Vedi CICLADICA, Arte dell'anno: 1959 - 1994
CICLADICA, Arte (v. vol.IIi, p. 581)
A partire dal 1960 sono state scavate e pubblicate oltre una dozzina di nuove necropoli e di piccoli insediamenti dell'Antico Bronzo cicladico; la richiesta, tuttavia, sul mercato antiquario internazionale di statuette in marmo e di altre opere di arte egea continua a favorire la deplorevole devastazione delle antichità. Prima del 1960 i rinvenimenti di Filakopì, nell'isola di Milo (v.), erano i soli, provenienti da un insediamento profondamente stratificato, a essere pubblicati in forma definitiva; a Grotta, nell'isola di Nasso - esplorata a partire dal 1949 - l'allagamento delle trincee a causa di una falda d'acqua ha reso difficile lo scavo e le pubblicazioni dei risultati sono sommarie. Un'estesa ricerca a Haghia Irini, Ceo (1960-1974), ha rivelato una successione di abitazioni sovrapposte, occupate per un periodo di tempo all'incirca uguale alla durata di Filakopì, mentre l'esplorazione di molti altri insediamenti di più breve vita ha contribuito alla soluzione di alcuni problemi relativi alla cronologia dell'Età del Bronzo: p.es. i villaggi neolitici di Saliagos (un isolotto presso Antiparos) e di Kephala a Ceo, o i piccoli ridotti dell'Antico Cicladico sulla sommità di una collina di Kastrì, a Syros, e del Monte Cinto a Delo. Gli scavi di Akrotiri a Thera (dal 1967) hanno aggiunto nuovi importanti ritrovamenti, principalmente del Tardo Cicladico I. Una dettagliata descrizione dei vecchi e nuovi scavi (1974- 1977) ha mantenuto vivo l'interesse per l'isola di Milo: in particolare i materiali dal santuario di Filakopì, precedentemente inesplorato - ai quali si aggiungono quelli di Koukounaries, a Paro, e di Grotta - hanno ampliato il quadro conoscitivo delle Cicladi in epoca micenea.
Gli ultimi due decenni hanno visto anche un rilevante progresso negli studi sulla tipologia e sulla cronologia dei materiali preistorici cicladici: p.es. lamelle di pietra scheggiata, oppure i resti della loro lavorazione, ora possono datarsi spesso indipendentemente dalla ceramica associata. Si conoscono non solo le forme di armi in metallo, di utensili, di oggetti da toletta e di gioielli, ma anche alcuni luoghi di origine del piombo, dell'argento e del rame impiegati dagli artigiani cicladici. I filoni di Sifno e di Citno furono importanti nell'Antico Bronzo, mentre nel corso dell'epoca micenea vennero eclissati dalle miniere del Laurion in Attica.
In particolare per l'Antico Cicladico possono distinguersi varietà regionali nella ceramica, ma molti tipi hanno una distribuzione assai ampia. Anche l’«orsetto» da Chalandrianì, a Siro, rimasto a lungo una rarità, trova ora confronti a Nasso e a Ceo, benché l'estensione dei contatti al di fuori dell'Egeo attraverso il commercio sia stata eccessivamente sopravvalutata.
Sono state classificate e analizzate nuove categorie di rinvenimenti dell'Antico Cicladico: p.es. una serie di lastre in pietra, virtualmente uniche - scoperte a Korphì t'Aroniu (Nasso) nel 1965 - con scene figurate (navi, animali, esseri umani) graffite sulla superficie. Impronte di sigilli dell'Antico Cicladico non sono più tanto rare.
Scavi recenti e studi stilistici hanno consentito di tracciare con maggiore precisione lo sviluppo cronologico degli idoli e idoletti in marmo: femminili per la maggior parte, ma anche di altri tipi come cacciatori/guerrieri, portatori di coppa, suonatori di arpa e gruppi compositi. Teste di terracotta dagli strati neolitici di Kephala presentano una forte somiglianza con molte dell'Età del Bronzo, mentre figurine in marmo da Saliagos offrono ancor più lontani antenati per le produzioni dell'Antico Cicladico. L'origine neolitica delle sculture cicladiche è dunque ora chiara come lo sono le linee generali del loro sviluppo stilistico nell'ambito dell'Antico Cicladico, ma il loro uso resta un enigma. La maggior parte proviene da tombe (benché anche in questi contesti siano notevolmente rare), ma numerosi esemplari dalla piccola isola di Keros (forse da un santuario?) e diversi da Haghia Irini e da Filakopì, lasciano adito alla possibilità che gli idoli avessero un ruolo anche nel mondo dei vivi; le Cicladi centrali, in particolare Nasso, ne erano i principali centri di produzione. Il corpus degli idoli cicladici è stato suddiviso in una serie di gruppi stilistici, con molte figure assegnate a singole mani di scultori: in alcuni casi abbiamo la possibilità di tracciare lo sviluppo di una singola mano, come quella del «Maestro di Goulandris», attraverso i successivi stadi della sua carriera. In molti, se non in tutti gli idoli di tipo «canonico», gli occhi, i capelli, i gioielli, le articolazioni e fors'anche i motivi ornamentali dipinti sul corpo erano indicati in colore rosso o blu: in molti casi ne rimane solo un'ombra dove la superficie originale della pietra era protetta. Vasi in marmo (versatoi, ciotole, giare, palette) sono più abbondanti ed erano probabilmente eseguiti dagli stessi artigiani. Sia quelli, sia gli idoli erano scolpiti con strumenti e tecniche piuttosto semplici.
La fine dell'Antico Bronzo è assai problematica: per un periodo, lungo forse 150 anni, e per tutte le Cicladi manca un quadro chiaro degli insediamenti. Molti abitati furono abbandonati e i prodotti caratteristici dell'arte dell'Antico Cicladico - gli idoli e i vasi di marmo - scompaiono in larga misura. Questi eventi potrebbero essere stati provocati da invasioni seguite da insediamenti nelle Cicladi di nuovi immigranti dall'Asia Minore (ceramiche di tipo anatolico sono state individuate a Kastrì, Haghia Irini e altrove in depositi del tardo Antico Cicladico) ma ciò non è provato in maniera inequivocabile.
Dopo questo iato, sembra esservi stato un minor numero di insediamenti di grandi dimensioni: generalmente un unico centro principale del Medio Cicladico per ciascuna isola. Le ceramiche di molte isole conservarono tradizioni locali nel corso del Medio Bronzo, benché vi fosse una circolazione commerciale di vasi per gran parte dell'Egeo e anche forme e motivi decorativi fossero prontamente mutuati. Dal continente erano esportate in grandi quantità la ceramica minia e la matt-painted., mentre anche vasellame minoico sia rozzo sia fine raggiungeva le Cicladi. I corredi funerari del Medio Cicladico da Haghia Irini (comprendenti un diadema d'oro decorato a traforo con punti a sbalzo) preannunciano le ricche sepolture delle tombe a fossa di Micene.
Verso il 1600 a.C. le mode cretesi incominciarono a esercitare una forte influenza sulle forme e sullo stile decorativo dei vasi cicladici; anche le forme architettoniche e scultoree non rimasero immuni dall'ispirazione minoica. Una conseguenza particolarmente notevole degli scambi con Creta è rappresentata dal gruppo di oltre cinquanta figure fittili, con stretti corsetti a maniche corte, aperti sul davanti e ampie gonne, finora assolutamente uniche, rinvenute nel «tempio», un edificio a sé stante di Haghia Irini a Ceo.
Sebbene siano note da Ceo pitture miniaturistiche e di altro tipo eseguite in un linguaggio minoico, queste sono state superate dai rinvenimenti ricchi e sorprendentemente ben conservati di Akrotiri a Thera, sigillati sotto strati di ceneri vulcaniche. Antilopi, scimmie blu, rondini, gigli, giovani pugilatori e molti altri soggetti sono resi in un affascinante stile naturalistico, che trova espressione anche nella contemporanea pittura vascolare. Complessi gruppi di pitture tematicamente correlati offrono un'occasione senza precedenti per esaminare le relazioni compositive tra opere che ornavano le pareti di un intero ambiente 0 di un intero edificio e per ricercarne il significato non solo nei singoli elementi di una pittura ma nell'ambito dell'iconografia di un completo programma decorativo: l'elaborata rappresentazione di scene che si svolgono in ambienti costieri (compresa la celebre «processione delle navi»), di pescatori, di paesaggi «nilotici», di un raduno sulla cima di una collina, e di altri soggetti che ornano le pareti della «Casa Ovest» è stata così interpretata come immagine di una celebrazione primaverile, che apriva la stagione della navigazione e la transumanza delle greggi.
La «Xeste 3» di Akrotiri era una struttura particolarmente complessa con elementi architettonici caratteristici della tradizione «palaziale» di Creta: p.es. una facciata ad assise di blocchi squadrati, un «bacino lustrale» e porte multiple adiacenti l'una all'altra nelle pareti divisorie interne, il c.d. sistema a polýthyron. Due piani erano sontuosamente adornati con pitture parietali. A un piano superiore, figure femminili, abbigliate in maniera stravagante e ingioiellate, offrono cestelli con il croco raccolto a una dea seduta e affiancata da un grifo e da una scimmia blu; in basso, un altare sormontato da corna di consacrazione e macchiato di sangue offriva un punto focale per attività rituali che si svolgevano nel bacino lustrale, forse riti femminili di ingresso nella pubertà.
Akrotiri si trova alle pendici di un cratere vulcanico; con la sua eruzione, intorno al 1500 a.C., tutti gli insediamenti di Thera vennero abbandonati. Le città di Filakopì a Milo e di Haghia Irini a Ceo vennero distrutte più tardi, la seconda forse da un terremoto, nel 1450 c.a, pressappoco contemporaneamente all'ondata di distruzioni che devastò Creta nel Tardo Minoico IB.
Nel periodo Tardo Cicladico l'arte micenea aveva sostituito quella minoica come espressione stilistica dominante nell'Egeo. A Filakopì il Mègaron, che ricorda, nella pianta, le sale del trono dei palazzi di Micene, Tirinto e Pilo, sostituì la più antica «residenza». In taluni casi anche i costumi funerari acquistarono almeno un'apparenza micenea. Ad Aplomata, nell'isola di Nasso, dischetti d'oro a sbalzo (senza dubbio in origine cuciti a uno scialle), gioielli e armi sono stati recuperati in tombe a camera di tipo continentale; nel 1979 una tomba a thòlos - rozza nella costruzione, ma micenea nell'ispirazione - è stata scavata ad Haghia Thekla a Tino.
I più interessanti esempi di arte decorativa e di scultura del Tardo Cicladico III provengono da depositi cultuali. Da tempo sono noti i rinvenimenti dall’Artemìsion di Delo, comprendenti una serie di placchette e di oggetti ritagliati in avorio che conservano scene con guerrieri, leoni e grifi, raffigurati in un caratteristico e vigoroso stile miceneo, ma gli scavi nel santuario di Filakopì hanno restituito un gruppo ancor più ampio di ex voto - in particolare sculture in terracotta - e di oggetti cultuali, che per la maggior parte sono anche di origine o di ispirazione micenea. Statuette femminili a «ψ», statuette di animali, buoi guidati e gruppi con carro trovano stretti paralleli nella Grecia continentale, mentre bovidi con corpo cavo modellati al tornio si rifanno a prototipi della Creta minoica. È da segnalare la raffinata «Signora di Filakopì», una statuetta, probabilmente di manifattura argiva, alta c.a 45 cm; questa e una delle numerose figure maschili grottescamente allungate e irrealisticamente appiattite (un tipo finora noto solo a Milo) potevano costituire le immagini di culto delle divinità venerate nel santuario. Una conchiglia di tritone e il carapace di una tartaruga (questo utilizzato come cassa armonica di una lira, quella probabilmente come tromba), un vaso ricavato da un uovo di struzzo, sigilli incisi in pietra, statuette in bronzo di un dio in atto di colpire, di tipo vicino-orientale, una testina in lamina d'oro, che in origine rivestiva probabilmente una statuetta, e uno scarabeo fanno tutti parte dell'ampia raccolta di paraphernàlia cultuali e di dediche. Il santuario di Filakopì rimase in uso fin dopo il 1100 a.C., il «tempio» di Haghia Irini a Ceo mantenne forse una continuità fino in epoca storica. Nell'attuale fase delle ricerche, tuttavia, pochi resti sono stati pubblicati in modo da far luce, per quanto riguarda le Cicladi, sul periodo meno conosciuto dei secoli XI-IX a.C.
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