arteriosclerosi
Processo patologico a carico delle arterie, che vanno incontro a modificazioni morfostrutturali di tipo degenerativo. Nell’ambito dell’a. si distinguono varie forme, tra cui la principale è l’aterosclerosi, malattia cronica a eziopatogenesi multifattoriale, che interessa vasi arteriosi di grosso e medio calibro e le cui complicanze rappresentano la principale causa di morbosità e di mortalità nei paesi industrializzati.
Secondo la teoria del danno endoteliale, un insulto chimico (ipercolesterolemia, fumo di sigaretta, omocisteinemia, tossine, virus, ecc.) o meccanico (elevata pressione sanguigna, interventi chirurgici, ecc.) determinerebbe una disfunzione dell’endotelio che riveste le arterie. Una delle prime risposte che fa seguito a un insulto è l’adesione all’endotelio di monociti e linfociti. Una volta adese, queste cellule migrano nello spazio subendoteliale sotto l’influenza di molecole chemiotattiche (citochine, fattori di crescita). Se lo stimolo viene a cessare, il processo ‘infiammatorio’ regredisce spontaneamente; se, invece, l’insulto persiste, il danno diventa cronico. Nello spazio subendoteliale, i monociti si trasformano in macrofagi e diventano quindi capaci di accumulare lipidi, in particolare esteri del colesterolo, dando origine alle cosiddette cellule schiumose. Queste ultime, insieme a linfociti T e a cellule muscolari lisce, formano le strie lipidiche. Il continuo afflusso di cellule provenienti sia dal sangue circolante (piastrine, linfociti e monociti) sia dalla tunica media (cellule muscolari lisce) contribuisce in maniera fondamentale all’evoluzione della placca; con l’avanzare del processo aterosclerotico si assiste a un’aumentata produzione, da parte delle cellule muscolari lisce, della matrice extracellulare, e ciò, insieme all’accumulo di lipidi extracellulari e di calcio, porta alla formazione di placche avanzate che, nelle fasi successive, possono restringere (stenosi) il lume arterioso oppure ulcerarsi e complicarsi con una trombosi sovrapposta, portando a una occlusione dell’arteria. Lesioni importanti possono svilupparsi nel giro di pochi mesi e la rapida progressione è verosimilmente correlata alla fissurazione della placca, seguita da una complicanza trombotica che porta alla crescita della placca stessa. A livello delle lesioni focali si può verificare l’attivazione piastrinica che può costituire una fonte emboligena, così come possono esserlo le placche ulcerate.
I principali fattori di rischio non reversibili per l’a. comprendono l’età, il sesso maschile e una storia familiare di a. prematura. Sono fattori di rischio reversibili: l’elevato colesterolo nel sangue (in particolare ldl), il fumo di sigaretta e l’esposizione al fumo di tabacco, l’ipertensione, il diabete mellito, l’obesità, l’inattività fisica, l’iperomocisteinemia e l’infezione da Chlamydia pneumoniae.
Clinicamente l’a. può essere asintomatica oppure manifestarsi, di solito a partire dai 40÷50 anni, con fenomeni ischemici acuti o cronici, che colpiscono principalmente cuore, encefalo, arti inferiori e intestino L’a. cerebrale può dare manifestazioni cliniche attraverso vari meccanismi. Può provocare infarti su base tromboembolica, causando in genere infarti relativamente più estesi (infarti territoriali). Lesioni aterosclerotiche che possono rappresentare una fonte emboligena sono localizzate a livello dell’arco aortico, dell’origine dei grossi vasi cerebrali, della biforcazione e del sifone carotideo. Un altro meccanismo è quello legato a un fenomeno di microateromatosi con progressivo ispessimento della parete vasale e restringimento del lume. Questo meccanismo è responsabile d’infarti di piccole dimensioni, inferiori ad 1,5 cm di diametro, detti lacunari. Un ultimo meccanismo è invece legato a un danno da ipoperfusione che interessa particolarmente le aree più distali dell’albero vascolare e le aree di confine tra i vari territori vascolari cerebrali, causando in quest’ultimo caso i cosiddetti infarti borderzone. La sintomatologia clinica riflette il tipo di danno ischemico causato, a seconda del meccanismo e del territorio vasale interessato. Per quanto riguarda le capacità cognitive, l’a., più che causare un diffuso decadimento delle funzioni superiori, è responsabile di una sintomatologia clinica che riflette direttamente il danno infartuale. I quadri clinici più frequenti sono quelli della demenza multinfartuale, dove la clinica è dominata dalla somma dei vari eventi ischemici, principalmente di tipo territoriale, e quello della demenza sottocorticale, legata a una patologia del microcircolo, dove l’espressione clinica è dominata dai disturbi delle funzioni esecutive, della marcia e del controllo sfinterico.
La diagnostica della a. ha l’obiettivo principale di studiare specifici segmenti arteriosi, per valutarne innanzitutto la pervietà, e quindi l’eventuale presenza di placche che ne restringono il lume. Indagini più raffinate consentono anche di misurare l’elasticità della parete e di definirne lo spessore, fattore questo che può rappresentare un indice precoce della malattia aterosclerotica. Le metodiche vanno da quelle più semplici (manuale, auscultazione) a quelle più complesse quali l’ultrasonografia e le varie tecniche angiografiche, invasive e non invasive.
Il modo più efficace per prevenire le complicanze cerebrovascolari dell’a. è la correzione dei fattori di rischio modificabili. In casi particolari può essere utile un approccio diretto sulla placca aterosclerotica mediante intervento chirurgico o endovascolare.