CONDIVI, Ascanio
Nacque a Ripatransone, nel Piceno, nel 1525, da una famiglia non illustre, ma abbastanza nota nel piccolo centro urbano.
Il padre, Latino, piccolo proprietario terriero, era iscritto all'arte dei calzolai e possedeva due botteghe. Nel 1520 Latino sposò Vitangela di ser Nicola, di modesta famiglia ripana. Da questo matrimonio nacquero cinque figli: il primo è Bernardino, poi Celenzia, Sulpizio, Ascanio e Custodia.
Nel marzo 1528, a causa della peste scoppiata a Ripatransone, la famiglia intera fuggì a Magnola, presso la casa del fratello di Latino, Francesco. I fratelli maggiori del C. intrapresero gli studi di diritto ed altrettanto dovette fare il C. anche se non si hanno notizie precise in merito: si sa però che presto manifestò il suo interesse per le arti figurative. D'altra parte Ripa era un centro che, pur piccolo, aveva una certa attività artistica, legata naturalmente, in mancanza di mecenati, alla committenza della Chiesa. Anche il C., nelle scarse prove della sua attività pittorica che ci sono rimaste, mostra di essersi dedicato quasi totalmente alla soggettistica religiosa. Il primo incarico che sappiamo essergli stato affidato, come artista, era però civile: del luglio del 1541, quando gli Anziani di Ripa gli commisero la pittura dello stemma ripano sui pennoni dei quartieri di Capo di Monte e di S. Domenico.
Non si hanno notizie sull'apprendistato del C.: si può pensare che egli cercasse magisteri migliori di quelli di Ripatransone, se, attorno al 1545, andò a Roma dove tentò di inserirsi nell'ambiente che gravitava attorno alle botteghe degli artisti. Anche del modo in cui conobbe Michelangelo non sappiamo nulla se non che, nel '49, è già al lavoro presso di lui, pur se si esclude (Grigioni) che il C. abbia mai collaborato direttamente a qualche opera di Michelangelo.
La figura del C., accanto a quella di Michelangelo, non sembra essere altro che quella di un attento, scrupoloso ed un po' ingenuo discepolo, pronto ad ascoltare gli insegnamenti del maestro, ma sostanzialmente incapace di un'impronta di creatività: lo dimostra ampiamente la sua opera di scrittore e di pittore.
Il C. rimase a Roma fino al 1554, mantenendo sempre stretti contatti con i propri familiari a Ripa, dove ritornò brevemente nell'agosto del '51 - in occasione del dono di una casa che gli aveva fatto il padre - e, successivamente dal febbraio al luglio del '54, qualche tempo dopo la prima edizione della sua unica opera letteraria, la Vita di Michelagnolo Bonarroti, che uscì a Roma, per i tipi di A. Blado, nel 1553, dunque dieci anni prima della morte del personaggio di cui si narrava la biografia, fatto estremamente raro, che testimonia l'aura di devozione che circondava, già in quegli anni, Michelangelo.
Il C. lasciò Roma definitivamente verso la fine del '54, quando il suo maestro ricevette inviti sempre più pressanti a ritornare stabilmente a Firenze. A Roma, nell'ambiente intellettuale dove era stato introdotto dal sodalizio con Michelangelo, il C. aveva conosciuto Annibal Caro e la sua famiglia e ne era diventato amico. Una volta tornato a Ripatransone, il C. sposò la figlia di Giovanni Caro, il fratello di Annibale, Porzia, allora quindicenne. Le nozze avvennero a Civitanova, nel gennaio del 1555. Dal matrimonio nacquero sei figli: il primo, Timante, nel 1556, quindi, uno di cui si ignora il nome; e successivamente Anton Francesco, Clarice, Pietro Paolo, e, ultimo, Ascanio, nato pochi mesi dopo la morte del padre. Nel '56 morì Latino, padre del C., lasciando irrisolta una serie di problemi negli affari economici della famiglia. Questo periodo della vita del C. è caratterizzato da un progressivo allontanamento dalla vita artistica per attendere a una serie di incarichi pubblici a cui la fama acquistata nel periodo romano e la fortuna incontrata dal suo libro lo destinavano.
Nel marzo del 1560 il C. fu scelto per metter pace in una contesa sorta tra alcune famiglie ripane. Dal Libro dei Consigli di Ripatransone si sa che fece parte dei Consigli nel '61 e nel '62. Nel novembre del '61 fu inviato a Roma per trattare alcuni affari per conto del Comune. Ricevette altri incarichi municipali tra il 1562 e il 1565. Nell'aprile del '66 era a Roma con lo zio Francesco per ottenere dal cardinale Alessandro Farnese il titolo di città a Ripatransone, missione che fu coronata da successo solo nel 1571. Nel novembre del '74 infine venne mandato a Macerata per un'ambasciata.
Il 10 dic. 1574 la morte improvvisa: durante un temporale, il C. tentava di attraversare al guado un torrente presso Ripa, il Menocchia, ma venne travolto dalla piena: fu trovato annegato.
L'attività artistica del C. a Ripatransone, pur testimoniata da varie fonti, è controversa. È certo che egli mise a frutto, dopo il ritorno da Roma, in diverse occasioni, il prezioso tirocinio artistico svolto sotto Michelangelo. D'altra parte la committenza pubblica non poteva certo ignorare la fama conquistata da un concittadino che aveva potuto vantare un rapporto d'amicizia col grande artista toscano, anche se il Vasari scriverà con acredine del C., che lo aveva accusato di plagio, nell'edizione del 1568 della propria Vita di Michelangelo: "nel fine se n'è ito in fummo quella buona aspettazione che si credeva di lui... durava gran fatica, ma mai non se ne vedde il frutto".
Nell'ottobre del '56 i frati del convento di S. Domenico gli commissionarono i Misteri del Rosario. Gli si attribuirono anche una Madonna con Bambino e santi, rinvenuta in casa Buonarroti, ed una tavola dell'Epifania, dipinta tra il '50 e il '54, che Buonarroti il Giovane acquistò, credendola di Michelangelo il quale, probabilmente, aveva solo eseguito il disegno poi ripreso dal Condivi. Nel '51 il C. compose anche una testa di Silla per il palazzo del cardinale Niccolò Ridolfi, a Firenze, poi perduta. La fattura di tutte queste opere è sempre giudicata di buon livello ma totalmente priva di qualche tratto originale.
Nel '65 al C. fu richiesto di dipingere lo stemma del legato; nel '67 un trittico di tela sull'Epifania, da collocarsi nella chiesa di S. Gregorio; nel gennaio del '68 un tabernacolo di legno per la chiesa di S. Rustico; nel '73 ancora una tela per S. Gregorio, dedicata alla Fuga in Egitto, quindi la pittura di una croce lignea per la chiesa di S. Maria della Petrella. Nel '69 il C. dipinse un affresco per la chiesa di S. Savino, raffigurante la Madonna del Carmine;in esso, conservato ancor oggi, si scorgono due personaggi che, secondo l'interpretazione del Grigioni, raffigurerebbero lo stesso C., che allora aveva quarantacinque anni, e il più anziano Michelangelo, quale il C. poteva aver rivisto nel '61, quando era ritornato brevemente a Roma.
Ma se nessuno di questi dipinti varrebbe a far ricordare il C., di grande interesse è la sua Vita di Michelagnolo Bonarroti, che testimonia una vivacità intellettuale non più riscontrabile nei lavori del C., tanto da far affermare al Ferbach che l'autore della Vita e il C. di Ripatransone non fossero la stessa persona.
L'opera del C., dopo una breve fortuna incontrata nella sua epoca, fu dimenticata abbastanza presto, schiacciata dalla biografia vasariana ben più ricca e preziosa storicamente e culturalmente. E proprio il Vasari sembra aver plagiato ampiamente le minute informazioni biografiche di cui abbonda il testo del C., che ancora oggi costituisce una fonte preziosa per gli studi michelangioleschi per l'attenzione puntigliosa, religiosa, agli aspetti più quotidiani e familiari della vita dell'artista.
Proprio per questo aspetto della Vita condiviana il Frey sostenne che alla base di essa c'è la dettatura dello stesso Michelangelo, il quale si sarebbe servito di questa occasione per rettificare alcune inesattezze della biografia di Vasari, già uscita nell'edizione del Torrentino del 1550; ma Ugo Procacci ha, più recentemente, obbiettato che, in tal caso, non si spiegherebbero errori e fraintendimenti, a proposito del lavoro di Michelangelo, che ancora si riscontrano nell'opera del Condivi.
Nella dedica a papa Giulio III, il C. parla di una pressione del pontefice affinché egli raccogliesse i propri ricordi della vita del maestro. Ma il Grigioni esclude una vera e propria commissione dell'opera, affermando che probabilmente si trattò solo di incoraggiamento. Il C. dichiara anche, nella stessa dedica, che avrebbe voluto comporre altre due opere: una raccolta di rime michelangiolesche ed una raccolta di precetti, sempre dell'artista, sull'arte del disegno dei movimenti umani, dell'anatomia, di cui quello lamentava l'ignoranza tra i pittori contemporanei, criticando, ad esempio, la rigidità delle pur proporzionate figure del Dürer.
Ma se queste promesse non furono poi mantenute, il C. si mantenne aderente al progetto di annotare, di Michelangelo, ciò che sembrasse degno "di meraviglia o d'imitazione o di laude in tutta la sua vita". Da tale prospettiva apologetica la Vita condiviana non si discosta mai, trovando anzi, proprio in questo suo registro, la caratteristica più peculiare. Se questa biografia non ha il respiro epico e la precisa coscienza storica dei fatti artistici e sociali di quella di Vasari, né l'andamento di mondano neoplatonismo dei dialoghi di Francesco de Hollanda, che faceva di Michelangelo uno schermo per esporre le proprie teorie artistiche, essa trova il punto di forza e d'individuazione nell'ingenua e devota passività con cui il C. si pone dinanzi all'opera del maestro.
C'è la volontà, costantemente affermata, di realizzare una valorizzazione del proprio racconto attraverso il ruolo di testimone di verità che il C. si attribuisce. Il legame maestro-discepolo sancisce la totale padronanza del materiale autobiografico narrato che, anche nel confronto col rivale Vasari, accusato di falso, acquista la cifra di un'esemplarità da salvaguardare e da tramandare ai posteri. Questo meccanismo di valori assicura alla prosa del C. quell'efficacia, quella sicurezza con cui da un lato si postula il totale realismo di tutto quanto viene narrato, dall'altro si coinvolge, nell'esaltazione del maestro, anche il discepolo che ne registra gli atti.
Con tutti i toni dell'apologetica classica il C. segue le fasi della vita di Michelangelo: dalla nascita che appare accompagnata dal favore degli astri, alle prime esemplari manifestazioni delle doti dell'artista, dall'irruenza della genialità alla dimensione tragica che il linguaggio michelangiolesco acquista nella sofferta ricerca, umana e tecnica, di un'espressione.
Continuamente è affermata l'eccezionalità di un temperamento vitalistico, insofferente dei limiti, pronto ad affermarsi nei contrasti anche con gli uomini più potenti, perché investito di una sorta di potere naturale che lo faceva ricercare e rispettare da tutti (e se avrà conflitti, anche violenti, col Papato, potrà andare presso i Turchi che richiedevano la sua opera, narra Condivi).
Se la biografia vasariana è, nella descrizione di alcuni episodi, più realistica e riflessiva, meno disposta all'enfasi, ma capace di articolare in dettagli l'elogio di Michelangelo, il C. da una parte, con un preciso gusto retorico, elimina particolari biografici che allenterebbero il ritmo ascendente della narrazione; dall'altra indugia su peculiarità della sfera privata, quotidiana, che possano evidenziare, nella loro stranezza, l'unicità del personaggio. Così per tutto quello che concerne l'austerità delle abitudini alimentari e sessuali di Michelangelo, la forza dell'animo e del fisico, l'autorità nella cultura e nel quotidiano (autorità che si trasmette dal personaggio al libro, dal libro all'autore-testimone). La sottolineatura enfatica di queste particolarità costruisce un registro che differenzia profondamente questa biografia da quella vasariana, accanto al divario stilistico.
Se in Vasari c'è, come si è detto, una maggiore coscienza storica dei fatti narrati, nel C. c'è una partecipazione affettiva intensa che lo spinge ad accreditare versioni e spiegazioni di fatti meno realistiche, ma più legate alla tensione del personaggio. Così l'affermazione che Michelangelo aveva abbandonato Firenze per un sogno minacciosamente profetico, nasconde in realtà la decisione di sottrarsi al clima di sospetto che si era diffuso negli ambienti fiorentini contro Piero de' Medici, a cui Michelangelo era legato. Al contrario del C., Vasari fa sua questa ipotesi. Tale differenza, spia di una diversità d'impostazione complessiva delle due opere, è stata notata da Ugo Procacci, nel '66, nel decifrare alcune postille manoscritte ad un testo condiviano, da attribuirsi, nell'impostazione, forse allo stesso Michelangelo. Quindi si tratterebbe di rettifiche alla narrazione del C., che sembra aver voluto dipingere di toni più accesi alcuni momenti della biografia michelangiolesca. Ad esempio, i riferimenti all'ostilità di Bramante verso Michelangelo vengono negati nelle postille, mentre in altre si ha una riduzione dell'eccessiva enfatizzazione del personaggio.
Come si è detto la Vita del C. si ferma circa dieci anni prima della morte di Michelangelo: l'ultimo importante episodio che ha cura di registrare è il sodalizio dell'artista con Vittoria Colonna, narrato con una semplicità e sinteticità espressiva che intende alludere alla tensione spirituale del rapporto.
Altrove lo stile del C. è meno efficace: appare infatti troppo legato dallo sforzo di correggere una scrittura spesso grezza ed incerta sui binari di un registro paludato e costruito interamente sulle sonorità dell'apologia.
Una prova di questo sforzo di controllo del proprio lessico e della propria sintassi l'abbiamo confrontando le pagine della Vita con alcune lettere (del '51) inviate a Lorenzo Ridolfi, fratello del cardinale Niccolò per cui il C. aveva lavorato, in Roma.
Il linguaggio epistolare, evidentemente meno controllato e legato all'occasione, appare del tutto privo di raffinatezze, rozzo, pieno di lessemi romaneschi o plebei. Anche la personalità del C. che emerge da queste lettere appare completamente aderente al ruolo del cortigiano che offre la propria opera d'artista (deve realizzare per la casa di Lorenzo alcune teste di bronzo) e denuncia, ad ogni istante, la propria povertà.
Se da questi esempi di vita quotidiana non emerge una grande personalità, né intellettuale né morale del C., occorre però ricordare che proprio l'attenzione devota all'eccezionalità del personaggio che si sente destinato a narrare, a tutte le più minute circostanze della vita quotidiana, fornisce una prospettiva specifica alla Vita di Michelagnolo. In essa il valore della testimonianza storica accende l'enfasi nella narrazione del mito e restituisce ai lettori molto esattamente la proiezione dell'immaginario intellettuale dell'epoca su di un personaggio che diviene, in quel momento e in quel modo, "leggenda".
Il libro del C. non ebbe molte edizioni e lo Schlosser Magnino lo definisce con Steinmann "il libro più raro della bibliografia michelangiolesca" (p. 374). Ricordiamo alcune ediz. e traduzioni: Roma 1553; Firenze 1746 (in questa il testo, a distanza di quasi due secoli, fu completato dallo scultore fiorentino G. Ticciati, che narrò gli ultimi dieci anni della vita di Michelangelo); Pisa 1823; Roma 1853; Firenze 1880, 1914, 1927; Milano 1928, (poche altre più recenti: ultima, a cura di E. Spina Barelli, Milano 1964). La traduzione più antica è in russo, Mosca 1865. Altre sono state quelle di Berlino 1876, 1884; Monaco 1890; Londra 1903; Parigi 1911.
Fonti e Bibl.: A. Comolli, Bibl. storico-artist. dell'archit. civile..., Roma 1788, II, pp. 309 s., 320; A. Ricci, Mem. stor. della Marca di Ancona, Macerata 1834, II, pp. 19, 39 ss.; G. Rossini, Luisa Strozzi, Macerata 1834, II, pp. 51-77; D. Valentini, Di alcuni dipinti esistenti a Ripatransone e nei paesi limitrofi, Sanseverino 1836, pp. 32 s.; L. Bruti, Opuscolo per le nozze Coroni-Diotaiuti, Ripatransone 1837, pp. 5 s.; Id., Opuscolo per le nozze Fracassetti-Piccolomini, Ripatransone 1838, pp. 9 s.; Id., Opuscolo per le nozze Marini-Bernardini, Ripatransone 1841, pp. 4 s.; Id., Lettera sopra i Caro e i Condivi, Ripatransone 1850, I, p. 360; A. Atti, A. C., Ripatransone 1851; M. Gualandi, Mem. originali riguardanti le belle arti, Bologna 1854, s. 1, p. 77; s. 2, p. 179; s. 5, pp. 66-67; G. Milanesi, Alcune lettere di A. C. e di altri a messer Lorenzo Ridolfi, in Il Buonarroti, settembre 1868, pp. 206-210; C. Grigioni, A. C., la vita e le opere, Ascoli 1908; Id., Affreschi di A. C., in Rassegna bibliografica dell'arte ital., IV (1901), pp. 1-13 (rec. in L'Arte, IV[1901], p. 216); K. Frey, Michelagniolo Buonarroti. Quellen und Forschungen zu seiner Gesch. und Kunst, Berlin 1907, ad Indicem; J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica, Firenze 1924, pp. 358 s., 374 s.; P. D'Ancona, Michelangelo, la vita raccontata dal suo discepolo A. C., Milano 1928; E. Battisti, Note su alcuni biografi di Michelangelo: F. de Hollanda, Vasari, C., Varchi, in Scritti d'arte in onore di L. Venturi, Roma 1956, pp. 330-335; M. Ferbach, Die gefälschte Michelangelo-Vita C.s, Wien 1959; G. Vasari, La vita di Michelangelo nelle redaz. del 1550 e del 1568, a cura di P. Barocchi, Milano-Napoli 1962, VI pp. 53 s.; U. Procacci, Postille contemporanee in un esemplare della Vita di Michelangelo del C., in Atti del Convegno di studi michelangioleschi, Firenze-Roma 1964, Roma 1966, pp. 279 s.