ISLAMICA, Arte
L'espressione arte i. viene utilizzata convenzionalmente per definire la produzione artistica delle regioni e delle popolazioni governate o dominate dalla fede e dall'etica dell'Islam, la religione monoteistica rivelata al profeta Maometto tra il 620 e il 632. Arte i. è quindi anche quella prodotta da ebrei, cristiani, o seguaci di altre religioni, e a loro destinata nel momento in cui essa è realizzata all'interno dei confini del mondo islamico. L'espressione arte i. non dovrebbe essere normalmente usata per esprimere esclusivamente l'arte destinata alla devozione dei musulmani, anche se alcuni studiosi contemporanei del mondo islamico ne hanno dato un'interpretazione in questi termini. In detta espressione è insita dunque una certa ambiguità; tuttavia, nonostante i meritori tentativi fatti in passato e tuttora dalla critica per opporsi a essa, non è stata ancora proposta una soluzione migliore e la distinzione tra 'islamizzato', con riferimento ai fenomeni culturali, e 'islamico', riservato alle questioni strettamente religiose, per lo più non è stata accettata. È dunque preferibile mantenere tale espressione, che del resto non è più inadeguata e fuorviante di Gotico o Romanico, e convenire che è una maniera utile, sebbene arbitraria, di far riferimento a un mondo artistico che si contrappone all'òccidentale' o all''europeo' piuttosto che al 'cristiano'.Un approccio culturale all'arte i. è legittimato da due ragioni: una può essere considerata dottrinale, nel senso che, pur mancando una dottrina islamica sull'arte, un gran numero di trattazioni si occupa direttamente o indirettamente di arte giungendo a definire una sorta di atmosfera culturale all'origine della creatività artistica. L'altra ragione è empirica, nel senso che l'esperienza visiva moderna e già probabilmente quella medievale suggeriscono il fatto che le valutazioni e le consuetudini di uomini e donne si legano a determinate caratteristiche e pregi di opere realizzate nel mondo islamico. È opportuno perciò imperniare le osservazioni intorno ai seguenti due assi: quello dottrinale e quello empirico.
La rivelazione trascritta nel Corano e quelle prime tradizioni (ḥadīth) sulla vita e sui detti del Profeta che possono essere ragionevolmente considerate autentiche non fanno riferimento ad alcuna dottrina sull'arte. Non è possibile individuare usi od obblighi riguardanti direttamente la costruzione di un ambiente; l'uso di oggetti realizzati dall'uomo; l'uso infine o la necessità di servirsi di un qualsiasi tramite visuale. Erano probabilmente molto ridotti gli spunti o gli eventi relativi alla vita del Profeta e alla crescente comunità musulmana di Arabia che avrebbero incentivato una traduzione in termini visivi; la fede stessa non era caratterizzata da esigenze materiali o simboliche analoghe a quelle costituite da croci, altari o statue.Più tardi, per motivare e spiegare attitudini e pratiche artistiche furono utilizzati passi coranici. Alcuni dei più importanti esempi con commento sono i seguenti: a) "E dei jinn c'era chi lavorava avanti a lui [Salomone] col permesso del Signore, e a quelli di loro che deviarono dal Nostro Comando facemmo gustar del tormento del Fuoco! Essi costruivano per lui quel ch'egli voleva, luoghi di culto, statue, piatti ampi come abbeveratoi di cammello e caldaie salde [per cucinare]" (Corano XXXIV, 12-13). Una caratteristica di questi versetti consiste nell'identificazione di Salomone come re-profeta per il quale sono state create opere eccezionali in forme quasi miracolose e trascendentali; perciò il produrre e il possedere arte vennero connessi alla sfera mitica del contesto sociale, il luogo dove l'immaginario inventivo produceva un'area di realtà virtuale per la creazione artistica. Un altro aspetto interessante di questa citazione consiste nella coesistenza di istituzioni ufficiali (i luoghi di culto), di arte 'alta' tradizionale (le statue) e di oggetti ordinari come le caldaie. L'esegesi del significato specifico di questi termini non è rilevante; quello che importa è che utensili di uso quotidiano vengano chiaramente elevati al livello di oggetti adatti a un sovrano. Interessante è anche l'introduzione, in relazione all'opera d'arte ma senza che il termine venga usato, del concetto di 'ājib 'meraviglioso, straordinario, sorprendente', che sarebbe divenuto poi l'essenza, se non la vera e propria teoria, dell'estetica musulmana. Si potrebbe aggiungere che il forte controllo esercitato da Dio su coloro che lavoravano per Salomone, i mitici jinn, prefigura alcuni degli atteggiamenti religiosi sviluppatisi più tardi nei confronti degli artisti.b) "Dio crea ciò ch'Ei vuole: allorché ha deciso una cosa non ha che dire 'Sii!' ed essa è. Ed Egli gli insegnerà [a Gesù] il Libro della saggezza e la Torah e il Vangelo e lo manderà come suo Messaggero ai figli d'Israele, ai quali egli dirà: ''Io vi porto un Segno del vostro Signore. Ecco che io vi creerò con dell'argilla una figura d'uccello e poi vi soffierò sopra e diventerà un uccello vivo col permesso di Dio; e guarirò anche, col permesso di Dio, il cieco nato e il lebbroso e risusciterò i morti''" (Corano III, 47-48). Questi versetti, tratti da un lungo dialogo tra Dio e Maria, la madre di Gesù, insieme con la condanna degli idoli (Corano V, 91; VI, 74), sono stati uno dei passi chiave portati a esempio per secoli per spiegare e giustificare l'opposizione musulmana alla rappresentazione di esseri viventi. L'argomentazione si basava sul fatto che l'alito vitale che Dio insufflò in un uccello modellato da Gesù era stato dato in via eccezionale, come un miracolo, ma anche che solo questo modo di dare vita giustificava la creazione di immagini raffigurate. Gli altri due passi erano strumentali per definire le ragioni dell'aniconismo, cioè il rifiuto di tutte le rappresentazioni di esseri viventi (un termine preferibile a iconoclastia che, per le sue implicazioni distruttive, ha avuto valore solo in alcuni periodi), insito in quelle raffigurazioni, perché per il loro nesso con la vita avrebbero potuto facilmente essere considerate idoli, come era avvenuto nel caso del paganesimo arabo e sembrava essersi verificato anche nella cristianità, quando le immagini furono adorate al posto di Dio o insieme a Lui.c) "Soli visiteranno i Templi di Dio [masājid Allāh] quelli che credono in Dio e nel Giorno Estremo, e compiono la Preghiera e pagano la Dècima" (Corano IX, 18); "Sappiate che i Templi [masājid] sono di Dio!" (Corano LXXII, 18); "Permesso è stato dato di reagire [...] a quelli che sono stati cacciati dalle loro dimore, senza diritto alcuno, se non perché dicevano: ''Il nostro Signore è Dio''. E certo se Dio non respingesse alcuni uomini per mezzo di altri, sarebbero ora distrutti monasteri e sinagoghe, e oratori [ṣalawāt, termine raro di incerta origine] e templi [masājid] nei quali si menziona il nome di Dio di frequente" (Corano XXII, 39-40). Questi sono i versetti più importanti relativi ai luoghi di preghiera. In tutti e tre i passi è usata la parola masājid (pl. di masjid), dalla quale deriva il termine moschea in tutte le lingue; in tutti e tre si presuppone l'esistenza di spazi per il culto; tuttavia, perlomeno inizialmente, è individuato un solo santuario, la Ka'ba nel Masjid al-ḥaram (il sacro santuario) alla Mecca, unicamente riservato ai musulmani e qibla, ovvero 'direzione' per tutte le preghiere dei musulmani ovunque essi si trovino. Il riferimento alla 'moschea più distante' (masjid al-aqṣā; Corano XVII, 1) è stato successivamente interpretato come allusivo a Gerusalemme, sebbene il significato originario del versetto rimanga in discussione.Gli ḥadīth sulla vita e le parole del Profeta sono solo un poco più articolati e puntuali. Essi condannano chiaramente gli artisti alla dannazione eterna qualora rappresentino esseri viventi, ma introducono anche eccezioni alle regole generali. Così le raffigurazioni sono rese possibili dall'esistenza di tradizioni che le permettono sui pavimenti, perché essi vengono calpestati, e nei bagni, dove esse procurano benessere, stato che è desiderabile. Gli ḥadīth tramandano anche che 'Ā'isha, la moglie più giovane del Profeta, aveva giocattoli o tessuti con rappresentazioni e che lo stesso Profeta aveva salvato una rappresentazione della Vergine e del Bambino dalla distruzione insieme a tutti gli idoli pagani conservati nella Ka'ba alla Mecca.Sulla base di queste prime affermazioni, che costituiscono il nucleo delle dottrine religiose musulmane, soltanto due conclusioni risultano appropriate. La prima è che le arti non svolgevano un ruolo importante nel mondo nel quale tali dottrine si erano sviluppate. Da quanto risulta, non c'è nessuna concezione formale musulmana sulle arti, neanche in negativo, come nel secondo comandamento biblico; non c'è uno spazio ufficialmente definito come musulmano, con la parziale eccezione della Ka'ba, e non c'è attività o idea che avrebbe richiesto uno spazio specifico o una forma d'espressione visiva.L'altra conclusione è che i primi musulmani, come tutti i gruppi arabi dai quali essi provenivano, erano consci dell'esistenza di tecniche per abbellire la vita materiale - il ricamo delle vesti, l'incisione o l'incrostazione dei metalli, la pittura murale negli edifici - e della presenza di simboli o segni, come per es. nel conio, legati alla fede religiosa e al potere imperiale. Ma tutte queste tecniche venivano associate ad altri soggetti, per lo più cristiani per ciò che concerneva la religione e greci o persiani relativamente al potere politico. Si conservava una labile memoria del brillante passato artistico del regno yemenita da tempo scomparso e degli altri stati sudarabici, ma era più significativo a livello misterico che non nella pratica. Recenti scavi hanno anche evidenziato la presenza nella penisola arabica di oggetti provenienti dall'India, ma è difficile stabilire la consapevolezza di questa presenza nella tradizione dei primi musulmani.Mentre l'assenza di una dottrina sulle arti risulta certa, ciò non significa che mancasse una riflessione sull'arte. Nel corso della storia medievale islamica si sono sviluppati quattro ordini di idee sulle arti: essi erano inerenti a fede e filosofia, misticismo, tecnologia e mirabilia esotiche. Tali ordini d'idee non avevano carattere né continuo né coerente; a riguardo molto rimane oscuro e ci sono considerevoli variazioni geografiche e cronologiche relativamente alla loro presenza e alla loro validità.
Così come stava rispondendo alle sfide culturali della sua stessa espansione, la fede musulmana doveva provvedere, attraverso il suo apparato normativo, a rispondere ai quesiti del fedele su ciò che è giusto e ciò che non lo è nell'uso e nella realizzazione dell'opera d'arte. Dalla metà del sec. 8°, e forse anche prima, l'aniconismo era stato formalmente proclamato come dottrina dominante della fede, con deroghe occasionali, come nei bagni. Tuttavia, perlomeno nei primi secoli, l'aniconismo era relativamente raro e non si tramutò in un'effettiva distruzione delle immagini come si verificò per altre religioni. Un'apparente eccezione è quella del c.d. editto di Yazīd II, del 723, il quale avrebbe condotto a consistenti alterazioni, dimostrabili da un punto di vista archeologico, nei mosaici cristiani in Siria, Palestina e Giordania. Ma sussiste molta incertezza sull'effettiva esistenza di quell'editto. Altre motivazioni, interne e di origine cristiana, potrebbero spiegare, in maniera migliore di quanto farebbe un ordine del califfo omayyade, la rimozione di raffigurazioni dai mosaici pavimentali delle chiese di villaggi e di piccole città. Esempi di una reale e sistematica iconoclastia si verificarono molto più spesso alle frontiere del crescente impero islamico, specialmente in Asia centrale, dove erano connessi piuttosto alla lotta al paganesimo.La traduzione della filosofia greca nel sec. 9° pose la fede islamica in contatto con specifici processi razionali di pensiero, che includevano l'estetica aristotelica. Inoltre, relativamente alla poesia, gli Arabi e più tardi i Persiani iniziarono una complessa elaborazione del giudizio qualitativo e della definizione del bello. Secondo modalità alle quali ancora gli studiosi destinano i loro sforzi, filosofi come al-Fārābī (sec. 10°) e al-Ghāzālī (1058-1111) formularono teorie della bellezza centrate su antiche idee di mimesi di modelli reali e sul piacere provocato nel fruitore e nello spettatore. Da teorici della letteratura come Gurgānī (sec. 11°) è possibile ricavare teorie della metafora e del ritmo, che potrebbero essere applicate alle arti visive, mentre nel Kitāb al-Manāẓir (De aspectibus), opera di uno scienziato egiziano specializzato nell'ottica, Ibn al-Haytham (965-1039), si poteva trovare un affascinante capitolo sulla bellezza colta attraverso l'occhio. Più tardi, nel sec. 15°, apparvero testi persiani che definivano la bellezza non tanto in termini filosofici quanto attraverso dettagliate liste di espedienti adornativi per le rappresentazioni, in testi o pitture, di visi o corpi. Ma tutti questi testi sono più o meno esempi unici di scrittura formale che pone in relazione le arti visuali a temi centrali, filosofici e letterari, della cultura medievale islamica e troppo poco è noto di quanto fosse estesa la conoscenza di queste diverse teorie. È molto difficile porle in relazione con opere d'arte vere e proprie; al massimo esse creano un clima propizio alla comprensione della bellezza estetica in tutti i fatti in cui le arti visive possono essere apprezzate. È in questo clima di pensiero che inizia a comparire la frequente citazione della celebrata 'tradizione': "Dio è bello e ama la bellezza".
Dal sec. 9° il pensiero mistico divenne una parte significativa, anche se non dominante, dell'etica musulmana. Lo studioso francese Massignon (1921) affermava che il pronunciato contrasto mistico tra interiore (bāṭin) ed esteriore (ẓāhir), tra apparenza e illusione, tra realtà fisica e verità metafisica, utilizzava tutte categorie appropriate alla comprensione di molti aspetti visuali dell'arte i., come la commistione di generi e di motivi in un singolo disegno, l'arbitrarietà dei colori, la prevalenza di composizioni bidimensionali. Siano i suoi specifici esempi accettabili o meno, è comunque abbastanza corretta la considerazione relativa a una relazione tra i vari livelli del pensiero e della consuetudine mistica e gli oggetti percepiti tramite la vista. Jalāl al-Dīn Rūmī, il più grande mistico persiano del sec. 13°, vissuto a Konya in Anatolia, usò costantemente immagini o storie derivate dalla propria esperienza e dalla conoscenza di opere d'arte. Il poeta lirico persiano Niẓāmī (sec. 12°) incentrò diversi dei suoi poemi su soggetti quali la percezione visiva dei colori, le competizioni tra artisti, il tragico fato di coloro che modellano oggetti, le peculiari proprietà degli specchi nel disvelare la verità. In epoca anteriore, in Spagna, Ibn Ḥazm e Ibn 'Arabī mostrarono verso il mondo fisico un interesse sensibile che includeva l'impatto che avevano su di loro gli oggetti lavorati e anche, nel caso di Ibn 'Arabī, quello derivato da alcuni edifici ai quali egli attribuiva armonie mistiche.Le spiegazioni mistiche tuttavia devono essere adottate con cautela, nella misura in cui tali spiegazioni hanno condotto ad assurde generalizzazioni sulle arti del mondo musulmano. Solo per miniature persiane e metalli posteriori al 1400 ca. è appropriato stabilire connessioni coerenti delle immagini con il linguaggio esoterico, forse più che non con il pensiero mistico. In epoche precedenti il nesso è più tenue, sebbene esistano esempi di spiegazioni convincenti dal punto di vista mistico di singoli oggetti in ceramica o in bronzo. È in realtà probabile che l'adozione della terminologia e del cerimoniale mistico da parte di varie organizzazioni urbane abbia portato all'acquisizione dell'apparato simbolico anche nelle immagini.
Si sono conservati molti manuali tecnici del mondo islamico medievale, sebbene ne siano stati pubblicati ancora pochi, che trattano la produzione di oggetti in ceramica o in metallo, la tessitura e la legatura libraria, le regole con le quali progettare un edificio o anche una città. La maggior parte di essi ha fini molto pratici e utilizza spesso termini difficili da rendere con parole moderne. Due gruppi sono molto importanti per l'arte i. in generale. Il primo introduce l'uso della geometria per progettare qualsiasi cosa. Sembra che già nel sec. 10°, a Baghdad, alcuni matematici di alto livello si siano dedicati all'applicazione pratica delle loro conoscenze e abbiano scritto manuali per gli artigiani, in seguito copiati, modificati, tradotti in persiano e usati per secoli. Alcuni studiosi hanno attribuito a questi manuali la stupefacente diffusione, dal sec. 11° in poi, dell'impiego di una raffinata geometria nella progettazione e nella decorazione di edifici od oggetti. Le scienze applicate erano anche usate in manuali scritti per la realizzazione di automata di ogni sorta e le vecchie procedure ellenistiche subirono modifiche, specialmente nei secc. 12° e 13°, per mezzo di varie e nuove invenzioni tecnologiche.Il secondo gruppo di manuali tecnici inerenti alle arti è costituito dai libri sulla scrittura e su ciò che generalmente, in termini imprecisi, è stata chiamata 'calligrafia'. Ancora una volta il primo impulso si ebbe nel sec. 10° con la creazione di una 'scrittura proporzionata' (khāṭṭ al-manṣūb), vale a dire una scrittura facilmente definibile attraverso lettere composte intorno a un punto fisso creato con la punta di un calamo. Un tale sistema di proporzioni, basato su un singolo modulo, garantiva la chiarezza nella trasmissione del libro sacro e nelle comunicazioni amministrative tra la capitale e le sue lontane province. Da questo momento iniziò una serie di ben documentate, e spesso studiate, trasformazioni della scrittura araba, sia nel caso venisse utilizzata per la lingua araba sia per quella persiana (più tardi anche per il turco e l'urdu); alcune portarono a una calligrafia assoluta, ovvero a un genere di lettere disegnate indipendentemente dal significato delle parole che esse formavano e che erano destinate principalmente ad avere un valore estetico. Relativamente alla scrittura, le istruzioni pratiche divenivano criteri qualitativi e, fenomeno pressoché unico nell'arte i. medievale, i nomi di coloro che praticavano le arti scrittorie venivano spesso tramandati, in una sorta di valutazione dei loro talenti a metà tra la realtà storica e lo stereotipo. Per gli storici l'importanza di questi testi consiste in parte nella descrizione del vero e proprio processo di scrittura, ma soprattutto perché essi permettono di identificare i nomi di coloro che praticavano l'arte scrittoria nelle formule scritte sui muri di un edificio, su un oggetto, o su un libro, come un grande fatto estetico dell'arte i. medievale, forse il maggiore e il solo che riconoscesse come artisti degli artigiani. Questo è anche il più difficile da capire oggi, poiché è quasi impossibile ricostruire gli strumenti originari di esame, e il gusto contemporaneo porta a un'analisi dell'estetica scrittoria secondo le consuetudini e i pregiudizi derivati da un secolo di orientamenti artistici molto diversi.
Un ultimo tema nell'ambito della tradizione scritta islamica che aiuta nella comprensione dell'arte è quello delle mirabilia esotiche. Fin dai primissimi tempi della storia islamica, iniziarono a circolare storie su oggetti favolosi che giungevano in seguito alla conquista di terre lontane, specialmente dalla Spagna e dall'Asia centrale, o che erano donati a principi musulmani da sovrani stranieri.Più tardi, racconti di avventure ambientate in inusuali scenari di terre lontane, soprattutto in Oriente ma in misura consistente anche in Africa e sulla costa atlantica, erano riportati da mercanti e da altri viaggiatori veri o mendaci. Ne derivava una letteratura fantastica, legata alle più remote frontiere del mondo musulmano e agli eventi straordinari che attendevano chi le oltrepassava. Le storie di Sindbad, Ali Baba e le Mille e una notte non sono che alcuni degli esempi più conosciuti di questo genere diffuso di testi. Le mirabilia comprendevano città con mura d'oro e pietre preziose, oggetti unici come il desco di re Salomone, o bizzarre curiosità come un cammello femmina le cui mammelle potevano essere aperte all'estremità lasciando fuoriuscire rubini invece di latte. Tutte le storie relative a personaggi conosciuti o leggendari venivano poi riferite a questi oggetti, i quali entravano a far parte dell'immaginario collettivo e di una storia fittizia. È un mondo che può aver influenzato la forma e la decorazione di un palazzo come l'Alhambra, la produzione di tappeti e di altri oggetti, le immagini delle miniature persiane. Le fantasie teatrali di questo mondo spiegano la composizione di dipinti, il disegno e la decorazione di case e palazzi, secondo tecniche - costante invenzione dell'arte i. medievale - concepite per sostituire mezzi più stravaganti e costosi. A questo particolare livello, l'inventiva immaginifica applicata a oggetti insoliti e belli si manifestava nell'adattamento alle prescrizioni morali contro il possesso di cose costose e dunque all'affermazione, che si ritrova in così tanti edifici, che tutto passa eccetto il potere di Dio.
Non è possibile riassumere i secoli di sperimentazione e di uso delle opere d'arte i. da parte dei musulmani, di altri per loro, di coloro che le utilizzarono dal Medioevo in poi, degli studiosi, degli artisti e dei critici contemporanei. Troppo poche informazioni sono state raccolte in modo sistematico. L'influenza dell'arte i. su Henri Matisse (1869-1954), per es., può essere dimostrata sia attraverso gli scritti del pittore riferiti ai suoi viaggi o alle visite di mostre, sia tramite le sue tele. Si è quindi in possesso di orientamenti molto generali.Sebbene sia spiegato dal termine, il carattere òrnamentale' dell'arte i. venne riconosciuto nel momento in cui alcuni motivi suoi peculiari giunsero per la prima volta a Bisanzio e in Italia nel sec. 9°, più tardi in Cina e nell'Europa settentrionale. I rapporti tra òrnamento' dell'arte i. e peculiarità di altre tradizioni artistiche costituiscono un capitolo a sé stante. È facile dimostrare come, molto spesso, venissero ripresi motivi che in un contesto islamico potevano assumere significato iconografico diretto o allusivo, come le imitazioni epigrafiche sulle porte della cattedrale di Notre-Dame a Le Puy in Alvernia, sui muri di Hosios Lukas nella Focide, su una tazza bizantina (Venezia, Tesoro di S. Marco), o nei bacini di molte chiese italiane. In tutti questi esempi, e in molti altri, non c'è un significato specifico, non un senso iconografico che possa essere attribuito all'uso di queste forme.Restano quindi forti perplessità sul loro impiego, sulla frequente consuetudine di seppellire i santi entro tessuti musulmani, sull'abitudine che avevano principi e patriarchi, preti e nobili, di indossare abiti islamici. Due furono probabilmente le ragioni e la prima certamente era pratica. Sicuramente prima dell'inizio del sec. 14°, e in alcune tecniche come la ceramica e la tessitura dei tappeti anche più tardi, la tecnologia della produzione di oggetti del mondo islamico era più elaborata, più varia e di qualità superiore rispetto a qualsiasi altra parte del mondo, fatta eccezione per la remota Cina. Quando Lucca e Venezia iniziarono a organizzarsi da un punto di vista tecnico e mercantile per la produzione di tessuti, di vetro e per la lavorazione del metallo, cominciarono con l'imitare e anche con il copiare motivi islamici, vendendo poi i loro prodotti nello stesso mondo musulmano. Della preminenza tecnologica del Vicino Oriente è rimasta testimonianza nel vocabolario delle lingue europee, dove mussolina e damaschino rappresentano due esempi di vocaboli derivati dai centri di produzione islamici. Anche un termine come arabesco (v.), diffusosi nell'Italia rinascimentale e relativo alle forme più che alle tecniche, può essere riferito alla capacità di produrre disegni complessi possibilmente attraverso le elaborate tecniche del mondo islamico: solo tramite l'esistenza di una tale produzione semi-industriale era veramente possibile associare un modo di combinare dei motivi con un'area culturale senza necessariamente presumere che il disegno da lì provenisse.Ma l'arabesco è anche legato alla seconda e più complessa esperienza dell'ornamento e dell'arte i. che compare nel mondo non musulmano e che potrebbe essere facilmente ricondotta o confrontata alle affermazioni del mondo musulmano sulla sua propria arte di cui si è in precedenza discusso. Detta esperienza deriva dal fatto che opere d'arte i. divennero oggetti di arte suntuaria nel Medioevo cristiano. Questo non accadde soltanto per ragioni di superiorità tecnologica, ma anche perché esisteva una particolare relazione psicologica tra i mondi cristiani, orientale e occidentale, e quello musulmano. Un aspetto di tale relazione consisteva nel trasferire a uno dei concorrenti quei vizi dichiarati per i quali in quel momento vi era desiderio e una bramosa richiesta. Oggetti lussuosi e contesti eccentrici non furono a lungo accessibili al mondo cristiano e vennero considerati come la tentazione del diavolo per stornare da una corretta vita cristiana. Queste tentazioni vennero associate non tanto con il nemico quanto piuttosto con l'eretico, con lo scismatico, con il parente perduto che poteva gioire e produrre un lusso inconcepibile per coloro che erano stati sulla retta via. È importante aggiungere che esattamente la stessa relazione psicologica improntava gli atteggiamenti dei musulmani verso i cristiani, specialmente i Bizantini, conosciuti in arabo o in persiano come i Rūmī, e i Cinesi, che divennero, nella tradizione islamica, particolarmente abili nella rappresentazione del mondo umano e della natura, a tal punto che il 'buon' musulmano era confuso ogni qual volta incontrava di queste creazioni.Un altro aspetto della relazione tra l'arte i. e le altre tradizioni consiste nel fatto che gli ornamenti lussuosi procuravano un piacere estetico senza implicare un messaggio che dovesse essere capito e senza danneggiare o modificare il messaggio cristiano, se il motivo decorativo fosse stato utilizzato rigorosamente a scopo esornativo, per es. ripetuto all'infinito sui disegni dei tessuti. Questa peculiarità nell'approccio ai valori ornamentali è più che altrove evidente nel soffitto della Cappella Palatina a Palermo e, in misura minore, nei dipinti di Cefalù o nelle sculture del chiostro di Monreale, dove motivi con un loro significato erano ripetuti e collocati nelle molteplici sfaccettature di un disegno a muqarnas, diminuendo così il potenziale espressivo di ogni motivo.In tal senso un misto di vantaggi formali e attitudini psicologiche può spiegare cosa il mondo cristiano vedeva negli oggetti provenienti dalle terre islamiche e anche cosa i designers dei secc. 19° e 20° hanno visto come trasformazioni attraenti o repellenti di oggetti o architetture. Ci si domanda fino a che punto sia corretta un'interpretazione dell'arte i. medievale come arte soprattutto dell'ornamento (esistono senza dubbio delle eccezioni), cioè di un'arte dedicata al piacere più che all'istruzione dei suoi fruitori e spettatori.Se si pensa alle moschee, o a monumenti semi-religiosi come i mausolei, alla maggior parte dei palazzi sorti dopo quelli omayyadi, decorati in modo esuberante, e alle migliaia di libri e di oggetti che sono conservati, non vengono in mente né immagini con propositi narrativi né vere e proprie implicazioni simboliche di particolare rilevanza. L'unica eccezione sta nelle iscrizioni e in generale nell'uso della scrittura, per la quale si deve presupporre normalmente un significato. Il significato di un'iscrizione è tuttavia sempre più lontano rispetto a quello di un'immagine perché il suo contenuto è stato trasformato due volte: diventando un insieme di parole e quindi un insieme di lettere che esprimono queste parole. La percezione di un'iscrizione è priva dell'immediatezza che è possibile riscontrare nelle immagini e richiede generalmente un innaturale movimento del lettore all'interno di un edificio o il ruotare dell'oggetto che reca la scritta, rendendo perciò più arduo l'accesso all'epigrafe. L'affermazione diffusa che nell'arte i. le parole sostituiscono le immagini è una semplificazione imprecisa, dato che le parole non possono mai prendere il posto di un'immagine.Narrazioni in forme diverse dalla scrittura sono esistite nel mondo musulmano, ma furono relativamente rare, tranne nello straordinario periodo tra il 12° e il 15° secolo. In quell'epoca di esplosione artistica le rappresentazioni divennero relativamente comuni pressoché in tutte le aree a eccezione dell'Occidente islamico. Il c.d. ciclo principesco con immagini di caccia e di feste divenne ovunque usuale e dai muri degli edifici alle umili ceramiche, dappertutto venivano illustrate storie di ogni genere. Ma è necessario sottolineare come questi secoli abbiano costituito un'eccezione e come la loro creatività non abbia messo radici se non nell'ambito ristretto delle miniature persiane e come l'arte religiosa sia quasi completamente assente da questi temi narrativi, poiché il realismo e le immagini sacre appaiono solo occasionalmente.Forme simboliche e simboli veri e propri sono quasi altrettanto difficili da identificare all'interno dell'arte i. medievale quanto i temi narrativi. Quelli che il mondo moderno associa all'Islam, come per es. la mezzaluna, sono per la maggior parte creazioni del mondo premoderno ottomano. Esistevano associazioni con i colori - nero per gli Abbasidi, verde per i Fatimidi, blu per il lutto -, ma i colori non erano usati esclusivamente per quegli scopi simbolici che essi potevano avere occasionalmente. I signori feudali turchi e curdi dei secc. 12° e 13° e gli eserciti mongoli e mamelucchi avevano ogni sorta di segni e simboli militari e l'araldica giocò una parte importante nelle forme visibili del mondo mamelucco in Egitto e nel Vicino Oriente. Argomentazioni più concrete sono state addotte, specialmente per quello che riguarda le opere d'arte dell'Iran, sul significato simbolico del pesce, delle spirali, dei raggi, di certe immagini di uccelli e di alberi. Questi significati simbolici sono possibili ed è probabile che qualcuno comprendesse molte delle forme create per essere simboli. Ma è tuttora difficile sostenere che le decorazioni degli edifici e degli oggetti fossero concepite per esprimere simboli culturalmente accettati.In altre parole, entrambe le valenze, quella denotativa volta all'espressione e quella connotativa tesa alla rappresentazione, furono sostituite, nella maggior parte delle opere d'arte musulmana, da valenze ornamentali i cui scopi implicavano due idee fondamentali. La prima era di attrarre lo spettatore fornendo o evocando un piacere dei sensi, primariamente quelli visivi, ma a volte anche quelli tattili. Il coprire la parete esterna dei muri con colori o con ornamenti geometrici, talvolta con semplici affermazioni come "Allāh", "'Alī" o "Muḥammad", era un modo per attrarre il fedele e il viaggiatore provenienti da lontano, esattamente come le porte splendidamente decorate di tanti edifici erano inviti a entrare e a partecipare alle funzioni che si svolgevano all'interno. Tappeti, piastrelle e oggetti servivano ugualmente a trasformare in un piacere dei sensi il soggiorno e la vita in un luogo.L'altra idea, forse più profonda, è che un'arte volta a procurare piacere è un'arte che media tra le forme create dagli uomini e la vita di uomini e donne. Il suo fine non è se stessa, e nemmeno il piacere estetico dell'essere percepita, ma la speranza che chiunque la usi abbia una vita più ricca e soddisfacente. Questa idea che gli obiettivi dell'arte stiano all'interno della vita alla quale essa conduce trova un'espressione meravigliosa in un'opera poetica incisa su una brocca datata 1181 (Tbilisi, Gosudarstvennyj mus. Gruzii). Eccone alcuni versi: "Mia bella ed elegante brocca, chi al mondo ne possiede una così? [...] Guarda la brocca, la vita viene fuori da essa ed è vera acqua quella che ne sgorga; ogni ruscello sgorga da essa sulle mani di qualcuno, dà alla mano un dono di nuovo piacere [...] Nessuno può trovare niente che le sia adeguato perché non c'è niente come essa. Tutti e sette i corpi celesti, per quanto orgogliosi possano essere, proteggono colui che fece un oggetto del genere". È l'abilità di dare origine a questi sentimenti nella vita quotidiana piuttosto che proclamare la divina presenza o la gloria imperiale che ha dato di fatto all'arte i. medievale la sua originalità.
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