ASPARE (Flavius Ardabur Aspar)
Console per l'Occidente del 434.
Figlio di Ardaburio, come il padre apparteneva alla setta ariana. Si sposò tre volte: la terza volta con la sorella di Teodosio Strabone, capo degli Ostrogoti in Tracia. Egli era inoltre imparentato a Plinta (console del 419) e ad Areobindo (v.), cosicché egli si trovava in rapporto di parentela con quasi tutte le famiglie di origine germanica che occupavano posizioni eminenti nell'Impero d'Oriente. Nel 425 combatteva con il padre nella guerra provocata dall'usurpatore Giovanni, dal 431 fu in Africa in guerra contro i Vandali; nel 434, probabilmente mentre si trovava a Cartagine, una delle ultime città che avrebbero resistito ai Vandali, fu nominato console dall'imperatore d'Occidente. Più tardi fu in contrasto con l'imperatore d'Oriente Leone, per ordine del quale fu ucciso nel 471. Dal terzo matrimonio gli era nato Ardaburio iunior, che fu pretore nel 434.
È a lui intitolato un missorium argenteo nel Museo Arch. di Firenze. Intorno al bordo del piatto corre l'iscrizione: flavius ardabur aspar vir inlvstris comes et magister militvm et consul ordinarivs ???SIM-08???. Al centro del clipeo è raffigurato il gruppo di A., barbato, e del figlio Ardaburio iunior, sbarbato e di proporzioni notevolmente più piccole di quelle del padre; entrambi hanno in mano la mappa e A., che è seduto sulla sella curulis, è nell'atto di lanciarla per aprire i giochi circensi. Egli ha nella sinistra lo scettro, sormontato dai busti di Teodosio Il, barbato, e di Valentiniano III, allora ancora imberbe, e posa i piedi su di una grande pedana, che copre in parte alla vista il trono e su cui sta anche il giovane Ardaburio. Ai lati del gruppo sono due personificazioni: la figura alla sinistra di chi guarda si riconosce facilmente per Roma (Riegl: Achille), per il costume amazzonico, la sfera che ha in mano, il fascio cui si appoggia con la destra (per il tipo del fascio, cfr. asturio, colonna di Arcadio, ecc.); l'altra è stata variamente identificata (Ravenna, per T. Reinach; Costantinopoli per R. Delbrück), ma dato che la sua effigie, (figura vestita, con in capo una corona di fiori e fiori nella sinistra), corrisponde a immagini di Alessandria, è stato proposto (Stern) di riconoscervi la personificazione di una città africana, probabilmente della stessa Cartagine, la città che A. difendeva al momento in cui venne elevato al consolato. Il programma militare del clipeo è confermato anche dagli scudi gettati ai piedi del console, quali premi di vittoria, e lo stesso missorium, secondo il Delbrück, poteva essere stato un segno del riconoscimento dei meriti militari di Aspare.
Ardaburio iunior è identificato dalla scritta: ardabvr ivnior pretor posta sul suo capo; le scritte ardabur e plinta designano due busti entro clipei posti in alto nel missorium; i due personaggi sono diademati ed hanno entrambi lo scettro con i busti di Teodosio II e di Valentiniano III (anche qui il primo si distingue dalla barba). Tra i due busti è sospeso un drappo, che viene interpretato, dal Delbrück, come una mappa spiegata. Il clipeo fu rinvenuto presso Orbetello nel 1750.
Al nome di A. sembra debba essere ricollegato, per via di un'iscrizione, il celebre mosaico di Antiochia-Yakto (sull'Oronte) con scene di caccia e con al centro il clipeo con la figura di Megalopsychìa nell'atto di compiere la sparsio. I giochi del circo e l'atto ufficiale di Megalopsychìa si riferirebbero a una manifestazione del consolato di Aspare.
Bibl.: Su A., v. O. Seeck, in Pauly-Wissowa, II, c. 607 ss., s. v. Ardabur, 2, con ampî riferimenti alla bibl. precedente (1896). Sul missorium: Bracci, Dissertazione sopra un clipeo votivo spettante alla famiglia Ardaburia, 1771; T. Reinach, Rép. rel., III, 40, 1; H. Gräven, in Röm. Mitt., 1913, pp. 204-247; L. Milani, Il R. Museo Archeologico di Firenze, I, p. 172, n. 2588; II, p. 30, tav. 132; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, Torino 1927, p. 331; R. Delbrück, Die Consulardiptychen, Berlino-Lipsia 1929, p. 154 ss.; A. Riegl, Industria artistica tardoromana (trad. ital.), Firenze 1953, pp. 210, 333; H. Stern, Le Calendrier de 354. Parigi 1953, p. 140 ss. Sul rapporto tra il mosaico di Yakto e A.: H. Seyrig, in Berytus, II, 1935, pp. 42-50; H. Stern, op. cit., p. 157.