Vedi GIUDAICA, Arte dell'anno: 1960 - 1973
GIUDAICA, Arte (v. vol. iii, p. 917 ss.)
Le scoperte archeologiche degli ultimi sette anni hanno indubbiamente arricchito le nostre cognizioni sull'antica arte g., ma non hanno modificato molto quanto sappiamo del suo sviluppo.
Gli scavi a ‛Araq el-Emīr (la capitale tobiade di Birtha o Tyrus) hanno dimostrato che l'enigmatico edificio noto come Qasr era molto probabilmente un tempio decorato in una maniera semi-orientale e semi-ellenistica. La protome animale in funzione di fontana inserita nel suo muro esterno è un indice della penetrazione dell'arte ellenistica nella Peraea giudaica. La pianta della Tomba di Giasone messa in luce presso Gerusalemme e datata al tempo di Alessandro Ianneo (104-76 a. C.) è copiata da quella di una tomba ellenistica ad Atene (il cosiddetto Sepolcro di Trasillo). I suoi muri sono decorati con rozzi graffiti raffiguranti una battaglia navale che dimostrano una grande abilità nella rappresentazione di esseri umani, e la raffigurazione di un cervo è pure poco comune nell'arte g. del periodo del Secondo Tempio. I palazzi di Masada e Herodium hanno ampliato molto le nostre conoscenze sull'arte del periodo erodiano. Mentre la pianta accentrata di Herodium, con la sua cinta semicircolare, una torre rotonda e tre semitorri era dettata dalle esigenze della località, la disposizione interna degli ambienti di soggiorno, il cortile con il giardino ed i bagni mostrano grande somiglianza con i palazzi del tipo prostas, rinvenuti sparsi nella più vasta area di Masada. In entrambi i casi la decorazione architettonica è strettamente classica e augustea, mentre gli affreschi che ricoprono i muri sono (con una sola eccezione, il dipinto di uccelli nei bagni a Herodium) rigidamente aniconici. La stessa tendenza è evidente nei mosaici del palazzo di Masada nel quale motivi ornamentali greci (onde ricorrenti, meandri, ecc.) sono uniti a motivi di piante di ispirazione orientale (una ghirlanda di foglie di ulivo e frutta, racemi, melograni) e motivi geometrici come la rosetta a sei petali intrecciati (o il fiore a otto foglie stilizzate). L'avversione alla figurazione di esseri umani, carattenstica dell'arte del Secondo Tempio, è evidente anche dai resti del bottino preso ai Romani dai ribelli di Bar-Kochba (132-135 d. C.) rinvenuti nelle caverne del deserto della Giudea: i volti che decoravano i manici di qualche anfora sono stati deliberatamente abrasi. Tra le scoperte fatte nelle terme del II sec. d. C. a Engeddi, troviamo capitelli dorici riusati e rilievi architettonici scolpiti raffiguranti rosette a sei petali, un'anfora e una vite che probabilmente una volta facevano parte di un edificio pubblico ebraico (una sinagoga?) di età erodiana.
A Masada, e forse a Herodium, sono state rinvenute sale ipostile circondate da panche che, per la loro disposizione architettonica, fanno pensare ai bouleutèria o ecclesiastèria delle città greche.
Rinvenimenti di materiale più tardo hanno ampiamente confermato il mutato atteggiamento verso le immagini di esseri viventi che seguì alla liberalizzazione dell'interpretazione rabbinica del secondo comandamento dal III sec. d. C. in poi.
Uno degli esempî più antichi, e tecnicamente anche il più bello, è il mosaico pavimentale del periodo costantiniano rinvenuto a Hammath-Tiberiade. Esso mostra nella sua parte centrale il solito Zodiaco; tuttavia l'esecuzione dei disegni che furono forse affidati a un artista d'estrazione gentile (in ogni caso a uno che non sapeva l'ebraico, come si vede dall'inversione della direzione dello scritto in un caso) è tra i più belli. Helios-Apollo appare nel pannello centrale in abito di auriga, con frusta e globo celeste in una mano, mentre con l'altra saluta; sarebbe da confrontarsi con l'analoga immagine in un mosaico della necropoli sotto la basilica di S. Pietro a Roma (v. vol. iii, fig. 1459). I varî segni dello Zodiaco includono figure nude che, a quanto sembra, son tutte derivate da prototipi classici (Bilance = Radamante; Vergine = Kore Persefone, ecc.). Gli angoli del cerchio dello Zodiaco sono riempiti con figurazioni delle Stagioni, che seguono pure il comune schema classico. In questo mosaico si nota la più profonda penetrazione di arte classica nei monumenti giudaici finora scoperti.
Da questa acmè, nel primo periodo del IV sec., l'arte g. cominciò ad allontanarsi dall'ideale classico. Il pavimento rinvenuto a Maon, datato alla prima metà del VI sec., è un elemento di questo sviluppo; nel suo schema generale esso mostra grandi somiglianze tecniche con il pavimento della chiesa di Shellal rinvenuto mezzo secolo fa e, probabilmente, fu fatto dalla stessa scuola di mosaicisti di Gaza. Il motivo della vite che lo ricopre, gli animali appaiati e la fila centrale di oggetti votivi sono simili ai pavimenti di chiesa di quel periodo. Tutti questi elementi appaiono, tuttavia, svuotati del loro carattere simbolico; i simboli religiosi veri e proprî sono concentrati nella parte più vicina all'Arca della Legge e includono oltre al candelabro a sette braccia anche un paio di leoni e due palme. La pianta della sinagoga è a navata centrale pavimentata a mosaico, circondata da un ambulacro pavimentato con pietra.
Un mosaico simile è stato rinvenuto a Satopoli-Bet Shean (v. beisan, vol. ii, pag. 38). Esso è particolarmente interessante perché è firmato dagli stessi artisti del pavimento di Bēt Alpha; ma a Bēt Shean la loro fantasia artistica fu frenata e raggelata dalla convenzionalità di alcuni motivi come l'Arca della Legge coperta di cortine, e i motivi geometrici e vegetali. Si tratta forse di una sinagoga samaritana, che riflette il rigido aniconismo della setta.
Un altro mosaico rinvenuto nella stessa località è molto interessante. Esso è stato trovato nella casa di un certo Leontis, ebreo, e presenta una raffigurazione del dio Nilo, una raffigurazione simbolica di Alessandria, una scena con Odisseo e le Sirene; questa reminiscenza omerica indica un legame con la cultura classica nella tarda arte giudaica.
Gli oggetti minuti che sono venuti alla luce recentemente sono distribuiti tra il periodo israelita e il periodo tardo-romano. Fra essi notiamo sigilli del periodo israelita, come il sigillo di lezebei con sfinge egiziana, il sigillo di Manasse (figlio del re) con simboli del sole e della luna, un sigillo "parlante" con una locusta raffigurante una famiglia Hagav (in ebraico: locusta). La serie di monete Yahūd del periodo persiano è stata arricchita da una nuova raffigurazione con un falcone e un giglio (o tulipano). Lucerne erodiane con simboli ebraici sono state rinvenute in varî luoghi intorno a Gerusalemme, mentre la serie degli ossuarî e sarcofagi è stata arricchita sia quantitativamente che qualitativamente. Una tomba scoperta recentemente sul Monte Scopus ha un bel sarcofago, che somiglia a quelli da Dominus flevit e ossuarî rinvenuti a Lahav nella Giudea meridionale mostrano che questo tipo di sepoltura durò fino al IV secolo d. C.
Bibl.: ‛Araq el-Emir: P. W. Lapp, in Bull. American Schools Oriental Research, n. 171, 1963, pp. 8-55. Tomba di Giasone: L. Y. Rahmani, in Israel Explor. Journal, 17, 1967, pp. 61-100. Masada: Y. Yadin, Masada, Londra 1967. Herodium: V. Corbo, Studii Biblici Franciscani, "Liber Annus", 17, 1967, pp. 65-121. Enggedi: B. Mazar et al., in Israel Explor. Journal, 14, 1964, pp. 128-130, p. 30 A-C. Hammath-Tiberiade: M. Dothan, ibid., 12, 1962, pp. 153-154. Maon: M. Avi-Yonah, in Rabinowitz Bulletin for Synag. Research, 3, 1960, pp. 25-35. Scitopoli: N. Zori, in Eretz Israel, 8, 1967, pp. 149-167; id., in Israel Explor. Journal, 16, 1966, pp. 123-134. Sigilli: N. Avigad, ibid., 1963, 13, pp. 133-136; 14, 1964, pp. 274-276; 16, 1966, pp. 50-53. Moneta: Y. Meshorer, ibid., pp. 217-219.
Artisti. - A causa della sua scarsa presa sull'antica società giudaica, l'arte ebbe per lo più un carattere di anonimità. I soli nomi giunti a noi sono quelli di un gruppo di operai probabilmente fabbricanti di ossuarî a Gerusalemme al tempo del Secondo Tempio, come risulta da una iscrizione sul coperchio di un ossuario. Inoltre conosciamo: Jose, figlio di Levi, che costruì le sinagoghe di ῾Alma e Kefar Bar'am in Galilea; segue Rabbi Hillel, figlio del Rabbi Levi, che "fece" la tomba n. 20 nella necropoli di Bēt Shearīm; e infine, Marinos e suo figlio Hanania, i mosaicisti che pavimentarono le sinagoghe di Bet Alpha e Bēt Shean (v. beisan, vol. ii, p. 38).
Bibl.: J. B. Frey, Corpus inscriptionum judaicarum, II, Roma 1952, n. 1285; R. Hestrin, in Bulletin of the L. M. Rabinowitz Fund for the Exploration of Ancient Synagogues, III, Gerusalemme 1960, pp. 65-67; N. Avigad, in Israel Explor. Journal, IX, 1959, pp. 207-209; v. pure Bet Alpha.
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