage del trattamento nel tempo, prevedendosi che l’entità della prestazione subisca una decurtazione del 15% dopo il sesto mese e (limitatamente ai lavoratori ultracinquantacinquenni) di un altro 15% dopo il dodicesimo. Nel complesso, le nuove previsioni – cui si aggiunge l’eliminazione del massimale mensile cd. basso (969,77 €) – comportano un rafforzamento della misura del trattamento previdenziale goduto dal disoccupato, che non può comunque superare il massimale mensile (ora unico) pari, per il 2014, a 1.165,58 €.
Le innovazioni richiamate nei paragrafi precedenti si riflettono, poi, sulla contribuzione figurativa riconosciuta durante i periodi di fruizione dell’Aspi. Ciò vale, innanzitutto, per il prolungamento del periodo di godimento della nuova indennità, dal momento che la contribuzione figurativa sarà riconosciuta per l’intera durata di fruizione dell’Aspi, con conseguente effetto di arricchimento del montante contributivo individuale che – ormai con effetto generalizzato, a seguito della estensione del sistema di calcolo contributivo a tutte le anzianità contributive maturate successivamente al 1.1.2012 (art. 24, co. 2, d.l. 6.12.2011, n. 201, conv. in l. 22.12.2011, n. 214) – darà luogo alla determinazione del trattamento pensionistico. Ulteriore riflesso si rinviene, poi, nell’allineamento della base retributiva di calcolo della contribuzione figurativa con quella richiesta ai fini del calcolo del trattamento previdenziale; la ratio della nuova norma è, dunque, quella di legare il valore della settimana figurativa all'importo dell'ampia retribuzione imponibile media percepita nell'ultimo biennio, alla quale è rapportata la misura dell'Aspi. Dalla razionalizzazione – nel senso della uniformazione – delle due basi di calcolo discende non solo la ridefinizione del periodo retributivo utile ai fini della determinazione del valore da attribuire alla settimana figurativa (valore fino ad oggi calcolato sula media delle retribuzioni settimanali percepite nell’anno solare nel quale si colloca l’accredito figurativo: art. 8, co. 1, l. 23.4.1981, n. 155); ma, altresì, l'identificazione delle voci retributive su cui calcolare tale valore, ora coincidenti con quelle riconducibili alla nozione di retribuzione imponibile, nella nuova formulazione cui già si è fatto cenno. Deve, infine, essere accolta positivamente la previsione con cui si dispone l’utilizzabilità dei contributi figurativi ai fini del diritto e della misura di tutti i trattamenti pensionistici, salvo là dove sia richiesto il computo della contribuzione effettivamente versata (v., ad es., i casi previsti dall’art. 24, co. 7 e 11, d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011).
Nuove previsioni disciplinano la possibilità, da parte del beneficiario dell'Aspi, di svolgere un’occupazione, sia di tipo subordinato che autonomo, senza decadere dal diritto al trattamento. Si tratta, nel complesso, di una regolamentazione opportuna, se si considera che l’attuale assetto regolativo in materia è contenuto, per lo più, in atti amministrativi del Ministero del lavoro e dell’Ente previdenziale, anche molto risalenti nel tempo.
Il nuovo quadro legislativo, contenuto nei co. da 15 a 19 dell’art. 2, l. n. 92/2012, introduce una disciplina mutuata, nel suo impianto complessivo, da quella già in vigore per l'indennità di mobilità, con alcuni adattamenti dettati dal necessario coordinamento con l’assetto normativo in materia di politiche attive del lavoro.
Il co. 15 riconosce, innanzitutto, la sospensione d'ufficio del trattamento in caso di nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato, «fino ad un massimo di sei mesi»; al termine di un periodo lavorativo inferiore ai sei mesi, l'indennità ricomincia a decorrere dal momento in cui era rimasta sospesa, con utilizzabilità, ai fini di un nuovo trattamento nell’ambito dell’Aspi o della mini-Aspi, dei periodi contributivi connaturati al rapporto lavorativo che ha determinato la sospensione (così il successivo co. 16). Ribadito dunque il principio della incompatibilità tra retribuzione da lavoro subordinato e percezione del trattamento di disoccupazione, la norma in esame – relativamente alla disciplina in materia di indennità ordinaria di disoccupazione – introduce un maggiore margine di tolleranza verso lo svolgimento medio tempore di lavori di breve durata, rinvenibile nell'ampliamento di tale periodo lavorativo dalle (previgenti) cinque giornate a sei mesi, con slittamento della data di fine prestazione. La dilatazione temporale sottende una chiara finalità antielusiva, nella consapevolezza della presenza di un mercato del lavoro sempre più caratterizzato dalla discontinuità lavorativa e dalla frequente alternanza di periodi di lavoro e di non lavoro, derivante dall’utilizzo di rapporti lavorativi flessibili ampiamente diffusi in tutti i settori produttivi e spesso di breve durata. La nuova disciplina ben si raccorda con quella in materia di politiche attive, risultante dal nuovo testo dell'art. 4, co. 1, del d.lgs. n. 181/2000, come modificato dall'art. 4, co. 33, lett. c) della legge in esame; tale norma infatti, nel ridisciplinare le vicende dello stato di disoccupazione valevole ai fini dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, ne dispone la sospensione in caso di lavoro subordinato di durata inferiore a sei mesi. Ne discende che, se il lavoro subordinato ha una durata inferiore a sei mesi, sono sospesi sia lo stato di disoccupazione, sia il trattamento economico di sostegno al reddito; se il periodo lavorativo eccede i sei mesi, si perde il primo e si decade dal secondo.
A fronte della incumulabilità totale tra trattamento di disoccupazione e reddito da lavoro subordinato, la legge riconosce un regime di cumulabilità parziale nel caso in cui il beneficiario dell' Aspi si rioccupi in un'attività lavorativa in forma autonoma. Il co. 17 dispone, infatti, che qualora da tale attività derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione di cui all’art. 4, lett. a), d.lgs. n. 181/2000 (norma, quest’ultima, prima abrogata dall’art. 4, co. 33, lett. c, n. 1), l. n. 92/2012, poi opportunamente rivitalizzata dal legislatore del 2013), l’INPS – prontamente informato dal potenziale beneficiario circa l'inizio della nuova occupazione e l'importo del reddito preventivato – ridurrà l’indennità per un importo pari all’80 per cento del reddito che il lavoratore prevede di percepire dal nuovo lavoro, con successivo conguaglio sulla base della dichiarazione dei redditi (o di autocertificazione, se manca tale dichiarazione). Si tratta di disposizione che rischia, in realtà, di alimentare il fenomeno del lavoro sommerso, già molto diffuso nelle occupazioni di modesto importo. Ed infatti, nel caso in cui il disoccupato svolga un lavoro autonomo produttivo di un reddito inferiore a tali soglie, i benefici derivanti dal co. 17 risultano più apparenti che reali: ciò non solo in ragione dell'elevata decurtazione che colpisce l'importo dell'Aspi, ma altresì della penalizzazione che ne deriva in termini di mancato accredito della contribuzione i.v.s. che dovrà, comunque, essere versata in relazione all’attività di lavoro autonomo. Nella direzione del contrasto ai piccoli lavori sommersi si muove, invece, la norma – introdotta in via sperimentale per il 2009, ed annualmente prorogata – che consente ai percettori di trattamenti di sostegno al reddito lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio, in tutti i settori produttivi (compresi gli enti locali), nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, provvedendo poi l’INPS a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio. In tal modo, il lavoratore accessorio conserva il diritto a percepire il trattamento previdenziale, e con esso può cumulare i compensi derivanti da lavoretti saltuari, di importo modesto e svolti con carattere di occasionalità.
Mutuate dalla disciplina in vigore per l’indennità di mobilità sono, infine, due previsioni contenute nell’art. 2 della l. n. 92/2012, la prima con carattere sperimentale, la seconda permanente, finalizzate ad incentivare l’utilizzo dell’Aspi per finalità di tipo occupazionale.
Con la prima previsione, introdotta dal co. 19 per il triennio 2013-2015, si consente al disoccupato – al dichiarato fine di sostenere iniziative di autoimprenditorialità, come anche la rioccupazione in nuovi settori professionali – di richiedere l’anticipazione dell’indennità (ovvero delle residue mensilità) in un’unica soluzione. La possibilità di optare per la capitalizzazione del trattamento previdenziale, in luogo della tradizionale erogazione in forma di prestazione periodica, è però riconosciuta entro un plafond massimo di spesa, pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni di sperimentazione, rinviandosi ad apposito decreto ministeriale la determinazione dei limiti, condizioni e modalità attuative. La seconda misura, di recente introduzione (co. 10-bis, introdotto dall’art. 7, co. 5, lett. b, d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. in l. 9.8.2013, n. 99) riconosce una dote economica al datore di lavoro che, senza esservi tenuto, assuma a tempo pieno e indeterminato i beneficiari dell’Aspi; con disposizione analoga a quella già dettata per l’indennità di mobilità (art. 8, co. 4 e 4-bis, l. 23.7.1991, n. 223), al datore viene infatti concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento dell’Aspi residua che sarebbe spettata al lavoratore.
ll finanziamento delle nuove indennità si realizza, oggi, attraverso tre tipi di contribuzione: una prima ordinaria, con carattere generale (pari all’1,61%, con riduzioni per i lavoratori della piccola e media impresa e per i lavoratori soci di cooperativa), le altre due straordinarie, applicabili al verificarsi di particolari condizioni. Rileva richiamare, innanzitutto, il nuovo contributo addizionale dell’1,4% per i rapporti di lavoro subordinato «non a tempo indeterminato», finalizzato a far sopportare al datore di lavoro la maggiore aleatorietà lavorativa del soggetto assunto con contratto a termine; tale contributo non è dovuto per alcune particolari tipologie di lavoratori (gli apprendisti; i lavoratori del pubblico impiego, i lavoratori assunti in sostituzione di lavoratori assenti e i lavoratori assunti a termine per attività stagionali), mentre – con chiara finalità incentivante – ne è previsto il recupero in caso di stabilizzazione professionale del lavoratore in ambito aziendale (art. 2, co. 30, modificato dall’art. 1, co. 135, l. 27.12.2013, n. 147). La seconda aliquota contributiva eventuale dovrà essere versata una tantum all'Inps nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’Aspi: la misura del contributo, a carico del datore di lavoro, è pari al 41% del massimale mensile del trattamento Aspi per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni (co. 31, sostituito dall’art. 1, co. 250, lett. f, l. 24.12.2012, n. 228). Sono previste particolari ipotesi temporanee di esonero da tale versamento contributivo, nonché inasprimenti di importo nel caso di estinzioni riferibili alle procedure di licenziamento collettivo svolte senza accordo sindacale.
La disciplina sostanziale dell'Aspi fin qui ricostruita trova – con pochi scostamenti - applicazione anche nei confronti della mini-Aspi, che con l'Aspi condivide, ora, sia la struttura che la funzione. Il trattamento in esame sostituisce, innovandone profondamente la struttura, la previgente indennità di disoccupazione cd. con requisiti ridotti, a tutela dei lavoratori che non soddisfano i requisiti per accedere all'Aspi. È appena il caso di ricordare che il trattamento con requisiti ridotti, introdotto con la l. 20.5.1988, n. 160, ha consentito di fornire una copertura previdenziale ai lavoratori stagionali e precari extra-agricoli in grado di soddisfare un requisito lavorativo ridotto, in mancanza di quello ordinario di un anno di contribuzione nel biennio. Così, fermo restando il requisito dell’anzianità assicurativa biennale, è stato riconosciuto il diritto al trattamento a condizione che il lavoratore avesse prestato nell’anno solare precedente almeno 78 giorni di attività lavorativa, assoggettati a contribuzione per l’assicurazione obbligatoria. Il trattamento economico, cui risultava speculare – ai fini della maturazione dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico – il beneficio della contribuzione figurativa, era pari al 35% della retribuzione percepita nell’anno precedente a quello della richiesta per i primi 120 giorni, elevato al 40% fino al 180° giorno. L’indennità era riconosciuta a prescindere non solo dalla condizione occupazionale del beneficiario nell’anno di fruizione del trattamento ma anche dall’accertamento della volontarietà o meno della sua condizione di sottoccupazione; erogata dall’INPS in un’unica soluzione nell’anno successivo a quello in cui si è verificata la disoccupazione, consisteva, in sostanza, in una forma di sostegno economico al fenomeno della sottoccupazione, riconoscendosi ai lavoratori di tutti i settori produttivi (esclusa l’edilizia e l’agricoltura) esposti alla discontinuità lavorativa un reddito integrativo di quello relativo all’anno precedente.
Delineati sinteticamente i caratteri essenziali dell’istituto, la l. n. 92/2012 si preoccupa, innanzitutto, di introdurre un significativo ampliamento della platea dei beneficiari, dal momento che la mini-Aspi sarà riconosciuta – per i nuovi eventi di disoccupazione che si verificano dopo il 1° gennaio 2013 – ai lavoratori che possano far valere esclusivamente 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi, non essendo più richiesto il requisito dei due anni di anzianità assicurativa. L’ampliamento della tutela si realizza quindi attraverso una anticipazione della possibilità di accedere al trattamento, che probabilmente favorirà sopratutto i giovani (per effetto di tale innovazione, si stima un incremento del 10-15% di ricorso all’istituto). A differenza di quanto previsto dalla previgente normativa, la nuova indennità – al pari dell’Aspi – è condizionata alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione e viene erogata non più a consuntivo, nell’anno successivo quello in cui si è prestata l’attività lavorativa, ma nel momento dell’occorrenza del periodo di disoccupazione. Sotto il profilo del quantum della prestazione, si estendono le più vantaggiose disposizioni introdotte per l’Aspi, con un sostanziale raddoppio dell’importo dell’indennità giornaliera. Cambia poi in modo rilevante la durata di fruizione del trattamento, che sarà pari alla metà delle settimane di contribuzione nell’ultimo anno, dal quale si detraggono gli eventuali periodi di indennità di cui si è già usufruito: il che comporta, di fatto, il dimezzamento della durata di erogazione del nuovo trattamento rispetto alla previgente disciplina (con conseguente contenimento degli oneri per la contribuzione figurativa e degli assegni familiari).
Art. 2, l. 28.6.2012, n. 92
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