MORI, Ascanio Pipino de’
MORI, Ascanio Pipino de’. – Nacque a Medole, presso Mantova, tra la fine del 1532 e il 1533 da Agostino e da Barbara Bettoni. Fu battezzato con il doppio nome, ma pubblicò quasi sempre le sue opere solo con il primo e con esso è di solito indicato nella bibliografia.
La famiglia, di piccola nobiltà, era originaria di Ceno nel Bergamasco, ma alla metà del Quattrocento perse la signoria della cittadina e si trasferì a Medole. Agostino servì il duca di Mantova Federico II Gonzaga come capitano di cavalleria. Raggiunta una certa agiatezza, decise di offrire al figlio una formazione culturale di buon livello. Fino ai quindici anni lo mantenne agli studi a Mantova, in seguito lo inviò all’Università di Bologna. A contatto con la vivace realtà universitaria, Mori si appassionò più ai piaceri della vita goliardica che ai libri: nel giro di poco tempo dissipò il denaro consegnatoli dal padre e decise di volgersi alla carriera militare. Del lungo periodo successivo è noto pochissimo e non soccorrono neppure i riferimenti autobiografici sparsi nella produzione letteraria. La vita di soldato di Mori fu legata a quella di Orazio Gonzaga, marchese di Solferino e capitano di ventura. Nel 1566 combatté contro i Turchi in Ungheria, nell’esercito dell’imperatore Massimiliano II d’Asburgo. Dall’epistolario si apprende che prima dell’inverno 1568 prestò alcuni servizi, probabilmente di natura militare, presso la corte imperiale e che all’inizio dell’anno successivo si recò nuovamente a Vienna.
Nella primavera del 1569 sposò Settima Olivi, di Luigi, commissario ducale di Medole. In procinto di partire per una nuova campagna militare, il 1° luglio 1570 redasse testamento. A seguito di Orazio Gonzaga, al soldo della Repubblica Veneta, partecipò alla guerra per la difesa di Cipro. Nell’agosto era a Creta, nel porto di Suda, dove la flotta veneziana si era radunata in attesa dei rinforzi promessi da papa Pio V e dalla Spagna, ma nel luglio 1571 si trovava nuovamente a Medole; non prese dunque parte alle fasi finali della guerra, che si concluse in ottobre con la battaglia di Lepanto. Dal 1571 al 1575 venne associato dal suocero al commissariato di Medole. Nel gennaio del 1571 battezzò la sua prima figlia, Ottavia Augusta. Nel corso di 17 anni di matrimonio Mori ebbe altri otto figli: Africano, Amilcare, Agostino, Augusto, Barbara, Ersilia, Orazio e Sulpizia. Pur risiedendo a Medole, coltivò stretti rapporti con gli ambienti culturali di Mantova, dove si recava con una certa frequenza. Nel novembre 1575 pubblicò a Mantova presso l’editore Giacomo Ruffinelli la sua prima opera, il Giuoco piacevole.
Scritto nell’estate del 1575, il Giuoco piacevole è la trascrizione di un gioco di società che si immagina svolto nell’ultima notte di carnevale del 1566 nella residenza di una nobildonna bresciana. La padrona di casa, che in questa prima edizione è Barbara Calina, assegna a sorte 18 lettere dell’alfabeto ai partecipanti, quattro uomini e cinque donne della nobiltà cittadina. I giocatori utilizzano la lettera dell’alfabeto per costruire un complicato racconto a temi obbligati: il giocatore «recitando un avenimento o vero o finto, vi nominerà una città e in quella un albergo con l’oste; poi un giardino, il quale sia parimente nella medesima città, o se pur fuori, sarà nel contado non molto discosto, nel qual giardino vi sia una ninfa, un arbore e un animal terrestre, al qual animale per ognuno di noi s’applicherà un motto, o volgare o latino, come più piacerà. Similmente vi sia un uccello su l’arbore, il qual uccello canti un verso che soni umanamente e nella nostra lingua in rima, o sia sonetto o madrigale o stanza o altro simile componimento» (ed. 1988, p. 68). Chi non riesca a eseguire fino in fondo il suo compito dovrà depositare un pegno e per poterlo riguadagnare dovrà sottostare a una penitenza.
Il Giuoco piacevole è un esempio di quei dialoghi letterari che, nel solco fecondo del Cortegiano di Baldassarre Castiglione e della Civil conversazione di Stefano Guazzo, mettono in scena i rituali della società cortigiana dell’epoca cercando allo stesso tempo di descriverli e di normarli. Questo particolare gioco di società, basato su di una miscela di casualità, logica combinatoria, prontezza ed efficacia nell’improvvisazione, appare già descritto nel Dialogo de’ giuochi di Scipione Bargagli (Siena 1572). L’opera rappresenta in pieno le mode più diffuse della cultura cortese: il ruolo della donna, i topoi del platonismo amoroso, la centralità della parola e del dialogo all’interno dei rituali sociali, la cultura emblematica e impresistica. Nel dialogo sono inserite a vario titolo 40 rime, per le quali Mori adopera con mano sicura diverse forme metriche, tutte all’interno del ventaglio offerto dal petrarchismo cinquecentesco: madrigali, sonetti, ballate, ottave spicciolate e continuate. Il Giuoco piacevole, plasmato sulle mode e sulle esigenze delle corti, ebbe un buon successo di pubblico e forse contribuì alla carriera di Mori in seno all’amministrazione ducale. All’inizio del 1576 egli si era trasferito a Solferino alle dipendenze del suo antico capitano Orazio Gonzaga, e in quello stesso anno avanzò presso la Cancelleria mantovana pressanti richieste di essere impiegato al servizio del duca. Dopo aver invano tentato di farsi affidare il commissariato di San Giorgio, riuscì a ottenere per intercessione del consigliere ducale Aurelio Zibramonte quello della più piccola cittadina di Ceresara. Ma non assolse da subito alle sue funzioni di vicario ducale, perché costretto a rimanere a custodia di Solferino in attesa del ritorno del suo padrone dalle esequie dell’imperatore Massimiliano II, morto a Ratisbona nell’ottobre 1576. Riconfermato nell’incarico, si alternò fra il governo di Solferino e il commissariato di Ceresara. Nel frattempo sollecitava i suoi contatti all’interno della corte per ottenere il vicariato di una sede più prestigiosa, come Goito, o almeno più comoda, come Medole, alla quale lo legavano interessi patrimoniali. Dal giugno 1578, evidentemente in seguito a pressioni provenienti dalla Cancelleria, prese sede stabile insieme con la famiglia a Ceresara, dove si dedicò tanto a monotone incombenze fiscali, anagrafiche e di controllo sociale, quanto alla repressione del crimine e del brigantaggio. I continui impegni derivanti dal suo incarico commissariale non gli impedirono di dedicarsi alle lettere.
Nel 1580 uscì per i tipi di Ruffinelli il Giuoco piacevole d’Ascanio de Mori da Ceno. Ristampato più corretto et migliorato da lui con la giunta d’alcune rime, et d’un ragionamento del medesimo in lode delle donne. Si trattava in realtà di tre libri che venivano venduti separatamente o legati assieme su richiesta: la seconda edizione del Giuoco piacevole (l’editore avverte che le 1000 copie della prima si erano rapidamente esaurite); Alcune rime d’Ascanio de Mori da Ceno; il Ragionamento d’Ascanio de Mori da Ceno in lode delle donne. La seconda edizione del dialogo presenta alcuni ritocchi linguistici e un cambio nell’identità della padrona di casa, da Barbara Calina a Beatrice Gambara. Il libro delle rime è formato da una raccolta di 43 poesie in cui prevalgono i sonetti (18) e i madrigali (16), ma ospita anche una canzone, una sestina, una stanza di canzone, tre serie di ottave continuate, un’ottava sciolta, una ballata e un capitolo in terzine. Il profilo metrico ricalca, pur con una maggiore apertura verso forme più lunghe e impegnative, quello delle composizioni ospitate nel Giuoco piacevole e orienta a leggere il libro come un canzoniere d’impronta cortigiana. Stessa indicazione viene dalla rassegna dei temi affrontanti nel libretto: lamenti e miracoli amorosi frammisti a ottave di ambientazione pastorale, sonetti di corrispondenza e rime d’argomento encomiastico. Nella predilezione per le forme brevi e musicali è possibile riscontrare un’influenza dei madrigali di Torquato Tasso, mentre l’esecuzione retorica e stilistica risulta affine al petrarchismo veneto del secondo Cinquecento, mantenendosi nella traccia del verseggiare mondano, musicale ed elegante di Girolamo Gradenigo. Il madrigale finale indirizzato alla Vergine giunge inaspettato e incongruo, e non aiuta in alcun modo a ritrovare nella raccolta un filo narrativo, né tanto meno un qualsiasi percorso di edificazione morale. Il Ragionamento, che la lettera introduttiva informa essere stato letto in una pubblica riunione dell’Accademia mantovana degli Invaghiti nel carnevale del 1579, non è nient’altro che una pedante raccolta di exempla, classici e moderni, a esaltazione delle virtù femminili.
Tanto nelle lettere inviate a membri dell’amministrazione ducale quanto nella corrispondenza privata, Mori si lamentava continuamente delle noie legate al suo incarico commissariale e della insalubrità di Ceresara. Alla fine del 1583 riuscì finalmente a ottenere l’Officio della tappezzeria presso la corte, ovvero l’incarico di guardarobiere del duca, un’incombenza lontana dalle sue inclinazioni culturali ma che gli permise finalmente di trasferirsi a Mantova. Nella capitale del ducato poté entrare a contatto diretto con l’élite che ruotava attorno ai Gonzaga, anche per tramite del suo fedele amico Giovan Battista Cavallara, medico di corte, del cognato Luigi Olivi, ambasciatore a Milano, e del cugino Volpino Olivi, canonico del duomo. Pressato dalle esigenze familiari e dagli impegni lavorativi, durante gli anni mantovani Mori non ebbe molto tempo per coltivare i suoi interessi letterari. Nel 1585 riuscì però finalmente a pubblicare presso lo stampatore ducale Francesco Osanna la Prima parte delle novelle, all’allestimento della quale si era adoperato negli anni del commissariato di Ceresara. Nel 1581 aveva già inviato una prima redazione in lettura ad alcuni amici, i medici Cavallara e Giovan Battista Susio, mentre nel 1582 le novelle erano state riordinata e trascritte.
La raccolta di 15 novelle, cui non seguì mai una seconda parte, si inserisce senza difficoltà nella linea della novellistica che discende dall’esempio di Matteo Bandello e attualizza il modello boccacciano abolendo la cornice e sostituendola con epistole dedicatorie. Le lettere, sempre seguite da un sonetto o da un madrigale, presentano il contenuto della novella, anticipano le riflessioni morali indotte dalla lettura e manifestano la devozione dell’autore ai Gonzaga e alle famiglie dinasticamente imparentate. I temi affrontanti sono prevalentemente morali, gli intenti del narratore chiaramente didascalici e a glorificazione della virtù. In alcuni casi le vicende si svolgono in ambienti cortigiani, permettendo a Mori di lanciare i suoi strali contro le invidie, le inettitudini e le maldicenze che si annidano nelle corti e di sfogare alcuni rancori accumulati nella sua carriera di servitore del duca. Spiccano una novella a carattere autobiografico (XII), quelle dedicate alle famigerate imprese del brigante Nicolò Capello (VI-VII) e la riscrittura, questa volta con lieto fine, della celebre storia di Giulia da Gazzuolo (V), episodio di difesa dell’onore verginale immortalato prima da Castiglione e poi da Bandello. Gli schemi di beffa e gli intrecci amorosi dimostrano un dignitoso mestiere letterario, ma riproducono stancamente logori topoi narrativi, vivificati solo dai riferimenti concreti alla realtà mantovana. Anche sul versante linguistico e stilistico le novelle si mantengono nella incolore piattezza di un toscano letterario, con alcune inflessioni settentrionali, privo di verve comica.
Nel luglio 1586 Mori ebbe modo di incontrare direttamente Torquato Tasso, che era uscito dall’ospedale di S. Anna e si era recato a Mantova sotto la protezione di Vincenzo I Gonzaga. La conoscenza fra i due era comunque precedente, visto che nel 1585 Mori aveva inviato a Tasso il volume delle sue novelle e che nei primi mesi del 1586 era stato ricambiato con tre sonetti consolatori in morte di suo figlio Africano, ai quali aveva risposto in rima. A Mantova Mori donò a Tasso il Giuoco piacevole e gli diede in lettura il manoscritto della raccolta di lettere che andava allestendo per la stampa, lo stesso fece Tasso con alcune sue epistole e con la tragedia Re Torrismondo. A parte queste opportunità, il tanto ambito soggiorno mantovano non fu felice per Mori. Nel 1587 morirono il suo grande amico Cavallara e il suo vecchio protettore Orazio Gonzaga, al principio del 1588 l’amata moglie, ultimo e più profondo di una serie di lutti familiari che a quel tempo gli avevano già sottratto i figli Ersilia, Sulpizia, Barbara, Ottavia e Africano. Rimasto solo e con figli ancora in tenera età, si adoperò per ottenere un incarico più remunerativo. Nell’aprile 1589 avanzò la sua candidatura per l’Officio di superiore alle meretrici e nel settembre dello stesso anno richiese quello della Masseruola; in entrambi i casi le sue aspirazioni vennero vanificate a vantaggio di concorrenti con maggiori protezioni in corte. Mori cercò parziale consolazione dalle sue preoccupazioni familiari nell’impegno letterario e il 21 marzo 1588 venne accolto con il nome di Candido nell’Accademia degli Invaghiti, la più importante istituzione culturale cittadina. Nel 1589 sotto i torchi di Osanna vide la luce la raccolta di Lettere, cui stava lavorando da molti anni.
L’epistolario, genere letterario in gran voga presso letterati e segretari cortigiani, è forse l’opera che meglio rappresenta la vita di Mori nel suo complesso. Al suo interno ritroviamo le testimonianze del passato militare, gli affetti familiari, gli affanni prima del commissario e poi del servitore ducale, i frequenti e sinceri moti encomiastici nei confronti dei Gonzaga dimostrati per mezzo di parole e rime accluse alle epistole, la fitta rete di corrispondenze politiche e amicizie intellettuali (Tasso, Girolamo Ruscelli, Luigi Groto, Cavallara, Susio, Giuliano Goselini, Francesco Panigarola, Sperone Speroni). Le lettere di Mori tracciano il ritratto di un rappresentante esemplare, pur nella sua mediocrità, del cortigiano del secondo Cinquecento, letterato e al tempo stesso uomo d’armi e di governo. Nel 1590, sempre per i tipi di Osanna, venne stampata la terza edizione del Giuoco piacevole, con minime varianti linguistiche.
Morì il 26 ottobre 1591 nella sua casa di Mantova in contrada dell’Aquila.
Dopo la morte dell’autore il Giuoco piacevole ha conosciuto solo ristampe moderne: a cura di M.G. Sanjust, Roma 1988; a cura di L. Pescasio, Mantova 1994. Le Novelle hanno avuto maggior fortuna e contano alcune ristampe integrali (come quella curata da G. Poggiali, Londra [ma Venezia] 1794 e da G. Silvestri, Milano 1814) e numerose presenze antologiche dal Settecento ai giorni nostri (per l’elenco completo cfr. Giuoco piacevole, 1988, pp. 10 s. nn. 3-5).
Fonti e Bibl.: T. Tasso, Lettere, III, a cura di C. Guasti, Firenze 1853, ad ind.; L. Di Francia, Novellistica, II, Milano 1925, pp. 130-136; U. Ceni, Ricordi storici di Medole col profilo storicoletterario di A. de M. da Ceno scrittore mantovano del Cinquecento, Roma 1936, pp. 70-127; E. Faccioli, La vita e gli scritti di A. de’ M., in Bollettino storico mantovano, V-VI (1957), pp. 67- 140; XV-XVI (1959), pp. 301-304; Mantova. Le Lettere, a cura di E. Faccioli, II, Mantova 1962, pp. 501-552; F. Brigoni, Amicizia e corrispondenza fra Torquato Tasso ed il poeta medolese A. de M., in Studi tassiani, XXI (1971), pp. 126-128; M.G. Sanjust, Struttura e tecnica narrativa delle novelle di A. de’ M., in Arcadia. Atti e memorie, s. 3, VII (1979), pp. 169-218; Id., A. de’ M. da Ceno: il miraggio della corte mantovana, in Italianistica, XVI (1987), pp. 51-79; J. Basso, Le genre epistolaire en langue italienne (1538-1662). Répertoire chronologique et analytique, Roma-Nancy 1990, I, pp. 318 s.; II, pp. 381-383, 433; J. Shiff, Style in the «questione della lingua»: the case of A. de’ M., in Quaderni d’italianistica, XII (1991), pp. 35-46; M.G. Sanjust, Il «gioco giocato» di As. de’ M. da Ceno, in Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Roma 1993, pp. 769-776.