as-SULṬĀNIYYAH
. Antica città della Persia occidentale, le cui rovine, con un villaggio di povere casupole moderne, sorgono a circa 15 km. a O. dello spartiacque tra il Zangiān e l'Abhar. Fu per breve tempo residenza degli Ilkhān mongoli della Persia; fondata alla fine del sec. XIII da Arghūn, che eresse le mura di cinta, fu poi notevolmente ampliata da Ulgiāitū, che dal 1305 vi aveva stabilito la sua dimora. Il vizir Rashīd ed-dīn costrusse a sue spese un intero quartiere di mille case, terminato nel 1313. La città perdette presto importanza di fronte a Tebrīz; e R. G. Clavijo, che la visitò nel 1404, riferisce che molti edifici di as-Sulṭāniyyah erano stati distrutti dal figlio pazzo di Tīmūr, Mīrān Shāh. Oltre alle rovine d'una moschea, rimane del breve periodo di fioritura della città soltanto il mausoleo di Ulgiāitū Khodābandah (morto nel 1316), il monumento più importante dell'epoca della dominazione mongola nell'Iran. È un edificio in laterizî a pianta ottagonale, con una cupola a punta alta 50 metri, circondata da otto pilastri a forma di torri che hanno a pianterreno delle nicchie e nel piano superiore una galleria esterna di arcate di uguale altezza. L'accentuata tendenza verticale unita al sistema degli archi a sesto acuto ha indotto a raffronti con l'architettura gotica.
È molto probabile che as-Sulṭāniyyah fosse nel sec. XIV anche un centro della produzione ceramica e che vi fossero effettivamente lavorate le leggiadre ceramiche di stile mongolo, note nel commercio come "ceramiche di Sulṭānābād". Si tratta di recipienti con figure di animali o umane inserite entro un fitto intreccio di piante, in parte lisci, in parte a leggiero rilievo, decorati a diversi colori (grigio, azzurro, nero, turchese) sotto smalto trasparente.
Bibl.: V. Minorsky, Sultaniyah, in Encycl. de l'Islam; E. Diez, Die Kunst der islamischen Völker, Potsdam 1926, p. 64 segg.; R. L. Hobson, Islamic Pottery of the Near East, Londra 1932, p. 53 segg.