OTTICO-CINETICA, ARTE
Ricerche sulla possibilità e i modi di riprodurre il movimento attraverso effetti ottico-pittorici o tecnico-meccanici sono rintracciabili in tutta l'arte figurativa dalla metà dell'Ottocento in poi, ma s'incomincia a parlare di arte cinetica e optical art soltanto dal momento in cui le ricerche visuali diventano vincolanti per lo sguardo dello spettatore che assiste alla crescita e al mutamento dell'opera artistica sotto i suoi occhi attraverso sequenze successive e ripetibili. Lo spettatore, cioè, per la prima volta nella storia dell'arte, si accorge di poter modificare con la propria persona quanto l'artista gli ha proposto: si muove dinanzi al quadro e ne riporta sensazioni visive diverse e mutevoli ad opera degli effetti ottici che l'artista ha previsto e programmato (movimento virtuale e arte cinetica) o tocca un pulsante e le strutture che compongono l'opera si spostano con movimenti periodici (movimento reale). La Galleria Denise René di Parigi, nel 1955, organizza la mostra Le Mouvement con opere di Y. Agam, P. Bury, A. Calder, M. Duchamp, R. Jacobsen, J. R. Soto, J. Tinguely e V. Vaserely che, per l'occasione, stende le Notes pour un Manifeste (Manifèste Jaune) dove il termine h cinetico" viene usato nell'accezione con cui intendiamo anthe oggi l'intero fenomeno artistico.
Come per altre correnti dell'arte contemporanea ci troviamo per l'arte cinetica di fronte a due ordini di questioni strettamente collegate, una di natura teorica, che affronta il problema del rapporto dell'artista con la scienza e la società contemporanea, l'altra dei modi della sua produzione. La figura sociale dell'artista s'identifica con quella dell'operatore industriale, che sceglie e inventa i simboli visivamente più efficaci sulla psicologia del fruitore e alla loro individuazione l'artista giunge con un lungo lavoro d'indagine sui fenomeni percettivi e sulla traduzione di tali fenomeni in strutture visive.
All'interno del processo operativo è sempre presente una funzione di tipo pedagogico sociale: ricercando infatti le strutture primarie delle entità naturali, liberate dalle sovrastrutture intellettuali, s'individuano processi ripetibili in tutti i campi della percezione sensibile e si aiuta quindi il pubblico a stabilire un diverso rapporto funzionale con l'ambiente in cui vive, cosa che può assumere per es. particolare importanza nell'urbanistica. Inoltre il processo creativo è programmato e il risultato è in molti casi riproducibile in serie. Per tali motivi, l'arte cinetica ha assunto anche il nome di arte programmata. Ciò non esclude il valore estetico dell'oggetto prodotto che "per gli artisti delle correnti visive e cinetiche, si pone al principio come un'idea-immagine, la cui struttura dovrebbe riprodursi sia pure con varianti specifiche, in ogni tipo d'oggetto: e si pone come struttura spaziale e di relazione, sicché l'oggetto è considerato solo come sito di relazioni, forma capace di conservare intatto il proprio valore in qualsiasi situazione" (C. G. Argan, in Nuove tecniche d'immagine, cit. in bibl., p. 14).
Il primo momento è quindi quello della scelta di segni elementari (i moduli), che l'artista organizza in un contesto variabile secondo un processo spazio-temporale suggerito dalla sperimentazione scientifica e tecnologica. E che ci sia una continua mediazione con la scienza, lo dimostra anche il fatto che spesso gli artisti cinetici non operano isolatamente ma in équipe (l'Equipo 57, fondato a Parigi da artisti spagnoli, il Gruppo T di Milano, il Gruppo N di Padova, il GRAV, cioè Groupe de Recherche d'Art Visuel, di Parigi, il Gruppo Uno e il Gruppo 63 di Roma, l'Anonima Group di Cleveland, il gruppo Zero di Düsseldorf, il gruppo Dviženie di Mosca, ecc.) e ancora che utilizzano sistemi grafici di tipo matematico, calamite, magneti, fluidi, elettricità.
Questo rapporto dell'arte con la scienza e insieme con la psicologia della visione, della percezione visiva, e con la società (l'uomo con l'arte cinetica impara a utilizzare in modo reale la sua capacità di visione e può con essa liberarsi dal condizionamento dei mass media) trova i suoi antecedenti storici in numerosi momenti della cultura europea tardo-ottocentesca. Le tesi positivistiche avevano portato in primo piano il pensiero matematico e in tutto il periodo dell'impressionismo e del post-impressionismo le discussioni artistico-scientifiche sulla resa ottica del movimento in natura s'intrecciano alle coeve ricerche sulla fotografia. Caratteri diversi assume la resa pittorica del movimento nell'espressionismo, il cui dinamismo ha un valore rappresentativo soggettivo e simbolico, così che è soltanto negli anni seguenti con gli artisti cubisti che il concetto di dinamismo acquista maggiore importanza teorica e programmatica: in F. Leger, infatti, vi è la costante presenza del nuovo universo meccanizzato e industriale, in R. Delaunay nasce la concezione del simultaneismo cromatico, e ancora più nel futurismo con la conclamata volontà di celebrare il movimento e la velocità del dinamismo universale. Celebri opere di G. Balla (Bambina che corre sul balcone, Cane al guinzaglio) mostrano la scomposizione multipla e sequenziale del movimento e corrispondono alla formulazione di U. Boccioni, per il quale "per la persistenza dell'immagine nella retina le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni nello spazio che percorrono" (Pittura e Scultura futuriste, Milano 1914). Ma in tutti questi artisti e anche nei raggisti russi (M. Larionov, N. Gončarova) l'operazione ottica si muove sempre da valori dati e lo scopo è ancora quello di riprodurre il mondo esterno nel modo più aderente alla realtà percepibile.
Un discorso diverso va fatto invece per quegli artisti che assegnano al fattore movimento una funzione importante nel processo verso l'astrazione: così, per es., nel suprematismo di K. S. Malévič si costituisce un rapporto tra il movimento negli spazi e il movimento del pensiero; ugualmente fondamentali in questo senso appaiono le teorizzazioni del gruppo olandese De Stijl e i ritmi astratti di P. Mondrian. Soprattutto, però negli anni successivi, tali ricerche s'incrementano nei corsi sperimentali del Bauhaus, che si occupano largamente dello studio del movimento e della sua resa grafica con l'esempio e il contributo teorico di J. Itten, di L. Moholy Nagy e di J. Albers, che portano rispettivamente ad accentuare la funzione architettonica dei contrasti di colore, l'uso del movimento applicato al cinema e alla fotografia, l'utilizzazione cinetica del colore totalmente autonomo da qualunque riferimento analogico.
In tal senso sono queste ricerche le fonti più dirette cui s'ispireranno gli artisti cinetici. Si arriva così per gradi alla semplificazione del segno, che più diventa elementare più acquista il particolare valore semantico dell'arte cinetica. Questi moduli geometrici iniziali possono comporsi in strutture spaziali di vario tipo, che dànno luogo alle diverse correnti dell'arte cinetica.
Una prima distinzione può essere fatta fra le opere cinetiche in bianco e nero e quelle a colori. Nel primo gruppo l'effetto ottico è ottenuto con elementi grafici, utilizzando i fenomeni psicofisiologici: il reticolato bianco e nero compone strutture periodiche concentriche o spiraliformi, oppure una successione seriale di sistemi lineari è interrotta da medesimi sistemi in senso obliquo (B. Riley), o ancora si crea l'effetto marezzato (moiré), che nasce dalla sovrapposizione di lastre di plexigas con fondi striati in sensi diversi (J. R. Soto). Come si è detto, queste ricerche sul movimento utilizzano diverse scoperte scientifiche come quella di J.E. Purkinje sul movimento consecutivo (after image), che dimostra come osservando per un certo periodo un movimento continuo nella medesima direzione e portando poi lo sguardo su di un oggetto fisso si riceve l'impressione che questo si muova in senso opposto; o la scoperta di W. Wertheimer sul fenomeno phi, cioè "l'illusione del movimento prodotta da due oggetti (o figure) fissi, di forma simile, allorquando l'uno si presenta poco dopo l'altro (che è sparito) e in un altro luogo; se le condizioni di tempo, di distanza e d'intensità permettono tale assimilazione, si percepisce un solo oggetto, che passa rapidamente da un luogo all'altro" (F. Popper, L'arte cinetica, cit. in bibl., p. 137); e numerose altre scoperte connesse a mutamenti apparenti della figura, a movimenti d'irradiazione e diffusione, di espansione e contrazione, di positivo-negativo, ecc. Tutti questi effetti, che qui sono ovviamente riassunti e schematizzati, vengono usati dagli artisti e gruppi, presenti e importanti rassegne come Nove Tendencije di Zagabria (1961,1963,1965), o Nouvelle Tendence, organizzata a Parigi nel 1964, e implicano la partecipazione dello spettatore, coinvolto nell'uso del movimento virtuale. Così avviene anche per il GRAV, che ha fra i suoi artisti più importanti J. Le Parc e F. Morellet.
La visualizzazione del movimento avviene anche con l'uso dei colori, sfruttandone i contrasti simultanei dati dall'accostamento di colori violenti come il rosso e il verde (vedi le "fisiocromie" di C. Cruz Diez) e l'uso di particolari accorgimenti che moltiplichino all'infinito le risultanze cromatiche. Strettamente connessa a queste teorie è anche la sperimentazione sugli effetti della luce artificiale o proveniente da fonti luminose: la luce passa attraverso schermi trasparenti (già sperimentati da N. Gabo e L. Moholy Nagy), o si rifrange su superfici metalliche (Gruppo N di Padova), o integra e modifica con proiezioni l'immagine fissa. Accanto a queste ricerche per così dire di superfici in movimento esiste tutto un settore dell'arte cinetica che concerne le opere tridimensionali. Gli antecedenti di tali ricerche si collocano nei medesimi anni e nelle medesime correnti di cui abbiamo già parlato, e vanno dai controrilievi di V. E. Tatlin al costruttivismo di N. Gabo e A. Pevsner, dai complessi plastici di F. Depero alle macchine ironiche dadaiste, dai mobiles di A. Calder alla macchina luminosa (Lichtrequist) di Moholy Nagy, fino alle macchine inutili di B. Munari. Il complesso di queste esperienze si rivela determinante per quel settore dell'a. c. che concerne le opere che ricevono la loro animazione da forze elettromeccaniche, a volte nascoste come avviene per le superfici mobili di P. Bury, o nelle grandi macchine-automi di J. Tinguely, o nei giochi luminosi sulle costruzioni in movimento di N. Schöffer. A quest'ultimo si deve la torre cibernetica di Liegi, composta di piani e assi girevoli, con suoni, lastre di specchio in movimento, in un complesso alto 52 m, e che è la più importante opera cinetica realizzata in un tessuto urbano. Alcuni usano la forza magnetica per animare superfici cosparse di elementi ferrosi (D. Boriani); altri combinano insieme queste diverse tecniche in operazioni più complesse e che permettono una molteplicità di soluzioni. Vedi Tav. f. t.
Bibl.: G. Dorfles, Ultime tendenze dell'arte d'oggi, Milano 1961; F. Menna, Arte cinetica e visuale, in L'Arte Moderna, XIII, ivi 1967; F. Popper, Naissance de l'art cinétique. L'image du mouvement dans les arts plastiques depuis 1860, Parigi 1967 (trad. it., L'arte cinetica, Torino 1970, con ampia bibliografia); C. Barrett, Op Art, Londra 1970; I. Mussa, Il gruppo enne. La situazione dei gruppi in Europa negli anni 60, Roma 1976. Cataloghi mostre: Le Mouvement (testi di R. Bordier), Galleria Denise René, Parigi 1955; The responsive eye, a cura di W. Seitz, Museum of Modern Art, New York 1965; Kinetic and Optic Art today, Fine Arts Academy, Buffalo 1965; Perpetuum Mobile (testi di G.C. Argan, E. Battisti, ecc.), Galleria L'Obelisco, Roma 1965; Direction in kinetic sculpture (testi di P. Selz e G. Rikey), University of California, Berkeley 1966; Nuove tecniche d'immagine (testi di G.C. Argan, M. Calvesi, ecc.), VI Biennale, San Marino 1967; Lumière et Mouvement, Musée d'Art modern de la Ville, Parigi 1967.