BOCCHINI, Arturo
Nacque a San Giorgio del Sannio (Benevento) il 12 febbr. 1880 da Ciriaco, proprietario terriero, e da Concetta Padiglione. Laureatosi in giurisprudenza nel 1903, entrò nella carriera prefettizia, prestando servizio in varie prefetture fino al 1915, quando fu chiamato a Roma con l'incarico di dirigere, alla direzione generale della Pubblica Sicurezza, la V divisione (personale).
Nel marzo del 1923, avendo il nuovo governo Mussolini proceduto a un vasto movimento di quadri, soprattutto con l'intento di rimuovere dalle prefetture i funzionari legati al vecchio ceto politico, il B. veniva promosso prefetto a Brescia, sostituendo l'ex capo di gabinetto di Nitti, De Martino. In questa sede strinse relazioni con il futuro segretario del Partito nazionale fascista, A. Turati, e prese posizione a favore delle organizzazioni fasciste, in materia di contratti agricoli, contro quelle cattoliche. Trasferito a Bologna poco prima delle elezioni del 6 apr. 1924, fu accusato dalle opposizioni di pressioni sull'elettorato e di aver violato la segretezza del voto. Alla fine del 1925 passò alla prefettura di Genova dove, nel novembre, favorì le locali organizzazioni fasciste contro la Federazione italiana lavoratori del mare e il suo segretario, comandante Giulietti.
Il B. andava così conquistandosi, negli ambienti fascisti, la fama di uomo capace e fidato, quando con l'attentato di V. Gibson a Mussolini, nell'aprile 1926, si pose il problema di sostituire F. Crispo-Moncada alla direzione della Pubblica Sicurezza; fu Federzoni stesso, allora ministro dell'Interno, a proporre come successore di questo il Bocchini. La visita di Mussolini a Genova, nel maggio seguente, svoltasi senza incidenti e secondo il programma previsto, mise nuovamente in luce la sua candidatura cosicché, dopo l'attentato Lucetti nel settembre 1926, egli venne chiamato alla direzione generale della Pubblica Sicurezza.
Il 5 novembre, a seguito dell'attentato Zamboni del 31 ottobre, in Consiglio dei ministri Federzoni confermava il desiderio, già espresso precedentemente, di essere sostituito, e il portafoglio degli Interni veniva assunto da Mussolini che doveva poi sempre conservarlo. Il governo varava allora una serie di provvedimenti, le cosiddette "leggi eccezionali", che dovevano costituire per oltre un quindicennio la struttura repressiva del regime. Prime ad entrare in vigore furono le norme del nuovo testo unico di Pubblica Sicurezza con R.D. 6 nov. 1926, n. 1848.
Il testo era già stato elaborato in precedenza sulla base della legge 31 dic. 1925, n. 2318, che aveva delegato al governo la facoltà di recare emendamenti alla legge di Pubblica Sicurezza. Tra le novità più rilevanti erano le norme relative al "confino di polizia" per reati comuni e politici, le sanzioni penali nei confronti dell'espatrio clandestino per fini politici, nonché la facoltà data ai prefetti di sciogliere quelle associazioni che svolgessero attività contrarie al regime; in particolare l'art. 2 attribuiva ai prefetti la facoltà di intervenire con provvedimenti discrezionali per mantenere l'ordine pubblico. Sembra quindi convincente l'osservazione che "per quella legge molto dipendeva dai criteri di applicazione, i quali potevano essere intransigenti o temperati, secondo lo spirito di chi doveva darle esecuzione" (Federzoni, p. 109).
Furono il B. e il sottosegretario Suardo, tra l'8 e il 26 novembre, con una serie di circolari telegrafiche indirizzate ai prefetti, a fissarne i criteri di applicazione (Aquarone, pp. 422 ss.). Una di queste, firmata dal B., sottolineava come "per l'esatta applicazione devesi tener presente come criterio direttivo che, nella nuova legge, ordine pubblico non ha il vecchio significato meramente negativo, ma significa vita indisturbata e pacifica dei positivi ordinamenti politici sociali ed economici che costituiscono l'essenza del regime". Anche da un punto di vista formale, dunque, venivano così accantonati i principî garantistici dello Stato di diritto; "tant'è, come è stato osservato, che, molti anni dopo, si considerava il Viminale di Mussolini-B., come la più perfetta antitesi del Viminale di Federzoni-Crispo-Moncada" (Rossini, p. 153).
Dopo l'entrata in vigore dei nuovi codici, penale e di procedura penale, con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, veniva approvato un nuovo testo unico di Pubblica Sicurezza che riprendeva in massima parte le disposizioni di quello del 1926, inasprendone alcune, e allargando ancora l'ambito discrezionale di intervento delle autorità di polizia.
L'attività del B. fu tuttavia rivolta in primo luogo al rafforzamento della polizia, ottenendo un considerevole aumento degli stanziamenti di bilancio, che già nel quadriennio precedente si erano più che quintuplicati (E. Ciccotti, Atti parlamentari, Senato, Discussioni, legislatura XXVII, 1a sessione, tornata del 30 maggio 1928, pp. 10.315 ss.). Particolare rilievo venne dato al fondo segreto, direttamente amministrato dal capo della polizia, la cui dotazione salì a 500 milioni di lire correnti (Senise, pp. 95 e 188). L'iniziativa del B. si volse soprattutto in due direzioni, quella, da un lato, di garantire l'incolumità di Mussolini, con l'organizzazione di speciali squadre di polizia ("squadra presidenziale"), dall'altro di approntare un'efficiente capillare rete di controllo sull'attività degli antifascisti.
A questo scopo, verso la fine del 1927, il B. creò un nuovo apparato poliziesco alle sue dirette dipendenze, senza interferenza dei prefetti ("polizia politica"), che prese la forma di un Ispettorato speciale di polizia; dapprima ebbe sede a Milano e si estese in un secondo tempo a Bologna, Firenze, Bari e Napoli. Quando, alla fine del 1930, Mussolini volle diffondere gli Ispettorati in tutto il territorio nazionale, venne creata l'O.V.R.A. (l'esatto significato della sigla rimase oscuro, e se ne diedero versioni diverse: Organizzazione Vigilanza Repressione Antifascismo; Organo Vigilanza Reati Antistatali).
Con l'O.V.R.A. si perfezionarono gli strumenti a disposizione del B. per la repressione delle attività politiche ed eversive contro il regime. Una fitta rete di informatori, estesa sia in Italia sia all'estero specie nei centri del fuoruscitismo, controllò e prevenne l'opera degli oppositori del fascismo. La persecuzione colpì più duramente i comunisti, il gruppo di aderenti a "Giustizia e Libertà", gli anarchici e gli Sloveni. Tra il 1927 e il 1943 furono avviate al confino circa 10.000 persone e 5.619 furono deferite al Tribunale speciale (compresi gli imputati di reati non politici), che comminò 4.596 condanne per complessivi 27.753 anni di carcere, nonché 33 condanne a morte di cui 22 eseguite (Aquarone, pp. 425 s.).
Ma se l'attività degli Ispettorati prima, dell'O.V.R.A. poi, fu principalmente rivolta alla repressione dell'antifascismo, nelle intenzioni di Mussolini il suo raggio d'azione doveva essere più ampio, e svolgere un'opera di informazione che servisse a controllare tutte le manifestazioni di dissenso anche nelle file del fascismo. Il ruolo che in questa direzione vennero assumendo la Pubblica Sicurezza e il B. fu di primo piano nel conferire al regime la sua fisionomia poliziesca.
Si trattava del resto di proseguire la politica di "normalizzazione" del quadriennio precedente. Alla fine del 1926 questo processo poteva dirsi concluso e lo stesso Partito nazionale fascista "con la fine dello squadrismo provinciale, la compressione delle iniziative locali autonome e l'entrata in vigore del nuovo statuto a carattere burocratico-autoritario divenne definitivamente vittima di questa atmosfera soffocante ed insterilitrice dalla quale non doveva più liberarsi" (Aquarone, p. 109). Per il B., che già da esecutore di questa linea di "normalizzazione" nel periodo della sua prefettura a Bologna si era trovato in forte contrasto con gruppi del fascismo locale, si trattava di continuare a procedere in questa direzione. Nonostante tentativi condotti inizialmente da Turati per controllarne l'attività, il B., appoggiato da Mussolini, seppe preservare i quadri della Pubblica Sicurezza da infiltrazioni politiche, conservandone l'autonomia come organo di controllo e di repressione dello Stato poliziesco.
Quali che fossero i suoi rapporti con alcuni settori della classe dirigente fascista, non vi è dubbio che il B. seppe adeguare con abilità ed efficienza i suoi metodi di repressione poliziesca alla struttura autoritaria del regime, tenendo conto con realismo - senza allinearsi alle tendenze di una trasformazione in senso propriamente totalitario - del permanere di molteplici centri di potere non interamente assimilati al regime e cogliendo il ruolo essenziale che in esso svolgeva la dittatura personale di Mussolini. Così la sua efficienza poliziesca fu volta in primo luogo al controllo generale dell'ordine pubblico e della sicurezza politica del regime (diede tra l'altro particolare sviluppo al controllo della corrispondenza privata), e il sistema repressivo ebbe un ruolo ampio, ma ausiliario, in una direttiva per altro favorita dalla debole incidenza di azioni decisamente eversive dell'antifascismo.
Il B. poté così attenersi alla regola di limitare le denunzie al Tribunale speciale agli esponenti più in vista e più attivi dell'antifascismo, procedendo "a carico dei gregari" con misure amministrative (confino, ammonizione, diffida). A questo scopo vietò alle autorità prefettizie di procedere a denunzie presso il Tribunale speciale, senza sua previa autorizzazione, sottraendo queste ultime quindi alle pressioni delle gerarchie locali, e costringendo gli organi di Pubblica Sicurezza ad attenersi, per lo più, a prassi rigorose e concrete di inchiesta e di istruttoria, evitando che l'azione repressiva degenerasse in secondi scopi. Accentrando nelle sue mani tutte le fila dell'apparato poliziesco del regime, il B. poté apparire a tratti come un compiacente demiurgo, accompagnando abilmente il suo lavoro con doti di equilibrio che si addicevano al clima di sicurezza che egli aveva saputo garantire, e che gli valsero l'improprio giudizio di moderatore del regime da parte del suo successore, il Senise, nonché qualche riconoscimento, anche analogo, da parte antifascista (si veda ad esempio l'articolo di G. L. Luzzatto, B.: il Fouché di Mussolini, sul Nuovo Avanti del 20 maggio 1939, a firma "Gyges". Per un'opinione opposta vedi S. Trentin, Dix ans de fascisme totalitaire en Italie, Paris 1937. Tra il 1937 e il 1940, d'altra parte, su più di un quotidiano all'estero, si parlò del B. come dell'uomo ombra del regime, mettendone in luce la presunta funzione moderatrice, probabilmente anche in ragione dell'atteggiamento duttile assunto nella campagna antiebraica: si veda la documentazione relativa raccolta in Archivio Centrale dello Stato, Min. dell'Interno, Dir. Gen. P. S., Segreteria particolare del Capo della Polizia, parte 1, Segreteria di S. E. B.,Misc. atti ris.,Materie, busta 12, fasc. 21).
L'attività informativa degli organi di Pubblica Sicurezza si allargò anche al di fuori dei problemi concernenti il quotidiano andamento dell'ordine pubblico, passando alla valutazione delle ripercussioni sociali degli avvenimenti economici e politici interessanti la vita nazionale, tra l'altro mettendo in opera una sapiente tecnica di sondaggio della pubblica opinione. Il complesso ed efficiente apparato di controllo della vita nazionale, che il B. seppe mettere in opera attraverso la Pubblica Sicurezza, fece di lui uno dei maggiori collaboratori di Mussolini. Per alcuni anni egli si recò da questo quotidianamente, accrescendo il suo prestigio nell'ambito del regime, tanto da venire considerato, fino all'ascesa di G. Ciano, il "viceduce". Ciò accrebbe i suoi contrasti con i dirigenti fascisti.
Si ha notizia di vivaci dispute sorte tra il B. e il conte G. Suardo, sottosegretario agli Interni dal 1926 al 1928. Contrasti non solo di potere e di prestigio, ma che spesso riflettevano le preoccupazioni dei dirigenti fascisti per il controllo esercitato dal B. attraverso gli organi di Pubblica Sicurezza su tutti gli aspetti della vita del regime. Farinacci, in una lettera del dicembre 1932 a Mussolini, lamentava "le denunzie incontrollabili e irresponsabili dell'O.V.R.A., composta purtroppo dai peggiori elementi della società" (Aquarone, p. 118).
La posizione del B. rischiò di venire compromessa quando, nel maggio del 1933, succedette all'Arpinati (1929-33), con cui egli aveva stabilito un'intesa cordiale, come nuovo sottosegretario agli Interni, l'ambizioso e intrigante G. Buffarini-Guidi. Questi, aspirando a sostituirsi al B. come tramite tra il capo del governo e il ministero degli Interni, si mise tra l'altro d'accordo con A. Starace, allora segretario del partito, e persuase Mussolini a rendere settimanali i colloqui quotidiani col B. e col comandante generale dell'Arma dei carabinieri. Il B. (che in quell'anno aveva ricevuto la nomina a senatore) cercò di adattarsi alla nuova situazione creatasi, arrivando a una intesa di massima col Buffarini, ma soprattutto allargando i suoi rapporti di collaborazione a G. Ciano, la cui posizione all'interno del regime andava sempre più acquisendo un ruolo di primo piano. Giovarono anche al B., per consolidare la sua posizione di potere, i rapporti che seppe stringere con il capo della polizia nazista H. Himmler. Nel marzo del 1936 guidò con successo una missione italiana in Germania, occasionata dall'intento di stipulare un accordo tecnico tra le due polizie contro il comunismo e la massoneria; il rilievo che fu dato all'incontro fu tuttavia più ampio e il B. ebbe tra l'altro colloqui con Hitler e Goering. Nell'ottobre del 1939 un nuovo incontro del B. con Himmler portò al varo definitivo "delle norme per il rimpatrio dei cittadini germanici e per l'emigrazione degli allogeni tedeschi dell'Alto Adige in Germania" (Toscano, p. 182).
Mentre, soprattutto dopo la guerra etiopica, andò sempre più accentuandosi il controllo poliziesco, in primo luogo ad opera dell'O.V.R.A., sulle principali gerarchie del partito e sugli stessi ministri, costantemente sorvegliati e sottoposti fra l'altro a continue intercettazioni telefoniche, il B. aveva intensificato i suoi rapporti con Ciano, con cui prese a conferire regolarmente, dividendo così tra questo e Mussolini i suoi servizi. Quale gioco abbia egli svolto tra i due massimi esponenti del regime del tempo è difficile dire allo stato attuale delle ricerche. È certo che nel 1939, per favorire Ciano, coprì nei suoi rapporti a Mussolini gli aspetti negativi della spedizione in Albania. Nel luglio del 1939 presentò a Mussolini una serie di rapporti contrari all'intervento in guerra, vertenti sulla situazione economico-sociale del paese e sull'orientamento antitedesco dell'opinione pubblica, e Ciano lo sollecitava a inviare "di nuovo al Capo rapporti veri..." (Ciano, I, p. 174).
Nella preparazione della legislazione antisemita e nella persecuzione, che seguì le decisioni del Gran Consiglio del 6 ott. 1938, il B. non giocò un ruolo di primo piano come il Buffarini-Guidi. Il suo impegno fu volto in particolare, con provvedimenti amministrativi e con incontri diretti coi rappresentanti, della Unione delle comunità israelitiche, a spingere ad un sollecito esodo i cittadini italiani di origine ebraica, dando così applicazione a quella che era una direttiva generale di Mussolini circa la persecuzione antisemita in Italia. Nel luglio 1940, sollecitato da Heydrich a prendere in esame il "regolamento" dei campi di concentramento tedeschi, e ad inviare in Germania una delegazione di "studio" di funzionari italiani, lasciò cadere l'invito, "adducendo lo stato di guerra e le esigenze di servizio che gli impedivano di distaccare personale in missione" (De Felice, 1961, p. 412).
II B. morì improvvisamente a Roma il 22 nov. 1940. Ai suoi funerali presenziarono anche Himmler e Heydrich, preoccupati tra l'altro dal problema della sua successione alla direzione della Pubblica Sicurezza.
Fonti e Bibl.: Ministero degli Interni, Calendario generale del Regno d'Italia, Roma 1904 ss., ad Indices; C. Senise, Quando ero capo della Polizia 1940-1943, Roma 1946, pp. 19 ss.; G. Ciano, Diario (1939-1943), I, Milano 1946, pp. 174, 181, 185, 229, 250, 252, 258; II, ibid. 1949, p. 87; M. Soleri, Memorie, Torino 1949, pp. 214, 222; G. Leto, Ovra. Fascismo-Antifascismo, Bologna 1952, passim; Id., Polizia segreta in Italia, Roma 1961, passim; A. Lessona, Memorie, Roma 1963, p. 334; R. De Felice, Alle origini del Patto di acciaio, l'incontro e gli accordi tra B. e Himmler del marzo-aprile 1936, in La Cultura, I (1963), pp. 524-538; L. Federzoni, Italia di ieri per la storia di domani, Milano 1967, p. 109 e passim; E. Dolmann, Un libero schiavo, Bologna 1968, passim; Id., Roma nazista, Milano 1969, pp. 67-77; Y. De Begnac, Palazzo Venezia. Storia di un regime, Roma 1950, ad Indicem; A. Tamaro, Vent'anni di storia, 1922-1943, Roma 1952-54, ad Indicem; E. Rossi, Una spia del regime, Milano 1955, ad Indicem; G. Pini-D. Susmel, Mussolini l'uomo e l'opera, Firenze 1957-58, ad Indicem; C. Rossi, Trentatré vicende mussoliniane, Milano 1958, ad Indicem; D. L. Germino, The Italian Fascist Party in power. A Study in totalitarian rule, Minneapolis 1959, pp. 119, 122; C. Rossi, A. B., il superdittatore giocondo, in Personaggi di ieri e di oggi, Milano 1960, pp. 207-46; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961, ad Indicem; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1964, ad Indicem; A. Aquarone, L'organizzazione dello stato totalitario, Torino 1965, ad Indicem; G. Rossini, Il delitto Matteotti tra Viminale e Aventino, Bologna 1966, ad Indicem; M. Toscano, Storia diplomatica della questione dell'Alto Adige, Bari 1967, p. 182; N. Tranfaglia, C. Rosselli dall'interventismo a Giustizia e Libertà, Bari 1968, pp. 343, 347, 362; R. De Felice, Mussolini. Il fascista, Torino 1969, pp. 464 ss.