ΜAΤHURĀ, Arte di (v. vol. IV, p. 928)
I ritrovamenti archeologici nella città e nel distretto di M. (Uttar Pradesh, India) hanno fornito una copiosa documentazione di sculture in terracotta e in pietra, testimonianze della lunga tradizione artistica di questa località. Situata 145 km a S di Delhi, crocevia di importanti vie commerciali, nonché al centro dei movimenti religiosi dell'epoca antica, M. diventò un vitale centro artistico. L'arte di M. fu quella che in India ebbe vita più lunga, con un arco di tempo superiore a un millennio. Grazie alle testimonianze pervenuteci, il suo sviluppo può essere seguito a partire dal IV sec. a.C. fino al Medioevo.
Sulla base dei risultati ottenuti dagli scavi, si può affermare che i più antichi insediamenti sia nell'area urbana sia nell'intero distretto risalgono al periodo della Ceramica rossa e nera (Black and Red Ware) e della Ceramica grigia dipinta (Painted Grey Ware), ossia, a M., intorno al 700 a.C. circa. Si passa poi all'epoca della Ceramica nera polita del Nord (Northern Black Polished Ware), che si spinge sino al II-I sec. a.C. e che coincide con la fase dell'urbanizzazione della valle del Gange (v.).
Nell'antichità, la città e il territorio circostante diedero origine a uno dei sedici regni (Mahājanapada), lo Śūrasena, che nel III sec. a.C. entrò a far parte del vasto impero maurya. L'appartenenza di M. al successivo regno śuṅga (II sec. a.C.) non è accertata, per cui gli elementi stilistici di ispirazione śuṅga nelle opere di M. vanno più genericamente riportati a quella che potremmo chiamare una fase culturale śuṅga. Alla fine del II sec. a.C., la regione di M. diviene uno degli stati locali autonomi dell'India settentrionale, governato dalla dinastia Mitra, il cui sovrano più importante fu Sūryamitra.
Intorno al I sec. a.C., epoca di grandi sommovimenti storico-politici, lo stato di M. viene inglobato nel regno scito-partico dell'India del Nord-Ovest. Sono ora sovrani gli Śaka, ossia gli Kṣatrapa, i quali tuttavia garantiscono ai Datta di M., successori dei Mitra, una certa autonomia. Ma nello stesso secolo ha inizio un'era assai densa di avvenimenti: gli Śaka sono espulsi e M. entra nell'orbita politica dei Kuṣāṇa, il cui centro politico era la Battriana. M. diviene così la capitale orientale di un grande impero multinazionale e, in quest'epoca di grande fermento religioso, durante il regno di Kaniṣka I, Huviṣka e Vāsudeva (II-III sec. d.C.), vede un'importante fioritura artistica. L'arte di M., destinata a ulteriore raffinamento in epoca gupta, proprio nel periodo del dominio kuṣāṇa ha modo di esercitare la sua massima influenza sullo sviluppo delle tradizioni artistiche indiane. Nei secoli che precedono il Medioevo indiano (X-XII sec.), M. perde ogni importanza politica e culturale.
L'arte di M., come tutta l'arte indiana, ha carattere prevalentemente religioso. Essa affonda le sue radici nel periodo in cui vengono elaborate le prime iconografie divine. Le sue manifestazioni rispecchiano la situazione religiosa dell'epoca, di innegabile importanza storica, ma ancora assai poco chiarita, soprattutto per quanto riguarda la popolarità di certe divinità e culti. Il significato dell'arte di M. risiede non soltanto nel suo valore estetico, ma anche e piuttosto nel suo contributo iconografico e creativo; essa ha dato veste figurativa a svariate divinità, la cui natura e il cui aspetto erano noti o immaginabili dagli artisti soltanto tramite la letteratura religiosa e la pratica del culto.
Tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C., quando M. divenne un centro particolarmente vitale del buddhismo, del jainismo e delle varie sette dell'induismo, sorsero i prototipi di tutta una serie di figure divine appartenenti a tali religioni, che furono ben presto assunti come modelli tradizionali di riferimento. Diversamente dall'arte del Gandhāra (fiorita nell'India nord-occidentale, e in parte coeva), l'arte di M. si sviluppò sin dall'inizio su uno sfondo religioso eterogeneo. Agli inizî della loro attività (IV-II sec. a.C.), quando la pietra non era ancora il principale materiale impiegato nella scultura, gli artisti di M. non dovevano aver concepito in termini figurativi le divinità, dal momento che le immagini cultuali cominciano a essere elaborate non prima della fine del II sec. a.C.
In un primo tempo, l'arte di M. si esprime attraverso la terracotta; il tema prediletto è la dea madre, anonima espressione delle credenze popolari. Essa domina la produzione fittile per almeno due secoli; le sue forme sono molto ben determinate e definiscono le basi dello stile di M., la cui evoluzione si segue a partire da epoca premaurya, attraverso il periodo maurya, fino alle opere attribuibili alla fase culturale śuṅga. Le prime immagini sono modellate a mano in terracotta grigia, spesso dipinta di nero. Il più antico tipo di dea madre (IV sec. a.C.) affonda le radici nella primitiva arte popolare; essa è riconoscibile dal viso a forma di muso animale, dagli occhi di disegno arbitrario e dalla bocca mal definita. Alcuni esemplari palesano già un certo raffinamento che segna il passaggio al tipo maurya: un corpo modellato a mano, la testa di dimensioni maggiori, tratti del viso ben caratterizzati e ornamenti applicati. La dea madre maurya è contraddistinta da un viso sottile, da una bocca piccola che non mostra ai lati segni di sorriso, da una capigliatura molto aderente alla testa divisa da una riga al centro e da occhi resi con una semplice linea ellittica a rilievo. I gioielli consistono di regola in due strisce ornate da motivi circolari e da una grande rosetta a forma di ombrello sulla testa. Le figurine fittili della fase culturale śuṅga sono invece caratterizzate, nella maggior parte dei casi, da una testa interamente ottenuta a stampo. Il viso è largo con pieghe verticali agli angoli della bocca, le sopracciglia sono spesso doppie e l'attaccatura dei capelli sulla fronte è ad angolo retto. Il corpo è modellato a mano e la testa viene fissata a esso mediante piccoli perni.
Nel II sec. a.C. compaiono le prime placche in terracotta integralmente a stampo, in parte anche rosse per effetto della cottura. Inizialmente il tipo iconografico dominante è ancora la dea madre, rappresentata talora nella forma di madre con bambino. A partire dalla fine del II sec. a.C. la placca diviene la forma più frequente per rappresentare figure umane in terracotta. Le immagini di animali - elefanti, buoi e cavalli - non rientrano in questa tipologia. L'arte della terracotta sviluppa nelle epoche successive nuove forme stilistiche e nuove tematiche, ma a partire dal I sec. a.C. il primato passa alla scultura in pietra, sempre più diffusa.
La produzione in pietra di M. non può essere studiata in situ, ossia negli edifici di culto conservatisi integri o varîamente rimaneggiati, ma solo sulla base di singoli elementi provenienti da tali costruzioni, attualmente in musei e in collezioni. Quest'arte ha conservato attraverso i secoli un peculiare tratto che la rende immediatamente riconoscibile: le sue opere sono realizzate quasi esclusivamente in un'arenaria rossastra, proveniente dalle cave di Sikri e dintorni, picchiettata di macchioline chiare e spesso impreziosita da venature grigio-giallastre, e per questo di facile identificazione. Solo a partire dall'Alto Medioevo verranno impiegati a M. altri tipi di pietra.
Le sculture più antiche risalgono alla fine del II sec. a.C. e si tratta di figure isolate, lavorate a tutto tondo, di esseri mitici legati al mondo delle credenze popolari, yakṣa (v.) e nāga (ν.) di ambo i sessi. Tali opere, come p.es. il famoso Yakṣa di Parkham, sono state spesso attribuite a un'epoca troppo antica. In realtà la maggior parte di esse sono state realizzate durante il regno dei sovrani Mitra di M., ossia nel I sec. a.C. Il loro aspetto statuario servì da modello a molte delle prime iconografie divine.
Presto quindi cadde il divieto della religione Brahmāṇīca, incentrata sul sacrificio e avversa alle immagini, e si passò a un culto delle immagini delle divinità già adorate, accettato dalle altre religioni dell'India. Questo capitale mutamento politico-religioso non tardò a creare nuove condizioni per la produzione artistica. Le botteghe lavoravano per committenti di religioni diverse.
Le immagini di culto venivano prodotte per essere destinate non solo alle celle dei templi, ma anche, e in quantità ben superiore, all'ambito cerimoniale domestico, sebbene in tal caso fossero di minori dimensioni.
A causa delle ripetute distruzioni che la città e l'area circostante ebbero a subire, non si dispone di una sufficiente documentazione per quanto riguarda gli edifici di culto. Alcuni rilievi rappresentano templi a torre o innalzati intorno a un albero sacro, documentati probabilmente nella loro forma più antica. Un altro rilievo mostra la curvatura di un edificio absidato, forse il tipo di tempio più diffuso nell'India antica. I templi absidati sono anche l'unica forma di edificio cultuale archeologicamente accertata nell'area di Mathurā. Gli scavi di Sonkh hanno riportato alla luce le fondazioni di templi simili, databili tra il 100 a.C. e il 100 d.C. circa.
Accanto ai templi absidati, gli edifici di culto più diffusi dell’epoca erano gli stūpa (v.), sia buddhistici che jaina,
Numerosi pilastri, pietre di copertura, elementi divisori e architravi, decorati da rosette lotiformi e altri motivi e figure, testimoniano l'esistenza di balaustre di pietra (vedikā) erette attorno a tali monumenti. Il più importante rinvenimento di balaustra relativo a uno stūpa buddhistico è stato effettuato nel 1985 a Saṅghol (v.), nel Panjab. Più di 100 sculture provenienti da elementi della balaustra decorati con figure in rilievo nel tipico stile di M. testimoniano che l'influsso artistico di questa città si spinse ben oltre i suoi confini.
L'arte di M. raggiunge l'apice nella sua prima fase di vita, e cioè all'epoca delle dinastie Mitra, Kṣatrapa e Kuṣāṇa, tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C.; le sue caratteristiche sono uno stile rustico, che si mostra nei corpi; forti ed esuberanti, ma soprattutto nei volti delle figure umane. Altre caratteristiche sono gli occhi fortemente incavati, le palpebre ben aperte, le sopracciglia accentuate e la bocca inscritta in una sorta di cerchio. Ulteriori segni distintivi sono i larghi e pesanti monili - collane e orecchini - delle figure maschili e le originali cinture delle figure femminili. In questa fase stilistica convivono elementi che richiamano l'epoca mitra e kṣatrapa e tratti peculiari al periodo kuṣāṇa e tardo-kuṣāṇa, quali p.es. la sostituzione del diadema alla corona a forma di turbante nell'acconciatura delle immagini maschili principesche, oppure, in genere, il diverso trattamento della linea sopracciliare, da diritta ad accentuatamente ricurva.
Se si confronta il tipo di rappresentazione aggraziata e vivace della prima fase di M. con le opere del successivo periodo «classico», risulta evidente il passaggio a un diverso ideale di bellezza. L'artista di epoca gupta mira a superare la posa statuaria e il carattere severo dell'arte antica, rappresentando le figure umane in età giovanile, in movimento o nel corso di una determinata azione. Vengono creati corpi impegnati in movimenti articolati e dalle proporzioni perfette. I volti degli dèi sono ora spiritualizzati, le palpebre ricadono sul globo oculare. L'uso dei gioielli è ridotto al minimo; le vesti ricoprono il corpo in maniera poco appariscente per non disturbarne le forme. Ornamenti e motivi vegetali vengono resi nei minimi dettagli. L'imponente Buddha stante conservato al museo cittadino è giustamente considerato il capolavoro dello stile gupta di Mathurā.
L'arte di M. d'epoca gupta esercitò un notevole influsso sulle altre scuole indiane, ma il limitato numero di opere di questo periodo denuncia una crescente concorrenza da parte di altri centri e il progressivo decadere della città quale sede di ulteriori sviluppi artistici. Tra la fine del periodo gupta e il Medioevo, l'arte di M. decade a livelli mediocri.
Tra i principali compiti degli scultori di M. era la decorazione degli elementi architettonici, prime fra tutti le fusi dell'epoca erano gli stūpa (v.), sia buddhistici che jaina. balaustre in pietra di stūpa e templi. I montanti venivano decorati con fiori di loto, le cimase recavano spesso anch'esse una decorazione floreale. Uno dei massimi risul tati artistici dell'arte di M. è dato dalle figure femminili rappresentate sui pilastri delle balaustre, yakṣī dai fianchi larghi e seno prosperoso, di grande sensualità, conservatesi in buon numero. Vestite solo di una cintura riccamente decorata, o a volte, anche di una sciarpa, esse venivano rappresentate con pari abilità in posa frontale, lateralmente o dal retro, spesso con un oggetto o un recipien te nelle mani oppure con le braccia protese verso i rami di alberi in fiore. I rilievi con vere e proprie scene sono alquanto più rari e decorano la parte posteriore di pilastri e architravi.
Le balaustre in pietra venivano costruite di solito intorno agli stūpa buddhistici e jaina, più raramente racchiudevano aree sacre ed edifici di culto hindu. Le più antiche sculture di M., provenienti da balaustre, risalgono al I sec. a.C., ma la maggior parte di esse è databile a epoca kuṣāṇa (I-III sec. d.C.).
Gli autori delle decorazioni architettoniche si dedicarono con non minore impegno alla creazione delle prime immagini del Buddha e dei Jina, e all'elaborazione di un'iconografia delle divinità hindu, affrontando, come vedremo, difficoltà del tutto nuove.
Dopo una breve fase aniconica, in cui l'immagine del Buddha era resa per mezzo di simboli come il trono, le impronte dei piedi, l'albero dell'Illuminazione, ecc., nell'arte di Bhārhut e di Sāṅcī, ebbe luogo un'importante evoluzione all'interno del culto buddhista. La prima rappresentazione del Buddha in sembianze umane fu un avvenimento di grande portata da un punto di vista sia religioso che storico-artistico. Per quanto riguarda la questione della prima rappresentazione antropomorfa del Buddha, e cioè se essa sia stata prodotta dagli artisti di Μ. o del Gandhāra, da un secolo a questa parte non si riesce a raggiungere un accordo. Inizîalmente gli studiosi erano inclini ad attribuire il primato all'arte di M., ma il dibattito era viziato dall'opinione che i Buddha del Gandhāra e di M. si differenziassero soltanto da un punto di vista stilistico. La situazione cambiò quando si riconobbe che con le loro prime sculture gli artisti di M. esprimevano del Buddha un'idea completamente diversa da quella dell'arte gandharica. I più antichi rilievi del Gandhāra che possono essere oggetto di confronto presentano il Buddha seduto in meditazione, in compagnia degli dèi Śakra (= Indra) e Brahmā. I primi rilievi di M. raffiguranti il Buddha seduto gli attribuiscono un portamento molto virile, con il braccio destro sollevato e la mano sinistra poggiata con atto consapevole sulla gamba sinistra piegata. Il volto rivela tratti volitivi, i capelli sono tirati in su e raccolti in un nodo spiraliforme. Si tratta dell'acconciatura di un asceta, non dell’uṣṇīṣa. Accompagnato da due figure recanti una foglia di palma o da una figura e dal genio tutelare Vajrapāni, il Buddha siede su un regale trono leonino. Contrariamente alle prime rappresentazioni gandhariche del Buddha meditante, questa immagine non rappresenta il Buddha Illuminato, ma la forma perfetta del Macrantropo (mahāpuruṣa), che riunisce i requisiti profetizzati propri a un sovrano universale (cakravartin) o a un Buddha. Questo tipo di immagine, che dall'acconciatura spiraliforme è detto anche kapardin, era rappresentato sia assiso sia stante. Si tratta in sostanza di un essere dalla duplice natura, definito «bodhisattva» nelle iscrizioni dedicatorie sulle basi delle stele. Per questo tipo, che va distinto dalle posteriori, vere e proprie figure del Buddha, si deve usare la denominazione di «Buddha Cakravartin».
Il tipo del «Buddha Cakravartin» di M. è attestato nelle iscrizioni fino all'anno 51 dell'èra di Kaniṣka, ossia fino alla seconda metà del II sec. d.C. È in quest'epoca che a M. le immagini dell'Illuminato adottano la veste gandharica, perdendo così la loro originalità. Quando recano iscrizioni, tali immagini sono dette del Buddha o del Buddha Śākyamuni. Solo gli artisti gupta riusciranno a creare ancora una volta un'immagine del Buddha artisticamente rilevante. Col declino del buddhismo in India, anche nelle botteghe di M. vien meno il repertorio di temi ispirati a questa religione.
Accanto ai diversi tipi iconografici del Buddha, gli artisti di M. produssero anche sculture e rilievi di Bodhisattva, cioè di un essere che non è ancora maturo per la «buddhità» e che anela alla totale Illuminazione. La sua figura è adorna di gioielli profani e non può in nessun modo, quindi, essere confusa con le immagini già viste recanti l'attestazione epigrafica del termine bodhisattva.
Da un punto di vista storico-religioso, le figure di Bodhisattva ingioiellati pongono notevoli difficoltà di interpretazione: rappresentano esse Śākyamuni prima della sua Illuminazione o sono da identificare con i Bodhisattva del buddhismo Mahāyāna? Quest'ultima ipotesi è la più verosimile. Nel 1975 è stata rinvenuta a M. la base di una figura stante, risalente all'anno 26 dell'èra di Kaniṣka; grazie a un'iscrizione sulla base sappiamo che la stele rappresentava il Buddha Amitābhā. Ciò significa che il Mahāyāna aveva esercitato il suo influsso sull'arte di M. molto prima di quanto si pensasse. In essa è inoltre attestato il culto di Maitreya, il Buddha Venturo, il cui peculiare attributo iconografico è una fiaschetta, portata con la mano sinistra. Già all'epoca di Kaniṣka I, come testimoniano le monete con la relativa leggenda, accanto a quello del Buddha Śākyamuni esisteva il culto del Bodhisattva Maitreya, inteso e venerato come «Buddha» Maitreya. Tuttavia, sia nella scultura sia nella monetazione egli è rappresentato nelle vesti di Bodhisattva, anche quando è raffigurato insieme ai Buddha del passato e a Śākyamuni.
Diversamente da quanto accade nell'arte gandharica, scene narrative di contenuto buddhistico si incontrano a M. di rado, per lo più su stūpa votivi, e inoltre non denotano particolare qualità artistica; in genere esse si limitano alla rappresentazione degli avvenimenti più importanti della vita del Buddha.
Figure e rilievi riconducibili alla religione jaina (v. jaina, iconografia) sono attestati a M. in una quantità di poco inferiore a quelli buddhisti. A tal riguardo, la più rilevante scoperta è costituita dal monastero jaina di Kaṅkālī Ṭīlā, a Mathurā. Al centro dell'interesse è qui il riformatore religioso contemporaneo del Buddha, il predicatore Jina e i suoi 23 predecessori, ossia i 24 Tīrthaṃkara. Le più antiche raffigurazioni di M. del Jina ricorrono all'interno del cerchio centrale di tavolette cultuali di forma quadrata (āyāgapaṭa), risalenti agli inizî del I sec. d.C. Analogamente al Buddha, il Jina siede a gambe incrociate su una sorta di trono, ma alcune particolarità lo contraddistinguono dall'Illuminato. Le più antiche rappresentazioni del Jina lo ritraggono ignudo, con entrambe le mani poggiate sul grembo, nel gesto della meditazione; non mostrano alcuna acconciatura dei capelli, mentre sul petto è spesso visibile lo śrīvatsa, simbolo di buon auspicio. Anche i più antichi Jina stanti sono rappresentati ignudi; essi sono caratterizzati da un portamento eretto, destinato a restare identico nel corso dei secoli, con le braccia strettamente aderenti ai lati del corpo. La differenziazione dei singoli Tīrthaṃkara ebbe luogo a partire dagli inizî dell'epoca kuṣāṇa, e fu a M. che probabilmente furono rappresentate per la prima volta anche altre figure d'ambito jaina, tra cui Harinegameṣin e Revatī, caratterizzate da teste animali. È interessante rilevare come nel repertorio figurativo jaina si incontrino anche divinità Brahmāṇīche, quali p.es. Vāsudeva-Kṛṣṇa e Balarāma. Gli scultori di M. crearono infatti anche prototipi di numerose divinità hindu, alcuni dei quali sono da considerare anteriori alla rappresentazione antropomorfa del Buddha e del Jina. Balarāma, Vāsudeva-Kṛṣṇa e Śiva, così come Durgā, devī originatasi nel culto delle dee madri, stanno all'inizio della scala delle opere figurative hindu della scuola di Mathurā. Gli artisti dovettero assumersi compiti assolutamente nuovi e pervennero a risultati straordinarî: le prime sculture di divinità indiane a più braccia e a molte teste. Di certo notevoli furono le difficoltà che si presentarono nel decidere l'ordine delle diverse braccia, e se esse dovessero partire dalla spalla o dai gomiti o quale fosse da un punto di vista estetico la loro migliore disposizione, ecc. Dunque la più antica arte di M. contribuisce a chiarire anche l'evoluzione delle iconografie divine. Da tal punto di vista, il periodo compreso tra la fine del I sec. a.C. e la fine del II sec. d.C. si identifica con il momento più fruttuoso e importante di tutta la storia dell'arte indiana.
Gli studi condotti sulle sculture hindu di M. hanno portato negli ultimi tempi a conoscenze che contribuiscono a correggere molte interpretazioni tradizionali. Alcuni risultati significativi possono illustrare questo fatto.
La più antica rappresentazione di un dio hindu è quella del fratello maggiore di Kṛṣṇa, Saṃkarśana o Balarāma, armato di clava e aratro e stante dinanzi a un cobra eretto, che dunque lo identifica come incarnazione del dio dei serpenti. Con l'inizio dell'epoca kuṣāṇa, Vāsudeva-Kṛṣṇa viene rappresentato in rilievi destinati al culto domestico. È rappresentato con quattro braccia, l'una nel gesto che simboleggia la sovranità, le altre con la mazza, la ruota e la conchiglia come attributi. Questa figura, spesso erroneamente identificata come Viṣṇu, riflette soltanto il primo stadio evolutivo della concezione iconografica del dio, la quale non verrà definita prima del 300 d.C. (v. viṣṇu).
Una forma molto singolare è costituita anche dall'immagine di Śiva (v.), che, dopo esser stato rappresentato aniconicamente in forma di liṅga (v.), è raffigurato a M. solo come dio itifallico a due braccia.
Già da epoca pre-kuṣāṇa, assume un ruolo di rilievo la dea Durgā quale Mahiṣāsuramardinī, ossia «colei che uccide il demone-bufalo Mahiśa». Le sue prime rappresentazioni figurate risalgono al I sec. a.C., ma in epoca kuṣāṇa il suo modulo iconografico di base si conserva. La dea, a quattro o sei braccia, è raffigurata in posizione stante; con le braccia anteriori tiene stretto a sé il bufalo, sollevandone il collo con la mano sinistra e facendo pressione sulla spina dorsale con la destra. Nella terza e nella quarta mano essa reca rispettivamente una corta spada e uno scudo, mentre la quinta e la sesta intrecciano una ghirlanda al di sopra della testa. Nel corso del tempo uno degli attributi mediani è sostituito da un tridente dal manico corto e nella rappresentazione compare un leone. L'iconografia subisce modifiche solo in epoca gupta; la dea viene dotata di altre braccia, il bufalo è afferrato per la coda o per le zampe, e il tridente, dal lungo manico, è confitto nel corpo di Mahiśa come un'arma. Nel periodo di passaggio tra le immagini kuṣāṇa e quelle gupta compaiono episodiche ed estrose varîanti per lo più a otto braccia, da considerare come tipici esempi del tentativo di rinnovare concezioni iconografiche ormai tradizionali. Tale ricerca di forme nuove rende l'arte di M., nella sua prima fase, vitale e interessante come poche altre.
Nelle iconografie divine di M. si riflettono anche diverse tendenze religiose locali. Il culto per il re dei serpenti, già ricordato, assume una grande importanza e porta alla costruzione di templi speciali dedicati ai Nāga. Numerosi rilievi in pietra raffiguranti il re dei Nāga (Nāgarāja) testimoniano l'esistenza di questo culto in epoca kuṣāṇa. Da un'analisi di questi esemplari può essere ricostruita una gerarchia all'interno del mondo dei Nāga: le figure di assistenti portano un solo cobra sulla testa, gli appartenenti alla casa reale ne portano tre, la regina cinque, il Nāgarāja sette.
Sebbene le raffigurazioni di Balarāma sembrino simili l'una all'altra, l'analisi degli attributi fa emergere le differenze. Anche il dio Skanda deve essere stato oggetto di un importante culto a Mathurā. Data la molteplicità delle sue funzioni, le varietà delle forme in cui è rappresentato è addirittura sconcertante. Il tipo fondamentale si identifica con il dio armato di lancia, isolato o con ruolo di assistente nei rilievi con più figure. Spesso egli viene rappresentato con le dee madri dalle teste per lo più animali, con le quali ha rapporti leggendari. Un'altra varîante ha uno sfondo genealogico: insieme a suo fratello Viśākha, egli sta al fianco della dea Ṣaṣṭhī, loro sorella. Le sole figure in bronzo dell'arte di M. rinvenute a Sonkh in strati d'epoca kuṣāṇa, ritraggono Skanda in due funzioni: come accompagnatore di una dea madre con testa ferina che porta un infante in braccio e come parte del gruppo di Ṣaṣṭhī, ossia lo Skanda con lancia.
Un culto locale paragonabile a quello di Skanda è quello indirizzato alla dea Ekānaṃśā, rappresentata in compagnia di Vāsudeva-Kṛṣṇa e Balarāma. E mentre Ṣaṣṭhī ed Ekānaṃśā scompaiono in epoca gupta, Skanda si trasforma in Kārttikeya che cavalca un pavone.
In epoca kuṣāṇa compaiono timide rappresentazioni degli dèi vedici Sūrya (v.), Agni e Brahmā, il primo dei quali, dio del sole, presenta varîanti particolari.
Quella di M. è un'arte di precipuo carattere religioso; figure o scene laiche vi si trovano spesso soltanto nell'ambito delle arti minori. Un'importante eccezione è costituita dal piccolo gruppo delle sculture monumentali ritraenti i sovrani dell'epoca, tra cui si distinguono le immagini acefale di due re, uno in posizione stante, l'altro seduto. La figura stante è identificata grazie a un'iscrizione come «Gran re, re dei re, figlio degli dèi, Kaniṣka», cioè Kaniṣka I. La scultura, che lo rappresenta d'aspetto imponente e in costume di origine straniera, è lavorata in un modo che privilegia espressamente una visione frontale; le vesti, le armi, gli ornamenti e gli stivali non sono indiani e corrispondono probabilmente al costume regale dei Kuṣāṇa. Sfortunatamente, in questa, come anche nell'altra statua, manca la testa, e non è dunque chiaro se le fisionomie fossero realistiche, o per lo meno differenziate tra loro. La seconda figura rappresenta un uomo in vesti attillate e pesanti stivali seduto su un trono retto da leoni. Anche questa scultura riporta un'iscrizione che identifica il sovrano come «Gran re, re dei re, figlio degli dèi, della stirpe dei Kuṣāṇa, Ṣāhi Vamatakṣama». Il nome proprio è quasi illeggibile e, dunque, poco sicuro; le due sillabe inizîali sono state interpretate come Vima e la figura rappresentata, di conseguenza, come Vima Kadphises, predecessore di Kaniṣka I. Le sculture in questione sono state rinvenute a Māṭ, nei dintorni di M., in un edificio delle cui strutture si conservano solo le fondazioni. Il rinvenimento nello stesso luogo delle due statue reali ha fatto nascere l'ipotesi che l'edificio fosse destinato a un culto dinastico, per la venerazione delle immagini dei sovrani, mentre la posizione di Māṭ, alquanto decentrata rispetto alla città, la sua contemporanea utilizzazione come luogo di culto hindu e la diversità delle sculture testimoniano a sfavore di questa ipotesi (v. kuṣāṇa, arte).
A tal riguardo è indispensabile sottolineare l'importanza dell'epigrafia nello studio delle sculture di Mathurā. Questa città ha tramandato numerose e importanti iscrizioni, risalenti ai primi e oscuri secoli della storia dell'India che forniscono a linguisti e soprattutto a storici informazioni preziose e testimoniano il contributo che la scuola di M. rappresenta sia in ambito storico-artistico che in altri campi di studio.
Dalla considerazione complessiva delle opere prodotte nei periodi discussi si possono trarre le seguenti conclusioni. La fase più significativa dell'arte di M., e non solo da un punto di vista quantitativo, coincide con l'epoca dei sovrani Kuṣāṇa dal I al III sec. d.C. È questo il periodo in cui ha inizio il culto delle immagini nelle religioni indiane. Gli artisti di M. colgono tale occasione e riescono ad assicurare alla città un ruolo di prestigio tra le varîe scuole d'arte dell'India, fino all'epoca gupta. A M. va inoltre attribuito il merito di aver esercitato un impulso di ampia portata, responsabile di un risveglio dell'interesse per l'arte e della nascita di nuovi centri artistici in tutto il paese.
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