Vedi IRANICA, Arte dell'anno: 1961 - 1995
IRANICA, Arte (v. vol. IV, p. 189)
p. 189). - Pre- e protostoria, età elamita. - Per lo storico e l'antropologo, l'Iran comprende l'insieme degli altipiani che dominano le pianure alluvionali della Mesopotamia a O, quelle dell'Indo a E e le steppe dell'Asia centrale a N. La vasta depressione salata dei deserti di Kavir e di Lut divide questo «altopiano» in due grandi aree, di cui quella occidentale comprende l'odierno Iran con il Fārs, la parte sud-occidentale dell'altopiano che fu strettamente legata alla pianura della Susiana nella formazione del paese dell'Elam, l'unica entità storica dell'Iran pre-achemenide. Questo insieme fortemente frazionato, dal clima rigido, è stato la culla di civiltà eterogenee, comprendenti nomadi, agricoltori e a volte genti urbane, che ben presto hanno iniziato a sfruttare le ricchezze minerali, organizzandone il trasporto su grandi distanze.
A partire dall'VIII millennio a.C., l'uomo ha tratto profitto dalle piogge che bagnano le alte valli dei Monti Zagros, attorno a Kermānšāh, per dare avvio alla «rivoluzione neolitica», in particolare a Ganǰ Dare Tepe, dove troviamo i primi esempî di produzione ceramica.
Questa si diffuse intorno alla fine del VII millennio, particolarmente a Tepe Saräb, dove furono eseguite delle figurine femminili fortemente stilizzate, che riflettono un certo timore, caratteristico dell'uomo preistorico, nel rappresentare il volto umano. L'uomo cominciò anche a coltivare la pianura della Susiana, a Čoqā Miš. La decorazione dipinta dei vasi si manifestava in forme essenzialmente astratte piuttosto che narrative, malgrado un'ingannevole somiglianza delle figure stilizzate con segni pittografici. L'apogeo di quest'arte, intorno al 4000 a.C., si osserva contemporaneamente a Susa, fondata in quest'epoca, sull'altopiano a Tell-e Bakun presso Persepoli, nel Periodo III di Tepe Siyalk al limite del deserto centrale, e al Nord, a Esmā'ilābād e a Tepe Hissar, con lo stambecco dalle corna smisurate che rappresentava il soggetto preferito.
Il IV millennio vide la «rivoluzione urbana» sia in Mesopotamia sia in Susiana, da dove fu esportata, forse tramite alcuni mercanti, sull'altopiano, a Ν e a E: a Tepe Siyalk IV e nella piccola cittadella di Godin Tepe. Accanto alla ceramica dipinta locale di tradizione preistorica fu così introdotta una ceramica priva di decorazione, lavorata al tornio con un procedimento di tipo industriale. Un fenomeno simile, ma di maggiore arcaismo, si verificò a Tepe Hissar e nell'adiacente pianura di Gorgān, dove vediamo comparire una ceramica grigia polita. Seguì il Fārs, intorno al 3000, con la fondazione di Anšan (Tell-e Maliyān) e l'annessione della Susiana, dando vita all'insieme proto-elamita, la cui civiltà ormai al limite della storia si irradiò nel Kermān, a Tepe Yāhyā IV C e fino al Sistan, dove fu fondata Śahr-e Sokhta (v.). La cultura di quest'ultima città si articolava in due tradizioni: da un lato quella dei Proto-Elamiti, con la scrittura e i sigilli a cilindro legati a un'arte animalistica, dall'altro quella delle popolazioni autoctone che avevano stretto legami con la Turkmenia e con la regione di Quetta, alle porte dell'India. Questa seconda cultura ebbe una lunga fioritura nella parte orientale del mondo iranico, mentre quella dei Proto-Elamiti si spense, forse sotto i colpi dei popoli della Mesopotamia, all'apogeo della loro civiltà protodinastica. La Mesopotamia si rivelò una grande importatrice dall'Iran di materie prime e di prodotti lavorati.
Nel III millennio si assisté alla fioritura delle civiltà di montagna, animate da artigiani cittadini o nomadi, mentre Susa, divenuta una città di tipo sumerico, serviva da intermediario. A Nord della Susiana le genti nomadiche delle alte valli del Luristān si facevano seppellire in tombe molto grandi, lontane da ogni insediamento sedentario, deponendovi i loro vasi dipinti di tradizione arcaica e soprattutto la loro produzione di abili artigiani del metallo. Essi crearono una tradizione di armi e di utensili di estrema eleganza, decorati da piccole figure in alto o basso rilievo. Nell'Iran sud-orientale, a Tepe Yāhyā IV Bea Šāhdād, ai limiti del deserto di Lut, si sviluppò un'industria per la lavorazione della pietra verde locale, la clorite, la cui produzione fu esportata in massa verso la Mesopotamia. Quest'arte mostra delle affinità con quella dell'Elam, sì che essa viene definita «trans-elamita». Tepe Hissar e Šahr-e Sokhta, divennero grandi centri di lavorazione di pietre importate.
I re semitici di Akkad intervennero in Iran per esercitare un controllo sulla sua produzione, e si possono attribuire ai loro inviati gli oggetti con i loro nomi depositati nelle tombe del Luristān. Anche i re sumerici della III dinastia di Ur ebbero una politica attiva verso l'Iran. Al tempo del loro regno, la civiltà trans-elamita raggiunse il suo apogeo. Gli abitanti semi-nomadi di Śāhdād si facevano seppellire con i proprî ritratti, che imitavano le statue della Mesopotamia; lavoravano la clorite in uno stile più sobrio, e anche l'alabastro. La loro cultura, inoltre, si irradiò in aree lontane, sovrapponendosi alle forme locali delle culture precedentemente indipendenti di Tepe Hissar e del Gorgān, come della Turkmenia. La Battriana divenne quasi una colonia o una dipendenza transelamita; in essa furono costruite fortezze dalla pianta di grande complessità, usate come depositi per gli scambi con i nomadi dell'Asia centrale. Il vasellame d'oro e d'argento, rinvenuto anche a Quetta, a S dell'Hindukush, e nel Gorgān, è una delle testimonianze più significative di questa civiltà.
Verso il 2000 a.C. gli Elamiti ricostituirono il loro regno bipartito, con le due capitali di Anšan e di Susa, e dovettero arricchirsi grazie agli scambi con l'Iran transelamita. Ma la civiltà dei «bronzi» del Luristān, che conobbe in quegli anni il suo apogeo, si spense in modo improvviso verso il 1800, assieme alle culture del mondo trans-elamita, le cui ricche città furono abbandonate, cosicché le forme artigianali del nomadismo cessarono, per motivi oscuri. Nell'Elam, la città di Anšan, che era divenuta una capitale potente, fu a sua volta quasi del tutto abbandonata dai suoi abitanti, ritornati senza dubbio al nomadismo. I suoi re, che dovevano trascorrere l'inverno a Susa, fondarono sull'altopiano due luoghi di culto all'aperto, a Kurangun e a Naqš-e Rostam. Il grande dio dell'Elam connesso alle acque fertilizzanti vi era rappresentato seduto su un serpente che simboleggiava il suo dominio sotterraneo. Susa, al contrario, godeva di una grande prosperità grazie alla sua agricoltura.
Alla metà del II millennio, un periodo mal conosciuto in Iran, si verificò la comparsa di ciò che chiamiamo Età del Ferro, forse legata all'immigrazione nel Nord di nuove popolazioni, che è lecito supporre trattarsi dei primi Iranici propriamente detti, indo-europei. La loro nuova ceramica, priva di decorazione dipinta, deriva infatti da quella che caratterizzava la civiltà della pianura di Gorgān (Turang Tepe), che si era in precedenza estinta. Questa ceramica, arricchita da forme di grande originalità quali i vasi rossi a forma di toro, costituisce il corredo delle tombe dei principi nomadi, prive di rapporti con qualsiasi insediamento, scoperte a Marlik, nella regione a S del Mar Caspio. A questi vasi erano associati utensili e armi di bronzo e un vasellame di lusso, d'oro e d'argento. Gli orafi erano verisímilmente sprovvisti di una propria tradizione iconografica, cosicché derivarono i soggetti della decorazione di questi vasi dalle antiche civiltà dell'Asia occidentale: Siria e Mitanni, Assiria, poi Babilonia della fine del periodo cassita. Come i Babilonesi, anch'essi rappresentarono accanto ad alberi stilizzati con grande eleganza animali e mostri stupendamente disegnati e modellati, la cui testa poteva aggettare in alto rilievo.
Susa, alla metà del II millennio, aveva subito un netto declino, a vantaggio della vicina città di Kabnak, l'odierna Haft Tepe. Il re Teptiahar, intorno al 1375, costruì qui un tempio destinato al culto funerario, con due grandi tombe a volta ricavate nel sottosuolo. Non lontano da questo tempio sono state trovate teste d'argilla dipinta notevoli per il loro realismo, confrontabili con le teste funerarie di Susa. Un secolo dopo, Untaš-Napiriša, re d'Anšan e di Susa, fondò 40 km a SE di quest'ultimo centro una nuova città chiamata Dur-Untaš, oggi Čoqā Zanbil, con tre cinte concentriche. Al centro si trovava la «città santa», siyan kuk, che comprendeva inizialmente un tempio quadrato concepito come un grande magazzino nel quale erano stati sistemati due piccoli santuarî, uno aperto verso l'esterno, l'altro sulla corte interna. In seguito in quest'ultima vennero costruiti altri tre piani incastrati l'uno nell'altro, con un piccolo tempio al sommo. La costruzione iniziale era così divenuta il piano inferiore di una ziqqurat a quattro piani, con scala interna, consacrata alle due divinità protettrici della civiltà elamita, Napiriša e Inšušinak. Le stele e le statue collocate nei templi ai piedi di questo edificio alto una sessantina di metri furono in seguito trasportate a Susa: si tratta di statue del grande dio elamita seduto su un trono di serpenti. La seconda cerchia ospitava altri templi, mentre la terza circondava un territorio di un centinaio di ettari, con palazzi, un edificio destinato al culto funerario e un tempio del dio del fuoco Nusku, con una cella scoperta adatta al culto del fuoco nella sua versione elamita. Nel XII sec. Susa ritornò a essere una capitale, ma Anšan, città teoricamente più importante, fu quasi abbandonata a eccezione di un grande edificio destinato al traffico dei prodotti esotici. Contemporaneamente, gli abitanti del Luristān ritornarono al nomadismo e furono di nuovo sepolti in cimiteri isolati da qualsiasi abitato. Ricomparve la tradizione dei bronzi decorati, in letargo da quattro o cinque secoli. Associata progressivamente alla metallurgia del ferro, quella del bronzo avrebbe visto il suo apogeo nell'VIII e nel VII sec., illustrando un'arte esuberante che interpretava con fantasia straordinaria gli antichi soggetti preistorici, uniti a quelli introdotti dagli immigrati iranici. Sono questi i motivi preferiti sulle placche traforate o martellate che sormontavano le spille destinate all'abbigliamento o sulle placche applicate alle faretre. E gli animali che decorano le placche o psàlia dei morsi di cavallo erano delle trasposizioni, nello spirito dei nomadi attardati nella preistoria, delle figure colossali scolpite sulle porte dei contemporanei palazzi assiri e stilizzate secondo le norme proprie delle culture urbanizzate.
Nell'Iran nord-occidentale, a Hasanlu, si sviluppò intanto una cultura urbanizzata a partire dalla fine del II millennio, in cui si affermò un'architettura connessa a quella anatolica. Il tetto della sala per cerimonie era sostenuto da colonne di legno; quindi, nel IX sec., fu aggiunto di fronte alla porta un portico a colonne di ispirazione siriana. Uno di questi palazzi, incendiato con i suoi occupanti, ci ha restituito uno splendido vaso d'oro che si ispira nella decorazione alla mitologia hurrita. Più a E, nel cuore dell'altopiano, i contadini di Tepe Siyalk, imparentati ai Medi, nell'VIII sec. univano alla loro ceramica tradizionale grigia o rossa polita, vasi dipinti in rosso su fondo bianco dove compaiono animali mollemente stilizzati e, molto raramente, uomini.
Più a O, nel Kurdistan iraniano, la regione di Ziwiye, l'antica terra mannea, vide svilupparsi nel VII sec. una cultura complessa, influenzata dall'Assiria e dall'Urartu e in cui compaiono i primi tratti caratteristici dell'arte scitica, attribuibili a invasori che in seguito li avrebbero portati al di là del Caucaso. Figure quali il cervo e il piccolo felino accovacciati, la testa di rapace dal becco enorme, le teste di antilope di fronte, decoravano oggetti preziosi, sfortunatamente dispersi dai clandestini. Nello stesso periodo, nelle valli dei monti Bakhtiyāri, il piccolo regno elamita di Aiapir conquistò allora la sua indipendenza, unificando genti autoctone e immigrati persiani. I suoi principi usurparono alcuni antichi rilievi rupestri a Ize (Mālamir), e ne fecero scolpire altri che li raffiguravano in preghiera, sorretti e seguiti dai loro sudditi, mentre la divinità onorata era come spiritualizzata, invisibile. Malgrado la loro rozzezza, questi rilievi rappresentano gli antecedenti dell'arte persiana patrocinata da Dario, come nella decorazione della sua tomba, in cui egli stesso compare portato in modo simile dai popoli del suo impero. Un lungo periodo era così giunto alla vigilia del suo compimento: quello della simbiosi armonica dell'antico Elam con le genti restate al margine della storia e pronte ormai a sostituirlo alla testa di un impero con vocazione universale.
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(P. Amiet)
Età meda e achemenide. - L'ultima formazione statale dell'Iran occidentale, prima dell'avvento degli Achemenidi, fu la Media, che riuscì a farsi centro di un impero che univa l'Armenia, l'Anatolia orientale e la maggior parte dell'Assiria, ormai in declino. Erodoto ci ha tramandato una vivida descrizione di Ecbatana, la capitale della Media, mentre altri autori si sono occupati delle ricchezze dei suoi re. Non c'è da stupirsi della proposta di attribuire alla Media vasellame prezioso in oro, argento e cristallo; tuttavia, la provenienza della maggior parte di questi materiali (inclusi gli utensili in oro con iscrizioni, oggi nei musei di Teheran e New York) rimane dubbia. Deludenti, anche se in maniera diversa, gli scavi di Godin Tepe (ν.) e di Tepe Nuš-e ǰān situati senza dubbio in territorio medo. In entrambi i siti sono state riportate alla luce fortezze risalenti all'VIII-VII sec. a.C., perfettamente conservate, caratterizzate da forme architettoniche che in parte sembrano anticipare la tradizione achemenide. Mentre Nuš-e ǰan fu completamente saccheggiata e abbandonata in epoca antica, Godin Tepe ha restituito alcuni piccoli oggetti in bronzo e impronte di sigilli di tipo assiro provinciale. Le rovine di Ecbatana, infine, giacciono sotto la moderna città di Hamadān; soltanto di recente la collina centrale è oggetto di studio. Nel 1911 un saggio di scavo riportò alla luce frammenti di una brocca in bronzo e, fra l'altro, un'applique raffigurante un demone alato simile ad alcuni «bronzi del Luristān», di cui, tuttavia, ignoriamo l'esatta provenienza. La brocca è datata all'VIII sec. a.C. in base al confronto con un esemplare analogo proveniente da uno strato datato di Samo. Anche questo demone si potrebbe considerare di tipo «assiro», ma dal paragone con la divinità della faretra emergono in esso le caratteristiche barbariche grottesche peculiari ai lavori medi. Sull'arte della corte meda resta dunque da gettare ancora molta luce.
Con la fondazione dell'impero achemenide da parte di Ciro il Grande, entriamo nel pieno della storia, rischiarata da numerose fonti scritte babilonesi e greche. Da queste, per la prima volta, otteniamo informazioni sui popoli che abitavano le diverse regioni dell'impero; grazie all'onomastica, possiamo inoltre sapere se la classe elevata parlava una lingua iranica, indoeuropea, semitica o l'antica lingua elamita. Il territorio iranico, a eccezione del Khuzestān/Susiana, era popolato esclusivamente da tribù iraniche, ma la loro origine e l'epoca del loro insediamento non possono essere stabilite con gli strumenti di cui dispone l'archeologia.
Nella sua predilezione a ritrarre i rappresentanti dei varî popoli, l'arte di corte achemenide ci ha lasciato significative testimonianze sui costumi e anche sulla fisionomia delle etnie in questione. I rilievi di Persepoli, caratterizzati da una notevole cura nella resa dei dettagli, possono essere oggetto di analisi archeologica. Le armi e gli strumenti dei Medi sono decorati in uno stile animalistico affine a quello scitico della Russia meridionale, che tuttavia non ci è documentato dai più antichi materiali venuti alla luce dai siti archeologici relativi al regno medo. Le affinità che si riscontrano fra tali raffigurazioni di oggetti consentono di definire vere e proprie Provincie caratterizzate da costumi simili, quali p.es. quella iranico-occidentale tra Cappadocia, Armenia e Media. Tra questi oggetti, assolutamente caratteristico è l'elemento di raccordo delle cinghie a forma di corno, presente nella bardatura della testa di tutti i cavalli degli Iranici occidentali, testimoniato anche da ritrovamenti, talvolta in forma di figure, come, p.es., quella dello Scita seduto con la testa pateticamente poggiata sulla mano, evidentemente a rappresentare il nemico sconfitto.
Oltre a Persepoli, le più significative scoperte relative all'arte achemenide sono state effettuate a Susa, una delle quattro capitali dell'impero. Gli scavi condotti da J. Perrot non soltanto hanno chiarito la sequenza stratigrafica elamita, ma hanno anche riportato alla luce le parti più significative del palazzo reale (basìleia negli autori greci). Accanto alla già nota apadāna, enorme sala ipostila tipicamente iranica, nella quale sono state scoperte di recente le impronte della base del trono, è stato possibile chiarire la pianta del palazzo residenziale, precedentemente fraintesa: essa non è assolutamente di origine iranica, bensì deriva dal tipo della «casa con corte» di origine elamito-mesopotamica, con l'aggiunta di un'ala dell’harem.
E stata scoperta anche una porta monumentale, l'unico accesso al palazzo reale, come nel caso di Persepoli, e qui è stato effettuato il più sensazionale rinvenimento - la statua di Dario I. Da un'iscrizione sappiamo che essa era originariamente esposta a Heliopolis e che solo successivamente, probabilmente a causa dei disordini scoppiati in Egitto, Serse la fece trasferire a Susa. I rilievi della base sono fortemente influenzati dall'arte egizia e seguono in ogni particolare la tradizione delle sculture faraoniche. La statua è invece realizzata in puro stile persepolitano, tanto che le vesti cerimoniali persiane, finora note solo da rappresentazioni su rilievi, possono essere ora meglio comprese grazie a questo esemplare a tutto tondo. L'unico richiamo alla tradizione egizia nella statua si riconosce nel pilastro dorsale. La scultura sembra inoltre confermare un episodio tramandato da Plutarco: Alessandro Magno avrebbe fatto un discorso a un'immagine raffigurante Dario (III) a Persepoli.
Nuovi e assai significativi sono i dati rivelati dalla base della statua in questione. Le parti frontali, con la simbolica congiunzione dell'Alto e Basso Egitto, sono decisamente convenzionali; i lati lunghi, invece, posero agli scultori un compito nuovo. Dal tòpos tradizionale dei prigionieri incatenati posti sopra i nomi delle città sulle quali i faraoni celebravano le loro vittorie, scritti entro cartigli, si passa alla nuova concezione regale degli Achemenidi: uomini slegati che spontaneamente sorreggono simbolicamente il Re dei Re. I singoli rappresentanti sono contraddistinti da pettinature, tratti somatici e costumi differenti. Il modello generale è fornito dalle tombe dei Grandi Re a Persepoli e nelle sue vicinanze, sulle cui facciate i sudditi che sorreggono il Re dei Re sono anche armati; i singoli dati forniti di volta in volta agli scultori sono tuttavia molto diversi. Dal punto di vista stilistico, il contrasto tra i movimenti eleganti e la delicata Plasticità della base da Susa e l'aspetto marziale e valoroso dei soldati sulle tombe di Persepoli non avrebbe potuto essere più forte; quest'ultima tradizione, inconfondibilmente assira, sarà maggiormente evidente sulla tomba VI di epoca tardoachemenide (Artaserse II?) che non nelle fasi stilistiche più antiche.
L'ultimo volume della monumentale opera dell'Oriental Institute di Chicago (Schmidt) ha accresciuto le nostre conoscenze sulle tombe regali, e in particolare sui ritratti delle loro figure di base, consentendoci di seguire il graduale sviluppo stilistico nell'epoca successiva a Serse I. Oggetto di una migliore pubblicazione sono stati anche i materiali relativi alle fasi più antiche dell'arte del rilievo, p.es. a Pasargade, per l'epoca di Ciro, e i rilievi rupestri di Bīsutūn risalenti ai primi anni di regno di Dario I (Stronach; Luschey). Le nostre conoscenze sono ora più approfondite anche nel campo delle arti minori, come la scultura in legno e avorio (Amiet; Stucky), la toreutica (Moorey) e la monetazione. Con lo studio di I. Carradice si è raggiunta una maggiore precisione sulla cronologia della monetazione dei Grandi Re. Le suddette pubblicazioni hanno stimolato studi sui dettagli iconografici (von Gall) e sul contenuto propagandistico (Calmeyer) dell'arte achemenide, mentre al vecchio dibattito sulla parte avuta dai Greci sono stati forniti nuovi argomenti, soprattutto di natura tecnica (Nylander; Stronach).
Periodo seleucide e arsacide. - Lo studio dei monumenti di epoca immediatamente post-achemenide ha ricevuto di recente significativi contributi. È stato dimostrato che il noto «leone di Hamadān» proviene dal monumento funerario di Efestione, amico di Alessandro Magno (Luschey), e che la tomba rupestre di Fakhrika, precedentemente considerata meda, non avrebbe potuto essere realizzata prima dell'avvento delle forme elleniche (Hufï). Particolare importanza per lo studio dell'arte seleucide riveste un complesso di gioielli in oro, indicato come proveniente dalla Media centrale (Kamdadene): degna di attenzione è la rappresentazione di una dea su trono, come decorazione di spille e orecchini, con eroti nudi in volo, resi in uno stile ellenistico-orientale, alcuni dei quali con tiare o elmi frigi che lasciano pertanto ipotizzare una sopravvivenza di demoni indigeni.
Durante il dominio greco-macedone, la monetazione del piccolo ed effimero regno della Perside (attuale Fārs) conservava un carattere achemenide sia nello stile che nei motivi; si va gradualmente definendo la cronologia dei relativi sovrani, erroneamente indicati come Fratarakā (Alram, Koch).
Un più spiccato cambiamento si registra nei coni dei re partici: i ritratti ellenistici e le figure di eleganza classica cedono il posto alla rigidità, alla frontalità e alla scomposizione lineare delle forme, caratteristiche tipicamente «partiche» (Sellwood); in essi non si riscontrano reminiscenze achemenidi.
Un'analoga trasformazione è manifesta in due rilievi rupestri a Bīsutūn (v.), sito che non cessa di suscitare interesse. Nel primo, scoperto nel corso di lavori stradali, è raffigurato Eracle nell'atto di bere, steso sulla sua pelle di leone. Il rilievo è datato all'anno 148 a.C., sulla base di un'iscrizione bilingue in greco e aramaico, dedicata all'ultimo satrapo seleucide: si tratta, dunque, di un Hercules cubans tardo-ellenistico di stile grottesco e provinciale. Nelle sue immediate vicinanze è un blocco di pietra, parzialmente lavorato a rilievo. Vi è rappresentato un sovrano sacrificante, affiancato da due geni (?) forse in volo; l'iscrizione aramaica scoperta da G. Gropp, e attribuita a uno dei re di nome Vologese, non consente di stabilirne l'esatta cronologia; lo stile è caratterizzato da un'accentuata tendenza alla frontalità, da una descrizione approssimativa dell'azione e dalla dissoluzione formale, e può essere riferito all'epoca del Vologese che regnò nella prima metà del II sec. d.C.
La «via del Khorāsān» attraversa la parte centrale dell'impero arsacide, dove si trova l'imponente fortezza di Qal'e-ye Yazdgerd (Keall), che ha restituito una sorprendente quantità di stucchi lavorati a rilievo. Non stupisce quindi il fatto che nelle regioni periferiche i tratti «partici» siano ancora più marcati: è il caso dei numerosi rilievi provenienti dai santuari a terrazze di Bard-e Nešānde e di Masǰed-e Soleymān, nel Khuzestān, scavati da R. Ghirshman, nonché dei rilievi rupestri scoperti da L. Vanden Berghe nei dintorni di Ize (Mālamir). A T. Kawami dobbiamo la pubblicazione dei monumenti già noti e di quelli scoperti di recente; da importanti risultati sono state coronate inoltre le ricerche condotte a Hatra (Iraq) e a Nisa (Turkmenistan).
Periodo sasanide. - Anche per quanto concerne lo stile sasanide, i ritrovamenti recenti più ricchi provengono dai territori dell'ex-Unione Sovietica - le coppe d'argento rinvenute in Siberia, studiate con competenza da B. Maršak, e le pitture murali e i rilievi in legno scoperti in Asia centrale. La quasi totalità di tale materiale oltrepassa, anche da un punto di vista cronologico, i limiti del nostro studio, ma va considerata come sopravvivenza post-sasanide dell'ideologia, delle leggende e delle forme iraniche.
Recenti studi hanno privato l'architettura sasanide di un palazzo, quello di Sarvestān, che deve comunque essere valutato come una sopravvivenza di modelli sasanidi (Bier), ma a essa hanno attribuito un altro monumento, il «tempio ellenistico di Anāhitā» di Kangāvar (v.), da considerarsi verisímilmente un palazzo sasanide (Lukonin; Azarnoush). Se le due suddette precisazioni non hanno generato conseguenze nello studio delle arti figurative, da tal punto di vista di grande significato è stata, invece, la scoperta del palazzo di Hāǰǰiābād, che ha restituito numerosi rilievi in stucco (di prossima pubblicazione a cura di Azarnoush). Tra gli stucchi rinvenuti nel sito di Qal'e-ye Yazdgerd, i più recenti sono da datare a non prima dell'epoca proto-sasanide. Le impronte di sigilli da Qasr-e Abu Nasr e da Takht-e Soleymān (Gobi) sono state integralmente pubblicate.
Le nostre conoscenze sull'arte sasanide hanno conosciuto ulteriori progressi grazie a recenti studi di carattere riassuntivo sulle varie classi monumentali: rilievi rupestri (Herrmann), toreutica (Harper/Meyers), sigilli e impronte di sigilli - oggetto di esemplari analisi fìlologico-archeologiche di insieme (Gignoux/Gyselen) - e rilievi in stucco (Kröger; Thompson).
In linea generale i primi due secoli dell'impero sasanide sono meglio documentati di quelli più tardi. Si può addirittura affermare che il tipico stile proto-sasanide ebbe inizio poco prima dell'avvento della dinastia reale. I graffiti visibili sulle pareti dell'harem di Persepoli, tuttora lisce come specchi, dimostrano che il palazzo era ancora utilizzato dopo 600 anni dalla sua costruzione - come il venerabile «palazzo di Humay», una leggendaria regina dell'antichità (Ferdowsi). Le corone dei personaggi maschili raffigurati in costume sasanide si riscontrano anche sulle ultime monete della Perside di epoca pre-sasanide. Ancor più significativo è il carattere di palinsesto di uno dei rilievi rappresentati sulle famose pareti rocciose di Naqš-e Rostam, a Ν di Persepoli: al centro sono i resti di una coppia divina su trono di epoca antico-elamita, a destra la raffigurazione di un orante genuflesso risalente al XIII sec. a.C. (cfr. Kurangun) e, infine, il sasanide Vahrām II con il suo seguito, rappresentazione rimasta incompiuta. I rilievi più recenti erano di volta in volta eseguiti più in profondità, mentre le rappresentazioni antico-elamite, livellate dai più tardi scultori, servivano da abbozzo per i Sasanidi. Anche nei contenuti si riscontra l'effetto di tale interazione: gli dèi su troni serpentiformi dovettero simboleggiare il Male agli occhi del pio zoroastriano Vahrām, mentre la figura dell'orante medioelamita poté essere inclusa nel seguito del sovrano. Solo nel XIX sec. la parte inferiore fu livellata per dare spazio a un'iscrizione mai incisa.
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