MIOLATI, Arturo
– Nacque a Mantova il 2 marzo 1869 da Pietro e da Luigia Pedrazzi.
Compì gli studi nella città natale, nella sezione fisico-matematica del r. istituto tecnico, ottenendo la licenza nel 1886. Fu poi ammesso a frequentare la sezione di chimica industriale della celebre Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo, dove si diplomò ingegnere chimico nell’agosto 1889. Nel dicembre 1890 conseguì la laurea in filosofia presso la sezione di scienze fisico-matematiche della locale Università, discutendo una tesi sperimentale dal titolo «Über die Umwaldlung von Rhodaniden in ringförmige Verbindungen».
Ebbe tra i suoi docenti A.R. Hantzsch, i cui studi all’epoca furono all’origine di una nuova disciplina, la chimica organica fisica. Questi, mosso da stima e considerazione per le doti e la dedizione alla ricerca del M., lo volle come assistente e, quando nel 1891 ricevette da W. Ostwald l’apparecchio per la misura della conducibilità elettrica, glielo affidò nell’ambito delle ricerche in corso sulla stereoisomeria di composti contenenti azoto. Il giovane M. svolse quindi un ruolo centrale nell’adeguamento dei metodi e della mentalità chimico-fisica nel laboratorio di Hantzsch, iniziando il suo percorso scientifico in un settore innovativo con grandi possibilità di sviluppo. Il suo perfezionamento proseguì con un soggiorno a Tubinga presso L.J. Meyer e con il ritorno a Zurigo presso Hantzsch, dove rimase fino al 1893.
Il periodo trascorso all’estero fu certamente il più intenso e proficuo della sua carriera scientifica. La collaborazione con Hantzsch si sviluppò soprattutto nello studio delle ossime, con l’estensione all’azoto dei principî della stereochimica (il modello tetraedrico e le isomerie geometriche), elaborati da J.A. Le Bel e J.H. Van’t Hoff per il carbonio.
Nella loro più importante pubblicazione congiunta, Über die Beziehungen zwischen der Konfiguration und den Affinitätsgrössen stereoisomerer Stickstoffverbindungen, rilevante sia per essere ospitata nella Zeitschrift für physikalische Chemie (X [1892], pp. 1-30), sia per essere la prima, nella tradizione delle misure delle costanti di dissociazione degli acidi organici, proveniente da un istituto di chimica organica, si adottava una sottile distinzione tra costituzione e configurazione di una sostanza organica, intendendo con il primo termine la sola disposizione relativa degli atomi che costituiscono una sostanza e con il secondo per di più l’influenza reciproca tra due atomi o gruppi atomici a livello intramolecolare, che a sua volta dipende dalla loro distanza assoluta. Se Ostwald aveva messo in evidenza che la conducibilità elettrica delle sostanze dipendeva non solo dalla loro natura e composizione, ma anche dalla loro costituzione, Hantzsch e il M. mostrarono a livello sperimentale, nel caso delle ossime e dei loro derivati, la stretta relazione esistente tra conducibilità elettrica e configurazione chimica. I risultati ottenuti si spinsero al di là della pur importante delucidazione della stereoisomeria delle ossime, costituendo un rilevante successo delle applicazioni della chimica fisica all’ambito organico; inoltre più tardi contribuirono a mettere in evidenza i limiti dei tradizionali metodi investigativi ivi impiegati, che, pur fecondi di risultati nel passato, non potevano corrispondere alle più recenti esigenze conoscitive.
La competenza acquisita dal M. in queste tecniche di indagine trovò una ancora più importante applicazione nella collaborazione con A. Werner, di poco più anziano e anch’egli allievo di Hantzsch. La distinzione introdotta da F.A. Kekulé tra «composti atomici» e «composti molecolari» (tipo NH3 HCl o PCl3 Cl2) per salvaguardare la dottrina della valenza costante, aveva indotto studiosi quali A. Wurtz e Ch.W. Blomstrand a spiegare la costituzione dei complessi mediante delle catene in cui NH3 giocava lo stesso ruolo del gruppo CH2 negli idrocarburi, in coerenza con la predominante influenza della chimica organica nella seconda metà dell’Ottocento. Nel caso, per esempio, del complesso [Co(NH3)6]Cl3 la costituzione veniva descritta dal danese S.M. Jørgensen mediante catene di NH3 legate a una estremità all’atomo di cobalto e all’altra ai tre anioni cloruro, ionizzabili e determinabili quantitativamente mediante la precipitazione con il nitrato d’argento. Riscaldando il complesso un terzo del cloruro presente non precipitava più e il prodotto ottenuto, [Co(NH3)5Cl]Cl2, veniva spiegato con la formazione di un legame diretto tra uno degli atomi di cloro e il metallo, con allontanamento dell’ammoniaca.
Introducendo il concetto di valenza primaria o ionizzabile (Hauptvalenz) e secondaria o non ionizzabile (Nebenvalenz), Werner postulava invece che ogni metallo in un particolare stato di ossidazione (valenza primaria) avesse un numero fisso di valenze secondarie (che chiamò numero di coordinazione). Mentre le prime potevano esser saturate solo da anioni, le seconde ammettevano un legame anche con molecole neutre (ammoniaca, acqua ecc.), con possibilità di interscambio. Il modello cui si ispirava Werner, la configurazione a ottaedro per lo ione costituito dal metallo e dai gruppi coordinati, mancava però di prove sperimentali. Fu probabilmente il successo nella determinazione della configurazione spaziale delle ossime che spinse gli studiosi a estendere le procedure conduttometriche all’esame dei sali complessi. Nel 1879 F. Kohlrausch aveva stabilito che la conducibilità equivalente di un elettrolita corrispondeva alla somma della conducibilità dei rispettivi ioni: dato che la mobilità degli ioni (a parte certi casi) non varia molto, il principio di additività forniva un metodo relativamente semplice per determinare il numero di ioni in cui un composto solubile si dissocia, che il M. applicò ai problemi di costituzione dei complessi preparati da Werner.
Nella prima di tre pubblicazioni congiunte (per cui si vedano rispettivamente: A. Werner - A. Miolati, Contributo allo studio della costituzione dei composti inorganici, in Gazzetta chimica italiana, XXIII [1893], pt. 2ª, pp. 140-165; XXIV [1894], pt. 2ª, pp. 408-427; XXVII [1897], pt. 1ª, pp. 299-316), i due esaminarono il comportamento di una serie di complessi amminici del cobalto (III), nei quali le molecole di ammoniaca vengono progressivamente sostituite da anioni monovalenti, con una corrispondente diminuzione di conduttività. Dopo tre sostituzioni il contributo del nuovo prodotto, p. e. [Co(NH3)3 (NO2)3], alla conducibilità della soluzione diventa praticamente nullo, mentre una ulteriore sostituzione manifesta nuovamente l’effetto osservato: «La conducibilità piccolissima del nitrito di triammincobalto non può esser causata da altro che dal diretto legame dei tre gruppi nitro con l’atomo metallico e così è portata una prova concludente per la costituzione per esso proposta e per l’ipotesi che il residuo acido unito direttamente all’atomo metallico non agisce come ione, ma forma radicale coll’atomo metallico stesso». Risultati analoghi venivano ottenuti per i composti Pt(NH3)2Cl2 e Pt(NH3)2Cl4, per ciascuno dei quali si riscontravano due forme. Gli autori osservavano però che la loro isomeria non era di struttura, come supposto da Jørgensen, ma molto probabilmente stereoisomerica.
Werner considerava l’accertamento sperimentale della natura non elettrolitica di questo tipo di composti una decisiva conferma della sua teoria, mentre l’ipotesi di Jørgensen, il principale antagonista, non riusciva a darne conto. Nell’agosto del 1894, nella seconda pubblicazione, volta anche in risposta a una memoria dello studioso danese, egli e il M. ricorsero a misure di conducibilità a bassa temperatura (1 °C) per minimizzare l’azione dell’acqua, valutando nel contempo il decorso temporale. Nella presentazione dei risultati, con un understatement indicativo della loro sicurezza, si affermava: «in seguito alla concordanza completa e quantitativa tra la grandezza, l’andamento e la variazione della conducibilità elettrica molecolare, che teoricamente si deducono dalle nostre vedute, e il comportamento osservato dei composti sperimentati, il principio su cui esse si fondono viene ad acquistare molto in probabilità». Nella terza nota, del 1896, dopo l’esame di altri 20 sali cobaltoammoniacali (per un totale di circa cinquanta), essi davano ormai per assodata la loro teoria, almeno per il cobalto, impegnandosi a «caratterizzare completamente i sali ammoniacali di altri elementi». Tali ricerche, raccolte nella monografia di Werner Neuere Anschauungen auf dem Gebiete der anorganischen Chemie (Braunschweig 1906), dedicata «seinem lieben Freunde Herrn Prof. Dr. Arturo Miolati in Turin in Erinnerung an gemeinschaftliche Jugendarbeit», costituirono una vera rivoluzione della chimica inorganica e condussero Werner a essere insignito con il premio Nobel per la chimica nel 1913.
A Zurigo il M. aveva tradotto in tedesco il Sunto di un corso di filosofia chimica presentato al congresso di Karlsruhe del 1860 da S. Cannizzaro, la cui dottrina non era stata ancora completamente accettata. L’incontro con Meyer, fin dall’inizio sostenitore convinto delle posizioni di Cannizzaro, gli consentì di pubblicare tale testo base della chimica contemporanea negli «Ostwalds Klassiker der exakten Wissenschaften» (Abriss eines Lehrganges der theoretischen Chemie, Leipzig 1891). Da tale iniziativa nacque una corrispondenza con Cannizzaro, da tempo figura istituzionale dominante nella chimica italiana: nella primavera del 1893 il M. si trasferì a Roma, dove iniziò il proprio percorso accademico come secondo preparatore, acquisendo nell’anno successivo la libera docenza e coprendo il ruolo di assistente dal 1898 al 1901. Dopo aver partecipato a due concorsi, dove conseguì l’idoneità ma non la nomina, vinse quello per la prima cattedra di elettrochimica in Italia, istituita presso il Museo industriale di Torino (dal 1906 Politecnico), con decorrenza dal 1° genn. 1902.
A Roma, e poi a Torino, il M. poté disporre della strumentazione di cui era divenuto esperto e ciò gli consentì da una parte di continuare a collaborare con Werner, dall’altra di allargare i suoi interessi ad altri ambiti. Oltre alle indagini su complessi del rutenio e dell’iridio, vanno ricordate quelle sui complessi esacoordinati del platino, nelle quali mise in evidenza l’analogia tra gli ioni degli alogenuri e l’ossidrile, preparando quasi tutti i componenti della serie H2[PtCl6-n(OH)n].
Fin dal 1901 aveva studiato con i metodi conduttometrici la neutralizzazione di numerosi acidi inorganici, rilevando alcune anomalie ed estendendo poi tali studi alla determinazione della basicità e della composizione di eteropoliacidi in cui l’anione è costituito da un numero variabile di molecole o radicali acidi diversi. Per lungo tempo si era ritenuto che anche tali composti avessero una struttura a catena; la loro grande stabilità e l’esistenza di composti nei quali il rapporto tra MoO3/SiO2 non supera 12, avevano però indotto il M., con un indirizzo sviluppato poi da A. Rosenheim, ad applicare in modo originale la teoria della coordinazione di Werner ammettendo l’ipotesi di un acido capostipite di configurazione ottaedrica, nella quale tutti gli atomi di ossigeno possono esser sostituiti da certi radicali. Se la sostituzione è completa si parla di acidi «saturi», altrimenti di «insaturi».
La teoria Miolati - Rosenheim permetteva di rappresentare i composti come elettroliti e di porre gli atomi con grado di ossidazione positivo in un corretto rapporto con gli anioni. Tuttavia non tutti i composti venivano descritti in modo soddisfacente, e non sempre era correttamente prevista la basicità massima o il grande numero di molecole d’acqua in essi contenute. In particolare poi la teoria dipendeva dall’esistenza di gruppi «piro» in soluzione, non provata per certi radicali. Oggi essa ha un interesse soprattutto storico, ma a suo tempo ebbe una funzione «catalitica» nell’orientare le ricerche.
A Torino le responsabilità della cattedra tolsero spazio alle attività di ricerca del M., assorbito dai corsi di elettrochimica e chimica fisica e da iniziative dirette a supplire alle gravi carenze dell’organizzazione del laboratorio e della preparazione degli allievi. La nuova situazione inoltre lo coinvolgeva nella vita della comunità dei chimici, per esempio con la partecipazione alla Società italiana per il progresso delle scienze (SIPS), di cui presiedette la sezione chimica dal 1916 al 1919. In occasione della prima riunione, tenuta a Parma nel settembre 1907, lesse la relazione inaugurale della sezione, dal titolo Delle nuove idee sulla costituzione dei composti inorganici, rimasta inedita, presentando ai colleghi italiani le nuove idee elaborate insieme con Werner e le sue ricerche in corso sugli acidi complessi.
Impegnato nell’organizzazione del II Congresso di chimica applicata, tenuto nel 1912 a Torino, lesse la relazione di apertura della sessione dedicata alla riforma dell’insegnamento superiore della chimica. Nel ricordare che la mancata corrispondenza tra la preparazione dei chimici e le esigenze industriali, già sottolineata da Cannizzaro nel convegno del 1902, nel decennio intercorso non aveva trovato risposte né dalle autorità di governo né dall’industria interessata, sottolineò che l’auspicata e necessaria introduzione di nuovi insegnamenti non sarebbe stata in sé sufficiente. Occorreva ridurre il peso della lezione ex cathedra, dando agli studenti un ruolo attivo in incontri e discussioni; selezionare un’impresa efficiente e studiarne in modo minuto e dettagliato tutti gli aspetti, anziché trattare in modo generico tutte le produzioni; pretendere sempre una tesi sperimentale; promuovere, con il supporto dell’iniziativa privata come avvenuto per l’Università Bocconi, la fondazione di una istituzione, aperta ai giovani laureati, dove condurre studi sperimentali ed esperienze industriali. Tali sue proposte vennero poi riprese da R. Nasini nel 1917, al nono congresso della SIPS.
Numerosi furono i contributi del M. allo sviluppo applicativo della sua disciplina, tra i quali la relazione Le industrie elettrochimiche in Italia (poi in Atti della Società per il progresso delle scienze, VIII [1916], pp. 259-272). Non meno importante fu la valorizzazione di giovani talenti, come A. Chilesotti e L. Casale: per illustrare un processo per la sintesi dell’ammoniaca messo a punto da quest’ultimo tenne numerose conferenze, in Italia e all’estero. Quando il paese si trovò impegnato nella prima guerra mondiale, fece parte delle numerose commissioni istituite per suggerire i modi per provvedere agli urgenti bisogni dei materiali più vari, dagli esplosivi alle materie prime per l’industria chimica e l’agricoltura.
Nel 1917, con voto unanime, la facoltà di scienze dell’Università di Padova chiamò il M. a sostituire G. Bruni, trasferito a Milano, come titolare della cattedra di chimica generale con l’incarico di chimica organica. Trovò una situazione forse peggiore che a Torino, dato che, essendo Padova quasi nelle immediate retrovie del fronte, l’edificio destinato all’istituto di chimica, appena costruito e quasi completamente arredato, era stato requisito dall’esercito prima ancora di entrare in funzione. Riuscì peraltro a rendere operativa la nuova sede fin dall’anno accademico 1919-20. Risalgono probabilmente all’immediato dopoguerra anche studi sugli accumulatori, che lo portarono più tardi a registrare all’estero due brevetti.
Il M. sposò, ormai in età matura, Chiara Clementini, ma non ebbe figli e la sua vita rimase concentrata intorno alla ricerca e all’attività accademica.
Quando nel 1927 il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) fu riorganizzato, privilegiando le ricerche applicate a fini militari, fu nominato direttore della commissione per i combustibili di sintesi e membro di quella per gli idrocarburi aromatici (gli esplosivi). Preside della facoltà di scienze nel 1928, l’anno successivo fu anche commissario straordinario della Scuola di ingegneria e direttore della Scuola di farmacia. Collegato a questo incarico fu l’impegno del M. per l’istituzione a Padova della facoltà di farmacia. Tuttavia l’innovazione istituzionale più rilevante da lui promossa fu certamente la creazione della cattedra di chimica-fisica, approvata il 16 apr. 1932, e l’organizzazione del relativo istituto, nel quale espresse con originalità le sue doti di organizzatore della ricerca scientifica. Già nel 1927 aveva allestito un laboratorio per lo studio delle sintesi ad alte pressioni; in quello stesso anno, durante un viaggio a Praga compiuto per illustrare il processo messo a punto da L. Casale, poté fare diretta esperienza, nel laboratorio dell’inventore J. Heyrovský, della polarografia, sorta di elettrolisi effettuata con un catodo a goccia di mercurio continuamente rinnovato. Nel 1929 acquistò un esemplare dell’apparecchio e ne affidò la sperimentazione all’allievo G. Semerano. A tale iniziativa va fatta risalire l’istituzione a Padova (1949) del Centro di studio per la polarografia del CNR.
Il nuovo istituto fu sede di altre iniziative di ricerca molto innovative, riassumibili latamente nell’ambito dell’interazione luce/materia: un collaboratore del M., E. Viterbi, poi costretto ad abbandonare in seguito alle leggi razziali, si occupava di spettrografia di assorbimento visibile e ultravioletto; ciò condusse anche ad attivare l’insegnamento per incarico di «chimica fotografica», il primo del genere in ambito universitario.
Nel 1937 il M. prese congedo, due anni prima della scadenza naturale, e si trasferì a Roma, dove riprese riflessioni e studi. Da tempo meditava sull’inadeguatezza della formulazione classica della chimica organica e sentiva il rammarico di aver dovuto insegnarla usando un linguaggio distinto rispetto all’inorganica, come se si trattasse di due chimiche diverse. Se nella seconda la valenza variabile degli elementi era ormai comprovata, nell’organica la tetravalenza del carbonio rimaneva un indiscusso postulato, a parte il caso del monossido. Con la collaborazione sperimentale di Semerano, suo successore a Padova, egli condusse studi polarografici su numerosi acidi organici, ottenendo risultati da cui desumeva che essi potessero formarsi dalla combinazione di «molecole labili», tipo CH, CH2, CH3, C2O, CO, CO2, nelle quali il carbonio assumeva uno stato di valenza inferiore al consueto.
Gli ultimi anni della vita del M. furono particolarmente infelici, per la perdita della moglie e per le conseguenze della guerra (fu anche costretto ad alienare la sua biblioteca privata). Non trascurò peraltro gli studi e raccolse una notevole quantità di materiale che intendeva utilizzare nella redazione dell’ultima sua testimonianza, Panorami chimici, rimasta però inedita e della quale l’originale risulta smarrito.
Fu socio di molte accademie: Società italiana per il progresso delle scienze, Istituto veneto di scienze lettere ed arti, Accademia di scienze lettere ed arti di Padova, Accademia degli Agiati di Rovereto, Accademia delle scienze di Torino, Association des ingénieurs de Liège, Accademia nazionale delle scienze detta dei XL.
Il M. morì a Roma il 23 febbr. 1956.
Fonti e Bibl.: A Roma, presso l’Accademia dei XL, sono consultabili il Fondo Miolati (ordinato e catalogato), il Fondo Semerano e, nelle Carte Cannizzaro, s. 1, Corrispondenza personale, scatola 4, il f. Arturo Miolati. Ulteriore documentazione è in Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale per l’istruzione superiore: f. personale, II versamento, 1ª s., b. 99, f. Miolati; Padova, Arch. stor. dell’Università, f. personale Arturo Miolati. Le commemorazioni più utili sono quelle di G. Bragagnolo, in La Chimica e l’industria, XXXIX (1957), pp. 101 s., e di C. Sandonnini, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CXV (1956-57), pp. 33-41; si veda altresì la voce curata da G. Semerano, in Scienziati e tecnologi dalle origini al 1875, II, Milano 1975, pp. 399 s. L’elenco completo dei lavori del M. è in A. Amati - G. Semerano, Un contributo alla storia della chimica: A. M. (1869-1956), in Rendiconti dell’Acc. nazionale delle scienze detta dei XL. Memorie di scienze fisiche e naturali, s. 5, IX (1985), 2, pp. 54-62. Inoltre: A. Werner, Coordinazione dei composti chimici inorganici: epistolario Alfred Werner - Arturo Miolati, a cura di A. Ballio - G. Semerano, Roma 2000; G.B. Kauffman, A. M. (1869-1956), in Isis, LXI (1970), 2, pp. 241-253; G. Semerano, I venti anni (1917-1937) di A. M. all’Università di Padova: realizzazioni e progressi, in Rendiconti dell’Acc. nazionale delle scienze detta dei XL, Memorie di scienze fisiche e naturali, s. 5, XIX (1995), 2, pp. 513-519; A. Karachalios, Il contributo di A. M. alla teoria della valenza e della struttura molecolare dei composti organici ed inorganici nel periodo 1890-1913, ibid., s. 5, XXV (2001), 2, pp. 313-324; V. Caglioti, Poliacidi, in Enciclopedia Italiana, XXVII, pp. 623 s.
A. Bassani