ROCCO, Arturo
– Nacque a Napoli il 23 dicembre 1876 dal funzionario ministeriale Alberto e da Maria Berlingieri.
Studiò giurisprudenza non nella città natale, ma dal 1894 al 1896 a Genova, seguendo i corsi penalistici di Ferdinando Mecacci, e dal 1896 a Roma, dove, dopo la frequenza delle lezioni di Pietro Nocito (che teneva anche corsi in materia di istituti penitenziari e di pubblica sicurezza) e forse del libero docente Enrico Ferri, si laureò nel 1898.
Tra il 1899 e il 1900 esordì con la pubblicazione della tesi (Amnistia, indulto e grazia nel diritto penale romano, in Rivista penale, XXV (1899), pp. 16-41) e con studi dalle pagine di varie riviste giuridiche riguardanti l’abuso di foglio in bianco, schierandosi contro l’orientamento dominante, espresso anche in una sentenza della Cassazione della quale era stato relatore Luigi Lucchini.
Sulla base di questa produzione e del primo volume monografico scelse la strada dell’insegnamento universitario.
Vincenzo Manzini (in Annali di diritto e procedura penale, XI (1942), pp. 453 s.) narra che fu allievo di Vittorio Scialoja. Nel 1905, d’altronde, Rocco fu uno dei discepoli che parteciparono agli scritti in onore del maestro romanista (Sul concetto del diritto subiettivo di punire, in Studi [...] in onore di Vittorio Scialoja, I, Milano 1905, pp. 499-529).
Nel 1901 vinse il concorso per professore straordinario di diritto e procedura penale a Urbino e ottenne l’abilitazione alla libera docenza a Pavia. Dal 1902 insegnò a Ferrara e nel gennaio del 1903 trasferì la libera docenza a Roma (dove, almeno nel 1905-06, non tenne lezioni). Dal dicembre 1907 fruì di un incarico di supplenza a Cagliari. A seguito di concorsi, nel novembre del 1909 approdò a Sassari e due anni dopo giunse a Siena, dove insegnò fino al 1916 e fu preside della facoltà giuridica nel 1914-15. In quegli anni insegnò anche diritto costituzionale a Urbino, diritto internazionale a Ferrara, filosofia del diritto a Cagliari, introduzione allo studio delle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile a Siena.
Nel 1914 sposò la ferrarese Emma Maganzini, con la quale ebbe le figlie Paola (1916) e Adriana (1921).
Dopo la nomina a successore di Enrico Pessina a Napoli, nel dicembre del 1916, evitò la chiamata alle armi perché «indispensabile nel suo ufficio di professore» (Siena, Archivio dell’Università, Fascicoli docenti, 1086) e cominciò l’insegnamento nel febbraio del 1917.
Dal febbraio del 1922 al dicembre del 1923 svolse anche funzioni di giudice penale di prima istanza a San Marino.
Dal 1924 al 1929 insegnò a Milano. Alla fine del 1929 passò a Roma e vi insegnò fino alla morte (a parte i congedi ottenuti durante l’incarico di compilazione del codice penale, durante i quali fu sostituito da Silvio Longhi).
A Roma promosse la scuola fondata dal predecessore Enrico Ferri, trasformandola nella Scuola di perfezionamento in diritto penale e sostenendola con un significativo discorso d’apertura dei corsi (Opere giuridiche, III, Scritti giuridici vari, Roma 1932, pp. 757-780).
Dell’attività didattica, oltre al discorso di apertura dell’anno a Urbino (La riparazione alle vittime degli errori giudiziari…, in Annuario della libera Università di Urbino, 1901-1902, pp. 21-140, Urbino 1902), dove già dimostrò una buona conoscenza della letteratura francese e tedesca, si segnalano le lezioni inaugurali Il problema e il metodo della scienza del diritto penale (in Rivista di diritto e procedura penale, I (1910), pp. 497-521, 561-582 e Opere giuridiche, III, cit., pp. 127-152: prolusione sassarese, 1910), La pena e le altre sanzioni giuridiche (in Rivista penale, 1917, vol. 85, pp. 329-349: prolusione napoletana, 1917) e Le misure di sicurezza e gli altri mezzi di tutela giuridica (in Rivista di diritto penitenziario, I (1930), pp. 1245-1283: prolusione romana, 1930). Oltre a queste sono disponibili gli appunti a stampa dei corsi senesi del 1912 e 1913 (Siena, Università, Biblioteca del circolo giuridico, P5 204) e dei corsi romani dei primi cinque anni degli anni Trenta. A ciò si aggiunge il dettaglio degli argomenti trattati a lezione a Siena nel periodo della sua docenza (Siena, Archivio dell’Università, XIX, C 10-11) e nel 1940-41 a Roma (Roma, Archivio storico dell’Università La Sapienza, Didattica, Programmi dei corsi, b. 36, f. 20).
La produzione scientifica e la fortuna di Rocco ruotano intorno a quattro monografie e alla prolusione dei corsi del 1910.
Alla prima monografia (Trattato della cosa giudicata come causa di estinzione dell’azione penale, Modena, 1900-1901, in Opere giuridiche, II, Trattato della cosa giudicata come causa di estinzione dell’azione penale…, Roma 1932, pp. 1-270), dedicata a Luigi Lucchini, seguirono due lavori consistenti nella raccolta e nel ripensamento di alcuni saggi già pubblicati. Il primo, L’abuso di foglio in bianco: studio di diritto penale, vide la luce a Milano nel 1903, il secondo (La riparazione alle vittime degli errori giudiziari, Napoli 1906, in Opere giuridiche, II, cit., pp. 271-624) fu dedicato al romanista Carlo Fadda suo docente a Genova. Il culmine della sua attività di ricerca, dove egli concretizzò le sue proposte metodologiche fu, però, il volume dedicato a L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale. Contributo alle teorie generali del reato e della pena (Milano 1913, in Opere giuridiche, I, L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale: contributo alle teorie generali del reato e della pena, Roma 1932, con indice analitico di Salvatore Cicala; traduzione in spagnolo, Montevideo 2001).
Annunciato da un percorso scientifico solido, nel 1910 dalla cattedra di Sassari sintetizzò il suo credo riguardante le scienze penalistiche.
In questa prolusione, evidenziando al tempo stesso potenzialità future e radici, si raccoglievano e ordinavano istanze diffuse tra i penalisti, evidenziando una cultura penalistica in crisi e la volontà di rafforzare il momento giuridico dell’indagine penalistica. Anziché isolare il penalista, si proponeva di farne di nuovo un giurista a pieno titolo, specie rispetto all’idea del penale promossa dalla cosiddetta scuola positiva. Ciò poteva esser fatto delimitando i campi d’indagine rispetto alle altre scienze sociali, abbandonando gli ancoraggi illuministici e separando il «penale dal politico» (Sbriccoli, 2009a, p. 579).
La prolusione segnò l’avvio del ‘metodo tecnico-giuridico’ (di «elaborazione tecnico-giuridica del diritto penale positivo e vigente», Il problema e il metodo, cit., p. 508), oggetto di valutazioni contrastanti, essendo stato per taluni «momento di involuzione della dottrina italiana e per altri espressione di uno sforzo di sistemazione scientifica» (Garlati, 2013). In ogni caso, esso all’origine era privo di connotati eversivi o anticipatori di litanie fasciste e orientato alle speculazioni di Vittorio Emanuele Orlando. Da quel momento, da studioso, Rocco diventò maestro di non pochi, anche se con il tempo per certi aspetti il suo messaggio perse per strada le ragioni che l’avevano ispirato (Sbriccoli, 2009b, p. 1005). L’avere slegato il penale dal politico, infatti, fece sì che questo metodo acquisisse una sorta di «vocazione poligamica» (Sbriccoli, 2009a, p. 589), tanto da consentire allo stesso Rocco di fabbricare il tecnicamente pregevole, ma fortemente autoritario, codice penale del 1930 e da far sì che molti dei suoi esponenti si sposassero con le istanze del regime totalitario fascista.
Esercitò a lungo anche la professione di avvocato, ma di essa non restano a oggi grandi tracce (ad esempio in Rivista penale, 1924, vol. 100, pp. 79-83 e in A. Rocco - A. Pozzolini, Memoria per il signor Sabatino Pretini…, Pisa 1930). Questa esperienza, assieme al ruolo del fratello Alfredo, allora guardasigilli, e dell’antico maestro Vittorio Scialoja, gli consentì di vedersi nominato, tra il 1926 e gli anni successivi, membro dei vari consigli e commissioni posti a capo dell’ordinamento forense.
Convinto nazionalista e collaboratore del periodico Politica, fondato dal fratello e da Francesco Coppola, imperialista al tempo della Grande Guerra e reazionario sugli scioperi nei servizi pubblici (1920), a partire dal 1° giugno 1923 si iscrisse al Partito nazionale fascista e da quel momento fu annoverato tra i giuristi di regime.
Al principio degli anni Venti la sua produzione si arrestò bruscamente: dalla fase speculativa passò all’attuazione e alla divulgazione delle dottrine elaborate, proponendo assieme a Manzini il programma di una Società italiana per gli studi di diritto penale che non ebbe, però, grande futuro. Nel 1929 fondò, in collaborazione con altri giuristi, la Rivista italiana di diritto e procedura penale e, alcuni anni dopo, diresse i neonati Annali di diritto e procedura penale.
Nel novembre del 1925, bocciato quale relatore della sua facoltà il progetto Ferri del 1923, avviò la collaborazione con il ministero per la redazione del codice penale.
All’impegno per la redazione del codice penale, Rocco affiancò la partecipazione a varie commissioni e comitati, tra i quali la commissione per la revisione del codice penale militare (1925-34), quella per la stesura del regolamento degli istituti di prevenzione e pena (1930-31) e quelle per lo studio delle riforme costituzionali per l’ordinamento fascista.
Pur allineato, Rocco non può essere inquadrato tra i teorici del fascismo, anzi al contrario si può dire che fu il fascismo ad alimentarsi dei principi ideati da ideologi del suo rango. Rocco fu uomo del suo tempo, conscio della fragilità dello Stato da poco nato. Per questo e non per tendenze totalitarie pensò uno Stato senza limiti al proprio potere legislativo e, in quanto paternalisticamente autoritario, curatore di interessi e di bisogni sociali.
Positivisti a parte (si veda la recensione degli scritti del 1909-10 curata dal giovane Filippo Grispigni, in La scuola positiva, XXI (1911), pp. 332-336), il magistero di Rocco, apprezzato in vita da penalisti – «veramente magistrale la trattazione», scrisse la Rivista penale (1911, vol. 74, p. 138) della prolusione sassarese – e dai cultori di altre discipline, come Angelo Sraffa (Arturo Carlo Jemolo, 2009, p. 93), dopo pochi anni dalla morte (tra il 1942 e il 1943 Pier Silverio Leicht presiedette un comitato per le onoranze a Rocco) il suo magistero fu preda del tempo. Già negli studi in sua memoria Giovanni Maggiore (1952) offrì di lui un bozzetto appetitoso che faceva da contraltare a una non blanda critica circa la produzione scientifica guidata dal metodo da lui promosso. Dell’uomo evidenziò il «traboccante eloquio partenopeo», la «vaghezza delle sue boutades e dei suoi frizzi, spassosi senza sguaiaterie, mordenti senza volgarità», ma anche un’«asseveranza intransigente» vicina al «dogmatismo» e riferì che «conversando con lui» si percepiva di aver di fronte «un talento giuridico fuori classe» (p. 3).
Morì a Roma il 2 aprile 1942.
Opere. Alcuni scritti di Rocco sono stati ripubblicati in Opere giuridiche, I-III, Roma 1931-1932; altri sono censiti nel primo volume degli scritti in sua memoria (Studi in memoria di Arturo Rocco, I, Milano 1952, pp. VII-IX). Di altri si trova indicazione negli annuari delle varie università dove insegnò.
Fonti e Bibl.: Siena, Archivio dell’Università, XIV A 9, XIV A 7, XIV C 10, XIV C11; Fascicoli docenti, 1086; Roma, Archivio storico dell’Università La Sapienza, Didattica, Programmi dei corsi, b. 36, f. 20; Fascicoli docenti, AS 415; Roma, Fondazione Giovanni Gentile, Carteggio, b. 108 (lettere a Gentile del 1918-31); Annuario dell’Università di Roma, aa. 1896-1907; Annuario dell’Università di Genova, aa. 1894-96; Annuario dell’Università di Ferrara, aa. 1902-07; Annuario dell’Università di Pavia, a. 1902; F.P. Gabrieli, R. A., in Nuovo Digesto Italiano, XI, Torino 1939, pp. 904 s.
G. Maggiore, A. R. e il metodo «tecnico-giuridico», in Studi in memoria di A. R., I, Milano 1952, pp. 3-34; P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico, Milano 2000, ad ind.; A. Meniconi, La maschia avvocatura. Istituzioni e professioni forensi in epoca fascista, 1922-1943, Bologna 2006, ad ind.; M. Sbriccoli, La penalistica civile. Teorie e ideologie del diritto penale nell’Italia unita, in Id., Storia del diritto penale e della giustizia, I, Milano 2009a, pp. 573-590; Id., Le mani in pasta e gli occhi al cielo. La penalistica italiana negli anni del fascismo, ibid., II, Milano 2009b, pp. 1025-1034; Arturo Carlo Jemolo. Lettere a Mario Falco, a cura di M. Vismara Missiroli, II, Milano 2009, ad ind.; M. Donini et al., Dibattito su legittimazione e metodo della scienza penale: a cento anni dalla prolusione sassarese di A. R., in Criminalia. Annuario di scienze penalistiche, V (2010), pp. 127-152; S. Seminara, Sul metodo tecnico-giuridico e sull’evoluzione della penalistica italiana…, in Studi in onore di Mario Romano, I, Napoli 2011, pp. 575-616; F. Colao, Penalisti nell’Università di Siena…, in Studi senesi, CXXIV (2012), pp. 13-22; G. De Francesco, A. R., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, Roma 2012, pp. 376-380; L. Garlati, A. R. inconsapevole antesignano del fascismo nell’Italia liberale, in I giuristi e il fascino del regime (1918-1925), a cura di I. Birocchi - L. Loschiavo, Roma 2013, pp. 191-213; L. Garlati - M.N. Miletti, R. A., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1704-1708.