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CORONA, Ascanio e Silvio

di Giovanni Parenti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)
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CORONA, Ascanio e Silvio

Giovanni Parenti

Nessuno, che si sia occupato dei cosiddetti "manoscritti Corona", è mai riuscito a far piena luce intorno agli autori delle malevole compilazioni di storia privata napoletana che sotto vari titoli (il più diffuso parrebbe La verità svelata a' principi [o al mondo], ovvero Successi diversi tragici ed amorosi occorsi in Napoli ed altrove a' Napoletani, "composta da Silvio ed Ascanio Corona") si conservano in numerose biblioteche.

Uno studioso del Bandello, Domenico Morellini, credette di aver trovato notizia almeno del primo di costoro, in fine al "successo" del signor Ardizzino Valperga conte di Masino e dei signor Roberto Sanseverino conte di Caiazzo, ove si afferma che Ascanio sarebbe stato fatto prigioniero, col marchese del Vasto, nella battaglia di Napoli del 1528. Sfortunatamente di altro non si trattava, come appurò in seguito il Borzelli, che di errore (volontario o meno) di un copista che aveva sostituito quello del C. al nome di Ascanio Colonna. L'unica notizia dei C. (unificati però sotto il nome di Silvio Ascanio, come accade in alcuni manoscritti) sarebbe, pertanto, quella tramandata dal "successo" di Laura Filomarino (c. 120 rv del ms. Laurenziano Ashburnham 1649, da aggiungersi ai sinora noti), ove l'autore afferma di essersi servito della storia scritta nel 1634 da Silvio Ascanio Corona, amico di Annibale di Capua e prete. Non è, in verità, molto, tanto più che la qualifica ecclesiastica del personaggio parrebbe in contrasto con quella di "dottori" data agli autori dei Successi (di nuovo sdoppiati in Silvio e Ascanio) dal ms. X. c. 19 della Nazionale di Napoli. Si è anche ragionevolmente supposto che questo nome, ben attestato nel Napoletano (dai Successi stessi risulta che Antonio Orsini, di Luigi conte di Oppido e di Lucrezia de Leyva dei principi di Ascoli, sposò una Chiara Corona), non fosse che uno pseudonimo escogitato dagli autori dei Successi per cautela più che ovvia, stante il carattere diffamatorio di tali raccolte. Già uno dei manoscritti del Liber arcanorum seu Epilogus plurimorum praeiudiciorum et opprobriorum familiarum nobilium Civitatis et Regni Neapolis, composto ai tempi di Filippo III, riferisce la supposizione che sotto il nome dei C. e sotto quello di Giulio e Lucio Antonio Festo si celassero Giacomo Galeota coi fratelli e il dottor Domenico Confuorto, l'autore dei Giornali di Napoli dal 1679 al '99 nonché, sotto lo pseudonimo di Fortundio Erodoto Montecco o in collaborazione col reverendo don Donofrio, delle Macchie seu Notitie di alcune famiglie popolari della Città e Regno di Napoli per ricchezze e dignità riguardevoli. Se questa informazione appare per lo meno degna di considerazione (a parte alcune sfasature cronologiche), debolmente motivate sono viceversa le candidature avanzate dal Giustiniani: Antonio Severino, e (limitatamente ai "successi" tratti da novelle del Bandello) dal Morellini: don Filippo Siscar.

Opera naturalmente in progress, scritta a più mani da autori pseudonimi (si aggiunga ai citati Dalconio Zellin, anagramma di Nicola Donzelli) o anonimi (in un manoscritto essa è attribuita a un "autore curioso e cavilloso, quale, alla frase e modo di scrivere, addita essere spagnuolo"), i Successi sono costituiti da un nucleo primitivo verisimilmente risalente alla metà del Seicento e da un vario agglomerato di aggiunte e aggiornamenti che, nel corso di circa un cinquantennio, vi si venne stratificando intorno fino ai primi del secolo successivo (li continuò al 1713 un dottor Giovanni Antonio D'Alessandro). Loro precedente possono essere considerate le undici (o dodici) Vite di diverso illustrissime persone di Filonico Alicarnasseo (si trattava forse di fra' don Costantino Castriota) che, ricche di particolari anche indiscreti, non hanno tuttavia lo stesso intento polemico dei Successi, animati, al di là del generico moralismo, da un vivace spirito antinobiliare, espressione talvolta del risentimento di una classe media di funzionari verso l'albagia patrizia, e intesi specialmente a smascherare le menzogne di genealogisti adulatori. Alla fine del Quattrocento Francesco Elio Marchese, con il De Neapolitanis familiis aveva già smentito su basi documentarie molte delle invenzioni favolose fiorite sulle origini e sulla storia delle principali famiglie nobili del Regno. Tuttavia nei Successi, allo scrupolo di verità (del resto neppur sempre presente) si aggiunge un gusto violento della dissacrazione, misto al piacere moralistico per i rovesci di fortuna, che sembra accostarli piuttosto a certe opere, rimaste pure manoscritte, sulla rovina di famiglie patrizie, quali le Peripetie del Mondo di Ferrante Bucca (probabile autore anche del Disgratiato fine di alcune case napolitane) o la Rovina di case napolitane del suo tempo di don Ferrante della Marra duca della Guardia. E la maligna curiosità degli infortuni dei grandi è certo ingrediente principale di queste scritture che, per l'attenzione ai particolari scabrosi o sanguinari e il piacere del pettegolezzo, un po' alla Brantôme, parrebbero alle volte come la malevola parodia secentesca delle celebrazioni cinquecentesche di dame e cavalieri. Ma, del secolo precedente, i Successi appaiono soprattutto legati alla tradizione novellistica (e di alcuni, di quello ad esempio di Antonio Bologna e della duchessa di Amalfi, la fonte è stata rintracciata in Bandello, di altri nel Giraldi e in Celio Malespini) e godono gli effetti della rinnovata fortuna del genere verificatasi nella cultura napoletana alla fine del Cinquecento con Tommaso Costo, dopo la lunga vacanza durata (per tacere dell'episodio latino di Girolamo Morlini) dai tempi di Masuccio. Recuperando nell'originario carattere di "storia vera" le avventurose passioni e le torbide tragedie della società cinquecentesca, di cui si era impadronita la novella, i Successi vennero ad affiancarsi, poiché attingevano alla medesima realtà, a certa contemporanea narrativa a chiave: è questo il caso di tre narrazioni dei "manoscritti Corona" e dei romanzo Degli amori tragici di Girolamo Brusoni (1658), ispirati alle stesse scabrose vicende di illeciti amori e di nefandezze perpetrate dalle monache (tutte, o quasi, di nobili natali) del convento napoletano di S. Arcangelo a Baiano, disciolto nel 1577. Le scandalose e spesso truculente storie raccontate dai C. danno del Rinascimento e del Seicento quell'immagine fosca e passionale che piacque ai romantici, tra i primi a Stendhal, possessore e postillatore di due volumi di "successi" (ora alla Nazionale di Parigi, Mss. It. 296 e 297) che offrirono non pochi spunti all'invenzione delle Chroniques italiennes.

I Successi variano di consistenza a seconda dei manoscritti. Il Borzelli, che ne conobbe un numero ragguardevole, elenca i tutto duecentoventi storie. Il ms. Ashburnham, che può essere considerato un individuo mediamente rappresentativo, ne contiene ottantadue (più l'Informazione pigliata dalla Gran Corte della Vicaria per la miserabile morte di D. Fabrizio Carafa duca d'Andria e D. Maria d'Avalos principessa di Venosa nel dì 17 ott. 1590). Di queste, trentacinque sono nel primo libro e corrispondono, sottratti i nn. 9, 24, 25 del Borzelli e aggiunto in fine il n. 101, al blocco compreso tra gli Amori di Alfonso II e il "successo" Di Don Gaspare Sersale, che spesso appare compatto negli esemplari della raccolta.

Alcuni dei "successi" si trovano sparsamente pubblicati sul giornale napoletano La Lega del bene, a partire dal n. 16 (agosto 1886) dell'a. I (nel n. 17, una notizia dei mss. che li contengono e una discussione sugli autori), nonché (ma con arbitrari interventi e rifacimenti) nel volume del Cutolo.

Fonti e Bibl.: L. Giustiniani, La biblioteca storica e topografica del Regno di Napoli, Napoli 1793, p. 231; C. Minieri Riccio, Catalogo di Mss. d. bibl. di C. Minieri Riccio, Napoli 1868, I, pp. 99 s.; II, pp. 217 s.; C. Padiglione, La biblioteca del Museo naz. nella certosa di S. Martino in Napoli ed i suoi manoscritti..., Napoli 1876, pp. 107 ss.; S. Volpicella, Di Filonico Alicarnasseo biografo napol. nel sec. XVI, in Studi di letteratura storia ed arti, Napoli 1876, pp. 37 ss.; A. Borzelli, Notizia dei mss. Corona ed il successo "di D. Maria d'Avolos [sic] principessa di Venosa e di D. Fabrizio Carafa duca d'Andria" illustrato dalle poesie dei contemporanei, Torino-Napoli 1891 (estr. dalla Rass. scientifica, lett. e politica, II[1891], nn. 5-6); L. Salazar, Docum. e notizie per la storia calabrese, in Riv. calabrese di storia e geografia, I (1893), pp. 206 s.; Id., La strage di Pentidattilo (dai Giornali di D. Conforto), ibid., II (1894), pp. 82 s.; D. Morellini, La fonte di alcuni successi de' mss. Corona, in Napoli nobilissima, XIV (1905), pp. 77 ss., 89 ss.; A. Borzelli, Successi tragici et amorosi di S. et A. C., Napoli 1908; F. Novati, Stendhal e l'anima ital., Milano 1915, pp. 23 ss., 133 ss.; N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento, F. D'Andrea, Napoli 1923, pp. 51, 237 s.; D. Confuorto, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, a c. di N. Nicolini, I, Napoli 1930, pp. IX ss.; A. Cutolo, Tra vecchie carte ed amorose storie, Milano 1936, pp. 281 ss.; B. Croce, Aneddoti di varia letter., I, Napoli 1942, p. 265; Id., Storie e leggende napoletane, Bari 1967, p. 324; Id., La Spagna nella vita italiana durante la rinascenza, Bari 1968, p. 136 e n. 4; Id., "Le couvent de Baiano" e un romanzo di Girolamo Brusoni, in Nuovi saggi sulla letter. ital. del Seicento, Bari 1968, pp. 173 ss.; L. F. Benedetto, La Parma di Stendhal, Firenze 1950, pp. 61 ss.; R. Colapietra, La storiogr. napol. del secondo Cinquecento, in Belfagor, XV (1960), p. 435 n.

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