Vedi GIUDAICA, Arte dell'anno: 1960 - 1973
GIUDAICA, Arte
La produzione artistica degli Israeliti ebbe probabilmente origine contemporaneamente alla loro storia nazionale intorno al XIII sec. a. C., epoca in cui essi si stabilirono in Palestina. Tuttavia solo nel periodo posteriore all'esilio babilonese (VI sec. a. C.), con il diffondersi della cultura greca in Palestina, si è formata quell'arte che chiamiamo giudaica, con caratteri assai diversi da quelli dei precedente periodo israelitico (v. palestina).
Il ritorno dall'esilio babilonese e la successiva dominazione persiana hanno lasciato ben poche tracce di opere d'arte. La sola costruzione di particolare interesse è la residenza persiana di Lachish, che nella pianta riproduce caratteristiche iraniche. Nelle arti minori intanto si incominciano a riconoscere le influenze greche, come ad esempio la riproduzione della civetta, simbolo caratteristico delle dracme ateniesi, sulle monete d'argento coniate dai governatori della provincia autonoma di Yahūd (Giudea).
La conquista di Alessandro il Grande (332 a. C.) e la successiva dominazione delle dinastie tolemaica e seleucide apportarono un rinnovamento culturale che si fece sentire per un millennio. Il suo elemento caratteristico è dato dall'espansione dell'arte greca (naturalmente nella forma da essa assunta nel IV sec. a. C.) e dalla sua fusione con le tradizioni orientali. Di questo confluire di tradizioni si ha un esempio in uno dei rari monumenti del periodo ellenistico rimasti nella Palestina giudaica, e cioè nel palazzo eretto dai governatori Tobiadi a ῾Araq el-Emīr, al di là del Giordano. La facciata di tale edificio accosta capitelli corinzi a un fregio dorico, il tutto sormontato da un bassorilievo rappresentante leoni che avanzano dai lati del portale, alla maniera assira.
Questa stessa confusione di stili è visibile nelle tombe ricavate dalla roccia, nella valle del Cedron a E di Gerusalemme; esse vanno dal periodo maccabaico (Tomba dei Benē Ḥezir) a quello erodiano (Tomba di Zaccaria, Tomba di Assalonne). La prima è in puro stile dorico; la Tomba di Zaccaria ha la forma d'una cappella egiziana ma con colonne ioniche. La così detta Tomba di Assalonne invece consiste in un basamento scavato nella roccia, con colonne ioniche ed un fregio dorico, sormontato da una costruzione cilindrica con una decorazione a "corda" e terminante in un tetto conico; l'insieme richiama in parte l'arte nabatea del tempo (v. gerusalemme).
Questi monumenti ed alcuni altri (le Tombe dei Re, le Tombe dei Giudici, le 70 tombe dette del Sinedrio e altri sepolcri meno conosciuti), costituiscono, insieme ai muri della spianata del Tempio e alla fortezza di Masada (v.), gli elementi in base ai quali si può giudicare l'arte g. dall'epoca erodiana alla distruzione del secondo Tempio (70 d. C.). L'architettura di questo periodo è contraddistinta dal suo carattere monumentale; per le mura di difesa si usavano grandi blocchi di muratura portati sul posto già pronti, mentre d'altra parte il palazzo di Masada è costruito con pietra calcarea intonacata e dipinta. I due elementi peculiari dell'arte erodiana sono il suo carattere aniconico e la trasformazione della classica decorazione plastica in una decorazione basata su contrasti ottici di chiaroscuro. Il primo elemento è generale: in tutta l'arte erodiana non si hanno esempi di rappresentazione di esseri viventi, né umani né animali; quanto alla decorazione, persino quella dei sarcofagi trovati nella tomba della famiglia reale, come pure di quelli dei re di Adiabene (Tombe dei Re) è o floreale o geometrica. La decorazione fioreale inoltre è eseguita piatta e stilizzata, con forti contrasti tra la superficie ben contornata delle foglie e lo sfondo scuro contro cui esse si stagliano. Queste stesse caratteristiche, accentuate al massimo da una tecnica di intaglio (Kerbschnitt) si ritrova nelle centinaia di ossuari trovati nelle tombe dei dintorni di Gerusalemme. Altra notevole innovazione sono gli archetti usati nell'imposta delle cupole degli ingressi erodiani al Tempio; questo particolare è anche imitato nella cupola di una tomba scavata nella roccia, nella Valle del Hinnom.
I periodi di turbamento corrispondenti alle due guerre contro i Romani (66-70 e 132-135) furono per forza di cose più periodi di distruzione che di attività artistiche; gli unici oggetti che qui val la pena di menzionare sono le monete coniate dalle autorità rivoluzionarie; sono naturalmente aniconiche in modo assoluto, ma contengono rappresentazioni di alberi e frutti, simboli della Terra Santa, e di varî oggetti relativi al culto. In particolare sono notevoli le monete della guerra di Bar Kŏsĕbā (la "Seconda Rivolta"), per la distribuzione del disegno sulla superficie della moneta e per l'iscrizione che l'accompagna.
Quando fu tornata la pace, la comunità giudaica della Palestina, ora concentrata nella Galilea, poté, tra le altre normali attività, riprendere anche quelle artistiche. Questa ripresa ci è confermata soprattutto dal III e dal IV sec., e in particolare dalla grande necropoli di Bēt She῾arīm (v.) e dalle sinagoghe galilee del tipo più antico.
A questo riguardo sono da notare due fatti: il primo è un maggiore impiego degli elementi essenziali di decorazione derivati dai modelli greco-romani, e in particolare dall'architettura siriaca del periodo romano. Ne sono prova sia l'uso generale di elementi architettonici derivati da quella fonte, sia i particolari degli edifici e delle facciate delle tombe. Il secondo fatto è il maggior impiego di immagini di esseri viventi, a causa principalmente del crescente desiderio delle comunità laiche di far uso di decorazioni simili a quelle comuni nell'ambiente dei Gentili; le autorità rabbiniche d'altro canto avevano accondisceso al desiderio del popolo ritenendo che il pericolo dell'idolatria, che in antico era stato la causa del divieto, ormai non era più di attualità. Di conseguenza troviamo sui bassorilievi delle sinagoghe e sui sarcofagi immagini di Vittorie alate o di angeli, di visi umani e persino di scene mitologiche o di genere; le sculture a tutto tondo rimasero invece limitate per lo più a figure di leoni. A Bēt She῾arīm troviamo anche un grande impiego di sarcofagi importati dall'Attica, con scene mitologiche, che venivano usati senza alcuno scrupolo persino nelle tombe di famiglie rabbiniche, e che naturalmente influenzarono l'arte locale. Tuttavia, nonostante la derivazione di elementi architettonici e decorativi dalla contemporanea arte dei Gentili, l'arte g. sviluppò diversi caratteri propri. Le sinagoghe del primo tipo, ad esempio, presentano una pianta interna che si differenzia da quella dei templi pagani per una navata trasversale; l'uso di un altare mobile per la Tōrāh non rendeva necessario un punto di vista fisso; nello stesso tempo la facciata della sinagoga, che seguiva il modello del comune tempio siriaco (porta centrale con frontone semicircolare impostato sull'architrave e due porte laterali), serviva a indicare la direzione di Gerusalemme. L'altra deviazione dal tipo corrente nell'epoca era evidente nei particolari della decorazione, che veniva eseguita da artisti locali. Osserviamo qui le caratteristiche orientalizzanti già notate nel periodo erodiano: stilizzazione della decorazione con tendenza al geometrismo; stilizzazione di quelle parti della figura umana (capelli, pieghe delle vesti) che si prestavano ad una versione geometrica; intensità di espressione nel viso umano, ottenuta in particolare con una maggiore dimensione dell'occhio e con la fissità dello sguardo; impiego di superfici ben contornate e dai colori vividi che davano alla decorazione architettonica un aspetto non dissimile da quello che avrà molto tempo dopo lo stile bizantino.
Fin qui si è parlato dell'arte g. nella sua propria sede; ma con l'espansione della Diaspora durante l'Impero romano, se ne trovano esemplari anche al di fuori della Palestina.
Tra i principali centri fin qui conosciuti è Roma, dove sono state trovate catacombe e molti esempî di arte funeraria giudaica. Lo stile della decorazione segue le tendenze dell'epoca, con l'aggiunta di simboli ebraici. Di carattere più originale sono i vetri dorati e i vasi di vetro giudaici. I primi in particolare abbondano di rappresentazioni del Tempio che seguono i principî dell'arte concettuale. I numerosi amuleti giudeo-gnostici sono interessanti più come esempi di simbolismo ebraico che come opere d'arte.
L'arte g. del tardo periodo romano produsse inoltre diversi cicli di scene bibliche. Le origini di tali cicli sono da ricercarsi nei circoli giudaici ellenizzati di Alessandria, che risalgono al periodo ellenistico.
I soli esempî rimasti di quest'arte si trovano però nella sinagoga di Dura Europos (v.) sull'Eufrate (metà del III sec. d. C.) e nelle miniature bizantine dei manoscritti dell'Ottateuco, del Salterio e di altre opere. Gli affreschi della sinagoga di Dura Europos sono il monumento principale di questo genere e sono influenzati nello stile sia dalla pittura ellenistica sia dall'arte parthica (iranica). Essi rappresentano una curiosa mescolanza di pittura impressionistica di stile greco e di principî di composizione chiaramente derivati dall'Oriente, come la posizione frontale delle figure principali e la maggiore dimensione del protagonista (come per esempio il Mosè nella scena del passaggio del Mar Rosso, ecc.). La disposizione degli affreschi in tre registri, ciascuno dei quali è suddiviso in diverse scene, ripete chiaramente la decorazione dei libri; l'artista d'altra parte, facendo uso d'una fascia narrativa, probabilmente accostava diversi quadri del suo prototipo in un unico disegno. In alcuni casi, come per esempio nei pannelli di Ezechiele, l'aspetto del personaggio principale varia da un pannello all'altro. I dipinti di Dura contengono, oltre a scene bibliche, materiale derivato da leggende ebraiche e testimoniano quindi che l'arte g. ha allargato i propri stretti limiti. Questi affreschi risalgono esattamente all'epoca del Rabbī Yōhanan di Tiberiade, che (per la prima volta nella legge ebraica) permise di dipingere immagini sui muri; non è quindi il caso di attribuire tali dipinti ad una comunità eterodossa. In ogni caso i miniaturisti bizantini hanno conservato un ciclo ben definito di scene bibliche che in parte (come nel sacrificio di Isacco) sono analoghe a quelle della sinagoga di Dura.
Lo stesso ciclo servì probabilmente come prototipo per gli ultimi esemplari d'arte g. e cioè per i pavimenti a mosaico delle sinagoghe dell'ultimo periodo (dal V all'VIII sec.). Queste sinagoghe da un punto di vista architettonico sono meno importanti delle precedenti; a causa dell'altare fissato sulla parete opposta all'entrata, nella maggior parte delle comunità fu pian piano introdotta la pianta basilicale, con l'abside volta verso Gerusalemme. Le sinagoghe erano pavimentate con mosaici dove le scene bibliche (in cui si illustrava un intervento divino o un salvataggio miracoloso, come l'Arca di Noè, Daniele e i leoni, ecc.) o le rappresentazioni simboliche del Paradiso (leoni a guardia di alberi, tralci di vite e pavoni) erano accostate alla rappresentazione dello Zodiaco e di oggetti riguardanti il culto. Anche qui troviamo una testimonianza contemporanea (del Rabbī Abūn) sulla concessione rabbinica di rappresentare tali soggetti. L'esecuzione dei mosaici varia molto a seconda dei mezzi della comunità e del talento degli artisti, ma persino nel caso di modesti operai locali, l'immagine che ne risulta, anche se chiaramente orientalizzante nella composizione e nei dettagli, è vigorosa ed originale. Con lo sviluppo della decorazione delle sinagoghe, sembra si possa constatare di nuovo un certo allontanamento dalle figure di persone; i mosaici dei pavimenti dell'ultimo periodo (Gerico) ci mostrano di nuovo solo pochi oggetti rinchiusi in una cornice geometrica. La conquista islamica e il movimento iconoclasta di Bisanzio cooperarono a far scomparire dall'arte g. le figure di esseri viventi.
In conclusione si può affermare che, a differenza del più antico periodo israelitico nella cui produzione artistica sarebbe difficile indicare qualche caratteristica genuinamente israelitica, il secondo periodo, molto più lungo, si sviluppò sotto l'influenza dell'arte greco-romana. Qui l'arte g. mostra un carattere molto più indipendente; mentre adatta ai suoi fini gli elementi formali dell'arte dominante in quell'epoca, essa segue i canoni orientalizzanti comuni ad altre civiltà dell'estremità orientale dell'Impero romano, come quella nabatea, paknirena, parthica, ecc. Ed è in questa cornice che dobbiamo giudicarla; ma grazie alla sua particolare vitalità essa sopravvisse alle rivali fino a tutto il periodo bizantino. In ogni caso un serio esame degli esemplari pervenutici dell'arte g. (che certo costituiscono solo una piccola parte di quanto quell'arte produsse) ci insegna come la proibizione biblica di rappresentare esseri viventi fu interpretata con uno spirito più liberale non appena il temuto pericolo dell'idolatria poté essere tranquillamente accantonato.
Un numero notevole di monumenti che gli scavi degli ultimi decenni hanno posto in luce in Palestina, non rientrano nel concetto di arte g., ma appartengono all'arte ellenistico-romana di età imperiale. In modo particolare ciò si applica ai numerosi mosaici pavimentali di basiliche cristiane, dal IV al VI sec., che hanno particolare importanza perché vi sono sovente inserite iscrizioni che permettono la loro datazione. Tra questi può ricordarsi qui in connessione con le tendenze giudaiche contrarie alla rappresentazione di esseri viventi, il mosaico pavimentale della chiesa di Khirbet ῾Asida, con raffigurazioni di fiori, frutta, ecc. entro medaglioni inseriti in un sistema di viticci, dove un leone, unico animale raffigurato entro uno dei medaglioni, è stato trasformato, mediante ritocchi del mosaico con tessere bianche, in una serie di elementi vegetali. Tuttavia è probabile che tale ritocco vada attribuito al movimento iconoclastico dell'VIII secolo. Di particolare interesse è, inoltre, la mappa geografica, inserita nel pavimento di una chiesa del VI sec. a Madaba, che rappresenta la Palestina da Biblo-Damasco a N, a Petra a E, ad Alessandria a S-O. Questo mosaico, che è il più antico esempio di carta geografica conservatoci in originale (dato che la Tabula Peutingeriana è copia medievale di una mappa del III sec.), è di particolare importanza per la topografia antica della Palestina. Un elenco generale di tali mosaici, compilato nel 1935, ne enumerava ben 424, dei quali 8 databili fra il 516 e il 601.
Bibl.: C. Watzinger, Denkmäler Palästinas, Lipsia 1933-1935; per i mosaici pavimentali: M. Avi-Yonah, in Quarterly Dept. Antiquit. Palest., II, 1933, p. 136 ss.; 163 ss.; III, 1934, p. 26 ss.; 49 ss.; IV, 1935, p. 187 ss.; D. C. Baramki, ibid., VI, 1936-37, p. 56 ss.; A. Reifenberg, Ancient Hebrew Arts, New York 1950; E. R. Goodenough, Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, I-VIII, New York 1953-58; H. Kohl - C. Watzinger, Antike Synagogen in Galiläa, Lipsia 1916; N. Avigad, Monuments in the Kidron Valley, Gerusalemme 1954; M. Avi-Yonah, Oriental Elements in the Art of Palestine in the Roman and Byzantine Periods, in Quarterly Dept. Antiquit. Palestine, X-XIV, 1940-50. Si vedano inoltre le voci relative alle singole località e, in particolare, D. C. Baramki-M. Avi Yonah, Early Christian Church at Khirbat ‛Asida, in Quarterly Dep. Antiquit. Palestine, III, 1934, p. 17 ss., tav. XI, 2; M. Avi-Yonah, The Madaba Mosaic Map, Gerusalemme 1954.