PICCOLOMINI, Ascanio
PICCOLOMINI, Ascanio. – Nacque a Siena, probabilmente intorno al 1548, da Enea e Vittoria Piccolomini, appartenenti entrambi al ramo della famiglia che poteva vantare la discendenza da Enea Silvio, salito al soglio pontificio con il nome di Pio II.
Davvero poche le informazioni che si possono raccogliere sul primo periodo di vita; sappiamo che, quando era ancora in giovane età, Piccolomini perse il padre, che aveva avuto ruoli di primo piano nella vita politica della città. L’educazione di Ascanio, come quella dei suoi fratelli Silvio ed Enea, fu presa in carico dalla madre. Secondo Daniele Eremita, autore di una Vita di Piccolomini contenuta nell’edizione degli Avvertimenti civili (Venezia 1609), ben presto fu indirizzato agli studi letterari e giuridici, frequentando lo Studio di Perugia prima e di Bologna poi, dove si sarebbe addottorato, mentre il fratello Silvio fu avviato alla carriera militare, che svolse, con esiti brillanti, in Fiandra, Transilvania e Ungheria, e poi al servizio di Ferdinando de’ Medici.
Rientrato a Siena, verosimilmente nella seconda metà degli anni Settanta, Piccolomini dovette intraprendere la professione ecclesiastica, ma ebbe anche modo di partecipare attivamente alla vita culturale della città, in particolare legandosi al circolo di Scipione Bargagli e di Bellisario Bulgarini. L’interesse per la poesia e per le questioni linguistiche, oggetto di vivaci discussioni a Siena, è documentato da una sorta di vocabolario, oggi apparentemente perduto, che Piccolomini avrebbe allestito in questi anni, con lo scopo di selezionare le parole italiane ammissibili nel discorso letterario (Vita…, c. a5v). A ciò si aggiunge la testimonianza di una lettera di Diomede Borghesi a Piccolomini del 26 febbraio 1582, nella quale si trattano temi di carattere linguistico. E, ancora, va ricordato che Orazio Lombardelli gli dedicò, nel giugno 1585, L’arte del puntar gli scritti (Siena 1585).
Durante questi anni Piccolomini fece parte della familia del cardinale Alessandro Sforza, per il quale avrebbe svolto a Roma la funzione di apprezzato segretario. Ma fu la morte di Alessandro Piccolomini, nel marzo del 1579, a offrirgli un’importante occasione per la sua carriera: lo sostituì infatti nell’incarico di coadiutore dell’arcivescovo di Siena, Francesco Maria Bandini, nonostante la giovane età, con l’approvazione di papa Gregorio XIII, che in questa occasione gli attribuì l’arcivescovado di Rodi. La nomina inoltre prevedeva il diritto di successione, così che quando morì nel 1588 Bandini, Piccolomini ereditò il ruolo di arcivescovo. Prese però pieno possesso di questa nuova carica solo sul finire del 1589, probabilmente a causa di gravi problemi di salute.
A segnare l’importanza dell’evento, così come anche la particolare spettacolarizzazione con la quale fu gestito, andrà ricordata la Descrizione dell’entrata dell’Illustriss. e Reverendiss. Monsig. Ascanio Piccolomini alla possessione del suo arcivescovado in Siena, il dì XXI novembre 1589 (Siena 1590), stilata da Scipione Bargagli. Nel volume si dà conto in modo molto dettagliato di tutti gli apparati scenici allestiti per l’occasione, che videro un attivo coinvolgimento di tutte le autorità politiche ed ecclesiastiche, così come dei numerosi versi composti, tanto in volgare (Diomede Borghesi, Bellisario Bulgarini, Flavio Figliucci, Scipione Bargagli), quanto in latino, dai membri dell’Accademia Partenia, istituzione controllata dai gesuiti di stanza a Siena.
Ben presto Picclomini si impegnò nel lavoro di riordino del vescovato, rimasto, a causa della mancata residenza di Francesco Maria Bandini, bisognoso di un complessivo riallineamento ai decreti tridentini. Ricca testimonianza dell’attenta opera di governo è inoltre offerta da un cospicuo numero di lettere inviate al suo vicario feudale, Aurelio Aureli, originario di Perugia, dalle quali è possibile osservare come nei primi anni Novanta Piccolomini desiderasse controllare sin nei minimi dettagli l’amministrazione della sua diocesi.
In questo periodo videro la luce anche le Rime di Piccolomini: dapprima, nel 1592, un solo sonetto in una plaquette dal titolo Due sonetti in morte del sig. duca di Parma Alessandro Farnese… di monsig. Ascanio Piccolomini… e del sig. Diomede Borghesi (Siena, L. Bonetti). Poi, nel 1594, sempre per i tipi di Luca Bonetti furono stampate le Rime et imprese di monsig. Ascanio Piccolomini fatte nella primavera dell’età sua; salvo tutte le Spirituali, et alcune poche Lugubri. Il volumetto in quarto, sul cui frontespizio campeggia lo stemma araldico della famiglia Piccolomini, a prestar fede alla prefatoria, era stato allestito dall’editore stesso, che aveva deciso di «stamparne solo venticinque libri», da donare tutti all’autore.
Costruito come un piccolo canzoniere, aperto da un sonetto d’esordio modellato su quello petrarchesco, e chiuso da un sonetto alla Vergine, il libro raccoglie 31 sonetti, 10 madrigali (tra cui Alma Vergine bella, le cui iniziali dei versi formano l’acrostico Ascanius) e 14 stanze. All’interno vi sono però anche testi encomiastici e alcuni dialoghi con poeti coevi. Tra le rime di encomio, andranno segnalati i sonetti per la famiglia Medici, in particolare per Eleonora di Toledo e Bianca Cappello, e poi per il granduca Francesco, che documentano un esercizio lirico ascrivibile già alla metà degli anni Settanta e attestano inoltre un rapporto non episodico con il potere mediceo. All’interno delle rime epistolari, troviamo un dialogo con Fortunato Martini, Diomede Borghesi, Torquato Tasso, e un doppio scambio con Ascanio Pignatelli. Come appendice alle rime vi sono poi dodici imprese di Piccolomini, non accompagnate da alcuna spiegazione. Quattro anni più tardi le rime furono riedite da Bonetti, ma in ottavo e senza le imprese.
Nel 1595, dopo aver soggiornato per qualche tempo a Roma, Piccolomini fece rientro nella città natale e diede alle stampe una nuova plaquette intitolata Due sonetti che mons. A. Piccolomini… fece alla villa, dopo il suo ritorno di Roma nel giugno del 1595 (Siena, L. Bonetti), di cui oggi non sembra conservarsi alcun esemplare. In questo periodo provvide inoltre al restauro o, almeno, al mantenimento del palazzo di famiglia, detto delle Papesse, così come al riordino dei decori delle chiese senesi.
Nella seconda metà degli anni Novanta le condizioni di salute andarono via via peggiorando, nonostante le numerose cure cui fu sottoposto.
Morì a Siena il 13 maggio 1597.
Dopo la sua morte, grazie all’interessamento del fratello Silvio, furono pubblicati, a cura di Daniele Eremita, gli Avertimenti civili estratti da… Ascanio Piccolomini… da’ sei primi libri degli Annali di Cornelio Tacito (Firenze 1609), in due edizioni differenti, una in quarto, corredata dalla Vita già ricordata (cc. a3r-a7r), e arricchita di un ampio apparato paratestuale che permette di controllare l’originale latino fonte di ogni avvertimento; l’altra, in dodicesimo, priva tanto della Vita quanto delle esplicite menzioni del testo di origine. I 796 brevi avvertimenti, pensati come guida per un principe rispettoso insieme delle regole della politica e dell’etica cristiana, sono quasi una traduzione per via aforistica del pensiero tacitiano: si passa da casi di vere e proprie traduzioni, a situazioni in cui è possibile scorgere un più accorto lavoro di adattamento al presente dei precetti ricavabili dall’opera dello storico romano.
Un sonetto, indirizzato a Sinolfo Saracini, si trova in G. Santi, Sonetti di diversi accademici senesi…, Siena 1609, p. 239 (a p. 244 è un sonetto di Turno Pinocci per la morte di Piccolomini).
Fonti e Bibl.: S. Bargagli, Dell’imprese…, Venezia 1594, pp. 480-484; G.M. Crescimbeni, Commentari... intorno alla sua istoria della volgar poesia, II, 2, Roma 1702, pp. 272 s.; G.A. Pecci, Storia del vescovado della città di Siena…, Lucca 1748, pp. 355 s.; N. Mengozzi, A. P. quinto arcivescovo di Siena, in Bullettino senese di storia patria, XIX (1912), pp. 249-353; A. Anteghini Palumbo, Aforistica tacitiana del Cinquecento: A. P., in Annali della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Genova, VI-VII (1978-79), pp. 445-488; VIII-X (1980-82), pp. 47-71; G. Chironi, La mitra e il calamo. Il sistema documentario della Chiesa senese in età pretridentina (secoli XVI-XVI), Roma 2005, pp. 234 s.