Graf, Arturo
Critico e scrittore (Atene 1848 - Torino 1913), professore di letteratura italiana nell'università di Torino. Il suo interesse critico per D. non fu molto pronunciato, se di veri e propri contributi danteschi non ci rimangono di lui che il saggio Demonologia di D., raccolto nella seconda serie di Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo (Torino 1893), e la lettura del canto XXVIII del Purgatorio (Firenze 1902). D., per il G., appartiene integralmente alla civiltà romanza; e di questa, in particolare, rappresenta un punto obbligato di passaggio nell'elaborazione di temi religiosi che hanno l'apparenza di un mito, come quello del Paradiso terrestre o del diavolo. Talora, perciò, può accadere che, forte di una conoscenza minuta di questa mitografia, l'interprete giunga a pretendere dal poeta una trattazione diversa del tema affrontato, più aderente alla sua tradizione. In altri casi, invece, dinanzi al fascino non meno leggendario che sprigiona dalla stessa vita e dall'opera di D., sembra quasi che egli stesso voglia diventarne il cantore, o meglio, il malinconico e severo rievocatore. In questa maniera il positivismo del gusto critico del G. cede il passo allo spiritualismo della sua vocazione di poeta, tanto che non sembra inopportuna una scorribanda nella sua produzione lirica, alla ricerca dell'origine profonda di questo particolare interesse per Dante.
Al riguardo servono poco i Poemetti drammatici che hanno per protagonista D. stesso (D. in Santa Croce del Corvo), o alcuni dei più celebri personaggi infernali (Il riposo dei dannati). Piuttosto è nelle Danaidi, una raccolta precedente, che si trova il componimento più indicativo della sollecitazione fantastica esercitata dalla poesia di D. nella mente del G., alla pari di ogni altro ‛ mito ' medievale: alludiamo al poemetto L'ultimo viaggio di Ulisse. Il tema godeva di buona diffusione nella lirica simbolistica di fine Ottocento, ma il G. lo sfrutta in maniera abbastanza personale, perché cerca di collegarlo alla sua ricerca critica sul Mito del paradiso terrestre (la si può leggere nella prima serie dei citati Miti...). Inizialmente, perciò, si limita a parafrasare con fedeltà lo schema dell'episodio impostato nel XXVI dell'Inferno, accentuando soltanto la condizione leopardiana di ‛ tedio ' (o baudelairiana di spleen) che avrebbe spinto l'eroe greco a imbarcarsi per una seconda volta. Ma in seguito, quando deve trascrivere la conclusione tragica dell'ultima avventura di Ulisse e dei suoi compagni, si abbandona a una pittura allucinata del monte del Paradiso terrestre. Si potrebbe subito obiettare che di questo Medioevo tenebroso e livido D. non ha alcuna responsabilità, e che forse i progenitori del G. andrebbero cercati in tempi più vicini, magari nelle pitture di Bòcklin. Tuttavia rimarrebbe sempre vero che l'autentico dantismo del G. non poteva risolversi nell'indagine erudita, perché facilmente sconfina di lì e arriva fino a percepire ed esprimere gli stimoli più eccitati e cupi di una fantasia, com'è stato suggerito, ibseniana. Anche nel nome di D. si legittima la ribellione del G. al tentativo tardo-ottocentesco di trasformare la lirica in un documento veristico.
Bibl. - In generale si vedano la monografia di A. Defferrari, A. G. (Città di Castello 1930) e il profilo di C. Curto (nel vol. misc. Letteratura italiana - I Minori, Milano 1962, IV 3127-3145). Per il metodo critico del G. valgono le osservazioni generali di L.F. Benedetto, nel saggio Ai tempi del metodo storico (in Uomini e tempi, Milano-Napoli 1953, 27-31), e di A. Momigliano nell'elzeviro G. critico (in Ultimi studi, Firenze 1954, 127-131). Per il poemetto L'ultimo viaggio di Ulisse si cfr.: F. Flamini, A. G. e i suoi Poemetti drammatici, in " Fanfulla della Domenica " XXVII (1905) 279-295; A. Bertoldi, Ulisse in D. e nella poesia moderna, in " Rassegna Nazionale " XXVII (1905) 12-32.