ASPENDOS (῎Ασπενδος, Aspēndus)
Città della Panfilia (Asia Minore), presso il luogo del moderno villaggio di Balkiz, sulla riva destra dell'Eurimedonte (l'odierno Köprüsu), fiume che nell'antichità era navigabile, probabilmente anche da grosse navi, sino alla città, che del resto non distava molto dalla foce (cfr. Tuc., viii, 87; Scyl., 101; Str., xiv, 667). Fondata da Argivi (Str., l. c.; Mela, i, 78) sembra non abbia mantenuto a lungo il carattere di città greca: sulle monete, ad esempio, fin circa il 300 a. C. compare la leggenda ΕΣΤFΕΔΙΙΥΣ, Estvediiys, forma indigena che stava alla base dell'adattamento greco. Conquistata da Alessandro Magno, fece in seguito parte del dominio dei Tolomei, e poi di quello degli Attàlidi, nel cui regno rimase come città quasi indipendente, finché, nel 133 a. C., passò sotto i Romani. Nella tarda antichità appare anche con il nome di Primopolis (Hierocles, 682, 1; Ramsay, Asia Minor, pp. 415-16). Popolosa città, dal commercio attivissimo, dovette essere presto ricca e potente come attestano le pregevoli serie di monete d'argento emesse fin dal V sec. a. C. Tale floridezza si mantenne a lungo (Cicerone, In Verrem, ii, 1, 20 la dice oppidum... plenissimum signorum optimorum) e, sotto l'Impero, fu una della più prospere città d'Asia Minore. Batté moneta fino all'età di Gallieno. A. non è stata oggetto, fino ad oggi, di scavi sistematici ma le sue imponenti rovine - risalenti quasi tutte ad età romana - furono rilevate, nel loro complesso, già alla fine del secolo scorso, da un gruppo di archeologi austriaci sotto la direzione del Lanckoronski. L'acropoli, alta circa 60 m s. m., è disposta su due colline - una molto più bassa dell'altra - e sembra fosse fortificata solo in corrispondenza degli accessi naturali (l'ingresso principale era a S). Essa ci conserva un interessante esempio di Foro provinciale d'età imperiale: un'ampia piazza rettangolare con l'asse maggiore orientato N-S, bordata su tre lati da edifici pubblici, a O da Tabernae precedute da un portico, a E dalla basilica forse ornata anch'essa da un portico sulla piazza, a N da un ninfeo, e che presenta sul quarto, a S, un ingresso monumentale.
Sul lato O si estendeva l'edificio del mercato, una costruzione originariamente a più piani, lunga 70 m e divisa in 15 ambienti che affacciavano su un portico a colonne che costituiva il prospetto dell'edificio sulla piazza. Su quello N, un ninfeo (prima che esso fosse costruito la piazza era limitata da questo lato da un odeon), lungo m 32,50 e alto 15, era decorato nella parete verso il Foro con due serie di cinque nicchie sovrapposte, di cui quelle inferiori erano inquadrate da colonne corinzie poste su sei basamenti rettangolari. Riccamente decorati con ornati floreali erano sia la trabeazione che correva continua sulle colonne e sulle nicchie più basse, sia il cornicione. Sul lato E, sorgeva una lunga basilica (m 105,48 × 26,90), a tre navate intere, più una quarta lunga 2/3 delle altre che corre sul lato della piazza fino all'altezza del ninfeo. Ad essa si accedeva da N, mediante tre passaggi ad arco che danno sull'asse maggiore e da un imponente vestibolo, ancora in piedi fino a 18 m di altezza All'estremità N-O dell'acropoli perviene un grandioso acquedotto che, su alte arcate, portava l'acqua ad A. dal N e del quale restano imponentissime rovine. Sappiamo che fu eretto per la munificenza di un Ti. Claudio Erymneo (Bull. Corr. Hell., x, p. 160, 8) ed è databile al I sec. d. C. Infine, incassato nella roccia delle pendici orientali dell'acropoli, si trova il teatro, dell'età di Antonino Pio, che, come ci dicono le iscrizioni, è opera di un non meglio noto Zenon e fu costruito a spese di A. Curzio Crispino Arrunziano e di A. Curzio Auspicato Titinniano (C. I. L., iii, 231 a-B; C. I. G., 4342 d; e 4342 d 2-3-4). Ben conservato, esso costituisce il monumento più noto di A. ed uno dei migliori esempi di teatro romano. Scena e cavea sono qui singolarmente unite in unico muro. La scena, che era lunga m 62,40 e profonda m 4,10, presenta una fronte alta m 20,50, divisa in due piani mediante coppie di colonne ioniche (in basso) e corinzie (in alto), queste ultime coronate da timpani triangolari e semicircolari. Numerose piccole nicchie davano aspetto mosso a tutta la fronte ed accoglievano parte della ricchissima decorazione scultorea. La cavea, un semicerchio di m 95,48 di diametro, divisa in due da un unico diàzoma, aveva 40 file di gradini ed era conchiusa in alto da una serie di imponenti arcate decorate da semicolonne; poteva contenere sino a 7000 persone. A N del teatro si trovano gli avanzi di un ampio stadio, mentre di un ippodromo resta menzione in due iscrizioni (C. I. G., 4342 d; 4342 d3). A S del teatro sono ancora da ricordare due edifici termali che facevano parte della città bassa, gli avanzi della quale sembrano anch'essi tutti di età imperiale. Al II sec. a. C., e forse anche più in alto, rimontano invece alcune delle caratteristiche piccole stele sepolcrali rinvenute lungo la via dei sepolcri che veniva da N e costeggiava la città presso lo stadio.
Bibl.: K. Lanckoronski, Staedte Pamphyliens und Pisidiens, I, Vienna 1890, pp. 85-124 e 179-184 (silloge epigrafica); tavv. XVI-XXVIII; W. Ruge, in Pauly-Wissowa, II, 1896, c. 1725, s. v.; V. B. Head, Historia numorum, Oxford 1911, p. 699 ss.; R. Duyuran, Le rovine dell'Anatolia occidentale, Ankara 1952, p. 27 ss.; R. Martin, Recherches sur l'agora grecque, Parigi 1951, p. 515; id., L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, pp. 161, 283; J. B. Ward Perkins, The Aqueduct of A., in Papes of the Brit. School Rome, XXIII, 1955, pp. 115-123.