Vedi SIRIANA, Arte dell'anno: 1966 - 1997
SIRIANA, Arte
SIRIANA, Arte (v. vol. VII, p. 346). – L’intensificazione dell'esplorazione archeologica in diverse aree della Siria, soprattutto interna, tra l'Eufrate e il Mediterraneo negli ultimi tre decennî ha iniziato a ridurre le gravi lacune nella documentazione artistica disponibile, specialmente per la fase finale del Bronzo Antico (IV), particolarmente nel periodo che oggi si definisce protosiriano maturo, corrispondente al 2400-2300 a.C., e per le due fasi del Bronzo Medio (I-II) tra il 2000 c.a e il 1600 a.C., quando si ha la grande fioritura, ancora non ben documentata da ritrovamenti provvisti di contesto archeologico, del periodo paleosiriano arcaico e classico. Malgrado alcuni importanti nuovi scavi su siti del Bronzo Tardo I-II (c.a 1600-1200 a.C.), la quasi completa assenza di dati per i maggiori centri del periodo mediosiriano rende, invece, tuttora poco significativa ogni ricostruzione del quadro della cultura artistica della Siria nell'età dell'equilibrio dei grandi imperi mitannico, egiziano e ittita. Lo sviluppo rilevante negli ultimi anni degli studi sugli abbondanti materiali figurativi di arte monumentale e di arti minori disponibili già dagli inizî di questo secolo riguardo all'Età del Ferro I-II (c.a 1200-720 a.C.) consente, invece, di cominciare a formulare un più articolato, anche se ancora del tutto parziale, quadro valutativo dello sviluppo della civiltà artistica del periodo neosiriano, che ancora si continua spesso a definire, per quanto concerne le produzioni plastiche, in maniera piuttosto fuorviarne, neoittita.
Periodo protosiriano. - Il complesso di ritrovamenti artistici di Ebla datati alla fase di Mardikh IIB1 (c.a 2400-2300 a.C.) quasi tutti dall'ambito del Palazzo Reale G, l'insieme amministrativo degli Archivî di Stato, ha riportato alla luce un inatteso nucleo, eccezionalmente omogeneo, di documentazione sulla cultura figurativa di un grande centro urbano dell'età protosiriana matura nella Siria interna di cui non v'era finora alcuna testimonianza. Il gruppo di opere più antiche, databile verso il 2400 a.C., è costituito dagli intarsî figurativi marmorei di soggetto bellico e mitico del c.d. Stendardo di Ebla, un grande pannello parietale ad almeno dodici registri sovrapposti nei quali si alternavano in alcuni fregi figure di soldati eblaiti con trofei e prigionieri e in altri le immagini dell'aquila leontocefala dominante i tori androcefali. Questo monumento celebrativo di una vittoria militare mostra la piena adesione delle officine di Ebla, forse di epoca immediatamente prepalaziale, ai generi artistici e alla tradizione tematica tardo-protodinastica della Mesopotamia meridionale e del medio Eufrate, da Kiš a Mari, ma documenta anche, da un lato, l'indipendenza in talune importanti rielaborazioni iconografiche, come la relazione dell'aquila leontocefala con i tori a testa umana che è del tutto insolita nella Babilonia e, dall'altro, l'alta qualità formale delle produzioni eblaite, superiore anche a quelle, forse di poco più antiche, di Ur.
Nel corso del tempo durante l'età protosiriana matura, l'attitudine alla rielaborazione dell'ispirazione mesopotamica da parte delle botteghe eblaite sembra essersi ulteriormente sviluppata, se alcuni decennî più tardi, tra il 2350 e il 2300 a.C., mentre sono ancora attestati pannelli a intarsî figurativi ancora con tori androcefali di diverso stile (ma ora anche con figure animali di assai delicata fattura), il genere celebrativo più frequente per le decorazioni parietali palatine è quello dei pannelli compositi ad altorilievo in legno, oro, calcare, conchiglia, steatite e lapislazzuli, sui quali dovevano comparire cortei di dignitarî di profilo probabilmente incedenti verso la figura frontale del sovrano. Benché i numerosi frammenti di intarsî in calcare e in conchiglia a forte rilievo - per lo più pertinenti a gonne, cinture e turbanti a ciocche di lana di eccellente fattura - non consentano la ricostruzione dei pannelli originarî, è certo che le opere di questo genere sconosciuto alla Mesopotamia meridionale erano caratterizzate da una marcata impronta unitaria, iconografica e stilistica, che è la stessa che si ritrova nel più notevole complesso di reperti artistici di Mardikh IIB1: gli intagli lignei che decoravano, con figure a tutto tondo e con placche traforate a forte rilievo, parti di sontuoso mobilio palatino con rivestimenti in lamine d'oro. Scene di lotta tra animali, mitici scontri tra eroi e leoni, duelli tra soldati che si trafiggono a vicenda, figure di sovrani frontali con il turbante eblaita e l'ascia regale, immagini femminili pure frontali dovevano alternarsi su varî settori di seggi e di tavoli a elementi decorativi come le protomi di tori in forme di un plasticismo maturo risolto in un gusto naturalistico che potrebbe aver influenzato le più antiche esperienze delle botteghe reali di Accad nella Mesopotamia meridionale dopo la conquista di Ebla a opera di Sargon verso il 2300 a.C. Alle esperienze formali di questi intagli in legno corrispondono stilisticamente alcuni splendidi ma troppo mal conservati resti di capigliature in varie placche di steatite appartenenti ad almeno due teste composite a tutto tondo quasi a grandezza naturale che dovevano constare di un nucleo in legno rivestito di lamina d'oro completato con diverse parti, per i capelli, le barbe e i copricapi, in varie pietre dure. La stessa tecnica composita è, invece, pienamente documentata da una notevolissima figuretta di toro androcefalo accosciato, in legno ricoperto di lamina d'oro e integrato, per il vello della barba e della capigliatura, da due placchette finemente lavorate in steatite.
Agli anni finali del XXIV sec. a.C. appartengono anche numerose impronte su cretule di sigilli cilindrici di alti funzionarî dell'amministrazione palatina che attestano l'esistenza di una glittica aulica di forte influenza mesopotamica centro-meridionale, contemporanea a una glittica rustica di tradizione arcaica e di più rozza fattura documentata da impronte sui bordi di giare probabilmente olearie. I temi dominanti della glittica aulica sono le classiche scene di lotta tra fiere ed eroi del mondo mesopotamico protodinastico, variate e arricchite da una serie di figure di chiara elaborazione locale, come la donna-vacca, che è certo un calco eblaita dell'uomo-toro mesopotamico, l'eroe inginocchiato nell'atteggiamento dell'Atlante che sorregge un simbolo cosmico quadripartito, la dea frontale che domina due leoni o due bufali in cui forse è da riconoscere la dea Iškhara, le figure del re e della regina spesso frontali che collaborano con la dea e con gli esseri mitici a domare le fiere selvagge. Questa glittica, che è chiaramente una produzione locale di alto livello con marcati elementi di unità rispetto agli altri generi delle botteghe eblaite e in cui significativamente, come a Kiš, sono prediletti gli schemi di lotta a cinque figure, rari nel resto della Babilonia, si pone, come caratteri compositivi e tematici e come sviluppo storico, in una posizione parallela alle creazioni glittiche di Lagaš dell'età di Lugalanda, che precedette di poco il predominio nella bassa Mesopotamia di Sargon di Accad.
La cultura artistica di Ebla protosiriana matura, documentata da diversi generi artistici in produzioni stilisticamente omogenee, rivela la vivacità e l'originalità di un centro nord-siriano che si è fortemente ispirato alle realizzazioni figurative di classi tipologiche e funzionali della Mesopotamia centro-meridionale, mostrando l'attività di autonome officine palatine di alto livello inserite con caratteri accentuatamente indipendenti in ima probabile unità culturale e artistica estesa da Kiš a Mari. Mentre nei decennî immediatamente precedenti la distruzione di Ebla verso il 2300 a.C. l'autonomia delle botteghe palatine eblaite si accentua, è probabile che si debba ipotizzare negli stessi decennî la presenza in altri centri dell'alta Siria, particolarmente sul medio corso dell'Eufrate, di officine con analoghi legami e con simili capacità di rielaborazione, come dimostrerebbe un importante frammento di stele di vittoria a Tell Ḥalawa.
Periodo paleosiriano. - Le produzioni artistiche di Ebla paleosiriana arcaica e matura nelle fasi di Mardikh IIIA (c.a 2000-1800 a.C.) e di Mardikh IIIB (c.a 1800-1600 a.C.) costituiscono la più ampia documentazione figurativa, e l'unica ben attestata per la scultura monumentale, della Siria interna nei secoli anteriori all'emergere del potere politico del regno di Yamkhad, accentrato attorno alla capitale Aleppo, e nei primi decennî di quel predominio nella prima metà del XVIII sec. a.C. È probabile che Ebla abbia gestito il più rilevante potere politico del periodo paleosiriano arcaico nella Siria interna durante i primi due secoli del II millennio a.C., prima di entrare essa stessa nell'orbita dell'egemonia di Yamkhad, le cui sole realizzazioni artistiche che finora ci siano pervenute sono rappresentate dai sigilli cilindrici dinastici di Aleppo conservati nelle impronte su cretule di Alalakh VII dalla seconda metà del XVIII sec. a.C. Già al XIX sec. a.C., durante questa presumibile egemonia di Ebla sull'alta Siria, sono da datare alcune frammentarie statue regali votive in basalto a grandezza naturale di sovrani seduti e di regine stanti, probabilmente di norma dedicate a coppia nei maggiori santuarî della città, il Tempio P2 della Città Bassa e il Tempio D dell'Acropoli, l'uno e l'alto votati al culto della dea Ištar. La più antica di queste opere, da porre attorno al 1900 a.C. o poco prima, è verosimilmente la statua di Ibbit-Lim, re di Ebla, eretta nel santuario palatino della Cittadella, che si caratterizza per la struttura rigidamente volumetrica e semplificata delle forme, molto prossima tipologicamente e iconograficamente a due altre statue pure frammentarie dell'Area sacra di Ištar della Città Bassa. In anni certo assai vicini devono essere stati eseguiti il bacino lustrale a due vasche, pure basaltico, largamente conservato con tre lati ricoperti di bassorilievi eretto nel Tempio Β dedicato al dio dell'Oltretomba Rašap e un secondo monumento di identica tipologia posto nel Tempio D, di cui non è pervenuto che un frammento di parete con due teste di armati in tutto simili a quelle dei cortei che sulle tre facce decoravano l'arredo dell'Acropoli. Già nel bacino del Tempio Β appare sulla faccia principale in alto il tema che deve essere stato utilizzato di norma per la decorazione dei bacini lustrali paleosiriani arcaici: un banchetto sacro di cui è protagonista il re seduto che leva una mano a libare davanti a una tavola offertoria imbandita con pani azzimi.
Le processioni di soldati armati di lance sulle pareti laterali e le protomi frontali di leoni ruggenti che decorano tutto il settore inferiore delle tre facce del bacino del Tempio Β devono alludere alla natura divina di Rašap, il dio dell'Oltretomba, della guerra e delle pestilenze. Nei decennî attorno al 1800 a.C. dovettero essere scolpiti l'intatto bacino calcareo del Tempio D e il meno ben conservato bacino del Tempio Ν della Città Bassa dedicato al dio solare Šamaš: il banchetto del Tempio D di cui sono protagonisti il sovrano e una sacerdotessa deve rievocare i simposî connessi alle celebrazioni della fertilità in occasione della festività del Nuovo Anno, mentre i singolari soggetti della faccia posteriore del monumento del Tempio N, con dignitarî che si abbracciano levando una mano alla bocca, devono commemorare alleanze poste sotto la tutela di Šamaš, dio della giustizia. Negli stessi anni deve essere stata innalzata la stele del Tempietto G3 nell'Area sacra di Ištar sull'Acropoli, decorata a registri su tutte le quattro facce, dove, in alto, è l'immagine della dea dentro un sacello alato eretto sul dorso di un toro, fiancheggiato da due uomini-tori. In questo notevolissimo monumento scultoreo dalla complessa iconologia, in cui si alternano scene rituali, divine e mitiche, allusive alle sfere di influenza della grande dea, dalla regalità alla fecondità, dalla natura selvaggia alla natura domestica, dal mondo sotterraneo delle acque fertilizzatrici al mondo uranio dove la dea appare come stella del mattino e della sera, la Ištar di Ebla era esaltata nella molteplicità delle sue funzioni sacrali. Se sulla stele dell'Acropoli è conservata la prima rappresentazione monumentale della Ištar dell'area siriana, un importante resto di stele centinata eblaita, forse di poco più tardo, presenta, pur solo frammentariamente, la più antica rappresentazione di Hadad, il grande dio della tempesta.
Due splendide statue acefale di sovrano seduto, avvolto nell'ampio mantello regale a frange paleosiriano classico, e di regina stante con il tipico mantello a bordi rilevati, scoperte nel Tempio P2, testimoniano dell'eccellenza delle produzioni della plastica ufficiale eblaita nel periodo paleosiriano classico attorno al 1700 a.C. E probabile che in questi stessi anni si sia verificato uno sviluppo dello stile promosso particolarmente in grandi centri urbani delle regioni settentrionali dell'alta Siria, da Karkemiš ad Aleppo, come è dimostrato sia da un resto di rilievo basaltico con figura divina della grande città sull'Eufrate, sia dalla glittica regale della stessa Aleppo. Prova dell'influenza artistica diffusasi da Yamkhad a Ebla durante il XVII sec. a.C. è lo splendido sigillo dinastico del figlio del re Indilimgur di Ebla, conservato in alcune impronte su giara, in cui l'immagine del principe in preghiera è rappresentata di fronte a Hadad e a Khepat, i due grandi dèi titolari del maggiore e più celebre santuario di Aleppo.
Un altro elemento nuovo per una valutazione critica dello sviluppo della cultura figurativa della Siria interna nei primi quattro secoli del II millennio a.C. è fornito dallo stilisticamente notevolissimo, anche se numericamente limitato, gruppo di avorî egittizzanti databili verso il 1700 a.C., scoperti nel Palazzo Settentrionale e appartenenti per la maggior parte a un trono o a un letto da cerimonia. Questi avorî, tutti lavorati come grandi intarsî traforati su lamina, presentano iconografie tipicamente egiziane, come gli dei del tipo di Horas a testa di falcone, di Sobek a testa di coccodrillo e di Ḥatḥor con il disco sulle corna bovine e le splendide teste cinte da corone osiriache in cui sono forse da ravvisare immagini di antenati regali divinizzati, e documentano l'adesione delle botteghe dei grandi centri urbani della Siria interna ai canoni rappresentativi del mondo egiziano soprattutto nella sfera rappresentativa della regalità. Accanto, tuttavia, a queste officine fortemente egittizzanti, certamente ispirate dall'imitazione di doni regali faraonici, quali i pettorali o le mazze cerimoniali, alle maggiori monarchie della Siria, anch'essi ben documentati nelle tombe reali eblaite, erano presenti a Ebla altre officine di intagliatori, di assai alto livello, che usavano la stessa tecnica per esprimersi in un linguaggio tipicamente locale: ne sono testimonianza, tra l'altro, una figura di sovrano paleosiriano con la tipica tiara ovoidale e il mantello frangiato davanti a una palmetta e soprattutto il mirabile talismano magico con figurette applicate su sottili placchette con le scene di un banchetto funerario su un lato e dell'adorazione di un toro sull'altro, allusive ai riti del trapasso del re defunto per essere assunto tra gli dei protettori della comunità cittadina.
La produzione artistica di Ebla paleosiriana, nella statuaria votiva e nella scultura sacra come nell'intaglio dell'avorio e nella glittica aulica e comune, è esemplare della cultura figurativa di un grande centro urbano della Siria interna che doveva avere forti toni di unità con le altre maggiori sedi contemporanee del potere politico, da Karkemiš ad Aleppo a Uršu a Qatna e forse a Ḥazor, nell'elaborazione di un linguaggio aulico fortemente caratterizzato in una notevole autonomia, che ha certo influenzato anche centri periferici come Mari prevalentemente orientati verso la Babilonia e, in minor misura, verso l'Assiria come fonti di ispirazione. Allo stesso modo è probabile - e comincia a essere provato solo per quanto concerne la glittica, ossia la produzione artistica paleosiriana che sembra aver avuto unità e omogeneità venata da particolarità interne solo tra l'Eufrate e il Mediterraneo e tra il Tauro e la regione di Damasco se non fino all'alta Palestina - che influssi del mondo paleosiriano abbiano alimentato l'ancora difficilmente definibile cultura artistica delle corti dell'alta Mesopotamia su cui cominciano a gettare luce gli importanti ritrovamenti di Tell Leylan, l'antica Škhna eletta a capitale con il nome di Šubat-Enlil del fiorente ma effimero impero nord-mesopotamico di Šamši-Adad I nei primi decennî del XVIII sec. a.C.
Periodo mediosiriano. - La complessa stratificazione di esperienze artistiche che si comincia a percepire già nella Ebla paleosiriana matura a partire dalla fine del XVIII sec. a.C. con l'adozione dei codici espressivi egittizzanti, almeno a opera delle botteghe degli intagliatori dell'avorio, diviene ancora più articolata nelle città della Siria interna del XVI e XV sec. a.C., quando, dopo le distruzioni paleoittite dei maggiori centri nord-siriani attorno al 1600 a.C. e la successiva imposizione del predominio di Mitanni, la vita urbana si rinnova in alta Siria pur nel segno di una forte continuità che è ancora più supposta che provata per la mancanza di sistematiche esplorazioni archeologiche nelle sedi più importanti del potere politico, se si eccettuano Alalakh, Ugarit, Kumidi ed Emar.
Mentre ad Alalakh IV sembra documentata una continuità artistica mediosiriana con la notevole eredità paleosiriana, fortemente segnata dall'impronta di Aleppo nel sito della valle di Antiochia, diversi ritrovamenti di Ugarit sembrano documentare una linea di tendenza analoga, sia nell'ambito della statuaria minore di alto livello, come nel caso della presunta statuetta del dio El e di diversi bronzi di chiarissima derivazione iconografica e stilistica paleosiriana, sia nel quadro delle produzioni dell'intaglio in avorio anteriori all'epoca amarniana, quando nella stessa Ugarit, attorno al 1350 a.C., la splendida testata di letto ad alti riquadri con immagini di iconografia siriana è lavorata sotto un'evidente influenza delle innovative esperienze egiziane. L'ampia produzione glittica di Ugarit del Bronzo Tardo I-II, pubblicata quasi integralmente ma ancora lontana dall'essere studiata in dettaglio, documenta, a un tempo, la rottura mediosiriana dell'unità stilistica paleosiriana della produzione aulica e la presenza sempre più attiva di botteghe che recepiscono e diffondono su varî materiali tematici, spesso innovativi rispetto ai soggetti usuali nel periodo paleosiriano, correnti ispirate a tendenze meno auliche e più popolaresche, certo contestuali a una più ampia diffusione sociale di generi artistici precedentemente riservati ad ambienti strettamente legati all'ambito palatino. Proprio nei numerosi sigilli cilindrici mediosiriani di Ugarit, in una relativamente notevole varietà di temi, dalle scene di culto alle rappresentazioni di guerrieri, da quella di caccia con il carro alla presentazione di figure divine, che sembrano tutte derivazioni da soggetti anche secondarî della glittica classica paleosiriana, è evidente lo stile cursorio e sommario che appare ormai caratterizzare le produzioni glittiche delle classi comuni.
Nella fase finale del Bronzo Tardo II nell'area dell'Eufrate dominata dall'impero ittita per il tramite del vicereame di Karkemiš le non poche impronte di sigilli locali mostrano, invece, qualità formali quasi sempre notevoli e tematiche molto più varie e articolate, connesse talora a soggetti delle produzioni mitanniche dell'alta Mesopotamia, talora a temi di chiara derivazione locale paleosiriana e, infine, non di rado a iconografie di evidente derivazione ittita imperiale. E probabile che sia la produzione relativamente unitaria ma qualitativamente modesta di Ugarit, sia quella più elevata ma differenziata come origine di Emar non siano veramente rappresentative nel loro complesso della cultura artistica dell'area siriana nel Bronzo Tardo II, quanto piuttosto della varietà delle situazioni locali e soprattutto di centri, anche importanti come Ugarit, ma periferici a Oriente e a Occidente. Le produzioni dell'artigianato artistico di Kumidi, l'odierna Kamid el-Loz nella valle della Beqa'a ai confini settentrionali dell'area dominata dall'impero egiziano d'Asia, per lo più di carattere minore con pregevoli opere in avorio, non illuminano particolarmente sulla cultura artistica di questa regione centrale della Siria interna, anche se mostrano importanti elementi di unità sia con Alalakh, sia con Ugarit. Tuttavia, si deve notare che in quest'area occidentale della Siria interna, gli avorî sono senz'altro opere di officine locali di non eccelso livello, sia negli oggetti suntuari di gusto raffinato come i portaprofumi in forma di anatra, sia in immagini a tutto tondo come la figurina femminile seduta che è certo estranea a ogni influenza stilistica egiziana, mentre sono difficilmente inquadrabili nella cultura artistica locale opere di netta influenza babilonese, quali la dea intercedente a rilievo in argento e oro eseguita su modelli paleobabilonesi. L'assenza totale di documentazione artistica mediosiriana dai centri maggiori della Siria interna, da Karkemiš a Tunip, da Qatna a Qadeš, non permette di colmare un vuoto di evidenza che permane intatto pur nel forte incremento delle esplorazioni archeologiche dell'area siriana degli ultimi decennî.
Periodo neosiriano. - Mentre gli scavi più recenti non hanno recato contributi sostanziali alla documentazione artistica della Siria dell'Età del Ferro, se si fa eccezione per l'importante complesso di decorazione scultorea del grande tempio di Ἁyn Dara nella Siria nord-occidentale, una serie di importanti studi critici sulla plastica c.d. neoittita e sulle numerose produzioni minori, soprattutto per quanto concerne l'intaglio in avorio e la toreutica, hanno permesso negli ultimi anni di precisare molti aspetti della cronologia relativa e assoluta e della geografia dei centri di produzione del mondo neosiriano. Da queste analisi, che malgrado l'abbondante documentazione scultorea di numerosi centri neosiriani non consentono una definizione cronologica assoluta, risulta in termini generali una periodizzazione in tre maggiori fasi successive sufficientemente ben individuate con corrispondenze tra le produzioni dei singoli centri che, pur se assai ben caratterizzate sia sul piano iconografico che stilistico, sembrano seguire linee di sviluppo piuttosto coerenti nella rielaborazione di elementi figurativi di lunga storia, dipendenti da culture figurative assai diverse, da quella ittita imperiale a quella nordsiriana, da quella medioassira e quella mitannica, fino, soprattutto nelle fasi finali, a quella neoassira.
Per il Periodo I, che è attestato da poche opere di Karkemiš, il grande centro sull'Eufrate che fornisce documentazione importante per tutte le fasi, e dalla maggior parte delle sculture di Ἁyn Dara, il termine finale è da porre attorno al 950 a.C., ma non si può dire in alcun modo quanto a lungo esso sia durato. Con parecchie opere dei centri principali dell'età neosiriana da Karkemiš a Guzana, l'odierna Tell Ḥalaf, da Zincirli a Til Barsip, il Periodo II, che sembra verosimilmente da collocare tra il 950 e l’850 a.C., potrebbe essersi protratto fino agli inizî dell'VIII sec. a.C., mentre il Periodo Illa, soprattutto sulla base della documentazione epigrafica di Zincirli, l'antica Sam'al, è da datare nel secondo quarto dell'VIII sec. a.C. Per il Periodo Illb, per quanto concerne la maggior parte delle opere a esso attribuibili, si deve pensare con sufficiente sicurezza a ima datazione attorno al 730 a.C. con diverse produzioni minori sia di Zincirli, sia di Karkemiš, sia di Sakçe Gözü fin nell'ultimo quarto del secolo.
La fase più antica dell'arte monumentale neosiriana, che apparentemente dovrebbe essere considerata formativa di una tradizione che si articolerà in maniera accentuata nei centri dei decennî successivi, sfugge tuttora a una definizione unitaria della sua cultura figurativa perché le sculture di Ἁyn Dara più antiche, con gli esseri misti dei rilievi a schema antitetico e l'immagine del dio della montagna al centro, risalgono chiaramente a una tradizione anatolica più antica, ma non hanno seguito nelle opere più recenti dello stesso periodo. Inoltre, dato che singolarmente non sembra possibile riscontrare analogie tra le scuole di Ἁyn Dara e di Karkemiš del Periodo I, il problema della stessa formazione della cultura figurativa neosiriana resta aperto, ma sembra fin d'ora abbastanza chiaro che nel X sec. a.C. era già presente una pluralità di scuole e di tradizioni che avrebbero ricevuto solo nel corso del IX e VIII sec. a.C. rielaborazioni talora differenziate, talora convergenti, dipendenti soprattutto dalle vicende storiche assai complesse dei principati luvî e aramaici della Siria settentrionale. Nel Periodo II, infatti, la scuola di Karkemiš emerge con un ruolo da protagonista, trasmettendo le sue esperienze formali e fornendo materiali tematici, particolarmente per quanto riguarda gli esseri mitologici di struttura mista, alle officine di Sam'al. In progressione di tempo, pur se in generale si differenziano le caratteristiche stilistiche delle varie scuole, si osservano sviluppi tematici rilevanti che investono, certo per parallele anche se indipendenti ispirazioni dei committenti reali, le realizzazioni delle varie officine palatine. Così, alle tematiche prevalentemente mitologiche del Periodo II succedono nel Periodo III, sia a Karkemiš, sia a Zincirli, sia a Sakçe Gözü, le rappresentazioni che hanno come protagonista la figura del sovrano, mentre Guzana appare, tematicamente e stilisticamente, caratterizzata in un'autonomia che deve dipendere largamente dalla sua posizione geografica decisamente eccentrica in alta Mesopotamia, agli estremi confini orientali dell'area di produzione dell'arte neosiriana dell'Età del Ferro.
Un importante complemento alla classificazione cronologica dell'arte monumentale dei principati luvî e aramaici della Siria tra il X e l'VIII sec. a.C. è costituito negli ultimi due decennî dalle analisi relative alle ricchissime produzioni dei rilievi in avorio eseguiti in centri dell'area siriana, trovati in grandi quantità nelle capitali neoassire, soprattutto negli scavi inglesi e più recentemente iracheni di Nimrud, l'antica Kalkhu, dove furono trasferiti per tributo o per saccheggio per lo più dai grandi sovrani neoassiri della seconda metà dell'VIII sec. a.C., Tiglatpileser III, Salmanassar V e Sargon II, artefici dell'articolazione provinciale dell'impero nelle regioni occidentali. Rispetto alle schematiche e troppo sommarie identificazioni di un gruppo di avorî di origine fenicia costiera e di uno di origine siriana interna per queste produzioni in larga prevalenza di opere databili tra la fine del IX e la fine dell'VIII sec. a.C., gli studi più recenti tendono a individuare con sufficiente sicurezza, sulla base prevalentemente del confronto con le realizzazioni delle officine degli scultori dei singoli centri, le sedi di una pluralità di scuole nell'area nord-siriana, a ipotizzare con maggiore prudenza l'esistenza di alcune botteghe localizzate nella Siria centrale e meridionale e, infine, ad assumere come estremamente verosimile la presenza di scuole ben caratterizzate, pur con molte varianti, in centri fenici della costa del Levante che tuttavia non possono essere precisati allo stato attuale delle conoscenze. Tra le prime appaiono ben fondate le attribuzioni di un gruppo di avorî di alta qualità formale, appartenenti prevalentemente a testate di letti o di troni, con figure stanti o sedute, maschili e femminili, spesso in connessione con una particolarmente sinuosa immagine di insolita pianta sacra e con un sole alato dalla stilizzazione accentuatamente anatolica, a scuole operanti nella piana di Antiochia e nella regione a O dell'Amano, appartenute probabilmente al regno di Pattina-Unqi e in minor misura di Sam'al. Assai più rare sembrano, invece, le opere che possano essere riferite a Karkemiš, che pure deve aver avuto una produzione rilevante nella lavorazione dell'avorio, secondo le testimonianze delle iscrizioni reali neoassire. Particolari caratteristiche lineari nella formulazione grafica e nelle convenzioni disegnative connotano in generale le produzioni in avorio attribuibili a Tell Ḥalaf-Guzana. Nella Siria centrale sembra doversi conservare il riferimento a officine di Ḥama di serie di oggetti suntuarî in avorio del genere soprattutto delle pissidi, anzichè di placche utilizzate soprattutto per la decorazione di mobilio di corte. Inoltre, è possibile che una parte non minoritaria delle produzioni eburnee di stile egittizzante, rinvenute non solo a Nimrud, ma anche nel centro provinciale di Khadatu in alta Siria sull'Eufrate e originariamente utilizzate per decorare ambienti della capitale del regno di Israele Samaria, sia stata eseguita a Damasco, dove un rilievo reimpiegato nella Moschea degli Omayyadi con un'immagine di sfinge con accentuate analogie con pezzi in avorio documenta l’adozione di modi fortemente egittizzanti nella scultura monumentale nel IX-VIII sec. a.C., probabilmente per influenza di maestranze fenicie. Tuttavia i rilievi con temi di sicura origine egiziana, tra i quali predominano le sfingi con l'acconciatura faraonica, realizzati in uno stile che è stato di recente definito «quasi egiziano» per la purezza dell'ispirazione egiziana e per la vicinanza ai modelli nilotici, sono considerati opera di botteghe localizzate in alcune delle maggiori città della Fenicia, tra le quali è probabile che Tiro abbia avuto un ruolo predominante.
Particolarmente in connessione con quest'ultima classificazione di avorî di assai probabile origine fenicia, appare importante la recente identificazione di quattro gruppi di patere metalliche pure di verosimile produzione fenicia, il più antico dei quali, ancora mal documentato ma già presente in esportazioni in Attica e a Cipro, dovrebbe esser datato tra la metà del IX e la metà dell'VIII sec. a.C. La massima fioritura della produzione delle pregevolissime coppe istoriate fenicie e la loro frequente esportazione non più solo nell'area egea ma anche nel Mediterraneo centrale, e in particolare in Etruria, si raggiunge con le patere del secondo gruppo prodotte nella seconda metà dell'VIII sec. a.C. e soprattutto con le coppe, prevalentemente fenicio-cipriote ora più frequentemente prodotte in argento anziché in bronzo, del terzo gruppo databile tra la fine dell'VIII e la metà del VII sec. a.C., nelle quali predominano tematiche narrative e processionali, che potrebbero essere state influenzate indirettamente anche dalla grande arte scultorea delle residenze palatine neoassire di Dūr-Šarrukῑn e di Ninive. Questa rilevante produzione sembra esaurirsi nel secondo e terzo quarto del VII sec. a.C., quando si constatano, al tempo stesso, un deterioramento della qualità stilistica e una circolazione interna al Mediterraneo orientale, senza più possibilità di ampia circolazione verso Occidente come era accaduto fino agli inizî del secolo.
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