Vedi SARDA, Arte dell'anno: 1966 - 1997
SARDA, Arte
Le prime manifestazioni plastiche e grafiche in Sardegna si presentano nell'età eneolitica.
Si tratta di rilievi e statuette e di ornati su ceramiche. I rilievi, lineari o figurati, decorano mostre e interni delle cosiddette "domus de janas" (case delle fate), grotticelle funerarie scavate ad arte nella roccia; gli elementi figurati sono di carattere simbolico religioso, come le teste bovine e le "barche" scolpite su pilastri e pareti delle domus di Anghelu Rùju (Alghero), dell'Elefante (Castelsardo), di numerose del sassarese, di Pimentol. Le statuette, di marmo o di pietra locale (calcite, basalto), si sono avute anche dalle "domus" (Anghelu Rùju, Portoferro di Alghero); e, inoltre, da ripari sotto roccia (S'Adde di Macomèr) e stazioni di natura indeterminata (Conca Illònis di Cabras, Turriga di Senorbì, Monte Ollàdiri di Monastir, Puesteris di Mògoro): sono da connettersi con la figura d'una deità femminile panmediterranea a substrato naturalistico (dea dell'amore e della morte). Generalmente, queste manifestazioni primitive d'arte plastica non sono sarde, né per origine né per gusto. Lo spirito dei rilievi è il medesimo di quelli svolti nelle cellette degli ipogei funerarî francesi (Petit Morin), siciliani (Castelluccio) e di altre aree culturali mediterranee. Le figurette marmoree (Anghelu Rùju, Portoferro, Turriga) sono di derivazione egeo-cicladica e palesano il senso ‛astratto', mantenuto anche nelle imitazioni locali del tipo (Conca Illònis); nella statuina di Macomèr, scolpita nel basalto del luogo, si manifestano reminiscenze della coroplastica balcanica (civiltà Ariusd-Cucuteni) a sfondo formale naturalistico. A questo repertorio egeo-balcanico si lega anche una figurina femminile di terracotta, ritrovata di recente a Conca Illònis. Può dirsi che alcune soluzioni neo-eneolitiche dell'arte schematica del tardo Paleolitico e del Mesolitico (particolarmente brillante in Francia e Spagna) siano vive anche nella produzione eneolitica isolana che ne partecipa, dipendendone (v. preistorica arte). Con una architettura agli inizî (circoli tombali di Li Muri di Arzachena; "luogo alto" di Monte d'Accoddi; alcune "domus" di Anghelu Rùju), con scarsi ma importanti avanzi di pittura (ne son rimaste tracce, in bande colorate entro talune tombe di Alghero, di Thiesi, ecc.), l'arte s. eneolitica si distingue, piuttosto, per una bella ceramica (grotte di S. Michele e Carmelo di Oziéri; villaggio di S. Gemiliano) in cui sono elaborati partiti proprî della "ceramica a bande" mediterranea (forse egeo-balcanica) con eleganza e fasto suggestivi, quali soltanto i saggi di Butmir e di Malta manifestano: vi gioca, graziosamente, il cromatismo, nell'ocra rossa che riempie e rileva il tratteggio delle strisce nero-lucide che tappezzano pareti e fondi dei vasi; e il predominio della linea curva sembra quasi anticipare, in arte minore, una delle costanti formali e psicologiche della civiltà sarda antica. Un certo gusto vegetalistico dell'ornato e temi specifici rievocano la ceramica di Kamares. Del resto, lo stile degli ornati di codeste, e di altre ceramiche (Anghelu Rùju; grotte di Sant'Elia e San Bartolomeo a Cagliari e ‛Del Guano' a Olìena-Nùoro; stazioni dell'Oristanese) è coerente con quel generale spirito estetico geometrico, caratteristico dell'Età del Rame e della Pietra.
Il segregarsi progressivo, nelle epoche del Bronzo e del Ferro, per effetto d'ambiente insulare, degli elementi culturali, varî e di varia provenienza, di età eneolitica, trae con sé, naturalmente, anche la specializzazione degli aspetti "civili" a queste contemporanei e, per l'arte, il formarsi di espressioni, per più aspetti singolari e personali nella sostanza, anche se la ‛materia' dipenda, in parte dai primitivi germi genetici che si sono fissati perdurando, in parte da apporti esterni e recenti di aree a sviluppo storico culturale parallelo. A questo punto il titolo di arte S. diventa legittimo.
L'architettura mentre nella penombra del sottosuolo, consentanea alla tristezza della morte, elabora, in vasti spazî e complicati ambienti e con rigide finezze di taglio di pareti e soffitti, motivi delle "domus" dell'Età del Rame, traducendo anche nella roccia piante e strutture di case rettangolari e rotonde (S. Andrea Abrìu di Bonorva, Noeddele, Ossi Santu Perdu, Alghero) sopraterra svolge le due essenze strutturali primordiali: il trilite nel dolmen (ad esempio Ciulèdda di Luras) e, non puramente, nella ‛tomba di giganti' (Gorònna di Paulilàtino) sepoltura collettiva a lungo corridoio tabulato con la fronte a semicerchio e una stele arcuata scolpita sopra il basso portello d'ingresso; la falsa cupola (thòlos) nel nuraghe (v.) e nel pozzo gradinato, ritenuto sacro, dove il profilo della pseudovolta, con l'andar del tempo, progredisce dalla forma a parabola segmentata in filari di rozzi massi sporgenti l'uno sull'altro (Funtana Coperta di Ballào) a quella della parabola in cui i filari di blocchi ben squadrati si dispongono su d'una liscia superficie continua (S. Vittoria di Serri). In generale tale architettura a giorno, che ha la chiarezza solare e la penetrabilità della monumentalità mediterranea, è architettura essenziale, a linea curva in prevalenza, spaziale e, per quanto volge alla compagine muraria, a blocco staccato (filari in aggetto), non a massa fusa e indifferenziata come in talune strutture classiche: architettura realizzata, si potrebbe dire, per accumulazione, di elementi distinti, che il radicale preario nur' ed il derivato indigeno nurra (mucchio, acervo), significano con evidenza. Il suo linguaggio è largamente mediterraneo: la ricerca genetica indica germi occidentali (afro-iberici) ed orientali (egeo-asianici), la puntualizzazione cronologica riflette contatti con le civiltà etrusca, fenicia e forse greca, ma alcuni motivi segnano anche estro e sviluppo locali.
Tralasciando i prodotti della coroplastica (statuette fittili di Abini-Teti; vaso plastico di S. Anastasia di Sàrdara) e le ceramiche ornate (nuraghi Palmavera, Losa, Lughérras, Santu Antine, Barùmini, ecc.; pozzi di S. Vittoria e di Sant'Anastasia; capanne di Abini e Serra Orrios di Dorgali) in cui sul geometrico eneolitico di substrato si innestano inflessioni del geometrico storico panellenico e italico (specialmente etrusco-laziale), le capacità artistiche dei Sardi nuragici si rivelano nella plastica in pietra e, particolarmente, in bronzo.
Lo stile schematico delle statuette eneolitiche diventa pura trascendenza simbolica nei betili, mammellati o meno, di basalto, che circondano lo spazio funebre e proteggono i morti delle tombe di giganti (Tamùli di Macomèr). Per contro, il succinto simbolismo delle pròtomi bovine eneolitiche dà luogo alle idealizzazioni astratte delle teste bovine dei pozzi di Serri e Sàrdara, nei quali si osservano parti architettoniche segnate da temi di decorazione geometrico lineare (zig zag, cerchielli concentrici, dentellati, ecc.).
Ma il gusto figurativo paleosardo assume tono, vivezza e coerenza stilistica (e, dunque, valore d'arte) nella metalloplastica. Sia che agiscano costanti tradizionali della parlata figurativa neoeneolitica (substrato geometrico comune a tutte le figurine), anche attraverso le varie soluzioni della medesima che concorrono a caratterizzare il più tardo geometrico prearcaico; sia che sollecitazioni tecniche e spunti iconografici abbiano influito, all'origine e nel corso del suo sviluppo (gusto orientalizzante, di probabile importazione fenicio-punica), sulla produzione dei bronzetti nuragici; sia, infine, che un sedimento estetico di primitività barbarica, in essi contenuto, ne avvicini il sentimento, più largamente, anche a quello dell'arte negra, come si è pure sostenuto, le figurine paleosarde restano, pur sempre, le attestazioni d'una genuina, autentica e ben distinta cultura figurativa, frutto di temperamenti singoli e di gusti peculiari sostanzialmente autonomi dalla circostante ed operante koinè artistica mediterranea. Cultura tanto autonoma ch'è possibile cogliere, in seno al fondamento unitario, tendenze stilistiche diverse: quella cubistica-volumetrica, o costruttiva, del gruppo di Uta, quella decorativistica del gruppo di Abini, quella, a caratterismo popolaresco, del gruppo cosiddetto "barbaricino". Capi, guerrieri variamente armati, isolati o in gruppo, sacerdotesse, madri col figlio in grembo, popolane e popolani; eroi ed esseri fantastici; animali; barchette ed altri oggetti figurati del culto sono i soggetti fatti qualità d'arte nelle statuette. E vi si leggono, o vi si intuiscono, la vita ufficiale o dimessa, le professioni e mestieri, la gerarchia e la distinzione sociale delle classi, il mito, il fantasticare, la devozione religiosa o magica, il dolore e la gioia, in sostanza l'anima antica isolana, viva ed umana, aderente alla realtà profonda ed esplicita, tuttavia, oltre lo spazio ed il tempo.
Queste piccole opere di oscuri, ma vivaci, artigiani d'una materia che il suolo sardo offriva in copia, errabondi, con i loro segreti di mestiere, come il mitico Dedalo che la tradizione ricorda, quale peregrino d'arte, anche per la Sardegna, hanno suscitato molta discussione per la loro età. Già attribuite a tempi cartaginesi per ragione di carattere storico (Pais), poi riferite, tutte (Patroni) o in parte (von Bissing), al II millennio a. C. e direttamente collegate con le statuette eneolitiche - da cui tanto profondo è tuttavia il divario stilistico - oggi, sulla base dell'iconografia e del gusto, ma specialmente per essersi trovato qualche esemplare in suolo paleoetrusco associato con oggetti sicuramente datati, si classificano fra l'VIII e il VI sec. a. C. Si ritiene pure che il gruppo di Uta preceda nel tempo i gruppi di Abini e "barbaricino", ponendosi anche lo stile di quel gruppo, più caratteristicamente indigeno per forma e contenuto, come esempio e impulso delle manifestazioni degli altri due gruppi: un po' mischiato di esotico, specie per "materia" d'arte, quello di Abini, e deviato verso espressioni dialettali il "barbaricino", che si crede sia anche l'ultimo in ordine di tempo.
Ma comunque si pensi della cronologia, valore precipuo dei nostri bronzetti, come di molte altre varie attestazioni della storia "formale" della Sardegna antica, resta quella loro spontanea, concisa e chiara parola che li fa ancora vivi ed accessibili alla sensibilità moderna. Essi sono pure i più importanti testimoni dell'unico momento artistico che la Sardegna abbia saputo, e potuto, donare alla civiltà antica e moderna. Furono prodotti e offerti alle divinità ed ai morti quando sulla libertà feconda d'una gente forte e spiritualmente vivida non incombeva ancora l'opaca tristezza della soggezione secolare.
Bibl.: A. Taramelli, La ricerca archeologica in Sardegna, in Il Convegno Arch. in Sardegna, giugno 1926, Reggio Emilia 1927, p. 30 ss.; G. Lilliu, Appunti sulla cronologia nuragica, in Bull. Paletn. Ital., V-VI, 1941-42, pp. 152; 168; 161 ss.; id., Sardegna: Isola Anticlassica, in Il Convegno, ottobre 1946, Cagliari, p. 9 ss.; id., D'un candelabro paleosardo del Museo di Cagliari, in St. Sardi, VIII, 1948, pp. 5 ss.; 33 ss.; id., Uno scavo ignorato del dott. Ferruccio Quintavalle nella tomba di giganti di Goronna a Paulilatino (Cagliari), ibid., VIII, 1948, pp. 51 ss.; 65 ss.; P. Balata, ibid., VIII, 1948, pp. 434-437; G. Pesce-G. Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica, Venezia 1949, pp. 13; 17 ss.; M. Pallottino, La Sardegna nuragica, Roma 1950, p. 50 ss.; G. Lilliu, Scoperte e scavi in Sardegna durante il 1948-49, in St. Sardi, IX, 1949 (1950), p. 423 ss.; G. Lilliu, Il Nuraghe di Barùmini e la stratigrafia nuragica, ibid., XII-XIII, I, 1955, p. 90 ss.; id., Pensieri sulla Sardegna, ibid., p. 7 ss.; id., Sculture della Sardegna nuragica, Cagliari 1956; id., La religione della Sardegna prenuragica, in Boll. Paletn. It., 1957, pp. 20 s.; 35 ss.; id., Nuovi Templi a pozzo nella Sardegna nuragica, in St. Sardi, XIV-XV, 1960, p. 197 ss.; id., I Nuraghi, Torri preistoriche di Sardegna, Cagliari 1962; id., La civiltà dei Sardi, Torino 1963; M. Guido, Sardinia, Londra 1964.