GANDOLFO, Asclepia
Nacque a Porto Maurizio (oggi Imperia) il 22 luglio 1864 da Giuseppe e Carolina Callini. Diplomatosi ragioniere, dopo una brevissima esperienza lavorativa scelse la carriera delle armi, frequentando la Scuola militare di Modena da cui uscì, nel 1885, sottotenente di fanteria. Destinato all'87° reggimento, divenne tenente nel 1888 per essere trasferito, nel 1893, al 64°; promosso, a scelta, capitano nel 1898, passò al 12° reggimento bersaglieri. Nel 1902 fu alla scuola di tiro di Parma come insegnante di tattica, rimanendovi per cinque anni. Nel 1907 tornò al comando di truppe, al I battaglione bersaglieri ciclisti allora costituito in via di esperimento, e contribuì allo sviluppo di questa specialità, dando un notevole apporto alla regolamentazione del suo impiego. Nel 1909 fu per un anno aiutante di campo nella brigata di fanteria "Regina" per poi passare, come insegnante titolare di geografia, alla Scuola militare di Modena dove, nel 1911, fu promosso maggiore. Ormai tenente colonnello, nell'aprile 1915 raggiunse al fronte il 10° reggimento fanteria "Regina" assumendone il comando e venendo promosso colonnello all'inizio del 1916.
All'alba del 29 giugno di quell'anno, nella zona di Bosco Cappuccio sulle pendici del San Michele, gli Austriaci lanciarono un attacco, preceduto da un lancio di gas asfissianti, che causò circa 2000 vittime, inducendo i sopravvissuti a ripiegare. In questa circostanza il G., spronando i superstiti, riuscì a riprendere le posizioni abbandonate e, successivamente, a ricacciare il nemico che stava occupando il terreno adiacente. Per il comportamento tenuto nel corso della giornata il reggimento ottenne la medaglia d'oro e il G. la promozione a maggior generale per meriti di guerra, ma contrasse anche un'intossicazione da cloro di cui in seguito risentì pesantemente.
Rimasto sul fronte del Carso al comando della brigata "Pisa" il G., alla fine del 1916, aveva meritato il cavalierato dell'Ordine militare di Savoia, due medaglie d'argento e l'incarico del grado superiore. Quando la sua brigata, nel giugno 1917, venne ritirata da quel fronte, il G., invece, vi restò, alla testa della 31ª divisione, in difesa del tratto tra Faiti e Vippacco, riuscendo a mantenere le posizioni anche nella fase iniziale dell'offensiva austriaca di ottobre; ricevette, infine, l'ordine di rientrare a Cividale per assumere il comando del IV corpo d'armata che si ritirava dalla Val Natisone: constatata la difficile situazione del suo comando, in cinque giorni riuscì a condurre in salvo le truppe al di là del Tagliamento.
Dopo un breve periodo presso l'XI corpo d'armata, il G. venne incaricato del comando dell'VIII, assegnato a difesa del settore del Montello e dei ponti della Priula, che ebbe cura di rinforzare e potenziare.
Così, nel giugno 1918, appena promosso tenente generale, fu in grado di assorbire l'urto dell'ultima offensiva austriaca, respingendo il nemico oltre il Piave, dopo nove giorni di combattimento che gli valsero la promozione a ufficiale dell'Ordine militare di Savoia.
Durante l'offensiva di Vittorio Veneto, l'VIII corpo d'armata riuscì ad attraversare il Piave soltanto dopo molti tentativi; tuttavia il G. dovette cederne il comando per l'aggravarsi dei postumi delle lesioni alla gola causategli dal gas. Ripresosi, fu al comando del XXVI con il quale inseguì il nemico, ormai in rotta, sino a Fiume dove giunse il 17 nov. 1918. L'anno seguente, nel settembre 1919, il G., sempre alla testa del XXVI, non contrastò efficacemente G. D'Annunzio in occasione della marcia di Ronchi, evitando di impartire ai propri uomini l'ordine di sparare.
Messo a disposizione il 10 dicembre di quell'anno, venne contemporaneamente insignito motu proprio dal re della croce dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per le speciali benemerenze acquisite nel corso della guerra. Quando poi il governo Nitti decise d'aprire un'inchiesta sul suo operato nelle circostanze della marcia di Ronchi il G., nel luglio 1920, chiese di essere posto in "posizione ausiliaria speciale", ritirandosi a Oneglia. Qui venne ben presto contattato da elementi del Fascio locale che gli chiesero di mettersi alla loro testa, consci del prestigio e della capacità di attrazione del G. tra gli ex combattenti e non solo fra costoro.
La sua partecipazione alla lotta politica si fece sempre più intensa, specie durante la campagna elettorale del 1921, che lo vide sconfitto per poche centinaia di voti. A livello centrale ci si avvalse del suo apporto e della sua esperienza per quanto riguardava l'ordinamento e la "regolarizzazione" delle squadre d'azione e fu presso la sua residenza, a Oneglia, che venne redatto - con la collaborazione di I. Balbo e di D. Perrone Compagni - il primo regolamento delle camicie nere; a questo proposito è da ascrivere al G. il richiamo all'ordinamento militare dell'antica Roma in rapporto alle formazioni fasciste, come riconobbe lo stesso B. Mussolini nell'o.d.g. del 20 apr. 1925, rivolto alle legioni della milizia della Lombardia. In questo periodo il G., fra l'altro nominato ispettore generale delle formazioni fasciste del Nordovest, ebbe anche modo di esprimersi sul più ampio tema del riordinamento delle forze armate, schierandosi tra i fautori dell'esercito "lancia e scudo" e della "Nazione armata".
Dopo la marcia su Roma, cui, peraltro, aveva contribuito in misura limitatissima, il 1° genn. 1923, il G. fu richiamato in servizio e posto a disposizione del ministero degli Interni: Mussolini lo aveva infatti destinato come prefetto a Cagliari.
La situazione della Sardegna era in quel momento assai particolare: molti ex combattenti erano confluiti in una nuova formazione, il Partito sardo d'azione (PSd'A), dotato di un programma moderno, di larga apertura sociale e con una forte coloritura autonomistica, il quale mirava soprattutto a scalzare dalle loro rendite di posizione politica i notabili locali che avevano sino ad allora dominato la scena. La scelta del G., prefetto di nomina fascista ma anche generale dotato di largo ascendente tra i reduci, voleva favorire il tentativo di estendere alla Sardegna il predominio del Partito nazionale fascista (PNF), attirando nella sua orbita gli ex combattenti "sardisti".
Fin dall'inizio l'opera del G. mirò, dunque, a far confluire il maggior numero possibile di militanti del PSd'A nel PNF, sottolineando la comune origine dei due partiti nelle trincee e la comune avversione per i vecchi notabili, ed eliminando, nel contempo, gli elementi contrari a questa politica di fusione. Nel giro di pochi mesi, egli poté raggiungere il suo scopo, grazie ad abili trattative condotte con il PSd'A, che svuotarono quel partito isolando i più irriducibili nemici del nuovo orientamento, guidati da E. Lussu.
A fine aprile 1923 il successo della linea propugnata dal G. poteva dirsi di fatto raggiunto ed ex dirigenti sardisti assunsero posizioni di rilievo nell'ambito del fascismo isolano, mentre esponenti della prima ora ne erano stati già estromessi con la massima energia dal G. il quale, per opporsi al giornale L'Unione sarda, che li appoggiava, diede vita al Littore sardo, divenuto poi Giornale di Sardegna. La visita di Mussolini nell'isola, in giugno, rappresentò il coronamento dell'operato del G. che il mese successivo fu promosso generale di corpo d'armata e rimase in Sardegna sino alla fine del 1924, per consolidare i risultati ottenuti attraverso il potenziamento del partito, lo scioglimento delle amministrazioni locali, roccheforti della vecchia classe dirigente, e l'organizzazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN), della cui XV zona, comprendente la Sardegna, era stato nominato ispettore. A riprova del suo successo nelle elezioni del 1924, a Cagliari, il "listone" ebbe il 61% dei voti.
Il delitto Matteotti doveva riportare il G. sul continente: travolto dalle conseguenze dello scandalo, il generale E. De Bono si era dovuto dimettere dal comando della MVSN, incarico che, dopo un brevissimo interinato di I. Balbo, venne conferito al G. con il grado di console generale (r.d. 30 nov. 1924), seguito dalla nomina, per motu proprio del re, a grande ufficiale dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (r.d. 8 febbr. 1925).
Il G., membro del Gran Consiglio del fascismo sin dalla costituzione, nei nove mesi in cui restò in carica, non ebbe tempo di dare una sua impronta alla riorganizzazione della Milizia che, grazie alle leggi eccezionali, aveva superato la crisi seguita al delitto Matteotti. Un'idea dei suoi progetti per il futuro può essere indirettamente tratta da un articolo, comparso su Gerarchia nell'aprile del 1925, significativamente intitolato Il divenire della MVSN, in cui ripropose il suo concetto di nazione armata: l'esercito avrebbe dovuto schierare una ventina di divisioni sempre pronte in campi di addestramento posti lungo le frontiere; la Milizia, dal canto suo, avrebbe dovuto assicurare l'ordine interno, provvedere all'approntamento di una trentina di divisioni per la mobilitazione nazionale e, più in generale, coordinare e dirigere lo sforzo militare italiano in pace e in guerra.
Il G. morì a Roma, il 31 ag. 1925, per un repentino aggravamento dei postumi delle lesioni di guerra.
Sposato con Maria Martini nel 1894, era rimasto vedovo l'anno successivo; nel 1905 si risposò con Teresa Manfredi.
Fonti e Bibl.: Necr. nel Giornale di Genova, 1° sett. 1925; Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria partic. del duce, Carteggio riservato, 12.186R; Ibid., Arch. dell'Ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito, Biografie, 33/15; Ibid., Bibl. di storia moderna e contemporanea, Carte Gandolfo, ms. 40: Il generale A. G. [Cagliari s.d. ma 1924]; Fogli d'ordini della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: 3 marzo, 7 luglio 1923; 10 dic. 1924; 20 aprile, 1° sett. 1925; P. Alatri, Nitti, D'Annunzio e la questione adriatica (1919-1920), Milano 1959, pp. 191, 205, 216-218, 220, 233, 335; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, ad ind.; G. Rochat, L'esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925), Bari 1967, pp. 229 s., 255, 404, 519, 550; G. Sotgiu, Storia della Sardegna dalla Grande Guerra al fascismo, Bologna 1990, pp. 203-255; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF, Roma 1986, pp. 34, 36, 213 s., 315.