KASHMIR, Arte del
La situazione geografica del K. (oggi ufficialmente Yammu e K.) lungo 135 km, largo dai 30 ai 40 km e posto a 1800 m sul livello del mare, in una valle dell'Himalaya, separato dalla pianura del Panjab da una regione accidentata e montagnosa che raggiunge i 3000-4600 m di altezza, ha avuto notevole influenza sull'arte del paese. Il K. è accessibile da numerose strade, lunghe dai 200 ai 300 km con valichi abbastanza ardui tanto dal medio Panjab, quanto direttamente dall'Indo e, attraverso la valle del Kangra, anche dal Panjab orientale, e così per altre vie dal Ladakh, dal Gilgit e dal Turkestan orientale (v. khotan). L'ampiezza e la fertilità della valle in cui giace, hanno fatto sempre del K. un centro politicamente e culturalmente importante. La vicinanza del Panjab, conquistato da popoli occidentali, da iranici e da centroasiatici, poi riconquistato dagli Indù, ne ha fatto alternativamente un posto avanzato ora della civiltà indiana, ora di quella iranica, ora di quella islamica; mentre poi la difficoltà di accesso a questa regione le ha consentito lo sviluppo di una caratteristica civiltà e di un'arte sua propria. Le ricchezze forestali dell'Himalaya han fornito il materiale ad un'ampia attività di costruzioni e alla scultura in legno, di cui si conservano ancora esemplari in numerose moschee maomettane, in tombe di santi e in case private. Questo antico tipo di lavorazione del legno viene continuato a Chamba Kulū, Ladakh, Spiti e nel Nepal. La deperibilità del materiale è stata causa della definitiva scomparsa della maggior parte degli antichi monumenti, dovuta soprattutto a invasioni straniere (specie da parte dei Tungusi e degli Unni bianchi), da guerre civili, persecuzioni religiose (buddisti perseguitati da indiani, questi da maomettani), saccheggi spietati di antichi palazzi e sacrarî da parte di sovrani e ministri, desiderosi di edificare o avidi di denaro. Furono così rovinati anche numerosi edifici in pietra, spesso di straordinaria importanza e andarono perduti particolarmente oggetti in bronzo e in metalli preziosi, un tempo assai frequenti. L'attuale capitale; Srinagar, costruita in una pianura paludosa nel sec. V d. C., poggia quasi completamente sulle rovine della città precedente. (Per la nomenclatura delle periodizzazioni che seguono qui appresso v. indiana, arte).
1. Periodo preistorico. - H. de Terra ha trovato grandi amigdale paleolitiche e altri manufatti primitivi (specie del tipo Levallois) sulle sponde a terrazzo del fiume Soan (presso Rawalpindi), nello Jhelam, nella "Salt Range", presso Pampur e Sompur, nella valle del K. vera e propria, e a Kargil, nella valle Suru (tra il K. e l'Indo); inoltre una caverna con corna di cervo (preda di caccia) presso Imbesalver, databile probabilmente nella seconda età interglaciale (c. 300.000 anni fa). I megaliti di Burzhom (Bursahom, Burjhama) alti circa m 6,50, che si trovano sull'altipiano di Yendrahom, presso Harvan, a una quindicina di chilometri da Srinagar e i cerchi in pietra di Asota (distretto del Mardan), alla frontiera N-O del Pakistan, sono gli unici monumenti di questo genere che si trovino nell'India settentrionale e sono apparentemente senza diretta relazione con i numerosi dolmen e cerchi in pietra dell'India meridionale e sud-orientale.
In base a rinvenimenti di asce in pietra finemente affilate e di ceramica dura grigia si è voluto datare i megaliti di Burzhom tra il 1100 e il 400 a. C., cioè in un'età posteriore alle civiltà di Juhkar, Ravi, Trihnī e Jhangar, succedute all'alta cultura di Harappā, ma in età anteriore alla ceramica lucida nera dell'India settentrionale, appartenente già al periodo storico, avanzi della quale sono venuti alla luce a Burzhom. Sono probabilmente contemporanee le pitture (figure di oranti) nelle caverne del passo di Sassir (valle del Nubra), mentre sono più recenti, nonostante il carattere arcaico, le incisioni rupestri (scene di caccia, animali, ecc.) presso Kargil (Shimba Kharbu) e Kalatse, con iscrizioni brahmi e kharoshthi e simboli buddistici. Come si riscontra anche nelle regioni della frontiera nord-occidentale dove sono state scoperte a Mandori e a Ghariaba, incisioni rupestri affini, le popolazioni nomadi di questi primitivi territorî marginali dell'India, non sono uscite in molte località, quasi fino ai giorni nostri, dallo stadio dell'Età della Pietra. Così nello stesso K. è continuato sino nel tardo Medioevo il culto popolare dei Yaksha (divinità protettrici locali) e dei Naga (spiritelli), culto che risale all'Età della Pietra e che solo lentamente è stato sostituito dal buddismo e dall'induismo. Sui luoghi di questi antichi culti preistorici sono sorti templi; miti antichi e recenti si sono fusi.
2. Arte Maurya. - La vera e propria storia dell'arte indiana inizia con gli imperatori Maurya (324-187 a. C.), che conquistarono anche il Kashmir. L'imperatore Ashoka (273-236/7 a. C.) vi fondò Srinagar(ī); quando nel sec. V d. C. la capitale fu trasferita nel sito attuale, 5 km a N-O, la città prese il nome di Puranadhishthana (la vecchia capitale), l'attuale Pandrethan. Dopo il terzo concilio buddista di Pataliputra, Ashoka introdusse nella città i monaci buddisti e vi elevò uno stūpa (v.) non identificato, però, tra le rovine già assai malandate nello scorso secolo e attualmente quasi scomparse. Alla morte di Ashoka cominciò la decadenza del regno; uno dei suoi figli, Jalauka, rese indipendente il Kashmir. Si vuole che, sotto l'influenza materna, fondasse il primo santuario dedicato a Shiva (Jyeshtharudra o Jyeshthesha) a oriente del primitivo Jyether (ex-palazzo del Mahārāja, attuale albergo Oberoi), presso il sobborgo di Gupkar (a S del lago Dal) e il tempio Vijayeshvar-Shiva, presso Vijabror (Bijbehara, non lontano da Islamabad-Anantnag), entrambi più volte rimaneggiati; la regina madre avrebbe, a sua volta, fatto elevare numerosi matrichakra (templi rotondi delle "Madri"). Forse il tempio a Pandrethan, rinnovato sotto il governo di Lalitaditya (c. 720-756) era uno di questi matrichakra; le sue statue si trovano ora nel museo di Srinagar.
3. Arte Kuṣāna. - Assai confusa è la storia dei secoli successivi, detti periodo dell'antica dinastia "Gonandiya" dallo storico medievale Kalhana (sec. XII). Questi cita tre potenti sovrani "Turushka" (turchi): Kanishka, Jushka (Vajhishka = Vasishka) e Hushka (Huvishka). Da altre fonti sappiamo che alla fine del sec. I (?) e durante il II essi governarono un vasto impero esteso all'India settentrionale sino a Bihar, Sind e Gujarat, comprendente l'Afghanistan, il Turkestan e il bacino occidentale del Tarim. Secondo la tradizione buddista mahāyāna un importante concilio fu tenuto nel K. durante il regno di Kanishka; egli fondò varie città: Kanishkapura (Kanispor sulla via Srinagar-Baramula), Vasishka Jushkapura (Zukur, a settentrione di Srinagar), Huvishka Huvishkapura (Ushkur sull'altra sponda del Jehlam, di fronte a Baramula). Solo quest'ultima città conservò la propria importanza sino nel Medioevo avanzato. Vi si trovavano un grande stūpa, una serie di conventi buddisti e numerosi grandi templi. Lo stūpa di Huvishka, costruito nel primo stile di Gandhāra con pietre relativamente piccole, dovette essere quasi completamente rifatto nel sec. VIII; visibile ancora un cent'anni fa, è oggi totalmente scomparso. Una statua seduta, molto mal conservata, di un imperatore Kuṣāna, oggi al museo di Srinagar, riecheggia le statue di stile parthico, specie quelle di Huvishka, ritrovate nella cappella della famiglia imperiale, presso Mat, a 10 km a N di Mathurā. La statua, indubbiamente un ritratto, ha attributi divini: base a fiore di loto, trono a forma di leone giacente, grande ghirlanda di fiori (vanamala) sul petto; come altri sovrani Kuṣāna, l'imperatore veniva rappresentato sotto l'aspetto dello Yaksha Panchika, prediletto dio tutelare dei buddisti. Non sono però stati trovati veri e propr̄ "rilievi di Gandhāra" (decorazione a stucco o rilievi votivi); forse andarono distrutti attorno al 520, durante l'invasione del re unno Mihiragula (il Gollas di Cosmas Indicopleuste), avverso ai buddisti.
La maggior parte degli avanzi "indo-greci" del K. risalgono alla tarda fase dello stile del Gandhāra (v.), più esattamente al periodo Kuṣāna-romano. Essi datano dall'epoca della più recente "dinastia Gonandiya" (c. 345-622), resasi indipendente, dopo che gli ultimi sovrani Kuṣāna, ridotti a metà del sec. III vassalli dei Sassanidi, erano stati soppiantati dai Kuṣāna Kidariti, provenienti dall'Asia centrale. Ridotti dai Kuṣāna Kidariti, dagli imperatori indù Gupta, dagli Unni e finalmente dai Maukhari di Kanavy o tardi-Gupta di Malwa, a una parvenza di sovranità, i "più recenti Gonandiya" furono tuttavia il centro intorno al quale andò evolvendosi l'arte nazionale. Quest'arte aperta a varî influssi politici, fuse il tardo stile del Gandhāra (stile indo-afghano) con elementi del primo stile Gupta e con elementi parthi.
La caduta del regno parthico nel 227 d. C. e la spinta data dai Sassanidi verso un'arte nazionale, che si rifacesse agli Achemènidi (v. achemènide, arte), aveva provocato un nuovo flusso di artisti parthici ed ellenistici verso l'oriente. È possibile seguirne l'influsso dal Gujarat attraverso il Sind, Taxila, Kābul e il K. sino alle zone del Tarim. Il più importante monumento di uno stile prevalentemente parthico nel K., con lievi inifitrazioni ellenistiche e indo-Gupta, è il convento buddistico di Harvan (Shad-Arhad-Vana, Bosco dei Sei Santi), posto a 3 km dal celebre giardino Mughal Shalimar sul lago Dal. Costruzione altrettanto scadente di quella dei ruderi di Ushkur; ne rimangono solo terrazze con fondamenta di aule absidate per il culto e di celle per i monaci; presentano interesse artistico solo i rilievi impressi nei mattoni usati per la pavimentazione dell'atrio: cavalieri parthi, busti e figure virili e muliebri, indiane di foggia e di costume, ma di una interpretazione formale assolutamente non indiana; asceti bramani, stūpa (che ci danno una buona raffigurazione delle soprastrutture ormai scomparse) e soprattutto ornamenti vegetali della stessa singolare eleganza, che ci è nota attraverso gli stūpa di Mirpur Khass nel Sind o di Samlajī nel Gujarat.
Lo stile figurato tardo-ellenistico è rappresentato invece da teste buddistiche in stucco e in terracotta, ritrovate presso Ushkur (museo di Srinagar) e presso Akhnur, dove la valle del Chenab sbocca nella pianura del Panjab (Museo Nazionale di Nuova Delhi e British Museum). Esse rivelano lo stesso naturalismo raffigurato e un po' effeminato delle figurine di Jaulian e Mohra Moradu, presso Taxila o di Hadda presso Kābul (sec. V d. C.) le cui assonanze per un verso con la scuola di Pergamo, per l'altro con l'arte gotica, danno tuttora da pensare agli studiosi. Però le testine, alte in media non più di 7 o 10 cm, provenienti da Ushkur e Akhnur, sono più barocche, più manieristiche, senza raggiungere la grazia rococò delle figurine del Fondukistan (v.) a Bāmiyān (sec. VII); i loro visi rotondi preannunziano i visi gonfi di quella che è stata detta "la tarda-antichità ellenistica dell'Asia centrale" (von Le Coq). Si possono ritenere creazioni, databili nel tardo sec. V, di artisti che fuggendo lo stato Kuṣāna Kidarita, invaso dagli Unni bianchi; abbiano trovato rifugio nel K., presso Pravarasena I (410-470) o il suo successore Yudbishthiva II (c. 470-506). Probabilmente risale a questo stesso periodo un Buddha in bronzo, di sapore decadente, del museo di Srinagar. Sebbene appartenenti alla stessa tradizione appaiono in confronto singolarmente smorte e rozze le figure di divinità indù (Shrī-Lakshmī, Gaja-Lakshmī; Kārttikeya, Shiva), provenienti da Vijabror. Sono forse in relazione con l'insediamento di bramani Gandhāra nel tempio di Shiva-Vijayeshvara, promosso dal re unno Mihiragula II, devoto fanatico delle divinità indù, allorché, dopo la disfatta inflittagli da Yashodharman (anno 527), si ritirò nel Kashmir. Il celebre tempio Varāha di Baramula (Varāha-Mūla) sarà allora divenuto di moda; ma anche i successivi ripristini appaiono oggi quasi interamente distrutti.
Il terzo influsso subìto fu quello dell'arte Gupta. L'attuale capitale Srinagar (Pravarapura) fu fondata da Pravarasena II (circa 410-470), quando l'ancor giovane sovrano venne a trovarsi sotto la tutela del grande Chandragupta II, Vikramaditya. Purtroppo non si sono conservati né l'originario tempio di Pravareshvara (sul terreno dell'odierno cimitero di Baha ud-dīn, ai piedi della fortezza di Hariparbat), né il tempio di Ranasvamin (sul luogo dell'odierno cimitero di Pīr Hājī Muhammed Sāhib, nella parte più antica della città) databili nei primi anni del regno di Ranaditya (circa 506-587), prima che tanto questi che il successore Balāditya (586-622) venissero completamente esautorati dagli Unni e poi dai Maukhari o Gupta di Malwa. I frammenti che oggi ne restano sono infatti da attribuirsi a rifacimenti del sec. VIII. Accenti Gupta si sentono tuttavia tanto a Harvan quanto negli stūpa oggi quasi completamente distrutti di Pandrethan e nelle sculture di Vijabror.
4. Arte Kārkota e formazione di un vero stile Kashmir. - Fu solo sotto la potente dinastia Kārkota (622-856) che l'arte Gupta, combinata però con elementi tardo-romano-siriaci, bizantini e persino con influssi cinesi, penetrò decisamente nel paese. (Data la stretta connessione delle tipologie, se ne segue qui lo svolgimento anche oltre i limiti cronologici solitamente posti a questa Enciclopedia). Durante il sec. VII i Kārkota avevano esteso il loro dominio sul Panjab e sul limiitrofo Himalaya; agli inizî del sec. VIII, divennero sovrani dei Turkishahi dell'Afghanistan, vessati dai maomettani, ma si videro poi costretti a chiamare esperti militari cinesi per arginare l'avanzata araba, che dal Sind minacciava il Panjab. Lalitaditya-Muktapida (c. 723-756) conquistò tutta l'India sino al Golfo del Bengala, a Maisur, Ladakh e gran parte del bacino del Tarim; il regno però si sfasciò dopo il suo suicidio avvenuto tra le nevi invernali dell'Asia centrale. Durante il regno di Jayapida (c. 768-799) andò perduta anche l'ultima parte dell'India settentrionale e la dinastia declinò rapidamente tra lotte per la successione e dissolutezze.
Ma sotto il regno di Lalitaditya il bottino di guerra dell'intera India si trovò a disposizione di una attività costruttrice, che rasentava la megalomania. Ad essa andiamo debitori dei più numerosi e più grandiosi resti di templi: quali quelli di Parihasapura, Pandrethan, Shankaracharya (Jyeshtheshvara) sul Takht-i Sulaiman (monte Gopadri), a Martand, Wangath (Bhuteshar ai piedi del Harmukh, a settentrione della valle del Sind), Buniyar (sul fiume Jhelam, sotto Baramula), Narastan (nella valle dell'Arpal, a 61 km da Srinagar, al di là di Avantipur), Loduv (non lontano da Avantipur), il rinnovamento dello stūpa di Ushkur, le rovine di un tempio non identificato nel quartiere di Zainakadal in Srinagar usate più tardi come mausoleo della madre del sultano Zain ul ῾Abidīn nonché le fondamenta, anch'esse a forma di croce, del rinnovato tempio di Ranasvamin lì presso e finalmente, oltre i confini del K., gli avanzi di Malot e forse anche di Ketas (entrambe nel Salt Range), di Bilot e di Kafirkot sull'Indo (distretto di Dera Ismail Khan). Molti altri edifici, templi, monasteri e statue colossali, vennero saccheggiati per più di un mezzo millennio dai successivi re indù, derubati dei preziosi idoli e arredi sacri e finalmente sistematicamente distrutti dai sultani maomettani, specialmente da Sikandar il "distruttore di idoli" (Butshikan, 1393-4 - 1416).
Una simile situazione doveva necessariamente provocare il sorgere di un nuovo stile; non esistevano né nel K. né altrove sufficienti architetti, tagliapietre e altri artisti capaci di soddisfare tali maniache esigenze, né la coscienza del potere di un tale gigantesco impero avrebbe tollerato di assumere uno stile straniero. Dall'eclettismo che ne risultò, si sviluppò lo stile K., così diverso dagli altri stili medievali indiani. Segnano gli inizî alcuni stūpa presso Pandrethan, di tipo Gupta, con statue di stile arcaico semi-cinese ("Wei" e "Sei Dinastie": v. cinese, arte), attualmente nel museo di Srinagar. Tanto esse quanto il grande stūpa della nuova capitale Parihasapura (Paraspor, a km 22,5 da Srinagar su un altipiano sulla strada per Baramula) risalgono a Chankuna, primo ministro tocarico di Lalitaditya, fatto venire dalla Cina.
Questo stūpa (un quadrato con 39 m di lato è una copia dello stūpa Huvishka, presso Ushkur, che fu allora restaurato; le sue sculture sono un misto di motivi del Gandhāra (come nel Vishnu in bronzo conservato nel museo di Berlino) di mediocri Buddha di stile Gupta e di Bodhisattva semicinesi (T'ang). Il chaitya eretto accanto conteneva un "Buddha gigante che si ergeva sino al cielo" in rame martellato e dorato, visibile un tempo, come il suo gemello in Pravarapura (Srinagar), da miglia e miglia di distanza entro la sua costruzione a torre, aperta sul lato anteriore. Entrambi erano ispirati ai Buddha colossali di Bāmiyān. Ma nel tempio sul Takht-i Sulaiman (tra Srinagar e il lago Dal) e nell'edificio poi trasformato in sepolcro per la madre del sultano, compaiono motivi assolutamente nuovi: l'autentico arco a pieno sesto della prima età bizantina, altrimenti quasi sconosciuto in India, che prelude a quello a ferro di cavallo, e le nicchie parietali di tipo bengalese. Questi elementi diventano ancor più evidenti nel tempio di Malot, le cui facciate a torre, elevate su di un sobrio plinto Gupta, ha pilastri romani e colonne scanalate portanti un aguzzo frontone, sotto il cui arco interno trilobato è stata composta una cappella di puro stile bengalese con shikhara tipicamente indiano.
Nel tempio del sole di Martand, finalmente, predominano gli elementi architettonici romani: uso della malta e di incastri, veri archi a tutto sesto, anche se usati soltanto a chiusura di quelli trilobati, soffitti a cassettoni, colonne doriche collegate, pilastri corinzi, listelli dentati, grandi finestre siriaco-romane con pesanti cornici, piccole nicchie nel timpano e pannelli quadrangolari sui pilastri, secondo l'uso siriano; contrafforti bizantini, colonne tortili e arpie (kinnārī) negli angoli del frontone. Il cortile del tempio, inoltre, è affine a quelli siriaco-romani, benché questo tipo si fosse diffuso in India già all'epoca dell'arte del Gandhāra e della prima arte Gupta. Questo influsso artistico romano straordinariamente tardo fu dovuto forse al fatto che gli architetti romani erano i migliori ingegneri del loro tempo e gli unici capaci di costruire edifici così giganteschi (tempio di m 19 × 11, cappelle laterali escluse, alto m 23 senza il tetto, cortile di m 67 × 43). All'imponente attività edilizia di Giustiniano aveva fatto seguito una crisi dell'impero bizantino, la perdita della Siria e la temporanea occupazione dell'Asia Minore da parte degli Arabi, sicché molti artisti e artigiani devono esser rimasti senza lavoro. (Anche Carlo Magno, contemporaneo più giovane di Lalitaditya impiegò artisti siriani). Ma, naturalmente, gli echi cristiani a Malot e a Martand sono assai deboli, più accentuata la ripresa di caratteri pagani romani. Funsero probabilmente da mediatori i nestoriani della regione del Tarim, patria di Chankuna. Il tipo del tempio a torre appartiene invece alla tradizione indo-Gupta, anche se influssi più antichi, siriani e iranici, debbono aver contribuito al suo sviluppo. Il timpano a vertice (triangolo equilatero) era comune tanto alla tarda antichità quanto all'arte del Gandhāra; da quest'ultima provengono il frontone a vòlta e l'arco trilobato, quest'ultimo in uso anche nel Bengala (contorno della testa e delle spalle della figura del Buddha), ma si ritrovano anche in Occidente in epoca bizantina. La plastica, infine, era puramente indiana, essendo anche la tarda scultura decadente Gupta assai superiore a quella occidentale contemporanea; essa decadde peraltro ben presto durante la produzione abbondante e affrettata di questi templi.
È innegabile l'influsso romano anche negli scarsi avanzi dei templi indù di Parahasapura; ma esso scompare presto nei templi più tardi dell'epoca di Lalitaditya per confondersi in un nuovo stile, che fuse in sé tutti i componenti originarî. Nei templi del re Avantivarman (856-883) a Vantipor (a 31 km a S di Srinagar) e di Shamkaravarman (883-902) presso Patan (Shamkarapura, a 30 km da Srinagar, sulla strada per Baramula), imitazioni di proporzioni ridotte, ma più eleganti dell'arte di Lalitaditya, riecheggiano ancora caratteri romani. Ma alla fine del millennio i templi in legno (precursori delle moschee kashmiri), cominciarono a soppiantare quelli in pietra; questi divennero sempre più piccoli e le loro forme più sciatte. Nel sec. XII ebbe termine anche lo stile K. medievale.
Bibl.: Kalhana, Rājataranginī, trad. di M. A. Stein, Westminster 1900; R. C. Kak, Handbook of the Sri Pratap Museum Srināgar, Calcutta 1923; H. de Terra-T. T. Paterson, Studies in the Ice Age in India, Washington 1933; R. C. Kak, Ancient Monuments of Kashmir, Londra 1933 (con bibl. precedente); C. L. Fabri, Buddhist Baroque in Kashmir, in Asia, XXXIX, 1939, p. 592 ss.; The Beginnings of Mediaeval Art in Kashmir, in J. Bombay University, 21, parte 2a, Bombay 1952, pp. 63 ss.; id., The Sun Temple of Martand and the Art of Lalitāditya-Muktāpidā, in Art and Letters: Journal of the Royal India, Pakistan and Ceylon Society, Londra, n. s. 27, 1953, p. i ss.; D. H. Gordon, The Prehistoric Background of Indian Culture, Bombay 1958; Imperial Roma and the Genesis of Classic Indian Art, in East and West, X, 1959, pp. 153 ss., 261 ss.; H. Härtel, Zur Datierung einer älteren Visnu-Bronze, in Indologen-Taguung Essen 1959, a cura di E. Waldschmidt, Gottinga 160, p. 165 ss.