GALLO-ROMANA, arte
Si dà questo nome alla produzione artistica di età romana che si trova nel territorio della Gallia. L'arte g.-r. partecipa delle caratteristiche generali dell'arte provinciale romana, e ne rappresenta uno degli aspetti più importanti per numero e qualità di monumenti. A stretto rigore il termine dovrebbe essere applicato soltanto a quelle opere d'arte, eseguite sul posto da artigiani sia romani che galli, nelle quali la tradizione iconografica e stilistica ellenistico-romana si trova alterata in senso provinciale-popolaresco, sovente con recezione di tradizioni iconografiche e stilistiche celtiche; oppure, viceversa, quando opere tipicamente celtiche per contenuto si trovano espresse in forma derivata dalla tradizione ellenistico-romana. Ma questa rigorosa distinzione non viene sempre osservata e (specialmente da parte di studiosi locali) si tende a comprendere sotto la definizione di arte g.-r. indistintamente tutti i monumenti esistenti nelle province romane della Gallia, dando al termine piuttosto un significato storico-archeologico che non critico-stilistico.
L'arte g.-r. ha come presupposto di fondo l'incontro - o scontro - tra l'arte ellenistico-romana e quella celtica, che fin dalle invasioni celtiche in Gallia nel corso del VII sec. a. C. presenta caratteristiche assai spiccate e permanenti (v. celtica, arte). Perciò, mentre per altre regioni l'arte provinciale romana non è, sostanzialmente, che un aspetto della corrente popolare dell'arte romana (v. romana, arte), nelle regioni celtiche si ha la formazione di una civiltà artistica con caratteri propri e non priva di conseguenze per alcune caratteristiche delle civiltà artistiche nazionali, che si svilupperanno sulle rovine dell'Impero romano.
1. Architettura. - In ogni provincia dell'Impero, per ragioni varie, l'architettura romana ha assunto un aspetto particolare. Innanzi tutto subì l'influenza della tecnica e delle tradizioni preesistenti; inoltre ebbe la possibilità di fare prove ed esperienze nuove in questi paesi nuovi, ove non le veniva lesinato né lo spazio, né il danaro. Finalmente dovette adattarsi a clima e ad abitudini differenti da quelle dell' Italia; tutte queste cause hanno agito in modo diverso a seconda del grado di civiltà di cui le province godevano anteriormente. In Gallia esse hanno agito in pieno: non esisteva una vera e propria architettura in pietra o in muratura, l'ambiente era quindi atto ad ogni esperimento; la vita urbana si è sviluppata rapidamente in questo paese popoloso, laborioso e pieno di risorse naturali; il clima oceanico e continentale presentava esigenze particolari.
Nella provincia Narbonense, organizzata già dal 120 a. C. e profondamente romanizzata, città e architettura erano pressoché inesistenti sino all'epoca di Cesare e d'Ottaviano. Non vi sono monumenti dell'età repubblicana. In compenso l'èra di Augusto ha visto sorgere una profusione di monumenti, un certo numero dei quali è eccezionalmente ben conservato. Si dispone nella Narbonense di testimonianze di architettura augustea più numerose che in qualsiasi altra regione dell'Impero. Tuttavia questi edifici sono assai più romani che galloromani: li distingue l'audacia innovatrice che ne caratterizza alcuni, per esempio i grandi anfiteatri d'Arles e di Nîmes, in un'epoca in cui né Roma né l'Italia conoscevano ancora questi monumenti costruiti con grande uso di pietra squadrata, per lo meno nelle parti più visibili.
Nelle tre Gallie, sin dalla fine del I sec., si nota una peculiarità tecnica: l'uso di serie di mattoni che attraversano tutto lo spessore del muro, i cui paramenti sono di piccoli elementi. Questa tecnica compare timidamente, nell'anfiteatro di Lione (un filare di mattoni), nella cinta traianea di Strasburgo, poi i filari si moltiplicano, in genere tre ogni sei elementi di pietre nelle terme di Lutetia (museo di Cluny); finalmente i filari di mattoni diventano più numerosi di quelli di pietra, nelle terme di Treviri e nelle terme dette di Costantino ad Arles. Questo genere di tecnica appare raramente altrove: si ritrova nell'Italia settentrionale ed eccezionalmente nel palazzo di Diocleziano a Spaiato, o anche in taluni monumenti dell'Africa settentrionale. Il suo uso quasi sistematico in Gallia fa pensare che essa continui l'abitudine gallica di armare con travi in legno i muri di cinta e forse il suo sviluppo è stato determinato dall'umidità del clima; lungi dall'avere scopo decorativo perché le mura erano ricoperte di spessi intonaci, questi filari di mattoni costituivano legamenti e sbarramenti orizzontali che impedivano all'umidità e alle crepe di estendersi verticalmente nelle mura.
Un altro particolare tecnico è ora conosciuto meglio in Gallia: l'ipocausto con canali a raggiera. Il riscaldamento per ipocausto a suspensurae di mattoni ebbe successo in questo paese dai freddi inverni: si è diffuso ovunque insieme con le abitudini romane di vita; tanto nelle abitazioni private, quanto nelle terme o altri edifici pubblici, come le basiliche. Ma questi caloriferi avevano un grave inconveniente: la loro fragilità, essendo le suspensurae, legate con argilla, sottoposte a temperature altissime. Perciò spesso alle suspensurae furono sostituiti canali a raggiera in muratura, attraverso i quali passava l'aria calda: così a Montcare (Dordogna), Sens (Yonne), alle Fontaines-Salées (Yonne), nella villa di Montmaurin (Alta Garonna). Altrove le suspensurae furono sostituite da nuclei in muratura.
Altra sistemazione originale: in Gallia, ricca di estese foreste, le scale in legno erano certamente molto diffuse, giacché le cinta delle città, ad esempio, non presentano scale in muratura d'accesso al camminamento né all'interno né all'esterno delle torri, mentre nel Nord Africa, in cui mancava la buona legna da costruzione, le scale sono di regola in muratura.
Citeremo alcuni esempi dei tipi e della struttura degli edifici locali. Nelle abitazioni private, spesso il pianoterra è costruito sopra una profonda cantina, ben sistemata con scala in un angolo, finestre e nicchie nel muro. Queste cantine, note specialmente nell'Alesia gallo-romana, continuano la tradizione della casa gallica, la quale, secondo gli autori, era in parte affondata nel suolo. Veri camini a focolare semicircolare riscaldavano durante i lunghi inverni: se ne trovano numerosi esemplari ad Alesia. La casa stessa differiva spesso decisamente dalla casa greco-romana: nel sarcofago di Simpelveld (museo di Leida) si vede una casa alta dal tetto aguzzo, che ricorda, senza molti cambiamenti, tipi di costruzioni moderne.
La villa gallo-romana poi aveva spesso la facciata a galleria tra due ali rettangolari; pianta propria ancor oggi a più di una residenza di campagna.
Sono tre i tipi di monumenti pubblici propri all'architettura gallo-romana:
a) Il tempio di tipo indigeno, di cui esistono esempi a decine, tutti posti fuori della Narbonense. È a pianta centrale; quadrato o quasi quadrato, o poligonale o circolare o cruciforme (quadrato: cosiddetto "tempio di Giano" ad Autun; circolare: "la torre di Vesona" a Périgueux; cruciforme: a Sanxay, Vienne). Generalmente è circondato da un deambulatorio più basso del corpo centrale, coperto da travi di legno. È poco luminoso, essendo le finestre strette e situate in alto; il tempio ha nel centro un altare ed è aperto verso oriente.
b) L'anfiteatro a scena. I giochi negli anfiteatri, specie le cacce, ebbero grande successo in Gallia. Anfiteatri vennero costruiti non solo nelle città o nei loro immediati dintorni, ma anche in piena campagna, ai crocevia importanti, luoghi di temporanee riunioni, con teatri, terme, santuarî, osterie. Non era sempre possibile costruire un intero anfiteatro tutto in pietra; era il più costoso e tecnicamente il più difficile tra gli edifici pubblici. Si pensò quindi di costruire un po' più della metà dell'anello di gradini, addossandolo ad un rialzo di terreno sostituendo l'altra parte dei gradini con una scena di teatro. Questi monumenti, non troppo costosi, erano essenzialmente degli anfiteatri, ma potevano all'occasione servire da teatro. Così, tra altre, le arene di Lutetia, di Senlis, di Sanxay. Questo tipo di edificio, non sembra esistere fuori della Gallia.
c) Sotto il Foro, che in Gallia consiste spesso in uno spazio chiuso da muri, usati come appoggio delle botteghe, venivano di frequente sistemate ampie gallerie sotterranee, illuminate da finestrelle; queste gallerie erano divise, secondo l'asse maggiore, da una serie di colonne. Oggi se ne conoscono tre esemplari: ad Arles (il cosiddetto criptoportico), a Reims, a Bavai (N); l'unico esempio conosciuto di questo tipo, fuori della Gallia, si trova ad Aosta. Queste gallerie a cui si accedeva attraverso una modesta scala, servivano al pubblico di rifugio in caso di cattivo tempo e anche da deposito viveri. Quelle di Bavai e di Reims sono, difatti, protette da una doppia parete contro l'umidità del suolo.
Si può inoltre attribuire all'arte g.-r. una forma particolare della plastica monumentale: l'uso di decorare di sculture tutta la superficie degli archi municipali e trionfali, se è vero che questa abitudine è sorta nella Narbonense (St. Rémy de Provence, Orange, Carpentras) e si è diffusa non solo nel resto della Gallia (Reims, Besançon, Magonza), ma anche nelle altre province dell'Impero.
2. Scultura religiosa. - È in questo campo che la scultura gallo-romana si distingue particolarmente, per due differenti aspetti, dalla scultura romana: l'iconografia divina che illustra il pantheon nazionale e la scultura funeraria.
A) Iconografia degli dèi indigeni: l'originalità si rivela innanzi tutto nei soggetti; i Galli hanno conservato gran parte delle loro divinità nazionali, che spesso si avvicinavano alla forma animalesca, inoltre hanno modificato l'aspetto degli dèi romani, assimilandoli ai propri. Ma hanno anche conferito all'arte religiosa una rudezza popolaresca, una familiarità ed anche una vis comica loro particolare.
Appartengono alla sola iconografia gallo-romana i seguenti soggetti (divinità animali o semi-animali): serpenti a testa di montone, toro con tre gru, toro a tre corna, cinghiale a tre corna; il dio o la dea con corna di cerbiatto. Divinità che sono in relazione con gli animali: Epona, dea dei cavalli; Artio, dea degli orsi; Arduinna, dea dei cinghiali. Altre divinità: Esus, colui che abbatte gli alberi; Sucellus, dio con maglio e botte, oppure vaso del cibo; Iuppiter Taranis, dio del cielo e del tuono, portatore della folgore e della ruota, talvolta a cavallo, atterrante un gigante a coda di serpente; Mercurius, portatore del martello, dio dell'industria e del commercio; Rosmerta, la "Provvidenza", data come compagna a Mercurio; Smertrios, che abbatte il serpente con la spada; le tre Matres, dee-madri, che dedicano le cure al bambino; le dee dei crocevia, Biviae, Triviae, Quadriviae, note dalla "terra sigillata" (v.).
Particolarmente significative alcune opere, per le quali mancavano i modelli da copiare, come il bassorilievo del monumento dei Nautae Parisiaci, elevato a Lutetia sotto Tiberio e dedicato a Giove, su cui, accanto alle grandi divinità romane, si trovano gli dèi celti: Esus, Tarnos, Trigaranus, (C)ernunnos dalle corna di cervo, Smertrios; sul pilastro di Mavilly (Costa d'Oro) si vede un dio guerriero con cotta a maglia, forse il Teutates gallico, e accanto un serpente a testa di montone; sulla stele di Reims (C)ernunnos sta vicino ad Apollo e Mercurio; numerosi bassorilievi rappresentano Epona, seduta di lato su un cavallo; infine, il dio dal maglio è, con Mercurio, il soggetto più diffuso nelle statuette in bronzo.
Decisamente gallo-romano è un genere di monumento votivo dedicato a Giove, frequente nella Gallia settentrionale ed orientale: la "colonna di Giove". Talvolta il re degli dèi uccide il gigante anguipede. Forse il soggetto è ispirato alla gigantomachie classiche, ma la colonna o il pilastro portante sono particolari alla Gallia, così pure la rappresentazione dei Pianeti, che occupano spesso il campo mediano del monumento (v. colonna: colonne di Giove e dei giganti).
B) Scultura funeraria: le province gallo-romane sono state tranquille e prospere sino alle invasioni germaniche della seconda metà del III sec.; in tutto l'Impero principi illuminati e abili incoraggiavano una concezione stoica della vita, secondo la quale le tribolazioni sopportate in questo mondo, vengono ricompensate nell'Aldilà.
Queste credenze sono riflesse nella scultura funeraria; come l'Egitto sulle pareti delle tombe, così la Gallia romana sulle pietre tombali presenta l'intera serie delle umane attività, la varietà delle arti e dei mestieri.
Queste "scene di genere" sono assai numerose e vane nell'arte gallo-romana.
Soggetti: banchetti funebri, in cui i vivi si uniscono ai morti, in un convito commemorativo; il viaggio definitivo viene evocato familiarmente da una carriola, una barca, un uccello; l'attività pericolosa, con una caccia o corsa di carri; il lavoro con un contadino che ara, un negoziante, un fullone, un tessitore, sarto, calzolaio, fabbricante di zoccoli, muratore, carpentiere, fabbro, bottaio, spaccalegna, carrettiere, ecc. Alcune di queste scene, il mercante di stoffe, il mugnaio o il fornaio, sono imitate da prototipi ellenistici o romani; altre sono più propriamente gallo-romane, specie quelle che si riferiscono ai mestieri che sono in relazione con il legno.
L'interesse presentato da quest'arte funeraria consiste nella sua espansione in tutte le regioni della Gallia e nell'anticipare alcuni caratteri che si ritroveranno nella scultura francese del Medioevo: semplicità un po' rigida negli atteggiamenti e nei panneggi, dolcezza d'espressione, ingenua familiarità dei soggetti. Si tratta evidentemente di arte popolare, anche se compare nei sontuosi mausolei delle grandi famiglie, note in Renania, a Igel o a Nimega : qui la stele funeraria gallo-romana diventa un pilastro istoriato, sul quale i simboli cosmici sono affiancati alle scene della vita del grande mercante in stoffe o in vini.
3. Artigianato artistico. - L'artigianato artistico galloromano strettamente connesso, in parte, con la tradizione celtica pre-romana, ha taluni aspetti particolari. Tali aspetti si manifestano nella incisione monetaria della Gallia indipendente, nella ceramica figurata, nelle "terre sigillate" della Gallia romana, e nell'arte dello smalto. Per le monete galliche, v. celtica, arte. Per i motivi gallici della "terra sigillata", va tenuto presente che la Gallia imitò la ceramica aretina e divenne rapidamente una grande produttrice di vasellame, fabbricato specialmente nel centro del paese (La Graufesenque, Lezoux) ed esportato in tutto l'Impero. La decorazione a rilievo di questa ceramica fabbricata su forme si è differenziata rapidamente dai vasi aretini: essa rispecchia in certo qual modo l'iconografia gallo-romana (v. Terra sigillata). La decorazione è sempre molto carica, divisa in scomparti, senza vuoti: tendenza che si ritrova nella plastica ornamentale dei monumenti pubblici (archi) o sepolcrali (mausolei). I soggetti subiscono deformazioni che ricordano quelli dell'arte di La Tène o preludono a quella del Medioevo; estensione orizzontale del corpo degli animali (cervo, cane in corsa), riduzione del corpo alla sola testa o alla maschera. La spirale celtica si fonde intimamente con le combinazioni geometriche. Alcuni motivi, rari altrove, si ripetono qui frequentemente, così il quadrupede androfago. In ultimo gli dèi dell'Olimpo assumono un aspetto familiare e caricaturale che in certo modo riecheggia il repertorio divino della ceramica greca e rivela quanto gli dèi antropomorfi fossero strettamente legati alla vita della Gallia.
Smalti. - L'arte dello smalto conobbe nell'epoca galloromana un grande successo. Risale ad una tecnica celtica ed è stata usata per decorare anelli, orecchini, placche e sinanche recipienti; la sua tradizione risalirebbe alla protostoria: fiorì sotto l'Impero nel II e III sec., tanto in Gallia quanto nelle isole britanniche; evidente è in essa il gusto dei Celti per i contrasti di colore e per i motivi geometrici e lineari.
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