GIUDAICA, Arte
Con il termine giudaismo si indica quel periodo della storia del popolo ebraico successivo alla divisione del regno di Salomone nei due regni di Giuda a S (con Gerusalemme), che comprendeva le due tribù di Giuda e di Beniamino, e di Israele a N, comprendente le altre tribù. Il regno di Israele nel 719 a.C. fu conquistato dagli Assiri e la sua popolazione si mescolò agli invasori dando vita a numerose sette e correnti religiose (per es. i samaritani). Questa deviazione dall'ortodossia divenne presto insanabile e definitiva e il ceppo ebraico del regno di Israele si cancellò. Il regno di Giuda resistette fino al 586 a.C., anno in cui Nabucodonosor distrusse il Tempio di Salomone e deportò la popolazione in Babilonia. Con il ritorno degli Ebrei del regno di Giuda dall'esilio babilonese (537 a.C.) ebbe inizio il giudaismo. Questo termine appare storicamente il più indicato per definire l'ebraismo postesilico, ma già a partire dal Medioevo è stato impiegato anche in un'accezione dispregiativa; per questa ragione è stato sostituito all'epoca dell'emancipazione ottocentesca dai ghetti con il termine assai più improprio di Israele, con i derivati israelitico e israelita. Oggi, sempre per evitare fraintendimenti in senso antisemita, in Italia si tende a sostituire il termine con ebraismo, mentre il mondo francofono e anglosassone traduce correttamente giudaico con juif, jewish.La distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. e la conseguente diaspora hanno sancito la divisione del giudaismo nei due rami, sefardita e askenazita. Il primo si riferisce agli ebrei che scelsero la via della Spagna (Sefarad) e del mondo mediterraneo, poi inglobato dall'Islam; il secondo è relativo all'ebraismo tedesco (Askenazi) e in generale a quello nordeuropeo. Le successive vicende storiche hanno condotto entrambi questi ceppi ad avvicendarsi anche nella penisola italiana, ma l'ebraismo italico viene generalmente considerato come un 'terzo ramo' autonomo, in quanto già presente a Roma e in diverse località assai prima della diaspora.
Il problema dell'esistenza di un'arte definibile come 'ebraica' è stato ed è tuttora assai dibattuto. Esso deriva da una serie di fattori, uno dei quali è la bimillenaria persistenza del ceppo giudaico come popolo distinto, pur nella convivenza con altri popoli e civiltà fin dall'epoca dell'Ellenismo, ma soprattutto in seguito alla diaspora del 70. La questione di un'arte ebraica molto deve alla varietà di situazioni storiche nelle quali si è trovato questo popolo, dalla convivenza pacifica con altre genti alla persecuzione, da una strutturazione in comunità autosufficienti e impermeabili al mondo esterno - spesso in abitati a fortissima, se non univoca, connotazione etnica - alla coabitazione più o meno tranquilla con fedi diverse quali di volta in volta il paganesimo, il cristianesimo, l'islamismo. Sono anche oggetto di dibattito la questione della committenza ebraica per artigiani non ebrei e il suo opposto, quella della committenza gentile, cioè dei non ebrei, per artigiani ebrei. Né è poi da trascurarsi il ruolo esercitato dai mercanti ebrei nella formazione del gusto e delle mode anche al di fuori di un'arte strettamente giudaica. Non si dimentichi infine che la committenza ebraica si è rivolta sempre, oltre che all'arte cerimoniale, anche a manifestazioni artistiche secolari, le cui esigenze non differivano da quelle dei gentili.Un decisivo condizionamento allo sviluppo di un'arte ebraica è stato offerto dall'interdizione biblica alle immagini. Nel Vecchio Testamento la prescrizione è ripetuta (Es. 20, 4; 20, 23; Dt. 4, 16-18; 5, 8) ed è stata considerata di tale importanza da essere inclusa nel Decalogo. Il comandamento, il secondo per il canone ebraico, il primo per la Bibbia cristiana e luterana, così ammonisce: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra" (Es. 20, 4). Si ritiene comunemente che questa interdizione sia stata formulata per proibire il culto e l'adorazione delle immagini. Tuttavia la sua ricezione in senso letterale ha costituito nei periodi di maggiore osservanza religiosa, e anche in momenti di orgoglio nazionalista, quale la reazione al governo romano negli anni immediatamente precedenti la diaspora, un freno potente alla produzione di immagini, soprattutto quelle scolpite a tutto tondo o a bassorilievo e quelle raffiguranti la figura umana, il volto in particolare.L'orientamento ufficiale del giudaismo in epoca tardoantica è offerto dal Talmūd. Questa compilazione di responsi e norme nel campo del diritto civile e religioso fu redatta fra il sec. 3° e il 7° a integrazione, spiegazione e commento delle regole indicate nel Vecchio Testamento ed è stata poi considerata vincolante anche dal giudaismo successivo, fino ai giorni nostri. Il Talmūd proibisce la raffigurazione delle quattro figure alate del carro della visione di Ezechiele, le stesse poi divenute simboli dei quattro evangelisti (uomo, toro, aquila, leone), delle creature angeliche, quali i cherubini riprodotti sull'arca dell'alleanza, e soprattutto della figura umana, poiché questa potrebbe divenire oggetto di adorazione (Mek.Ytro, X; Avodah Zarah, 42b, 43b). Dal momento che le raffigurazioni oggetto di culto erano tradizionalmente scolpite, fu però convenuto di limitare l'interdizione alle sole immagini tridimensionali. Così, se il Talmūd offre esempi di rabbini tanto pii da evitare di guardare le monete romane, sulle quali era coniata l'effigie dell'imperatore venerata dai pagani (Avodah Zarah, 50a; Peshichta, 104a; Yer Meg., III.2, 74a), venne d'altra parte considerato lecito utilizzare le immagini dipinte e i mosaici figurati, anche all'interno delle sinagoghe (Avodah Zarah, 4:1, 43:d).Erano piuttosto i cristiani a porsi maggiormente questo problema, tanto che nei primi anni del sec. 4° il trentaseiesimo canone del sinodo di Elvira stabiliva che "Placuit picturas in ecclesia esse non debere, ne quod colitur et adoratur in parietibus depingatur". Il cristianesimo avrebbe utilizzato le immagini nei luoghi sacri dopo essere diventato la religione di Stato, talché gode di molto credito la teoria secondo cui le illustrazioni cristiane del Vecchio Testamento si sarebbero largamente ispirate a manoscritti illustrati ebraici, di cui esisteva già una tradizione consolidata, anche se nessuna di queste opere si è conservata (v. Bibbia).È comunque evidente il contrasto fra l'attenzione posta dai legislatori giudaici nella regolamentazione delle espressioni artistiche e la fioritura delle arti figurative ebraiche in epoca tardoantica: questo fenomeno è sottolineato da Goodenough (1953-1958), il quale giustifica l'esistenza di gran parte dell'arte g. figurativa del periodo ipotizzando l'esistenza di una religione sincretistica ebraica di tipo misterico, parallela ma non in deciso contrasto con la tradizione rabbinica ufficiale.Questo orientamento mutò quando il mondo bizantino scelse la via dell'iconoclastia (726-843), analogamente a quanto si verificava nella civiltà islamica. Nelle regioni influenzate da tali culture aderì ai dettami generali dell'aniconismo anche il giudaismo, che tradizionalmente era stata la prima religione a rifiutare il culto delle immagini. Così l'influente rabbino di Barcellona Aaron ha-Levi vietava con decisione ogni rappresentazione della figura umana, anche solo con funzioni ornamentali; ma Mosè Maimonide (1135-1204), una delle massime autorità del giudaismo medievale, dall'Egitto stabiliva che dalle sinagoghe dovessero essere bandite solo le figure umane tridimensionali.Nei territori cristiani dell'Europa occidentale gli ebrei si adeguarono invece alle manifestazioni artistiche più libere dei loro vicini e, soprattutto in coincidenza con la grande rinascita artistica del Duecento, la produzione ebraica si moltiplicò. Nell'arte g. del Medioevo restò tuttavia sempre presente una sorta di doloroso conflitto: da un lato l'arte vista come un mezzo per rendere onore alla Tōrāh, per es. avvolgendo il rotulo sul quale essa era scritta (sefer Tōrāh) con tessuti preziosi, ornandolo di decorazioni in metallo pregiato e riponendolo in armadi (aron ha-Kodesh) di accurata fattura; dall'altro un senso di disagio ormai atavico nei confronti delle immagini, tanto che in molti casi la figura umana venne riprodotta anche nelle decorazioni bidimensionali dei codici non per intero, ma per es. con testa di cane o di uccello. E la decorazione figurata in ambito sinagogale è considerata non blasfema, ma comunque inopportuna in quanto fonte di distrazione per i fedeli (Mosè Maimonide; Rabbi Meir di Rothenburg, sec. 13°).Secondo Gutmann (No Graven Images, 1971) l'interdizione biblica nei confronti delle immagini fu osservata dal popolo ebraico con rigore tanto maggiore quanto più forte era il pericolo di sopraffazione e di azzeramento culturale all'interno di una società ostile: così per es. alla fine del Medioevo gli ebrei spagnoli, che godevano di rapporti tranquilli e ravvicinati con le corti cristiane, non si sarebbero preoccupati di istoriare con pregevoli figurazioni i loro libri di preghiera, mentre i loro confratelli tedeschi, già abituati a un ambiente poco ospitale e scarsamente incline alla fusione sociale, avrebbero manifestato maggiori remore in tal senso.Il secondo comandamento ha costituito per molti studiosi lo spunto per attribuire al popolo ebraico una qualche incapacità congenita nell'esercizio delle arti visive, compensata tuttavia da straordinarie inclinazioni per la speculazione intellettuale. Era questa l'opinione di Buber (1903, p. 7) e di Berenson (1950, p. 180); Freud (1939, trad. it. 1977, p. 125) individuava l'effetto del comandamento nel "posporre la percezione sensoria alla rappresentazione cosiddetta astratta, un trionfo della spiritualità sulla sensibilità, in termini rigorosi una rinuncia pulsionale con le necessarie conseguenze psicologiche". Questa impostazione preconcetta è stata corretta dalla critica più recente, che si è giovata di un numero sempre maggiore di ritrovamenti archeologici e storico-artistici, molti dei quali costituiscono pregevoli esempi di arti figurative. In particolare Gutmann (No Graven Images, 1971) ha inquadrato la redazione del secondo comandamento nella sua dimensione storica e ha sostenuto che le generazioni successive si adeguarono a esso in modi diversi a seconda delle varie necessità e lo interpretarono per servirsene in nuovi contesti assai diversi dagli originali.
Nelle sinagoghe palestinesi di epoca bizantina iniziarono a comparire regolarmente simboli ebraici quali, fra gli altri, rappresentazioni del santuario di Gerusalemme, la mĕnorāh (candelabro a sette bracci), lo shōfār (corno di ariete), il lūlav (mazzo di diverse specie di rami) e l'etrōg (cedro). Levine (1981, p. 9) inquadra questo fenomeno nella reazione alla massiccia introduzione delle immagini nelle chiese cristiane a partire dal periodo costantiniano. Un altro motivo dominante nell'iconografia sinagogale del periodo fu la rappresentazione del Sole, dei segni zodiacali e delle stagioni. Questo tema ricorre in almeno quattro importanti sinagoghe, quali Hammat-Tiberias (Dothan, 1981), Na'aran, Beth Alpha e Husifa, ed è forse riconducibile secondo lo stesso Levine (1981a) a determinati circoli ebraici palestinesi la cui concezione del giudaismo differiva da quella rabbinica ufficiale nell'attribuire a una divinità 'di importazione', quale il Sole, un potere demiurgico e di influenza sui destini umani. I due pavimenti rimasti in condizioni migliori, quelli di Hammat-Tiberias (sec. 4°) e di Beth Alpha (517-528), entrambi di altissima qualità formale, sono emblematici per la loro diversità stilistica. Nel primo è ancora ben presente la tradizione classica nella resa naturalistica dei soggetti liberamente atteggiati nello spazio, nel loro plasticismo e nelle campiture cromatiche dalle sfumature ben graduate, mentre a Beth Alpha i mosaicisti Marianos e suo figlio Haninas propongono invece una rigida resa frontale di figure dalle membra disarticolate e sproporzionate, con un uso del colore in campiture omogenee.Nei pavimenti di altre sinagoghe palestinesi sono presenti mosaici dalla decorazione più geometrizzante, ispirata a quella dei tappeti e delle stoffe. Se nella sinagoga di En-Gedi (sec. 5°; Barag, Porat, Netzer, 1981) la rigida partizione geometrica consente ancora vaste campiture ospitanti uccelli non privi di un qualche naturalismo, il mosaico della sinagoga di Nirim (Ma'on) ha una campitura a rotae delimitate da tralci di vite e contenenti varie specie di animali, canestri di frutta e coppe di vino. Alla seconda metà del sec. 6° è databile il mosaico del pavimento di una sinagoga di Beth Shean (Bahat, 1981), composto da un motivo centrale circondato da una larga bordura. Nel pannello centrale una serie di medaglioni è formata da un rivolo di vino che sgorga da un'anfora rappresentata in basso al centro. In questa composizione l'abbondanza di motivi decorativi si risolve in un horror vacui ordinato da una qualche ricerca di simmetria. La campitura a rotae ricorre anche in altre sinagoghe della regione (Gaza, Husifa) e in molte chiese, alcune delle quali nei pressi di Beth Shean. Ancora da Beth Shean proviene un mosaico pavimentale, databile fra la seconda metà del sec. 5° e l'inizio del successivo (Gerusalemme, Israel Mus.; Zori, 1967), celebre per la raffigurazione del Tempio, ricordato come un frontone triangolare insistente su due colonne, all'interno del quale una nicchia centinata e ornata in alto da una semicupola a conchiglia è celata da un prezioso velario. Ai lati due grandi candelabri a sette bracci si accompagnano ad altri simboli, fra cui il corno d'ariete. A Gaza (Ovadiah, 1981) compare anche una raffigurazione di Davide che suona la lira, rappresentato quale Orfeo vestito come un imperatore bizantino. Il profeta Daniele è invece effigiato nella sinagoga di Na'aran.Fra le sinagoghe della diaspora, la più famosa è quella di Dura Europos in Siria (Levine, 1981b, p. 172ss.; Brilliant, 1990, pp. 80-83), decorata nel 244-245. L'ottima conservazione di parte dei suoi dipinti murali, scoperti nel 1932 e oggi a Damasco (Mus. Nat.), si deve al fatto che i Romani li ricoprirono solo dieci anni dopo, quando fu eretta una linea di fortificazioni contro i Persiani. I dipinti, a tempera sull'intonaco asciutto, raffigurano su tre registri scene bibliche, il cui significato complessivo è ancora oggetto di dibattito. Nei tre registri si individua la complementarità dei temi storiciliturgici-morali, oppure dei tre cardini del giudaismo classico, Tōrāh-sacerdozio-regalità; le scene nel loro insieme rispondono forse a esigenze messianiche oppure mistiche o anche illustrano i temi di riscatto e rivelazione nel passato e potenzialmente nel futuro. In questo insediamento ebraico ai confini fra il mondo classico e il Vicino Oriente si utilizzarono stilemi greci e romani nell'abbigliamento togato dei personaggi e nella rappresentazione degli edifici, mentre le convenzioni artistiche orientali influenzarono la resa prospettica e la frontalità dei personaggi.La scoperta della sinagoga di Dura è stata di importanza determinante; infatti, sebbene questo sia il più antico ciclo narrativo esistente di immagini bibliche con un complesso significato teologico, è verosimile che anche altre sinagoghe del periodo fossero state decorate analogamente. Figurazioni bibliche a sé stanti sono attestate anche nelle catacombe ebraiche e cristiane, ma l'esistenza di cicli estensivi lascia supporre che i loro modelli siano stati trasmessi attraverso cartoni o, più facilmente, attraverso bibbie illustrate ebraiche destinate non alla lettura sinagogale, ma all'acculturazione domestica. Per questa ragione alcuni studiosi hanno individuato in questi manoscritti decorati ebraici i modelli per le prime manifestazioni cristiane di argomento veterotestamentario, ed è stato ipotizzato che i primi esemplari cristiani di libri miniati, il Genesi di Vienna (Vienna, Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 31; sec. 6°, forse da un prototipo del sec. 4°), il rotulo di Giosuè (Roma, BAV, Pal. gr. 431; sec. 10°) e il Codex Amiatinus (Firenze, Laur., Amiat. 1; da un originale del sec. 6°) siano stati in origine ebraici, o basati su esemplari ebraici. Avi-Yonah (1981) ricorda fra le possibili fonti di ispirazione per i miniatori di libri anche il mosaico della sinagoga di Mopsuestia (od. Yakapmar) in Cilicia (seconda metà sec. 5°), figurato con scene bibliche, quali l'arca di Noè e una serie di storie di Sansone.Ancora ad Apamea in Siria (fine sec. 4°) e a Egina in Grecia il mosaico pavimentale della sinagoga è geometricamente partito secondo la tradizione romana del pavimento marmoreo intarsiato a modulo quadrato (Foerster, 1981). Dalla sinagoga di Naro in Tunisia proviene uno splendido pavimento, che risale al sec. 6°, nel quale partizioni costituite da racemi geometrizzanti si alternano a scene figurate naturalisticamente intese (New York, Brooklyn Mus.; Foerster, 1981).La presenza ebraica a Roma è testimoniata ininterrottamente a partire dal sec. 2° a.C. e i rinvenimenti archeologici giudaici nella città sono di estrema importanza. Oltre alla sinagoga di Ostia Antica si ricordano le catacombe con numerosi manufatti quali sarcofagi, lapidi, lucerne, vetri dorati, tutti di età imperiale (Vitale, Galterio, 1994). Di grande interesse, e non ancora studiate approfonditamente, sono le rovine della sinagoga del sec. 2° scoperta nel 1986 a Bova Marina (prov. Reggio Calabria), con pavimentazione musiva a disegni geometrici e floreali. Più recenti sono le catacombe di Venosa (prov. Potenza), utilizzate tra il 4° e il 7° secolo.
Sono molteplici i mestieri legati alle arti praticati dagli ebrei durante il Medioevo. Beniamino di Tudela, autore nel 1171 di un diario di viaggio attraverso le comunità ebraiche d'Europa e del Medio Oriente verso Gerusalemme, parla di seterie in diversi luoghi dell'impero bizantino, di tintori in Siria e di vetrai a Tiro. Ruggero II di Sicilia nel 1147 aveva condotto a Palermo come prigionieri da Tebe i tessitori in seta ebrei, e i loro discendenti sotto Federico II amministravano per conto dello Stato il monopolio del commercio e della tintura di questo prezioso tessuto. Un altro mestiere popolare fra gli ebrei era quello dell'argentiere, testimoniato alla fine del Medioevo in Francia, in Sicilia e in Spagna. Anche la miniatura dei manoscritti liturgici veniva affidata a correligionari: è pertanto presumibile che le comunità giudaiche fossero generalmente in grado di sopperire alle proprie necessità interne senza l'obbligo di rivolgersi ad artigiani non ebrei, e numerose sono in luoghi e periodi diversi le testimonianze di oggetti commissionati da non ebrei ad artigiani ebrei.Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la perdita delle suppellettili sacre in esso contenute, la liturgia ebraica cambiò sostanzialmente. I sacrifici furono sostituiti da preghiere e il rotulo della legge divenne l'oggetto di massima importanza nel culto giudaico. Ogni rotulo conteneva il testo dei cinque libri di Mosè, il Pentateuco. Nella realizzazione di un rotulo si prestava una particolare attenzione all'estetica. La prescrizione biblica "Questo è il mio Dio e lo glorificherò" (Es. 15, 2) fu interpretata in modo da garantire al sefer una redazione con inchiostro e penna di ottima qualità a opera di uno scriba esperto, e una conservazione in una bella seta (Talmūd babilonese, Shabbat, 133b). La sua redazione era regolata da norme assai precise, che riguardavano il formato e lo stile dei caratteri, gli spazi fra le lettere e le parole, oltre che il supporto pergamenaceo e il tipo di inchiostro. Tutto ciò garantiva la riproduzione di rotuli sostanzialmente uguali, anche per la proibizione di ornarli con qualsiasi genere di miniatura: caratteristica questa assai difforme dalla tradizione giudaica medievale per la decorazione di altro genere di testi, anche liturgici. Il rotulo veniva assicurato alle due estremità a due anime di legno (etz-haim). In ogni sinagoga doveva venire custodito almeno un rotulo, destinato alla lettura della Bibbia davanti ai fedeli. Quando non veniva usato, lo si riponeva avvolto in tessuti di pregio e suppellettili di argento in un armadio (aron ha-Kodesh) addossato alla parete della sinagoga orientata verso Gerusalemme. In questi tessuti, argenti e armadi si esercitò particolarmente la committenza giudaica fin dal Medioevo.In particolare, il rotulo chiuso veniva avvolto in una tovaglietta (mappah) e quindi coperto da un mantello (meil). In alcune comunità orientali e del Mediterraneo, soprattutto in Spagna, il meil poteva essere sostituito dal tiq, una custodia di legno (Assis, 1992, p. 22). Quindi sul rotulo chiuso veniva posta una corona, di legno o d'argento; una placca o mezza corona anch'essa d'argento veniva poi appesa al sefer con l'indicazione del donatore. A Gerusalemme (Israel Mus.) se ne conserva ancora una, donata alla sinagoga Qehilat Yaakov di Barcellona nella seconda metà del sec. 14°, insieme con il rotulo originario. L'uso della corona, attestato già in area mesopotamica nel sec. 10° e poi ripetutamente testimoniato in Spagna e nel Midi, sembra invece sconosciuto presso le comunità askenazite (Di Castro, 1994a, p. 103). Lo stesso dicasi per i pinnacoli (rimmonim) dall'originaria forma a melograno, usati per rivestire la parte superiore degli etz-haim. Il loro impiego, già attestato da Mosè Maimonide, fu mantenuto in aree di cultura islamizzante quali la Spagna e la Sicilia (Di Castro, 1994a, p. 104).Per quanto riguarda la decorazione di interni, sono giunti esempi di arte sinagogale (v. Sinagoga). Molte delle sinagoghe medievali furono pesantemente rimaneggiate per essere trasformate in chiese, soprattutto in quei territori che avevano visto una straordinaria fioritura della civiltà ebraica, seguita nel corso del Quattrocento dall'espulsione dei giudei. Questo fenomeno fu particolarmente intenso nel Meridione d'Italia, dove le due vecchie sinagoghe di Trani e Napoli furono trasformate rispettivamente nelle chiese di S. Anna e di S. Caterina Spinacorona, poi S. Maria della Purificazione. Lo stesso destino subirono dopo l'espulsione degli ebrei nel 1492 le sinagoghe spagnole, particolarmente ricche e numerose. A Córdova e nelle due sinagoghe conservate di Toledo i rifacimenti non hanno cancellato però le lapidi e i rilievi preziosissimi di stucco policromo in stile gotico mudéjar, che con una sorta di horror vacui campiscono le pareti con forme geometriche e floreali articolate per multipli e sottomultipli. Nella sinagoga di Córdova una lapide di stucco ricorda con caratteri ebraici di ricercata semplicità il rifacimento nel 1315 (Assis, 1992, fig. 3), mentre a Toledo nella sinagoga privata del 1357 di Don Shmuel Halevi Abulafia, ora chiesa di Nuestra Señora del Tránsito (Assis, 1992, fig. 2), l'iscrizione dedicatoria in stucco è completata dallo stemma del committente. Gli stemmi di famiglia ricorrono con frequenza anche su sigilli (Friedemberg, 1992) e manoscritti (Di Castro, 1994b, p. 143ss.).L'arredo sinagogale era completato dai tappeti, stesi per terra e a volte anche appesi alle pareti, da panche e sedie; l'illuminazione era fornita da candele e dal lume perpetuo (ner tamid) appeso davanti all'aron ha-Kodesh (Assis, 1992).Esempi assai rari di arte g. realizzati nel sec. 13° al Cairo sono le porte di legno intagliato della sinagoga di Ibn Esra (Gerusalemme, Israel Mus.) e l'aron ha-Kodesh (New York, Jewish Mus.).L'uso di realizzare manufatti espressamente per una funzione liturgica fu nel Medioevo limitato unicamente a quegli oggetti la cui forma differiva da quelli di uso comune. In altre parole, nel cerimoniale domestico e sinagogale ci si serviva di suppellettili (per es. calici, piatti) di tipologie non distinguibili da quelle degli oggetti di uso secolare. Di forma particolare e quindi ben identificabile per il suo riferimento alla liturgia giudaica è la channukkiah, lampada a olio, a otto beccucci più un nono 'di servizio', che viene accesa durante la festa di Channukkah per commemorare la vittoria dei Maccabei contro i greco-siriani di Antioco Epifane nel sec. 2° avanti Cristo. Una delle channukkioth più antiche, probabilmente avignonese del sec. 12°, di marmo dei Pirenei, è conservata a Parigi (Coll. Klagsblad). Un altro esemplare, risalente al sec. 14°, fu trovato negli scavi dell'antico quartiere ebraico di Lione ed è decorato a traforo con un rosone e una fila di archetti dal gusto assai simile a quello delle facciate delle cattedrali gotiche (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny).Per quanto riguarda l'arte cerimoniale italiana, non sono stati rinvenuti esemplari sicuramente databili anteriormente al 15° secolo. Fra i pochissimi oggetti quattrocenteschi si ricordano: l'aron ha-Kodesh datato 1472 e proveniente da Modena (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny); i rimmonim provenienti da Camerata in Sicilia (Palma di Maiorca, cattedrale); gli etz-haim tardoquattrocenteschi appartenuti a Nataniel Trabot (Ramat Aviv, Coll. Gross); un indice datato 1488 proveniente da Ferrara (Gerusalemme, Nahon Mus.; Liscia Bemporad, 1990, p. 101).
La miniatura è sicuramente il campo dell'arte medievale nel quale il giudaismo si è espresso con maggiore continuità, coerenza e organicità. Lo studio dei manoscritti miniati ebraici è stato affrontato estensivamente e con abbondanza di riferimenti bibliografici (Narkiss, 1969; Schubert, Schubert, 1983). Narkiss ricorda come lo stile di queste decorazioni sia stato influenzato variamente dalle diverse scuole regionali, benché alcuni elementi tradizionali siano sopravvissuti alle mode che si sono susseguite nella storia del libro decorato in Europa. La presenza di motivi orientali è per lo studioso evidente anche nelle scuole occidentali di manoscritti miniati ebraici. Altre caratteristiche tipiche sono il fatto che in gran parte i miniatori erano ebrei e una qualche riluttanza nella raffigurazione dell'immagine umana, attribuita da Narkiss a influenze di volta in volta islamiche o dei movimenti ascetici sorti nella Germania meridionale e in Italia settentrionale nel 12° e 13° secolo. Nell'alfabeto ebraico non esistono lettere maiuscole e per questo la decorazione della lettera iniziale tipica dei codici cristiani è stata sostituita con quella della parola o del verso iniziali: eccezioni a questo fenomeno sono state riferite a un influsso delle scuole latine. Particolare è infine l'impiego della micrografia, una scrittura ornamentale assai minuta, utilizzata per redigere commenti al testo e condotta in modo da formare motivi geometrici o floreali intorno a un testo di corpo normale, oppure impiegata per decorare 'a tappeto' intere pagine. Nelle bibbie askenazite si trovano micrografate anche figure e intere scene bibliche. Si ricordi infine che la scrittura ebraica, condotta da destra verso sinistra, influisce sulla costruzione del codice, la cui lettura inizia con la costa rivolta verso destra.Gran parte dei codici miniati ebraici medievali di area medio-orientale fu rinvenuta nella seconda metà dell'Ottocento nella gĕnīzāh dell'antica sinagoga di Ibn Esra ad al-Fūsṭāṭ (Cairo vecchio), una stanza priva di porte, utilizzata per secoli come vero e proprio sepolcreto di libri consunti. Oltre a manoscritti biblici miniati furono ritrovati contratti nuziali decorati (ketubbot), e perfino libri di studio per bambini. I più antichi codici miniati ebraici esistenti datano al sec. 9° e sono probabilmente originari della Mesopotamia. Da questa scuola sarebbero derivate quelle palestinese, siriaca ed egiziana. I manoscritti ebraici orientali hanno decorazioni analoghe a quelle praticate negli stessi ambiti sulle copie del Corano: intrecci geometrici che si intersecano a girali fogliati e a palmette in modo da formare decorazioni 'a tappeto', a volte anche con l'aggiunta di micrografie. Nella Prima Bibbia di San Pietroburgo (Saltykov-Ščedrin, II, 17), proveniente forse dall'Egitto (929), la decorazione 'a tappeto' di palmette circondate da girali inquadra una rappresentazione altamente stilizzata del santuario di Gerusalemme caratterizzato dai sacri arredi: il tutto minuziosamente reso con abbondanza di dorature. L'oro si alterna a colori più scuri e in moduli decorativi geometrici più ampi, con micrografie, nella Seconda Bibbia di San Pietroburgo (Saltykov-Ščedrin, B.19a), anch'essa proveniente dall'Egitto (1008 o 1010). Il sec. 13° si caratterizzò per i motivi floreali di influenza persiana, ma nel successivo la tradizione ebraica di decorazione del libro declinò in tutto il Medio Oriente.La tradizione orientale influenzò le decorazioni bibliche di area ispano-provenzale, che fiorirono particolarmente nel sec. 12°, per declinare alla fine del Trecento con l'incalzare delle persecuzioni antiebraiche, sviluppandosi nuovamente nel secolo successivo nella Spagna occidentale e in Portogallo. Sebbene tutti i manoscritti miniati ebraici spagnoli rimasti siano stati realizzati nel periodo della conquista cristiana, in essi sono evidenti i rimandi all'Egitto nelle decorazioni geometriche delle pagine 'a tappeto', nelle raffigurazioni schematizzate del santuario con le suppellettili sacre e nell'impiego della micrografia, tanto che si ritiene che questi elementi siano stati trasmessi attraverso codici miniati giudaici realizzati nella penisola iberica al tempo della dominazione musulmana, nessuno dei quali è però giunto fino a oggi: si vedano, a questo proposito, il Keter di Damasco, decorato a Burgos nel 1260 (Gerusalemme, Hebrew Univ., hebr. 4° 790), e la Bibbia Farhi, scritta e miniata da Elisha Crescas forse in Provenza dal 1366 al 1382 (Letchworth, Sassoon Coll., 368). Forte è la caratterizzazione regionale, che si individua in un'accentuazione dei motivi mudéjares nella Spagna settentrionale e in Provenza; nell'adesione alla tradizione autoctona spagnola e della Francia settentrionale nei regni di Castiglia e di Catalogna del sec. 14°; nell'influenza italiana ancora in Catalogna e a Palma di Maiorca. Nelle pagine 'a tappeto' delle bibbie spagnole venne introdotto per la prima volta il calendario perpetuo, generalmente di forma circolare, e in qualche caso costruito come un sistema di dischi mobili.Lo stile delle bibbie decorate giudaico-iberiche è differente da quello impiegato nello stesso ambito per miniare manoscritti ebraici di altro soggetto, fra i quali sono particolarmente numerose le Haggādoth, narrazioni dell'Esodo destinate alla lettura domestica la prima sera della Pasqua ebraica. Uno dei manoscritti più suggestivi è il Siddur Hamilton del sec. 13° (Berlino, Staatsbibl., Hamilton 288), dalle lettere animate con coloriti motivi zoomorfi e testine umane. La stessa vivacità ritorna un secolo dopo nella Haggādāh Rylands spagnola (Manchester, John Rylands Lib., hebr. 6) e nel 'fratello' della Haggādāh Rylands (Londra, BL, Or. 1404). Al 1348 risale la Guida dei perplessi (Copenaghen, Kongelige Bibl., Hebr. XXXVII), copiata da uno scriba ebreo di Barcellona e miniata nella bottega del Maestro di S. Marco. A questo artista, così chiamato da una delle sue numerose opere eseguite per committenze chiesastiche, Sed-Rajna (1992) ha attribuito una serie di codici miniati ebraici dimostrando la stretta connessione nella Spagna trecentesca fra arte g. e non. Fra i manoscritti miniati realizzati in Aragona nel sec. 14° si ricordano la Haggādāh d'Oro, del 1320 ca. (Londra, BL, Add. Ms 27210), con forti componenti del Gotico dell'Ile-de-France e italiane, anche in alcune soluzioni iconografiche cristianizzanti. Nella 'sorella' della Haggādāh d'Oro (Londra, BL, Or. 2884) l'elemento italiano è accentuato nella profondità spaziale e particolarmente interessanti, anche per la ricostruzione degli ambienti, sono le scene di riunione in sinagoga e la cena di Pesaḥ. Ambientazioni analoghe compaiono nella Haggādāh di Sarajevo (Zemaljski muz. Bosne i Hercegovine), forse il manoscritto miniato giudaico più famoso per la varietà dei soggetti e per la loro resa in composizioni ordinate memori del Gotico italiano e francese. La narrazione della fuga degli Ebrei dall'Egitto offre pretesti per scene di vita cortese nella Haggādāh di Barcellona (Londra, BL, Add. Ms 14761) e nella Haggādāh Kaufmann (Budapest, Magyar Tudományos Akad. Könyvtára, Coll. Kaufmann, A 422).Se la Francia meridionale appartenne all'area sefardita, nel Nord del paese si stanziarono ebrei askenaziti. Qui la produzione di manoscritti miniati fu assai importante, benché gli esemplari rimasti siano pochi, imparentati per stile e iconografia alle miniature giudaiche inglesi e tedesche. Di pregio straordinario è la miscellanea (Londra, BL, Add. Ms 11639) comprendente in ca. settecentocinquanta fogli la Bibbia, la Haggādāh e altri testi. Fu compilata forse a Troyes verso il 1280, con l'intervento di diversi miniatori anche in anni immediatamente successivi. L'unitarietà dell'opera è tuttavia evidente nell'eleganza delle figure e nell'accordo tonale azzurro, magenta, oro, campito a somiglianza di una vetrata gotica.Proviene dalla Germania il primo manoscritto ebraico europeo giunto fino a oggi, datato al 1233. Si tratta del Commentario del Rashì (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Hebr. 5) scritto da Salomone di Würzburg, formato da capitoli le cui parole iniziali sono decorate da miniature illustranti le scene bibliche cui il testo fa riferimento. Queste scene, rese in uno stile non diverso nel loro vigore espressivo da quello delle miniature non giudaiche dello stesso ambito, e memore anche delle vetrate dipinte nei colori campiti in superfici omogenee e nettamente circondati da linee scure, sono identificabili come ebraiche solo in quanto i volti umani sono privi di lineamenti. Nelle miniature giudaiche della Germania meridionale del sec. 13° questa peculiarità è piuttosto frequente, benché non esclusiva, cosicché i volti vengono nascosti da corone, elmi, fazzoletti o altri copricapi, o visti da dietro, o anche rappresentati con lineamenti di animali o uccelli. Tutti questi espedienti compaiono nella Bibbia ambrosiana, realizzata nel 1236-1238 forse a Ulm (Milano, Bibl. Ambrosiana, B.30-32 inf.), e sono attribuiti da Narkiss (1969) a una sorta di iconofobia che si era sviluppata nella Germania del secolo precedente in seguito alle predicazioni di un movimento pietistico giudaico, unita a una propensione da parte del rabbinato a non voler concedere motivi di distrazione durante la preghiera. Fra gli altri capolavori riferibili alla Germania meridionale si ricordano la Haggādāh delle teste di uccello (Gerusalemme, Israel Mus., 180/57), la Bibbia Schocken (Gerusalemme, Schocken Inst. for Jewish Research of the Jewish Theological Seminary of America, 14840), il Pentateuco del duca di Sussex (Londra, BL, Add. Ms 15282), tutti databili intorno al 1300; il Maḥazor Tripartito del 1320 ca., che deve il suo nome al fatto che i tre volumi di cui si compone sono divisi fra Londra (BL, Add. Ms 22413), Oxford (Bodl. Lib., Mich. 619) e Budapest (Magyar Tudományos Akad. Könyvtára, Coll. Kaufmann, A 384); la Haggādāh di Erna Michael, del 1400 ca. (Gerusalemme, Israel Mus., 180/58). L'influsso dell'arte francese è riscontrabile nei manoscritti del basso Reno, come nei quattro grandi volumi che compongono il Mishnēh Tōrāh Kaufmann (Budapest, Magyar Tudományos Akad. Könyvtára, Coll. Kaufmann, A 77/I-IV), miniato a Colonia nel 1295-1296 con decorazioni di estrema e misurata eleganza.La molteplicità degli elementi culturali presenti nel giudaismo italiano, nella sua provenienza da ceppi autoctoni, sefarditi o askenaziti, e nel loro risiedere in moltissimi centri diversi della penisola, sta alla base della varietà stilistica e tipologica delle decorazioni. I manoscritti giudaici per committenza ed esecuzione iniziarono a Roma al principio del Duecento, con un periodo di massima fioritura fra il 1280 e il 1330 (Nicosia, 1994). Essi sono stati studiati da Mortara Ottolenghi (Manoscritti biblici, 1966; Mortara Ottolenghi, 1974; 1983) che ne ha sottolineato peculiarità quali la raffigurazione, singola o ripetuta in serie, dell'arco a tutto sesto poggiante su colonne - per es. nella Bibbia del vescovo Bedell (Cambridge, Emmanuel College, I, I, 5-7) scritta e decorata nel 1284 da Abraham bar Yom Tov Cohen - e le tabelle che ornano i richiami a margine, ornati da motivi vegetali. Motivi antichizzanti ispirati liberamente alle rovine romane (capitelli, foglie di acanto) si uniscono a un vivace bestiario medievale con mostri dai colori squillanti. Lo scriptorium giudaico romano più importante fu quello della famiglia Anav, da cui fu licenziata una ricca produzione - comprendente anche la citata Bibbia del vescovo Bedell - ora divisa fra Parma (Bibl. Palatina), Londra (BL) e Roma (BAV; Casanat.). Uno degli ultimi esemplari di manoscritti realizzati dagli Anav è il Pentateuco di Parma (Bibl. Palatina, 1849), scritto e miniato da Daniel bar Yoab prima del 1366, con una suggestiva pianta del santuario: in seguito la produzione libraria giudaica, già minata dal rogo del Talmūd ordinato da papa Giovanni XXII nel 1322, si spense.A Bologna, dove fioriva una tradizione di copiatura di testi legali, brevi papali e altri documenti simili, si sviluppò nella seconda metà del Trecento una scuola di miniatura di testi legislativi giudaici, particolare per i soggetti rappresentati, nei quali compaiono ladri, giudici e persone accusate delle colpe più svariate, quale la profanazione del sabato o la lavorazione di legnami rubati. Fra i più preziosi di questi lavori si ricordano i Responsa di Rav Isaia da Trani, del 1347 (Londra, BL, Or. 5024), memore della scuola di Niccolò di Giacomo da Bologna. Il Mishnēh Tōrāh di Gerusalemme (Hebrew Univ., 4/1193), pur miniato a Perugia nella bottega di Matteo di ser Cambio intorno al 1400, appartiene allo stesso genere letterario.Alla fine del Trecento risale un gruppo di manoscritti decorati in stile lombardo e identificabili per lo stemma del loro committente, il medico Daniel ben Samuel ha-Rofè. Stilisticamente affine è un altro gruppo di manoscritti databili fra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento, legati alla committenza della famiglia Bet-El (chiamata anche Min ha-Keneset, o De Synagoga) e realizzati in località diverse quali Perugia e Pisa. Nel corso del sec. 15° la produzione dei libri miniati giudaici avrebbe raggiunto in Italia il suo massimo livello artistico, soprattutto a Ferrara, Mantova, Firenze e Napoli.
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