ARTO (dal lat. artui "articolo, membro": fr. membre; sp. miembro; ted. Glied; ingl. limb)
Si designano col nome di arti le appendici del corpo di moltissime specie di animali Vertebrati e Invertebrati. destinate alla locomozione, alle sensazioni tattili, alla prensione degli alimenti, alla difesa e offesa, al lavoro dell'individuo. Però il loro numero, la loro forma, l'architettura delle parti di cui risultano, la natura dei materiali costituenti queste stesse parti, sono assai diversi secondo il piano d'organizzazione delle varie classi di animali, non solo, ma anche secondo le condizioni di vita dell'individuo, cioè secondo che questo è acquatico, terricolo, sotterraneo, arboricolo, aereo. Negli animali ad organizzazione più complessa si è prodotta una riduzione numerica degli arti. I Vertebrati, eccetto i Pesci, e altre specie i cui arti hanno subito differenziazioni particolari o si sono ridotti o addirittura scomparsi per peculiari condizioni di ambiente, ne hanno per lo più quattro, che si distinguono in arti anteriori e posteriori. Gli arti di questi Vertebrati, detti perciò Tetrapodi, hanno uno stesso tipo architettonico fondamentale, risultando essenzialmente di segmenti mobili successivi, articolati fra di loro, e composti di ossa, articolazioni, muscolari, vasi, nervi, cute (v. vertebrati: Scheletro). Ma nell'uomo si è prodotta, per la sua stazione bipede, una ulteriore evoluzione, onde mentre il paio di arti posteriori, che per la loro stazione eretta sono divenuti inferiori, hanno conservato la funzione di locomozione, gli arti anteriori, divenuti superiori, hanno perduto tale proprietà, e ad essi spettano di preferenza gli altri attributi funzionali sopraddetti. Da ciò differenze architettoniche nelle due paia di arti dell'uomo per questa più squisita divisione di funzioni, differenze che però non sono tali da impedirci di riconoscere le omologie fra essi esistenti.
Nei primi tempi dello sviluppo somatico dell'uomo queste differenze mancano. Allora arti superiori e inferiori si formano nell'embrione con disposizioni simili. Essi appaiono dapprima come delle palette al lato del tronco, che poi si rendono sempre più peduncolate. Mentre questi abbozzi si allungano, vi si differenziano i varî segmenti successivi, fino a che già in stadî precoci (embrione umano lungo 25 mm.) sono distinguibili tra loro questi stessi segmenti e le dita, con un aspetto fondamentalmente simile al definitivo. Ma da principio tanto gli arti superiori quanto gli inferiori sono impiantati sul tronco in modo che quelle che diverranno le sporgenze del gomito e del ginocchio sono rivolte di lato. Col progredire dello sviluppo avviene invece un cambiamento di posizione, giustificato verosimilmente dalle seguenti ragioni funzionali.
Nei due arti superiori e inferiori esiste uno scheletro osseo attorno al quale si dispongono le masse muscolari. Queste sono schematicamente divisibili in due grandi gruppi: per i movimenti di flessione tra i vari segmenti dell'arto, e per i movimenti di estensione. Orbene, mentre per le necessità dell'arto superiore, della prensione del cibo soprattutto, è necessario che la massa muscolare flessoria, cioè che avvicina fra loro i segmenti stessi o l'arto intiero al resto del corpo, sia disposta anteriormente; nell'arto inferiore, destinato soprattutto alla locomozione, è necessario, perché il corpo possa avanzare nello spazio, che sia disposta anteriormente la massa muscolare estensoria, la quale allontana i varî segmenti dell'arto tra loro e dal resto del corpo, e dev'essere situata nella direzione del movimento deambulatorio, che nell'uomo è in avanti. Quindi, a sviluppo ultimato, guardando due sezioni trasversali di arti superiori e inferiori tanto a livello delle braccia e delle coscie quanto, sebbene meno nettamente, degli altri segmenti omologhi, possiamo osservare una disposizione inversa delle due masse muscolari flessorie ed estensorie. Nell'arto inferiore si aggiunge nella coscia anche un terzo gruppo muscolare ben sviluppato, che, essendo destinato ai movimenti di adduzione, cioè di avvicinamento dell'arto all'asse verticale del corpo, è situato medialmente: è il gruppo dei muscoli adduttori; nel braccio invece tale funzione è compiuta da muscoli che vi arrivano dalle regioni vicine (spalla, petto, dorso). Viceversa non è necessario per la deambulazione che l'arto inferiore sia provvisto di un'ampia possibilità di abduzione, cioè di allontanamento dall'asse verticale corporeo, cosa che è invece necessaria all'arto superiore per afferrare gli oggetti, tanto che in esso la possibilità di abdursi è massima; a ciò provvede un muscolo particolare, il deltoide, situato alla parte esterna e più elevata dell'arto superiore. Si noti il particolare che quei muscoli anteriori della gamba, che giungono con i loro tendini alle dita del piede sono estensori delle dita, e flessori i posteriori; ma dato il cambiamento di direzione che l'arto subisce in corrispondenza del collo del piede, sono viceversa relativamente flessori ed estensori del piede in toto.
Queste disposizioni topografiche vengono acquisite a poco a poco nel corso dello sviluppo individuale; onde gli abbozzi degli arti, superiori e inferiori, che sono prima simili per aspetto e per posizione rispetto al tronco, oltre che differenziarsi via via nella forma e nell'architettura, per adeguarsi alle future funzioni, si orientano anche diversamente, ruotando il superiore di 90° in avanti, l'inferiore di 90° indietro. Onde in ultimo noi possiamo bensì riconoscere una somiglianza fondamentale tra arti superiori e inferiori; possiamo cioè omologare tra loro spalla e anca, braccio e coscia, gomito e ginocchio, avambraccio e gamba, polso e collo del piede, mano e piede, ma purché si immagini uno dei due arti, superiore o inferiore, ruotato di 180° rispetto all'altro. Si può dire cioè che le parti si corrispondono nelle linee strutturali generali se si paragonano le anteriori di un arto con le posteriori o dorsali dell'altro. E ciò avviene appunto perché nell'arto superiore sono le superficie flessorie che debbono per le necessità funzionali essere anteriori, nell'inferiore invece le estensorie.
Lo scheletro degli arti superiori e quello degl'inferiori sono omologabili nei loro varî segmenti liberi per il tipo delle ossa e per il loro numero (l'omero col femore; il radio e l'ulna colla tibia e il perone; il carpo col tarso; il metacarpo col metatarso; le falangi della mano con quelle del piede), non altrettanto invece è per le ossa delle due cinture scapolare e pelvica che riuniscono lo scheletro degli arti a quello del tronco. La stazione eretta dell'uomo sugli arti inferiori, che debbono reggere tutto il resto del corpo, impone una solidità, uno sviluppo di mole, una saldatura della cintura pelvica allo scheletro del tronco, di gran lunga maggiori che per la cintura scapolare, nella quale le necessità funzionali sono opposte, cioè occorre la più ampia possibilità di movimento per gli scopi sopra detti, conseguita con un apparato quanto più è possibile piccolo e leggiero. Quindi tra le ossa del bacino e quelle della spalla le differenze sono molto profonde, e, plasmandosi su esse, sono diverse assai le disposizioni di tutte le parti molli poste a rivestirle tra torace e braccio, tra addome e bacino e arto inferiore.
Un altro segmento dissimile nei due arti per le particolari funzioni, per quanto omologabile, è quello estremo, cioè la mano e il piede. Come parti terminali, essendo quelle che debbono compiere le rispettive diverse funzioni in modo più peculiare, si sono più differenziate, la mano per le funzioni tattile e prensile, il piede per quella di sostegno del corpo. La prima si continua quindi direttamente nell'asse dell'arto superiore; il secondo invece è ad angolo retto sull'asse del suo arto, per offrire più ampio e sicuro appoggio al corpo sul suolo. La mobilità delle singole parti è per la mano più necessaria che non per il piede; nella prima occorrono, per afferrare gli oggetti, parti, come le dita, più lunghe e più sottili; nel secondo una massa più robusta, piú tozza, in quanto essa ha più importanza come superficie d'appoggio che per i movimenti delle sue dita, che son quindi assai ridotte.
La mano dell'uomo si è tanto perfezionata per il tatto, la prensione del cibo, la difesa e l'offesa e il lavoro, che si può dire che l'uomo deve la sua superiorità sul mondo zoologico oltre che al suo cervello, alla sua mano; il piede si è foggiato a mirabile strumento di sostegno, senza tuttavia perdere quella mobilità e quella elasticità che sono necessarie alla deambulazione. Le parti che compongono il piede sono a vòlta, perché esso possa prendere appoggio sul terreno, invece che totalmente, in tre sole zone, cioè col tallone, con la parte anteriore del metatarso, con parte delle falangi, congiunte però sul lato esterno da una zona di appoggio che unisce le prime due: quest'ultima parte della vòlta plantare, è detta vòlta d'appoggio, mentre la parte interna che non appoggia sul terreno (vòlta del movimento) conferisce al piede, durante il movimento del cammino, una particolare elasticità e vigoria nella spinta che si effettua non solo in avanti, ma appunto anche dall'interno verso l'esterno. Orbene, anche nella struttura stessa minuta delle ossa si riscontra una disposizione complessiva a vòlta delle trabecole ossee, onde in ciascun osso del tarso e del metatarso esse sono orientate in modo, che, riunendosi insieme le linee di forza che esse rappresentano spezzate nelle singole ossa, si riproducono due gruppi, uno mediale e l'altro laterale, corrispondenti alle due parti dette di appoggio e di movimento della vòlta plantare.
Un'altra differenza tra piede e mano è che i muscoli intrinseci del piede, massa di appoggio, hanno funzioni meno perfette e variate di quelli della mano. Così il pollice può opporsi, mediante l'azione del più differenziato gruppo muscolare dell'eminenza thenar, al resto della mano, per la prensione degli oggetti. Nel piede manca ciò né per la stazione eretta e la deambulazione su una superficie pianeggiante ve ne è bisogno; tuttavia nella flessione delle dita del piede, l'alluce viene anch'esso portato un po' verso l'asse mediano del piede, il che ricorda la possibilità di suoi movimenti più estesi che servono in altri animali per arrampicarsi o per la stessa prensione. Certamente anche nell'uomo che si arrampichi a piede nudo, questi movimenti flessorî facilitano l'adesione della pianta del piede alle sporgenze.
Nei segmenti prossimali degli arti, i cui muscoli producono solo movimenti d'insieme, bastano masse di muscoli, più robuste, perché più pesante è la parte da muovere, ma organizzate più grossolanamente in due o tre gruppi di muscoli circondanti un unico braccio di leva osseo. Ma nei segmenti distali adibiti a movimenti più delicati e particolareggiati, cresce il numero delle ossa, divenendone lo scheletro a due e poi a 5 raggi ossei, mentre più complesso diviene anche l'intrico dei muscoli e dei tendini che circondano questi raggi ossei mobili.
Nell'arto superiore sono mobili tra loro anche le due ossa dell'avambraccio; nell'inferiore sono fisse tra loro le corrispondenti della gamba, per conferire a questa maggiore stabilità nel sostenere il resto del corpo. In alcune deformità congenite per arresto di sviluppo (ectromelia) mancano addirittura alcuni segmenti degli arti; ma anche se esse si limitano alla mancanza di uno dei raggi ossei dei segmenti distali (es. mancanza dell'ulna o del perone, o di ossa della mano o del piede) ne è turbata tutta l'armonia e l'equilibrio funzionale dell'arto corrispettivo.
I più grossi vasi sanguigni (arterie e vene) destinati a dare i rami più piccoli che nutriranno i tessuti costitutivi degli arti, e i più grossi tronchi nervosi destinati a dare i rami per la sensibilità delle parti e il movimento dei muscoli, decorrono, tanto nell'arto superiore quanto nell'inferiore, o profondamente, o, se anche superficialmente, pur sempre protetti in solchi muscolari, e preferibilmente dal lato flessorio, come quello che non li sottopone agli stiramenti che subirebbero dal lato estensorio; ché anzi, nella flessione dei muscoli tra cui son posti, le parti circostanti si vengono ad accorciare e i segmenti dell'arto si avvicinano, e inoltre nei vasi la contrazione muscolare facilita il decorso del sangue. Si aggiunga che i detti vasi e nervi più superficiali del sistema circolatorio profondo, e le vene più grosse del sistema superficiale sottocutaneo, decorrono nella parte interna dell'arto dove maggiore è la protezione.
Quando in una stessa loggia il gruppo di muscoli contenutovi è destinato ad una stessa azione principale, troviamo che un unico nervo dà rami ai varî componenti del gruppo: così il gruppo anteriore flessorio dei muscoli brachiali è innervato dal solo nervo muscolo-cutaneo, e il posteriore estensorio, tanto brachiale che antibrachiale, dal nervo radiale; così nella coscia il gruppo anteriore estensorio dal nervo femorale; il gruppo adduttorio dal nemo otturatorio; e il posteriore, tanto della coscia quanto della gamba, dal nervo tibiale, ecc. Invece per movimenti più delicati, come quelli del polso e della mano, prodotti dalle contrazioni dei muscoli anteriori e laterali dell'avambraccio, l'onda nervosa arriva per più nervi (mediano, ulnare, radiale).
Nell'arto superiore, nella mano e specialmente nelle dita, soprattutto nella superficie palmare che tocca e afferra gli oggetti, sono più numerose le terminazioni sensitive tattili. Analogamente nel piede è più sensibile la superficie plantare, che dovendo poggiare sul suolo deve riceverne le impressioni tattili. Viceversa la cute è più robusta e grossa nelle parti più esposte all'esterno, quindi nell'arto superiore nelle latero-posteriori, poiché le antero-mediali sono protette dal contatto col tronco, dalla posizione abituale in pronazione dell'avambraccio in riposo, dal rivolgere la parte posteriore dell'avambraccio verso le offese alla testa e al tronco; nell'arto inferiore la cute è più sottile nelle parti postero-mediali della coscia e della gamba, difese dal reciproco rapporto fra gli arti, e meno esposte agli ostacoli che le parti latero-esterne incontrano nell'avanzare deambulando.
Abbiamo veduto come le disposizioni architetturali degli arti si plasmino, nelle linee generali, secondo le funzioni cui sono destinate; viceversa disposizioni morfologiche vi si stabiliscono nel corso della vita, in dipendenza, o almeno in parziale dipendenza, della funzionalità. Sono quelle disimmetrie che si verificano in tutti gl'individui, per le quali gli arti che più lavorano sono più sviluppati di mole; il che accade nel più degli uomini a destra (destrismo), nella minoranza a sinistra (mancinismo). E questo un fenomeno sul quale s' è molto discusso e sulle cui cause ancora non si è detta una parola definitiva; vi intervengono probabilmente anche ragioni morfologiche, ma vi influisce certamente il maggior lavoro esplicato dall'arto, non foss'altro perché il soggetto esegue incoscientemente un maggior lavoro con l'arto di quel lato che, per ragioni di architettura anatomica, permette appunto tale maggior lavoro, che l'altro arto non potrebbe esplicare (v. vertebrati: Scheletro, e mammiferi). Sul valore-indice degli arti, v. antropometria.
Arti artificiali.
Dispositivi meccanici che si usano al fine di sostituire arti o segmenti di arto mancante. Sinonimo: protesi o meglio prostesi degli arti (dal gr. προσ- τίϑημι "aggiungo, appongo").
Cenno storico. - In tutti i tempi si sono escogitati artifizî meccanici atti a diminuire il danno funzionale ed estetico della mancanza di un arto corporeo. Il ricordo degli apparecchi usati nei tempi più antichi ci è serbato da figurazioni musive, decorazioni di vasi, bassorilievi. Erano semplici e rozzi tronchi di legno destinati a sostituire l'arto inferiore, non essendo allora abbastanza progredite le conoscenze meccaniche per risolvere il difficile problema della prostesi dell'arto superiore. Col rinascimento della chirurgia e cioè col sec. XVI anche l'arte prostesica, coltivata specialmente dagli armaiuoli, si perfeziona. Ambrogio Pareto (1509-1590) descrive e figura nella sua grande opera alcuni esemplari di ingegnosi apparecchi di prostesi per arto superiore e inferiore. Storicamente famoso è l'apparecchio che sostituiva la mano destra di Goetz von Berlichingen, il cavaliere reso famoso da Goethe. Nel Museo Stibbert di Firenze e in quello Poldi-Pezzoli di Milano si conservano prostesi per arto superiore ed inferiore del sec. XVI e del XVII. Ma i maggiori progressi si sono compiuti più tardi e più specialmente nel sec. XIX, allorché col progredire delle arti meccaniche i prostesisti (Ballif e Carolina Eichler in Germania, van Petersen in Olanda, Beaufort in Francia) si applicarono a risolvere il problema della mano artificiale, e quando, dopo la scoperta dell'antisepsi e dell'asepsi, i monconi di amputazione uscirono dalla mano dei chirurgi più adatti a portare e dirigere l'arto artificiale. Le due grandi guerre del sec. XIX, quella civile in America (1864-1865,28.000 amputati), quella franco-tedesca in Europa (1870-1871, 3000 amputati di sola parte tedesca) hanno portato un forte incentivo allo studio e alla costruzione degli arti artificiali. Nel sec. XX, il problema della prostesi ha assunto un'importanza eccezionale in vista delle centinaia di migliaia di mutilazioni verificatesi durante la guerra mondiale.
Criterî prostesici. - La sostituzione di un arto si considera oggi come un procedimento terapeutico che ha indicazioni proprie, che va applicato con un ordine ben definito e una tecnica specializzata, che richiede la collaborazione del chirurgo e del prostesista perché implica la conoscenza così delle leggi che regolano la fisiologia dell'apparato locomotore come dei principî che stanno a fondamento della meccanica dei solidi. Un principio che ha trovato larga applicazione prostesica è quello della sostituzione precoce e graduale dell'arto mancante. Più presto il mutilato è provvisto di prostesi, più facilmente ne apprende l'uso. Ma la prima prostesi non è quella definitiva, che, per soddisfare al bisogno, è meccanicamente complessa, bensì un apparecchio semplice, di poco costo, di facile uso (prostesi di fortuna, provvisoria, d'esercizio, di transizione) che può essere costruita rapidamente e che ha l'ufficio di fortificare il moncone e di renderne definitiva la forma. Altro criterio prostesico universalmente accettato è quello di costruire apparecchi che si adattino alla specifica funzione che loro è richiesta dalle condizioni di vita e dall'occupazione del mutilato. Da ultimo la prostesi, almeno in quella sua parte che fa presa sul moncone, deve essere individuale, cioè costruita caso per caso.
Prostesi provvisoria, temporanea, di esercizio. - Quella per l'arto inferiore è costituita da un cilindro rigido, quasi sempre di gesso, che ha un prolungamento a terra, formato da un'asta cilindrica di legno o da una staffa metallica. La prostesi per arto superiore termina in un dispositivo meccanico semplice (uncino, gancio, pinza) che facilita il compimento di atti elementari come mangiare, bere, scrivere. Come s'è detto, queste prostesi hanno l'ufficio di preparare il moncone e addestrare il mutilato all'uso di apparecchi più complessi.
Prostesi da lavoro. - Serve a facilitare all'operaio l'esercizio del mestiere. Per le amputazioni di gamba o di coscia è il cosiddetto pilone (fr. pilon; ted. Stelzfuss; ingl. peg-leg) analogo all'arto provvisorio, ma meno rozzo e più duraturo, formato da un cosciale o gambale di cuoio o legno, prolungato da un cilindro di legno che termina in un puntale ricoperto da un tappo di gomma o di cuoio, o con una staffa o plantare metallico. Per le mutilazioni dell'arto superiore il bracciale o l'anti-bracciale (di cuoio, celluloide, fibra) termina in un porta-utensili cui vengono assicurati i dispositivi che meglio si convengono alle diverse occupazioni.
Prostesi definitiva, morfologica. - È l'apparecchio più completo e complesso, idealmente destinato a sostituire forma e funzione dell'arto mancante.
Prostesi per arto inferiore. - I costituenti fondamentali dell'apparecchio possono essere di materiale vario: legno (salice, tiglio, ontano) cuoio, fibra, metallo (duralluminio); le congiunzioni o articolazioni sono metalliche (acciaio); le parti secondarie sono di cuoio, feltro, gomma, sughero. Per la sospensione al tronco si usano cinghie di cuoio o di stoffa. L'esperienza dell'ultima guerra ha dimostrato la grande superiorità della prostesi di legno, di tipo americano, che è oggi la più quotata. Nella prostesi di coscia, cosciale e gambale sono di legno; il primo è scavato da un blocco o su due metà separate, secondo la forma fornita dal modello di gesso, il secondo è sagomato nelle dimensioni e linee dell'arto superstite. Il piede è pure di legno. Tutte le parti in legno sono rivestite da una robusta pelle di bue o di cavallo, tenuta aderente da una colla forte e lucidata con vernice apposita. L'articolazione del ginocchio, orientata secondo i principî della meccanica fisiologica, e comandata da congegni automatici o semiautomatici che mirano a supplire la funzione del giuoco muscolare, è metallica. Egualmente metallica è l'articolazione del collo del piede. Questo è montato sulla gamba in un orientamento adatto a realizzare le migliori condizioni statiche e cinetiche e a fornire un appoggio elastico e silenzioso.
Nelle prostesi per amputazione al disotto del ginocchio il cosciale è di cuoio e il gambale, scavato esattamente nella forma del moncone, è di legno. Nella prostesi destinata a supplire la mancanza totale di un arto inferiore (disarticolazione dell'anca) il cosciale è articolato da un emibacino di legno. Per amputazioni speciali (osteoplastiche del ginocchio, del piede) o atipiche, si costruiscono apparecchi che corrispondono alle particolari condizioni. Per le amputazioni dell'avampiede è sufficiente una calzatura adatta. Il peso medio di una prostesi per amputazione di coscia è di kg. 2,500 o 3, quello di una prostesi per amputazione di gamba, kg. 1,500 o 2.
Rendimento della prostesi per arto inferiore. - Premesso che il rendimento della prostesi è in ragione diretta della potenza funzionale del moncone (lunghezza, energia, cinetica, ecc.) una netta differenza esiste, nei riguardi del rendimento prostesico, fra mutilato di gamba e di coscia. Una prostesi ben costruita e razionalmente adattata ad un moncone di amputazione al terzo medio della gamba permette una funzione che di ben poco si scosta da quella normale. Al contrario, un mutilato di coscia, nelle migliori condizioni di moncone e di prostesi, potrà raggiungere una notevole scioltezza, resistenza, sicurezza e velocità di passo, ma sarà sempre un claudicante. Dal punto di vista del rendimento pratico nessuna prostesi per amputazione di coscia è più utile del pilone rigido.
Prostesi per arto superiore. - Il problema è di gran lunga più arduo di quello suesposto; qui, come ben si comprende, la maggior difficoltà è rappresentata dalla sostituzione di quell'organo oltremodo complesso che è la mano. Un'ottima semplificazione pratica si è raggiunta con la prostesi da lavoro in cui la mano è sostituita da utensili, e molto vi è da attendersi dal perfezionamento della cineprostesi (v. oltre). Ma il quesito, nel suo complesso, non ha ancora raggiunto una soluzione soddisfacente.
Per la costruzione di queste prostesi si usano gli stessi materiali che servono per la prostesi dell'arto inferiore dando la preferenza a quelli che ad una buona resistenza congiungono la maggior leggerezza. Nella prostesi estetica (arto di parata, arto domenicale dei Tedeschi) la mano, di legno, con dita articolate o di feltro, è articolata passivamente sull'avambraccio. Questo nelle amputazioni di braccia è a sua volta raccordato al bracciale per mezzo di una giuntura metallica che può essere passivamente atteggiata in varie posizioni. Questo apparecchio leggiero, semplice e di poco prezzo non ha, come s'è detto, che un fine estetico. La prostesi funzionale è invece dotata di organi meccanici, comandati dal moncone, dalla spalla, dal tronco, in parte anche dalla mano superstite, e a cui è affidato il compito di imprimere movimenti di varia ampiezza alle dita, al polso e, nelle amputazioni di braccio, al gomito. La trasmissione del movimento è ottenuta per mezzo di tiranti che raggiungono il congegno motorio percorrendo i varî segmenti della prostesi. Si possono così ottenere apparecchi che, se affidati a mutilati intelligenti, tenaci ed agili, possono fornire un rendimento funzionale notevole. Il loro costo e le difficoltà dell'uso li rendono tuttavia di difficile diffusione.
Prostesi cinematica o cineprostesi. - È la prostesi destinata a utilizzare la funzione d'un moncone cinematico, cioè di un moncone che, naturalmente o in seguito a speciali interventi chirurgici (amputazione cinematica di Vanghetti; v. amputazioni) è, o viene posto in grado di trasmettere le proprie energie motorie all'arto artificiale. Per esempio, un moncone di avambraccio può conservare in misura fisiologica i movimenti di rotazione (pronazione, supinazione). Questi movimenti, trasformati da un semplice congegno meccanico, possono essere utilizzati al fine di far chiudere e aprire le dita della mano. In un moncone di braccio possono essere conservati muscoli che, messi in valore, costituiscono, con le loro contrazioni, altrettante sorgenti di movimento per la prostesi. Ciò si ottiene creando nel moncone, con speciali accorgimenti chirurgici, i cosiddetti motori plastici, cioè delle appendici, dei canali, dei punti di presa che, mossi dalle contrazioni dei muscoli e congiunti a mezzo di lacci o tiranti ai congegni meccanici della prostesi, ne muovono in vario senso le diverse parti.
Bibl.: H. Gocht, R. Radicke e F. Schede, Künstliche Glieder, in Deutsche Orthopädie, II, Stoccarda 1920; A. Pellegrini, Amputazioni cinematiche, Torino 1924; V. Putti, Plastiche e prostesi cinematiche, in Chir. degli organi di movimento, I (1917); F. Sauerbruch, G. Ruge, W. Felix e A. Stadler, Die willkürlich bewegbare künstliche Hand, Berlino 1916.