Vedi SOGDIANA, Arte della dell'anno: 1966 - 1997
SOGDIANA, Arte della (v. vol. VII, p. 390)
Profilo storico. - Il nome Sogdiana è la forma greca dell'iranico Suguda, attestato nelle iscrizioni achemenidi. Nelle fonti è diffusa anche la variante più tarda Sogd. Nelle opere degli autori greci e latini, alla Sogdiana spesso è attribuito tutto il territorio compreso tra i fiumi Oxus (oggi Amu Daryā) e lassarte (Iaxart, oggi Sïr Daryā), anche se già allora accanto a questo uso generalizzato e, in verità, impreciso del nome ne esisteva uno più ristretto, nel quale la Sogdiana era localizzata nelle valli dello Zerafšan e del Kaška Daryā, con le aree di raccordo con le valli dell'Amu Daryā presso la moderna città di Kerki e del Sïr Daryā tra Samarcanda e Taškent. Secondo quest'ultima interpretazione, il territorio tra l'Amu Daryā e la catena dello Hissār non era compreso nella Sogdiana: denominato Paraitakenè, era distinto sia dalla Sogdiana che dalla Battriana vera e propria, posta più a meridione.
Nei secoli V-VIII d.C. il territorio a S della catena dello Hissār certamente non rientrava nella Sogdiana. Nella letteratura archeologica esso è stato definito, per quanto riguarda questo periodo, Tokhārestān settentrionale, mentre per quanto riguarda le epoche anteriori è detto Battriana settentrionale, distinto dalla Sogdiana. Oggi il territorio della Sogdiana comprende le provincie di Samarcanda, Bukhara e del Kaška Daryā della Repubblica dell'Uzbekistan e la parte meridionale della provincia di Khoǰand della Repubblica del Taǰikistan, con la città di Penǰikent. La posizione geografica della regione, a insediamento sedentario, tra l'Iran a O e le steppe popolate da nomadi estese dal Mar Nero alla Cina a E e a NE, determinò il ruolo di intermediarî svolto dai Sogdiani nei commerci e nella cultura. La lingua sogdiana, indoeuropea e appartenente al gruppo iranico-orientale, dai primi secoli della nostra era divenne la lingua franca nelle vie commerciali verso la Cina, conservando questa funzione fino al IX-X secolo.
I primi riferimenti alla Sogdiana si trovano nell'Avesta e nelle iscrizioni achemenidi. Secondo Erodoto, la Sogdiana rientrava nella XVI Satrapia; in seguitò venne conquistata da Alessandro Magno. Nelle fonti vengono già ricordate la capitale Samarcanda (Maracanda) e le città lungo lo Iassarte, nel territorio che in quel periodo apparteneva alla Sogdiana e che più tardi fu attribuito a un'altra provincia, l'Ustrušāna (v.). Il dominio greco non fu duraturo. Intorno al 280 a.C. i Seleucidi dovettero riconquistare la Sogdiana. Intorno al 250 a.C. il regno greco-battriano di Diodoto si separò dall'impero dei Seleucidi, e non è ancora del tutto chiaro quale parte della Sogdiana si sia sottomessa ai monarchi grecobattriani. Nel 206 a.C., mentre Antioco II assediava Eutidemo a Bactra per riportare la Battriana ai Seleucidi, orde di nomadi minacciarono sia gli assediati che gli assedianti, raccogliendosi ‹‹sulla frontiera››. Di fronte a tale minaccia i due re si riconciliarono. Se i nomadi non si fossero raccolti proprio presso la frontiera della Battriana, ma in qualche luogo della Sogdiana, difficilmente si sarebbe parlato di un pericolo immediato. Le guerre cruente (Alessandro vi aveva sterminato 120.000 abitanti) evidentemente avevano provocato una parziale emigrazione, dando inizio al lungo processo di colonizzazione sogdiana delle terre a Ν della regione. Nel III sec. a.C. i Sogdiani avevano raggiunto la Cina; nei primi secoli della nostra era iscrizioni sogdiane compaiono nell'alta valle dell'Indo e verso gli inizî del IV sec. d.C. a Dunhuang già vivevano centinaia di coloni sogdiani. Attorno al VII sec. nel medio Sïr Daryā e negli insediamenti nelle valli dei fiumi Talaš e Ču si parlava e si scriveva in sogdiano. Il pellegrino cinese Xuanzang verso il 630 chiamava Sogd tutto il territorio dal fiume Ču ai contrafforti sud-occidentali della catena dello Hissār, sebbene anche in epoche più tarde si sia indicato spesso come Sogd solo l'area di Samarcanda, nel medio corso dello Zerafšan.
La storia politica della Sogdiana dal II sec. a.C. al VI sec. d.C. è mal nota. La regione fu occupata nel II sec. a.C. dalle tribù nomadi che annientarono lo stato grecobattriano (Strab., XI, 8, 2; lust., XLI). Nel 128 a.C. l'ambasciatore cinese Changqian trovò la popolazione Yuezhi, il gruppo dominante tra gli invasori, ancora a N dell'Oxus. Agli Yuezhi apparteneva il clan dei Kuṣāṇa, che nei primi secoli della nostra era dette vita a un potente impero esteso dalla Battriana alla valle del Gange, che non includeva però la Sogdiana propriamente detta (al di là della catena dello Hissār). Nel III sec. d.C. essa subì l'attacco del re sasanide Šābuhr I, che tuttavia non portò all'instaurazione di un duraturo dominio persiano. Nel IV sec. d.C. in Sogdiana presero il potere i nomadi Chioniti o Kidariti. Secondo le testimonianze archeologiche, si colloca approssimativamente in quest'epoca la distruzione completa o parziale di una serie di insediamenti e città.
Nonostante questi avvenimenti, la carta politica della Sogdiana per alcuni secoli non mutò. Continuarono a esistere alcuni centri che battevano moneta propria. Si coniavano serie d'imitazione che risalivano a diversi prototipi ellenistici, tutti sempre più alterati nel corso dei secoli. Attorno al 509 d.C. la regione fu conquistata dagli Eftaliti, in quel tempo già in possesso dei territorî dell'Afghanistan e del Nord-Ovest dell'India. Sotto di loro, e sotto i Turchi che a loro successero, la Sogdiana non divenne uno stato centralizzato. A tal riguardo, non cambiò nulla anche dopo la sottomissione nominale all'impero Tang intorno alla metà del VII secolo. Quando nella prima metà dell'VIII sec. gli Arabi mossero i loro ripetuti attacchi contro la regione, essi si scontrarono con città-stato semi-indipendenti, governate da principi e da un'aristocrazia potente. La città più importante era Samarcanda, dalla quale dipendevano in una certa misura le terre del Kaška Daryā. Tuttavia anche nella stessa regione di Samarcanda sono noti altri centri minori quasi indipendenti, quali, p.es., Penǰikent (v.).
L'evoluzione dell'arte s. si può seguire dal periodo più antico fino all'VIII sec. d.C., ma il suo studio è essenzialmente basato sui monumenti del periodo di massimo splendore (V-VIII sec. d.C.). In Asia centrale il rigetto delle tradizioni antiche si verificò solo nell'VIII-IX sec. d.C. e fu provocato dall'islamizzazione conseguente alla conquista araba. Dal IX-X sec. la cultura sogdiana cessò di esistere come fenomeno specifico, anche se alcuni suoi elementi si conservarono ancora in questi secoli nell'architettura e nell'artigianato artistico.
Indagine archeologica. - Il territorio della Sogdiana fu popolato già nel Paleolitico Medio. Le più antiche testimonianze artistiche (alcune statuette di argilla e un sigillo a cilindro, importato) sono state portate alla luce nell'insediamento eneolitico di Sarazm, 16 km a O di Penǰikent. Qui nel IV-III millennio a.C. compare una ceramica dipinta che richiama modelli del Turkmenistan meridionale (Geoksyur) e dell'Afghanistan meridionale (Mundigak). Sono stati scoperti edifici monumentali di mattoni crudi ed è presente anche una pittura murale ornamentale. Soprattutto a Sarazm, anteriormente a una ceramica locale mal nota, è attestato anche il vasellame delle tribù delle steppe del Nord.
La combinazione di elementi sud-occidentali e settentrionali è caratteristica anche della prima Età del Bronzo nel basso Zerafšan (Zamanbaba). Al II millennio a.C., nella valle dello Zerafšan, si attribuiscono anche i monumenti di due culture di diversa origine. Una delle due è la cultura meridionale di Sapalli, i cui principali insediamenti sono stati scoperti nel basso Surkhan Daryā (in seguito, parte della Paraitakenè degli autori classici). In Sogdiana a questa cultura sedentaria molto sviluppata si può finora ricondurre solo una sepoltura, scoperta presso Penǰikent (scavi di A. Isakov), in cui sono stati rinvenuti uno spillone bronzeo con la testa a forma di animale, una rosetta d'oro e recipienti modellati al tornio. L'altra cultura è settentrionale, del tipo della «Età del Bronzo delle Steppe», collegata alla cultura Srubnaja dell'Europa orientale e alla cultura di Andronovo del Kazakhstan e della Siberia meridionale. Il suo vasellame modellato a mano con decorazione incisa e i suoi caratteristici ornamenti in oro e bronzo sono stati rinvenuti in alcune necropoli della seconda metà del II millennio a.C. nei dintorni di Penǰikent e Urgut.
Nell'Età del Ferro, da un lato si diffonde una cultura meno evoluta con abitazioni semi-interrate e ceramica modellata a mano (diversa dalla ceramica delle steppe dell'Età del Bronzo), dall'altro si mantengono alcune tradizioni costruttive (nell'architettura monumentale) e ceramiche (nel vasellame al tornio) delle culture meridionali. Non è chiaro quale di queste tendenze possa essere attribuita ai Sogdiani di lingua iranica, che già nel VI sec. a.C. senza dubbio vivevano in Sogdiana, poiché mancano dati sul momento della loro comparsa in questa regione. Nel VII-VI sec. a.C. nacquero gli insediamenti che in seguito sarebbero divenute le principali città della regione.
Lo sviluppo dell'arte s. si può tracciare in base alla produzione artistica scoperta nelle diverse città e nei diversi insediamenti. I muri e le volte di tutti gli edifici sogdiani fino alle soglie del IX-X sec. d.C. sono costruiti in mattoni crudi o in pakhsā.
Con il nome di Afrāsyāb si indicano i resti della prima Samarcanda (a partire dal VI sec. a.C.) sulle sponde del canale Siāb, nei pressi del limite Ν della attuale città. Gli scavi iniziarono nel 1874 e sono proseguiti, con intervalli, fino ai nostri giorni. Di particolare interesse furono le ricerche di V. V. Krestovskij (1883), Ν. I. Veselovskij (1886), V. L. Vjatkin e V. V. Bartol'd (1904), del solo V. L. Vjatkin (1908-1913, 1925-1930), di Α. I. Terenožkin (1945-1948). Dal 1958 gli archeologi della Accademia delle Scienze della Repubblica dell'Uzbekistan vi conducono ininterrottamente estesi scavi sotto la direzione prima di V. A. Šiškin (fino al 1966), e quindi di Ja. G. Guljamov, S. S. Taškhodžaev e G. V. Šiškina. A partire dal 1989 alle ricerche si è aggiunta una missione franco-uzbeka diretta attualmente da F. Grenet e M. Isamiddinov.
Afrāsyāb occupa una collina estesa oltre 200 ha, che nei secc. VI-IV a.C. era circondata da un muro di cinta. La parte settentrionale della città (prima fortificazione) era separata dal resto del suo territorio. Proprio qui si trovava la cittadella di Maracanda, che i soldati di Alessandro Magno difesero dall'insorto Spitamene. In età ellenistica, lungo il perimetro esterno fu alzato un nuovo muro di fortificazione con bastioni e feritoie a punta di freccia. Entrambe le cinte murarie, particolarmente quella più tarda, ricordano le fortificazioni della Media (Godin Tepe, Tepe Nuš-e Ĵān), mentre sono del tutto assenti elementi greci nell'architettura delle mura di età ellenistica. La ceramica al tornio dei secoli VI-IV a.C. è rappresentata principalmente da vasi cilindro-conici, che ricordano anche nei particolari quelli della Partia, Margiana, Battriana e Chorasmia dei secoli VII-IV a.C. Tutti questi territori, popolati da diverse tribù, probabilmente si servivano di ceramisti professionisti associati tra loro. Solo a partire dal IV sec. a.C. compaiono varianti locali. Nel III-II sec. a.C. si diffonde l'ingobbio rosso; molte forme vengono sostituite, e compaiono crateri, «piatti da pesce» e ciotole emisferiche che ricordano la ceramica greco-battriana dell'antico sito urbano di Ai Khānum in Battriana. Dal I sec. a.C. fino al II sec. d.C. tra il vasellame da tavola di lusso sono comuni diversi calici a stelo, una forma nota anche a S della Sogdiana nei territori un tempo greco-battriani, fino a Taxila.
La ceramica dal III al VII sec. è meglio nota a Tal-e Barzu (v. infra), dove ha permesso di chiarire la cronologia delle terrecotte sogdiane (v. terracotta: Asia centrale), rinvenute in gran numero ad Afrāsyāb. Le statuette dei primi secoli d.C. (fino al III sec. compreso) sono figurine a stampo, frontali, di divinità femminili non identificate e di musicanti in abiti locali. Molte matrici sono ottenute da statuette già finite. Teste modellate con cura, eseguite sotto l'influsso della tradizione ellenistica, sono state portate alla luce in livelli più tardi (attorno al IV sec. d.C.). Cavalieri modellati a mano, dal V-VI sec. d.C. vengono completati con teste lavorate a stampo. Dalla seconda metà del VII sec., le figurine dei cavalieri, con mazza o spada sulla spalla, vennero interamente eseguite a stampo, mentre le figurine degli animali montati continuarono a essere modellate a mano. Nel VI sec. si diffusero piccole icone di terracotta a rilievo, eseguite a stampo, raffiguranti la nicchia di un tempio con la statua di questa o quella divinità.
Nel IV-V sec. d.C. il territorio di Afrāsyāb fu diviso in due parti da strutture di fortificazione, le c.d. doppie mura. Le costruzioni residenziali in quel periodo si trovavano in massima parte a N delle doppie mura, e solo attorno al VII sec. si estesero anche alla parte meridionale. Sono note soltanto le caratteristiche dell'architettura residenziale del VII sec., simili a quelle scoperte a Penǰikent.
Elemento peculiare di queste residenze dell'aristocrazia urbana, composte da molti ambienti, sono le sale di rappresentanza, in prevalenza quadrate, con quattro colonne lignee. Uno di questi edifici è costruito all'esterno delle doppie mura; la sua complessa pianta con alcune sale è simile a quella dei palazzi di Penǰikent, Varakhša e Šahristān (nell'Ustrušāna). Si ritiene che qui nel VII sec. si trovasse la seconda residenza del sovrano di Samarcanda, oltre al palazzo nella cittadella. Verso la fine del VII sec., addossate alle mura di questo edificio, furono costruite altre abitazioni di aristocratici, cosicché venne formandosi un quartiere di ricche dimore. In due sale (1 e 9) si sono conservate pitture murali. Nella sala 9 di fronte all'ingresso è posta una raffigurazione dipinta di una nicchia ad arco con una coppia di divinità sedute su di un unico trono. La divinità maschile tiene nella mano una coppa con la figura di un cammello, e rappresenta verisimilmente Wšgn (Verethragna), il dio della vittoria.
Altre raffigurazioni della stessa coppia di divinità sono testimoniate a Penǰikent e Ak Bešim (nella valle del fiume Ču). Nella sala 1, di fronte all'ingresso è la scena del saluto degli ambasciatori al re di Samarcanda, Varkhuman (terzo quarto del VII sec.). L'iscrizione su una delle figure contiene le parole dell'ambasciatore del Čaganian (parte del Tokhāestān settentrionale), che assicura Varkhuman della sua conoscenza ‹‹delle divinità e dei testi scritti di Samarcanda››. Tra gli ambasciatori troviamo anche i rappresentanti del Čač (area di Taškent), della Cina, della Corea e di altri paesi. Su uno dei muri laterali sono raffigurate scene con personaggi in abito cinese, sull'altro è la processione con la quale portano a Varkhuman le spose e i doni. Sui lati dell'ingresso vi sono scene mal conservate, una delle quali ricorda un paesaggio ‹‹nilotico›› fantastico con putti tra onde. Le pitture sono eseguite con colori minerali alla colla su un fondo secco di gesso alabastrino bianco. Lo sfondo è di un blu vivo oltremare, i colori sono festosamente brillanti. La composizione, a più piani, occupa tutta la parete, e le figure poste in alto sono le più distanti. Con competenza e accuratezza sono indicati i dettagli delle ricche vesti e delle armi, sottolineando le particolarità etnografiche dei diversi popoli. Nelle pitture della sala si riflette la visione universalistica dei Sogdiani, legata alla loro attività sulla grande Via della Seta.
Tal-e Barzu è il nome moderno di un insediamento a pianta quadrata, circondato da mura, con una cittadella quadrata al centro, 6 km a S di Samarcanda, scavato da G. V. Grigor'ev (1936-1940). La cronologia assoluta, rettificata da A. I. Terenožkin e da altri studiosi, va dal III all'VIII sec. d.C. Gli insediamenti fortificati con cittadella, i castelli e le case fortificate sono caratteristici del paesaggio archeologico della Sogdiana di quest'epoca. Nella ceramica del IV sec. (strato TB III), a ingobbio rosso, a giudicare dalle testine in terracotta poste sotto i manici dei vasi e a volte dalle stesse forme ceramiche, riaffiorano tradizioni ellenistiche che a Tal-e Barzu non sono rintracciabili né in epoca precedente né successiva. Nella seconda metà del Vll-inizî dell'VIII sec. d.C. (strato TB V) compare una ceramica che imita la toreutica locale (rivestimento micaceo, decorazione a rilievo). Questa ceramica era prodotta nell'abitato di Kafïr Kala, 12,5 km a S di Samarcanda, dove sono state portate alla luce alcune fornaci.
A Varakhša (v.), c.a 30 km a O di Bukhara, sono le rovine di un antico insediamento fortificato con cittadella, scavato da V. A. Šiškin (1937, 1947-1953). Fondato tra il II sec. a.C. e il I-II sec. d.C., il suo elemento di maggior interesse è rappresentato dalla cittadella del signore dell'oasi di Bukhara nei secoli dal V all'VIII d.C., composta di due parti, la superiore e l'inferiore. La parte superiore è una vera e propria fortezza con file di edifici coperti da volte e con facciate decorate da larghe semicolonne accostate le une alle altre (un motivo noto in Chorasmia e a Merv). La parte inferiore è costituita da un palazzo con alcuni edifici di rappresentanza. Le pitture e gli stucchi che decorano il palazzo sono datati tra il VII e l’VIII sec. d.C. Le pitture, eseguite con la stessa tecnica di quelle di Afrāsyāb, si conservano in due sale: la «Sala Blu» e la «Sala Rossa», così dette dal colore dello sfondo.
Nella «Sala Blu» è stata scoperta una scena di adorazione di una divinità seduta su un trono con supporti a forma di cammello alato, probabilmente la stessa divinità rappresentata nelle pitture della sala 9 ad Afrāsyāb. Un'altra scena, non connessa alla prima, raffigura cavalieri armati che combattono: sulla base del confronto con le pitture di Penǰikent, la scena può essere interpretata come l'illustrazione di un èpos.
Nella “Sala Rossa” erano tre ordini di pitture; nell'ordine superiore, grifoni e alberi celesti (?), in quello mediano una processione di fiere e mostri sellati (simboli di dèi), in basso alcune scene affini tra loro, raffiguranti un cacciatore reale, seduto su un elefante, che combatte contro due rapaci o due grifoni. Il cacciatore è reso in dimensioni notevolmente maggiori di quelle dell'elefante e del suo conducente; rappresenta forse la divinità suprema (Ahura Mazda?), assimilata al re degli dèi indiano, Indra, il cui veicolo è l'elefante. Per ciò che riguarda lo stile, le pitture di Varakhša sono vicine a quelle di Penǰikent. Lo stucco decorava la corte di rappresentanza; se ne conservano frammenti di composizioni ornamentali, quali file di pernici, pesci tra onde, draghi, arcieri montati a caccia, uccelli con testa di donna, ecc. Sono stati riconosciuti i legami con la produzione in stucco del Gandhāra, dell'Iran sasanide e della Siria omayyade.
Er Kurgan è il nome moderno dei resti dell'antica capitale della Sogdiana meridionale, 10 km a NO della città di Karši. Gli scavi, condotti sotto la direzione di S. K. Kabanov (1947, 1948) e R. Kh. Sulejmanov (dal 1973 ai nostri giorni), hanno portato alla luce livelli con ceramica dall'VIII sec. a.C. al IX sec. d.C. La cronologia della sequenza ceramica è stata elaborata da M. Kh. Isamiddinov. La parte principale della città, su un'area di c.a 40 ha, fu circondata da mura nel VI sec. a.C., mentre una seconda cinta esterna giace sotto uno strato con ceramica della metà del I millennio a.C. racchiudendo un'area di 150 ha, solo parzialmente edificata. La più antica ceramica, dell'VIII-VII sec. a.C., è modellata a mano, con decorazione dipinta. Verso il VII-VI sec. a.C. compaiono vasi cilindro-conici eseguiti al tornio. In seguito, fino al I sec. d.C. circa, la ceramica si evolve in modo simile a quella di Afrāsyāb, mentre dal I fino a tutto il VI sec. d.C. prevale una scuola locale. Nella seconda metà del VII sec. prende nuovamente consistenza il legame con la regione di Samarcanda.
A Er Kurgan sono stati scoperti un palazzo, due templi, alcuni edifici funerarî e una casa fuori città con pitture murali. Di questi monumenti, quello studiato più a fondo è uno dei templi, costruito nel III o nel IV sec. d.C. e ricostruito cinque volte, fino al VI secolo. Il tempio, circondato da una corte, era posto su uno stilobate. La costruzione principale si articolava in un portico e una cella, con copertura sostenuta da colonne circolari di mattoni cotti triangolari. Nelle nicchie della cella erano delle pitture, e sono stati rinvenuti anche frammenti di una statua; le colonne erano dipinte in rosso. Una delle pitture mostra figure di donatori, stendardi (?) e motivi geometrici. Nel V-VI sec. l'importanza del culto degli dèi diminuì in modo marcato, mentre aumentò quella del culto del fuoco. Le nicchie furono murate nel secondo periodo costruttivo. La scultura è eseguita in modo decisamente più rozzo di quella battriana, ma la sua colorazione richiama modelli battriani, vicini alle statue dipinte di Dilberǰin. Nel tempio sono stati rinvenuti oggetti di gioielleria (una figurina di riccio in oro e altri) e terrecotte.
Il castello del monte Mug è uno dei numerosi castelli del VII-VIII sec., 90 km a E di Penǰikent. Qui nel 722 fu preso prigioniero dagli Arabi il principe di Penǰikent, Devaštič. Sono stati ritrovati qui 80 documenti, per lo più in lingua sogdiana, comprendenti la corrispondenza di Devaštič, assieme a uno scudo di legno ricoperto di pergamena con la raffigurazione dipinta di un cavaliere corazzato, a tessuti di seta importati e a molti oggetti di uso comune.
Nel kurgan nomadico nei pressi del sito di Kurgan Tepe (nella Sogdiana centrale) sono stati portati alla luce piastrine d'osso decorate a incisione con scene di battaglia e di caccia, un combattimento di due cammelli e l'immagine di un uccello, datati da G. A. Pugačenkova al I sec. a.C.-I sec. d.C. Sono state proposte anche datazioni più tarde, p.es. al II-IV sec. d.C. La stilizzazione delle figure di cavallo richiama le tradizioni nomadiche scitosiberiane (Pazïrïk), mentre le scene di battaglia e di caccia anticipano gli analoghi soggetti nella pittura sogdiana del primo Medioevo. Nei kurgan dei nomadi ai confini della Sogdiana sono state rinvenute anche fibbie di bronzo di stile animalistico, che trovano confronti nell'antica produzione dei Sarmati e dell'Ordos (II sec. a.C.-II sec. d.C.). La deposizione entro ossuarî delle ossa ripulite dai tessuti molli è il rito più comune negli insediamenti della Sogdiana sedentaria a partire dal V sec. d.C., in alcuni casi anche già dal II-III secolo. Tale uso zoroastriano è documentato da una vasta serie di ossuarî di ceramica, di forma rettangolare o ovale, con raffigurazioni a rilievo, tra i quali i più noti sono quelli rettangolari con raffigurazioni a stampo di figure sotto archi (da Biyā Naiman, Molla Kurgan, Ištikhan e altre località). Nella loro iconografia, creata nel VI-VII sec. d.C., si trovano soggetti religiosi zoroastriani: l'offerta sacrificale al fuoco e le raffigurazioni dei sei Ameša Spenta.
Toreutica e sete. - Diversi monumenti dell'arte s., portati alla luce nel corso degli scavi, hanno permesso di individuare nelle raccolte di vasellame d'argento, più di 60 esemplari prodotti in Sogdiana tra il VI e l'inizio del IX sec., in precedenza attribuiti all'Iran sasanide: affini per forma alla ceramica sogdiana del VII-VIII sec., presentano nella decorazione chiare analogie con la pittura sogdiana. La maggior parte degli argenti può essere ricondotta a tre scuole, denominate A, B, C. La scuola A è la più occidentale, la scuola Β è centrale, la scuola C è a levante; tutte e tre, comunque, sono strettamente connesse tra loro, e inoltre presentano legami con la toreutica sasanide e dei Tang. Per il VI sec. sono noti solo argenti della scuola B: coppe (phiàlai) a pareti sottili, discendenti, tramite una mediazione partica, da modelli achemenidi. A sé sta un piatto del VII sec. con scena di duello, soggetto attestato anche su una delle pitture di Penǰikent. In seguito alla lettura, da parte di W. B. Henning, della parola zandanῑcῑ in una iscrizione in inchiostro di china su un tessuto di seta, si è iniziato a evidenziare, tra i tessuti conservati nelle cattedrali dell'Europa occidentale e quelli rinvenuti nel corso di scavi nel Caucaso settentrionale e nel bacino del Tarim, un gruppo di sete sogdiane. Così infatti nel X sec. e oltre si chiamavano i tessuti prodotti nella località di Zendan, nei pressi di Bukhara, anche se in quel periodo i tessuti non erano di seta ma di cotone.
La più ampia rappresentazione dell'arte s. del periodo dal V all'VIII sec. d.C. è fornita da Penǰikent. Quest'arte prese forma nel punto di incontro delle influenze di tutte le grandi civiltà dell'antichità, senza tuttavia ridursi a una loro semplice somma. Non sottomessi alle rigide regole di una religione canonizzata, quale il buddhismo, né agli ordini ufficiali di un sovrano potente, come quello sasanide, nel periodo di massimo splendore, gli artisti sogdiani, assimilando le esperienze dei paesi vicini, le applicarono in modo più vivo, più vario e più dinamico, riflettendo i gusti e gli interessi diversi dei cittadini delle città-stato.
Musei. - Il vasellame in argento sogdiano, le pitture murali (Varakhša, Penǰikent), le sculture di Penǰikent, gli ossuarî, le terrecotte, le monete e le sete sono esposte con dovizia all'Ermitage di Pietroburgo. Una parte delle pitture di Varakhša è conservata nel Museo delle Arti dei Popoli dell'Uzbekistan di Taškent. Materiali della Sogdiana si trovano anche nel Museo di Storia dell'Uzbekistan, sempre a Taškent. Raccolte minori di terrecotte sono in due musei di Mosca, il Museo Statale delle Arti dei Popoli dell'Oriente e il Museo Storico Statale. In quest'ultimo museo si trova anche un'eccezionale brocca d'oro. Ricche e varie sono le collezioni del Museo-Parco Unificato Storico-Architettonico di Afrāsyāb. Vi si conservano le pitture della Sala 1 di Afrāsyāb, mentre nella piazza del Registan sono ossuarî, una colonna con pitture da Er Kurgan e molti altri oggetti. Dobbiamo anche ricordare il Museo Storico-Locale della Repubblica Tagica «A. Rudaki» di Penǰikent, con pitture, sculture di legno carbonizzato e una bella raccolta di ceramica dagli scavi nel sito di Penǰikent. I materiali rinvenuti nel corso degli scavi si conservano inoltre nell'Istituto di Archeologia dell'Accademia delle Scienze dell'Uzbekistan a Samarcanda, nell'Istituto di Storia «A. Doniš» dell'Accademia delle Scienze del Taǰikistan a Dušanbe, nell'Istituto di Storia dell'arte «Hamza» di Taškent e presso l'istituto di Archeologia dell'Università Statale di Taškent.
V. anche afrāsyāb; penǰikent; ustrušāna; varakhša.
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(B. I. Maršak)