Vedi CELTICA, Arte dell'anno: 1959 - 1994
CELTICA, Arte
Con questa espressione si designano quelle forme di arte e quel gusto che si son manifestati nel corso di lunghi secoli, in paesi diversi, occupati dai Celti; in alcune regioni questi due elementi si son trovati in competizione diretta con l'arte greco-romana, tanto da esserne talvolta eclissati in modo duraturo, come per esempio in Gallia, senza però venirne mai completamente sopraffatti. Il periodo in cui questo gusto e quest'arte agirono va dalla protostoria, cioè da poco dopo il 1000 a. C., agli inizî del 1000 d. C.; la loro sfera geografica era essenzialmente costituita dall'Europa occidentale e centrale, compresa l'Italia settentrionale.
I Celti non hanno mai formato una nazione e, propriamente parlando, nemmeno un impero. Partiti dall'Europa centrale, dalla Boemia e dalla Germania meridionale in successive ondate, sempre più numerose a partire dalla fine del II millennio a. C., e sempre dirigendosi verso l'O e il S, i Celti, sospinti essi stessi dai Germani, che forse non erano altro che i meno evoluti tra essi, occuparono il N della Gallia, la Gran Bretagna e l'Irlanda, quindi il centro della Gallia e la Spagna (circondando l'Aquitania, in cui però non riuscirono mai a penetrare), e infine il S-E della Gallia e l'Italia settentrionale. Di qui partirono per compiere incursioni su Roma, nell'Italia meridionale, nella Grecia e nel N dell'Asia Minore, dove diedero il nome ad una regione, la Galazia. Ma in tutti questi territorî non lasciarono nessun segno tangibile, per cui non si può parlare di civiltà ed arte e che nei paesi danubiani e renani, nella Gallia a N della Garonna, nel centro e nell'O della penisola Iberica e infine, e soprattutto, nelle isole di Britannia e Irlanda: in quest'ultima i Celti non subirono l'influenza delle arti mediterranee ed espressero quindi le loro tendenze estetiche con la massima intensità. La sola grande nazione che essi abbiano formato è quella gallica, la quale però sentì in modo prepotente l'influsso di Roma; si troverà sotto la voce gallo-romana, arte l'esposizione dei problemi creati da quest'incontro di due diverse tendenze artistiche.
Una parte di quest'arte c. appartiene alla protostoria, e viene divisa in due periodi che ricordano la terminologia delle epoche preistoriche poiché prendono nome da due stazioni-tipo: da Hallstatt (v.), nell'Alta Austria, il cui nome indica in complesso la prima Età del Ferro in queste regioni, senza un riferimento geografico preciso a una sola località; e da La Tène (v.), in Svizzera, il cui nome designa qui la seconda Età del Ferro. Quest'ultimo periodo, in paesi in cui la civiltà romana non è penetrata, si prolunga in piena epoca storica, tanto che ivi si ha un collegamento diretto dell'arte celtica con l'alto Medioevo. Nelle province dell' Impero quest'arte rifiorisce all'epoca delle invasioni barbariche che, come disse con felice espressione Albert Grenier, col loro avvento portarono la preistoria nella storia. L'arte c. rimase molto più pura in Irlanda, paese che non subì né l'occupazione romana né le successive invasioni sino al IX sec. d. C.
1. Origini dell'arte c.: l'epoca e l'arte di Hallstatt. - Dal IX fino agli inizi del V sec. a. C., nelle varie zone celtiche del continente si estende la prima Età del Ferro, alla quale corrisponde la civiltà di Hallstatt; nelle isole, invece, e particolarmente in Irlanda, si prolunga l'Età del Bronzo, la quale accoglie solo qualche infiltrazione isolata dal continente, sebbene alcune bande celtiche abbiano già attraversato il mare.
Questi uomini abitavano di preferenza sulle montagne, dove costruivano accampamenti fortificati da recinti di legno. Le loro necropoli a inumazione si trovavano al di fuori degli accampamenti. Erano dediti soprattutto alla pastorizia, possedevano greggi di capre e carretti a quattro ruote, di cui si trovano alcuni esemplari nelle tombe. Si sono anche ritrovati alcuni rasoi: gli Hallstattiani infatti non portavano la barba. Come armi principali, avevano lunghe e larghe spade di ferro dal fodero di legno, e pugnali ad antenna.
L'arte degli Hallstattiani ci è conosciuta per le armi e i monili trovati nei tumuli; essa presenta caratteri di una incontestabile unità, in cui già si manifestano quelle che saranno le tendenze dei Celti. Le armi non possono in genere essere considerate come una forma d'arte, e il loro studio appartiene piuttosto all'archeologia e alla tecnologia; le impugnature delle spade, tuttavia, sono talvolta riccamente decorate, con incrostazioni di avorio, ambra e oro; le impugnature dei pugnali portano due o quattro antenne curve, che in alcuni casi formano motivi plastici animati, persino antropomorfi. I foderi dei pugnali sono di metallo, talvolta decorati con linee geometriche.
I recipienti metallici sono spesso importati dalla Grecia o dall'Italia: situle, ciste, coppe, hydrìai. Le serie fabbricate in paesi celtici comprendono soprattutto paioli, coppe e bacili metallici, con gli orli decorati da incisioni geometriche. Il vasellame di terracotta offre una grande varietà di forme e di motivi lineari; si tratta di vasi modellati a mano, senza tornio, la cui decorazione consiste per la massima parte in incisioni, talvolta dipinte. Spesso i pezzi sono completati da un coperchio, mentre ben di rado sono forniti di manico. La decorazione è divisa in strisce orizzontali e anche queste sono spesso divise in compartimenti; i vasi dipinti presentano un repertorio molto vario: vi si nota un motivo simile alla triscele, la spirale, la svastica, figure animali e umane molto stilizzate, come cigni, cavalli, tori, arieti; talvolta i vasi stessi hanno la forma di un animale, per esempio di un uccello. Gli stessi temi, d'altra parte, si trovano sui bronzi e sulle ceramiche. La maggior parte dei vasi conosciuti sono stati rinvenuti nelle tombe.
I monili provengono soprattutto da tombe di donne. Braccialetti e anelli da gamba, in bronzo o in ferro, sono spesso di forma pesante, a chiodi, nodosità, coste, increspature, perle o denti. Vi sono alcuni bracciali a forma di barilotto, in bronzo inciso a motivi geometrici. In questa stessa epoca appaiono timidamente i primi torques, collari aperti, talvolta in bronzo dorato, ma ancora di modello semplice, che poi diverranno l'ornamento tipico delle genti celtiche. Vi sono inoltre buccole per gli orecchi, a forma di mezzaluna, spille a sferoidi sovrapposti; non sono ancora molto frequenti le fibule, le quali sono in genere in bronzo. In alcuni casi l'arco della fibula ha forma di navicella o di sanguisuga, e porta una decorazione geometrica, oppure si allarga a forma di disco ovale; in altri casi le fibule hanno l'aspetto d'una balestra. In Spagna e nell' Italia settentrionale, si trovano fibule a forma di quadrupedi, specialmente di cavalli.
Tra gli ornamenti femminili sono da segnalare anche targhe di cinture in lamine di bronzo battuto, con decorazioni geometriche: crocette, punti, cerchi di punti, losanghe, motivi a forma di nave sormontati da un cerchio, si inseriscono in compartimenti delimitati da sottili cornici. Le fibbie, triangolari, sono in lamine di bronzo a piccole coste o nodosità. Infine, ecco nella composizione dei monili apparire qualche materiale prezioso o raro: l'oro (braccialetti formati da grandi lastre e strisce di motivi geometrici, torques e orecchini), l'ambra del Baltico (anelli e chicchi per collane, talvolta in forma di barilotto) e il corallo, che fa la sua apparizione sulle fibule o sugli orecchini a pendenti. Gli articoli da toletta (pinzette depilatorie, stuzzica orecchi, raschini) dal manico tortile, sono modellati minuziosamente, e talvolta decorati con incisioni geometriche. Infine, i rasoi, per la loro foggia e la loro decorazione, hanno spesso un carattere artistico: si tratta di dischi lavorati a traforo, con o senza peduncolo, che portano incisi motivi in cui predominano le linee curve.
Nel 1953, ai piedi di un oppidum della fine del periodo hallstattiano, a Vix (v.) nella Côte-d'Or, sono stati metodicamente esplorati alcuni resti, tra i quali si trovò una serie di oggetti d'arte caratteristici. A fianco di pezzi importati dalla Grecia o dall'Italia (colossale cratere in bronzo, fiala di argento, coppa attica a figure nere, databile attorno al 530, oinochòe di bronzo a bocca triloba di fabbrica etrusca, bacili di bronzo), si trovarono, intorno al corpo d'una giovane principessa, oggetti tipicamente hallstattiani: un carro da parata a quattro ruote con i mozzi di bronzo, che qui fungeva da bara, lastre metalliche traforate in forma di rosoni, anelli da gamba e un diadema cavo in lanima d'oro piegata a tubo, terminante in due globi sui quali posano zampe di leone e si applicano cavallini alati; braccialetti di schisto di fabbricazione locale, un collare e alcuni braccialetti di chicchi d'ambra, fibule a scodella e a balestra, di cui una in ferro laminato d'oro.
È stato detto che l'arte dell'epoca di Hallstatt e un arte di superficie, un'arte di vasai e di orafi o, a rigore, di bronzisti, e non di scultori e di architetti. È vero, e bisogna anche dire che i pezzi più belli, quelli di lusso, tra cui anche qualche statuina, sono importati: l'arte indigena si contenta generalmente di decorare le superfici. Ma è anche un'arte di colore, che si serve, per le decorazioni dei piccoli oggetti, di pietre preziose e di loro imitazioni. È infine un'arte di linee, che si avvicina al geometrismo del periodo post-omerico e che deforma a fine decorativo i vegetali o gli animali e, sebbene più raramente, la figura umana.
Il geometrismo, che trionfa in quell'età nell'arte europea, presenta qualche tratto che appartiene ai Celti. Dei fogliami utilizza le curve e le controcurve, della figura animata prende solo gli elementi dissociati, ma è ancora e soprattutto sulla linea diritta, che si basa: "denti di lupo", triangoli, "greche", sebbene la spirale si sia già conquistato un suo diritto di cittadinanza in quest'arte. Alcuni segni hanno forse un valore simbolico: la rotella, simbolo del carro, del tuono o del sole, le stelle, le crocette, le svastiche, tutti segni più o meno astratti, e la spirale, che è forse il disegno semplificato del lampo. A questi motivi, quando li si incontra sugli amuleti e sui talismani, si avrebbe la tentazione di attribuire qualche potere magico.
2. L'arte dell'epoca di La Tène. - L'arte hallstattiana era fiorita contemporaneamente all'arte greca arcaica; i suoi pezzi più belli erano importati; nel suo geometrismo, in cui la linea diritta aveva ancora il predominio su quella curva, si manifestavano già le tendenze celtiche alla stilizzazione e alla astrazione. L'arte di La Tène comincia con l'età d'oro del classicismo greco e subisce, come quella che la precede, l'influenza italica: ma anche nell'imitazione essa crea uno stile proprio, precipuamente decorativo, che si sviluppa nelle isole celtiche e soprattutto nell'Irlanda, al riparo dalle influenze romane e germaniche, e sfocerà nell'arte pittorica irlandese dell'alto Medioevo: è questa l'arte c. propriamente detta. Essa ci è conosciuta per quei complessi di ritrovamenti sul continente, che risalgono a varie epoche della seconda metà del I millennio: i tumuli di Baviera e della Renania, le necropoli galliche della Marna, la stazione di La Tène in Svizzera, l'oppidum gallico del Mont-Beuvray (Bibracte, capitale degli Edui) e la stazione di Stradovitz in Boemia. In Irlanda e in Gran Bretagna gli oggetti rinvenuti, isolati, riguardano tutti l'epoca dell'Impero romano.
Gli oggetti che ci hanno reso possibile la conoscenza dell'arte dell'epoca di La Tène sono, nel loro insieme, dello stesso genere di quelli dell'epoca precedente, ma diversa è l'importanza delle varie categorie. Le armi comprendono, oltre alla grande spada che diventa sempre più lunga, scudi ed elmi. I monili presentano due serie particolarmente ricche: i torques maschili e femminili, e le fibule, di cui si conosce con precisione la cronologia; ugualmente numerosi e riccamente decorati sono i braccialetti; vi sono inoltre fermagli e fibbie di cinture, nonché bottoni decorati. Il vasellame non ci è noto solo per i ritrovamenti delle tombe: della fine dell'èra antica, per esempio, si conosce il vasellame di uso corrente del Mont-Beuvray. Infine, alcuni pezzi di carri e finimenti, catene e chiavi, hanno un interesse artistico per la loro decorazione. Dal punto di vista tecnico bisogna segnalare l'uso del corallo, ben presto sostituito dagli smalti che, anche sotto l'Impero romano, rimarranno una specialità dei Celti; questi avevano inoltre una particolare simpatia per le lastre di metallo traforato. La ceramica, a fondo scuro o dipinta, di foggia spesso carenata, è ormai fatta al tornio, cosa che conferisce alle forme grande slancio. Le isole britanniche hanno prodotto magnifici specchi incisi, che sono tra i pezzi più belli del repertorio celtico, al quale bisogna attribuire anche le monete galliche (v. più avanti).
Che si trovi su un fodero di spada, su uno scudo, una moneta, uno specchio, un vaso, o un torques, la decorazione celtica presenta alcuni caratteri costanti ed originali. È essenzialmente una decorazione lineare: come l'arte di Hallstatt, quest'arte deriva la sua bellezza dalle linee e dall'alternanza dei colori. Ma, mentre nell'epoca precedente era prevalso il geometrismo rettilineo, l'arte dell'epoca di La Tène è caratterizzata dal trionfo della curva e della controcurva. In secondo luogo, quest'arte, i cui motivi sono apparentemente fantastici, è in realtà rigorosa, amante della simmetria, e riesce sempre ad esprimere il movimento, che crea per mezzo delle sue curve ben studiate. Questa decorazione forma essenzialmente un gioco profondamente armonioso ed elegante: non vuole né imitare né idealizzare la realtà, come fa il gusto artistico mediterraneo, ma si limita ad animare le forme inanimate e a deformare le figure umane secondo le esigenze della sua virtuosità lineare.
Quest'arte non imita la natura: imita alcuni modelli, e i suoi motivi principali derivano da modelli greci. Già da molto tempo è stata tracciata l'origine e l'evoluzione, a partire dalla palmetta greca, della spirale celtica, questa doppia voluta dallo stelo rigonfio e a rotazioni opposte, ben presto combinata in tripla voluta o in triscele. Ai motivi dell'ornamento celtico sono stati dati nomi diversi corrispettivi delle forme da essi suggeriti: lacrime, mantici, fiamme, vesciche di pesce, abbracci (accolades), bottoni floreali in serie doppia o disposti a razzo, si accavallano o si oppongono in composizioni decorative senza fine, la cui armoniosità è pari solo alla loro complicazione. La palmetta celtica è un fiorone a tre petali, simile a un giglio: le sue foglie, combinate con le linee a S, costituiscono uno dei principali elementi, dalle curve aggraziate, d'un repertorio ricco più per le infinite combinazioni d'un limitato numero di motivi che non per la varietà dei motivi stessi. Non mancano disegni a linee spezzate, come la greca o le svastiche, che vengono usati meno che nell'epoca di Hallstatt.
Tra gli oggetti più rappresentativi dell'arte continentale dell'epoca di La Tène, ricordiamo: i foderi incisi rinvenuti a La Tène e a Cernon (Marna); i pugnali dall'impugnatura antropoide; l'elmo celtico di La Gorge-Meillet (Marna); le falere traforate e la fibbia di cinturone di Somme-Brionne; le falere d'Écury (Marna), i torques di Courtizols, Pleurs (Marna), Waldalgesheim; le fibule di Parsberg (Alto Palatinato); il braccialetto e l'anello d'oro pesantemente lavorati di Rodenbach (Baviera), i gioielli d'oro del Tarn e dell'Alta Garonna, il braccialetto di Montsaugeon (Alta Marna), le lastre ornate di fregi di triscele d'Etrechy (Marna) e di Schwarzenbach. Nelle isole britanniche, dove quest'arte fiorisce in epoca ancora posteriore a quella del continente, si trovano bei foderi di spada in Irlanda (Lisnacroghera), due begli orecchini decorati, l'uno con un cinghiale stilizzato (dal fiume Witham), l'altro con raffinati motivi curvilinei (dal Tamigi, a Londra), alcune placche di finimenti traforate, nel Somerset e nel Suffolk, bellissimi specchi di bronzo inciso (Trelan Bahow, Cornovaglia; Birdlip; specchi del museo di Liverpool), anelli di legno ornati di strisce di bronzo decorato (Marlborough, Aylesford), e persino alcune incisioni su legno (Glastonbury); la maschera di cavallo di Torrs, la mezzaluna di Anglesey, i torques di Broighter, l'elmo con corna dal Tamigi, sono pezzi di capitale importanza. Le fibule d'Aesica e di Trawsfynydd sono d'uno stile che si è prestato alla definizione di "flamboyant" (fiammeggiante) solitamente riservata a un periodo dell'arte gotica.
Il vasellame può essere classificato a seconda delle regioni. Inizialmente, il geometrismo ha nella Champagne un carattere rettilineo, che però ben presto viene sopraffatto dalle linee curve; i vasi delle necropoli della Marna, racchiusi in un reticolato di linee sinuose, ricordano i vasi ornati di polipi ed alghe della civiltà minoica. Il vasellame della regione armoricana e delle isole britanniche si distingue per la simmetria dei motivi disposti in fregi. Le decorazioni dell'Europa centrale sono meno ricche, ma comprendono fregi d'animali. Alla fine del periodo di La Tène, alcune tazze dipinte di Roanne, Lezoux e Ginevra, presentano elaborati motivi animali, disposti con equilibrata armonia, mentre i vasi iberici hanno una raffinata decorazione geometrica in cui sono inserite figure d'animali.
L'arte di La Tène è stata da alcuni definita "aniconica", cioè priva di rappresentazioni di esseri viventi o comunque tolte dalla natura: è un'inesattezza, perché essa fa uso della maschera umana, dei profili degli animali (e persino degli animali in tre dimensioni come pendenti per orecchini), e tutta la statuaria preromana del mezzogiorno della Gallia, tutte le monete galliche di tutte le regioni, che dedicano tanto spazio al viso umano e ai corpi sia umani che animali, derivano precisamente da quest'arte (v. gallo-romana, arte). Si è potuto persino parlare della "esaltazione della testa nel pensiero e nell'arte dei Celti" (Lambrechts, 1954): la testa separata dal resto, la maschera umana, infatti, figura spesso in quest'arte, che pure è così poco figurativa. Resta però vero che il viso o il corpo non sono trattati dagli artisti di La Tène per se stessi, e che il corpo umano non li ha spinti a nessuna ricerca. Il profilo degli animali, specialmente dei quadrupedi, rivela un'osservazione più attenta. Il bacile di Gundestrup (Danimarca) presenta, inserite in una decorazione vegetale, le immagini umane e animali più audaci che la tarda arte c. abbia prodotto.
3. Le monete galliche. - Esse sono anteriori immediatamente alla conquista di Cesare, contemporanee alla scultura preromana della Francia meridionale e agli inizi storici della regione narbonese. Le emissioni più interessanti sono state fatte probabilmente durante la guerra gallica e anche un poco dopo.
I Galli hanno cominciato a imitare gli stateri d'oro macedonici col tipo della testa di Apollo e della biga coniati fra il 359 e il 336 a. C. sotto Filippo, padre di Alessandro Magno. Si è discusso, se le imitazioni risalissero almeno al III secolo, in base ai contatti avuti attraverso Marsiglia, oppure fossero una conseguenza della immissione in circolazione di grande quantità di queste monete a opera del commercio romano alla metà del II sec. a. C. dopo che immenso bottino ne era stato fatto a seguito delle vittorie romane in Grecia (Cinocefale, 197 a. C.; Pidna, 168 a. C.). Questa ipotesi appare oggi la più probabile. Dopo una prima imitazione della moneta macedonica, i monetieri celtici hanno copiato le loro proprie imitazioni e, allontanandosi a poco a poco da un modello ormai dimenticato, ne hanno deformato i tratti al punto da trovare una completa libertà di espressione e da servirsene in modo schematico, irrealistico, fantastico, e sempre così cerebrale che si son potute qualificare queste opere eminentemente decorative ed esuberanti con termine di "arte astratta" nel senso che i critici dell'arte contemporanea danno a questa parola.
La testa di Apollo o diviene un occhio immenso, o un insieme di riccioli sapientemente disposti: è la famiglia "belgica" delle monete galliche; il cavallo riceve una testa umana, il carro non è più che un segno in un cielo stellato, il conducente si metamorfizza in demone, in uccello, in mostro: è la famiglia "armoricana"; la testa del dio si stilizza fortemente conservando la bellezza lineare dei suoi tratti, il cavallo è sormontato da una specie di ala in forma di rete: è lo stile dei Parisii; la testa diviene una composizione equilibrata di forme geometriche, quadrati in serie dove era la corona d'alloro, semicerchi dove era l'occhio e il profilo, globi, rettangoli e stelle dove erano le orecchie; il cavallo alato è tracciato con vigore per mezzo di bastoncini terminanti in globetti: eccoci allo stile dell'Aquitania, il più violentemente antinaturalista di tutti.
Oggi queste monete non sono più messe a debito di un'arte "degenerata": vi si trova, al contrario, la liberazione del genio celtico, tutto preso di linee e di segni, opposto contemporaneamente tanto alla idealizzazione che al realismo dell'arte mediterranea. È ancora troppo presto per ricostruire l'evoluzione di questa forma d'arte: bisogna attendere che la cronologia delle monete sia stata più solidamente fissata dai numismatici. Ma è certo che i Galli erano notevoli incisori di monete, che essi avevano una visione cerebrale dell'universo assolutamente originale e che gli altri paesi celtici, Spagna, Britannia, Italia settentrionale sono rimasti quasi estranei a questa fioritura di immagini monetarie. Solo nei paesi danubiani se ne ha qualche eco (monete del re Kavasus, o Cavarus, in Transilvania).
(P.-M. Duval)
4. Caratteri generali. - L'arte c. è, insieme a quella iberica e a quella scitica, una delle tre civiltà artistiche non classiche che si possono riconoscere nell'antica Europa continentale. Quella iberica non superò mai lo stadio barbarico e, dopo aver assorbito elementi fenici e greci, si esaurì nell'arte provinciale di età romana. L'arte scitica ebbe un'area di diffusione enorme, che la portò a oriente a contatti con l'arte cinese, con l'arte c. a occidente, e a influire infine, nell'alto Medioevo, sull'arte nordico-germanica (v.) dell'età delle migrazioni. L'arte scitica elaborò lo stile animalistico eurasiatico, che forma una categoria artistica e storica ben definibile, contro la quale la sola arte greca rimase impenetrabile; sostanzialmente rimase, rispetto all'arte europea, un fenomeno periferico. L'arte c., invece, ebbe subito una importanza storica europea; anche se va negata consistenza storica all'affermazione che esista una "corrente celtica sotterranea" che determinerebbe talune forme dell'arte gotica, del rococò e addirittura di quello "stile liberty" che fu di moda all' inizio del secolo corrente. Il substrato celtico si inseri, invece, senza dubbio nell'arte delle province romane e nell'arte "barbarica" nordico-germanica; esso rappresenta il primo grande contributo barbarico all'arte europea (Jacobstahl).
Nella formazione dell'arte c. si assiste a un fenomeno analogo a quello avvenuto in Grecia e in Italia nel periodo detto "orientalizzante": ad un certo momento il geometrismo primitivo, stanco e ormai inerte residuo dell'astrazione di età neolitica, non soddisfa più una società che si fa più complessa ed economicamente più agiata. In Grecia, specialmente in Attica, vi è dapprima il magnifico tentativo di infondere vita al geometrismo elevandolo di nuovo a dignità di stile; poi, invece, si cerca di uscire dal geometrismo assorbendo, dalla fine dell'VIII sec. a. C., forme e repertorî della più complessa civiltà artistica del vicino Oriente. Analogamente, tre secoli più tardi, le popolazioni celtiche escono dal geometrismo dell'epoca di Hallstatt, e creano un nuovo stile per il quale la Grecia e l'Italia svolgono il ruolo che per quelle aveva avuto l'Oriente; con la differenza che frà settentrione celtico e Grecia non vi fu contatto diretto (come vi era stato fra Grecia e Oriente), ma solo indiretto, attraverso le vie commerciali. Se in età più antica i contatti commerciali dovettero svolgersi soprattutto attraverso la via di Marsiglia e della valle del Ròdano (e quasi affatto per via atlantica, come dimostrano le direttrici indicate da trovamenti di oggetti importati di uso comune), in un secondo tempo, e proprio quando nel V-IV sec. a. C. si può individuare il costituirsi di uno stile celtico autonomo, si deve riconoscere con i più recenti studiosi, che portatore del contatto dovette essere il commercio etrusco, esercitato direttamente o attraverso le popolazioni subalpine. Gli oggetti artistici che giungono attraverso tale via nel centro-Europa non dovevano essere il principale scopo del commercio etrusco, ma accompagnare in limitati esemplari, le merci principali (probabilmente metalli, forse anche vino). I Celti assorbono e trasformano i motivi ricevuti (un esempio chiaro è dato dall'anello da Rodenbach, confrontabile col suo modello etrusco: Jacobstahl, n. 72). Ma vi dovettero essere anche artigiani che lavoravano direttamente per committenti celtici, sul luogo: un artigiano veneto (v. atesina, civiltà) dovette essere l'autore della spada di Hallstatt (Jacobstahl, n. 96) che dà finora l'unico esempio di fregio a soggetto narrativo in una fase di arte c. esclusivamente ornamentale; e greco (o della Magna Grecia) dovette essere quello che fece le brocche con le leonesse da Lenzburg (Iacobstahl, n. 392). Anche il diadema di Vix (v.) non si spiega se non con la presenza di un orafo di tradizione greca, che adatta il suo repertorio a un oggetto di forma fondamentalmente celtica. D'altra parte vasi dipinti greci generalmente mediocri e buone statuette in bronzo, italiche, sono stati trovati nelle tombe celtiche; ma come oggetti preziosi, di curiosità, senza che il naturalismo artistico da essi espresso abbia intaccato la sostanziale astrattezza irrazionale che sta a fondo dell'arte celtica. Nella sua fase più antica prevalgono i caratteri ornamentali, le derivazioni da forme animalesche, le maschere, mutuate dall'Oriente scitico: è stato detto che l'arte c. diviene in questa fase l'avamposto occidentale di quella vastissima zona artistica eurasiatica, che va fino alla Mongolia, nella quale non esiste raffigurazione antropomorfa e nella quale la mitologia si esprime soltanto sotto aspetto zoomorfo (Alföldi; Buschor; Jacobstahl). Tuttavia il modo e i canali di recezione del repertorio "scitico", in ambiente celtico non appaiono ancora chiariti; mentre non vi è dubbio che la tecnica dell'intarsio smaltato, tipica per la decorazione celtica, proviene da ambiente caucasico.
Partendo dalle prime manifestazioni dell'epoca La Tène sono stati ora distinti (Jacobstahl) tre gruppi stilistici: 1) uno "stile arcaico" (Early Style), 2) uno "stile di Waldalgesheim" (dal luogo di uno dei più complessi trovamenti, in Renania) 3) una fase più complessa nella quale si possono distinguere due correnti, uno "stile plastico" (Piastic Style) e uno "stile delle spade" (Sword Style). Lo stile arcaico o 1° segna il tempo dei più intensi assorbimenti di motivi esterni, mediante i quali si sviluppa, però, uno stile consapevole, nuovo rispetto alla fase hallstattiana, che può dirsi sostanzialmente basato sopra uno strato subarcaico di forme mediterrannee. Lo stile di Waldalgesheim o 2° può, in certo modo, definirsi l'età classica dell'arte c. ; l'arcaismo è superato e si ha la libera elaborazione delle forme ricevute in un nuovo e originale equilibrio. Si crea un tipico motivo di viticcio, che però ha ben poco della natura vegetale ed esprime piuttosto il gusto per l'intreccio complesso, ma astratto, sviluppato in piano, che rimarrà peculiare all'arte c. sino alle sue più tarde espressioni medievali. La fase 3a sviluppa, specialmente in certe spade di trovamenti ungheresi, elementi della fase precedente, ma non vi appare recezione di motivi nuovi. Un altro filone, che sembra contemporaneo, sviluppa un nuovo senso di plasticità; appartiene a questo filone anche quello che è stato detto lo "stile di Cheshire" (Cheshire Style) nel quale si riprendono le maschere già apparse nello stile arcaico, cambiandone l'espressione e il valore.
Il 1° stile si manifesta in oggetti trovati in Germania, Austria, Boemia, Belgio e Francia; scarsamente in Svizzera e in Ungheria; è praticamente assente su oggetti trovati in Italia e nelle isole britanniche. Entro questo stile un gruppo di oggetti particolarmente "scitizzanti" è diffuso in un'area più ristretta: Germania, Austria, Boemia; assai sporadicamente in Francia, assenti, singolarmente, in Ungheria. Il 2° stile ha manifestamente il suo centro nella zona fra il Reno, la Svizzera, la Francia, ma oggetti appartenenti ad esso si trovano anche in tutta la Germania, in Austria, Boemia, Ungheria, Rumenia, Bulgaria, Belgio, Italia. Durante il 3° stile i centri di produzione sembrano spostarsi verso O e verso S; la Renania e la Francia appaiono divenute improduttive, mentre entrambe le correnti di questo periodo si trovano centrate nella Germania S-O, in Boemia, Ungheria, Svizzera. Pochi e scadenti i materiali trovati in Francia, in Italia, in Renania. In tutte e tre le epoche il materiale trovato nelle province più orientali appare essere d'importazione (in Rumenia e Bulgaria dall'Ungheria); il Belgio non appare mai centro produttivo e anche l'Italia celtica appare una provincia non creativa: i pezzi di buona fattura, tutti appartenenti allo "stile di Waldalgesheim" appaiono di importazione (torques di Filottrano, Jacobstahl, n. 44; elmo di Canosa, id., n. 143; materiali di Comacchio, id., n. 401; ecc.). Questo spostarsi di centri artisticamente attivi corrisponde alla vita delle tribù celtiche impegnate, in questi secoli, a continue migrazioni e incursioni, a lotte sanguinose; alla incapacità di raggiungere una organizzazione politica e uno stabile dominio territoriale.
La cronologia, relativa e assoluta, delle tre fasi stilistiche sopra dette è tuttora oggetto di discussione. Osservando lo sviluppo formale dell'arte c. dall'interno, si può stabilire che il 1° stile deve essere anteriore al 2° e le due correnti del 3° stile, posteriori; ma il 2° stile, riflettendo alcuni motivi classici del IV sec. a. C. contiene accenni cronologici già abbastanza chiari. Altri elementi si possono dedurre dal materiale di importazione concomitante. Lo Jacobstahl (p. 143 ss.) ha cercato di ricostruire il processo di assorbimento di tali forme e le vicende degli oggetti di importazione, che presentano spesso tracce di usura, il che dimostra che l'intervallo fra l'acquisto e la deposizione nella tomba fu abbastanza lungo. Seguendo tali considerazioni, egli ha immaginato che, per esempio, i vasi attici dipinti attorno al 450 a. C., trovati nelle tombe di Rodenbach e di Klein Aspergle, saranno stati acquistati in Germania verso il 445 e usati durante una generazione: il materiale celtico concomitante, di pieno stile di Waldalgesheim, scenderebbe fra il 410-400 a. C.; analogamente quello di Somme-Brionne scenderebbe attorno al 370. D'altra parte anche l'importazione etrusca si rivela appartenente alla medesima corrente di espansione che si avverte verso la fine del V sec. nelle tombe di Bologna, di Spina, ecc. Inoltre gli oggetti celtici trovati in tombe italiche, o le tombe di Celti in Italia, debbono, ragionevolmente, essere anteriori al 283-282 a. C. quando i Galli Senoni vengono annientati e respinti fuori d'Italia. Quelle tombe contengono materiali ceramici databili alla fine del IV sec. (circa 310-300 a. C.); dello Stesso tempo appare la necropoli gallica di Bologna. Sicché se ne può concludere che lo "stile di Waldalgesheim" ha la sua piena fioritura fra la fine del V e gli inizi del III sec. a. C. Per il 3° stile non abbiamo oggetti di sicura datazione associati con materiale che ad esso appartengano (la tomba di Mezik, Jacobstahl, p. 151, non era intatta; il trovamento di Frasnez-lez-Buissenal, id., p. 99, conteneva 52 monete d'oro dei Nervii e dei Morini coniate nel secondo quarto del I sec. a. C., ma era composto di materiali tesaurizzati; gli anelli concomitanti appaiono di fattura del III-II sec. a. C.). Nessun elemento cronologico ci viene offerto dalle rare iscrizioni, le quali confermano che i Celti usarono l'alfabeto greco, come era affermato dalle fonti storiche antiche. L'iscrizione sopra lo strigile di Filottrano (tomba 120; Journal of the Antropological Institute, lxvii, 1937, tav. 26,6) contenente la radice celtica ollo, è forse la più antica iscrizione celtica che abbiamo (v. il nome di Bodvogenus sotto argentarius; karisios).
(Red.)
5. L'arte c. cristiana d'Irlanda. - L'arte dell'epoca di La Tène aveva maturato nelle isole britanniche, e particolarmente in Irlanda, durante e dopo la pace dell'Impero romano. La Bretagna era stata latinizzata nella sua parte meridionale e, dopo essere stata rapidamente cristianizzata, fu invasa dai Sassoni pagani; l'Irlanda, invece, non conobbe né l'invasione romana né quella germanica. Profondamente cristianizzata fin dal sec. V, da quell'epoca mescolò strettamente la tradizione della sua arte celtica - arte di La Tène ritardata, ma non ostacolata - con lo spirito della nuova religione: ne è risultata un'arte originale che, con la diffusione dei manoscritti miniati, si è sparsa sul continente e ha prodotto le sue cose più belle tra il VII e l'VIII sec. Oltre ai manoscritti, oggi conosciamo anche una serie di monumenti di scultura irlandese, soprattutto pietre tombali, e inoltre oggetti metallici decorati, che viaggiarono con i loro proprietarî, e che sono stati ritrovati specialinente nelle tombe dei Vichinghi tornati nella Scandinavia. Alcuni pezzi provengono dalla Gran Bretagna, specialmente dal N, cioè dalla Northumbria, ma si può, senza tema di ingiustizia, riservare il nome di "irlandese" a quest'arte c. che deve all'Irlanda la sua maturazione e i suoi più bei capolavori.
Dal V al VII sec., l'arte irlandese si sviluppa nei monasteri, incorporando al vecchio repertorio della decorazione celtica, elementi romani e orientali penetrati nell'isola in seguito alla venuta di San Patrizio e grazie alle relazioni dei monaci irlandesi con gli ordini monastici dell'Egitto e della Siria. Questi elementi sono: la croce greca, la croce cerchiata, le pagine dei manoscritti interamente coperte da decorazioni geometriche e gli intrecci che, combinati con la spirale, serviranno a dare nuova vita alle curve celtiche. Gli smalti bulinati (tipo "champlevé") alla maniera celtica e gli smalti galloromani tipo "mille fiori" vengono usati per la decorazione di fermagli, fibule e spille le cui forme sono romane. Appare in questi lavori la foglia ovale che racchiude due curve, così come pure la filigrana, tecnica propria dell'oreficeria romana. Il capolavoro di quest'epoca è la "Corona Petrie" del museo di Dublino, frammento d'una corona votiva in bronzo. I più antichi manoscritti illustrati risalgono agli inizi del VII sec., e in essi già appaiono quelle che saranno le caratteristiche della miniatura irlandese: l'inquadratura decorativa delle pagine le pagine interamente coperte da ornamenti, dette "pagine a tappeto"; i motivi geometrici si ritrovano, in quella stessa epoca, sulle colonne e sulle stele di pietra che ben presto, a partire dalla metà del secolo VII, si copriranno degli stessi motivi delle pagine dei manoscritti, mentre in genere la foggia delle stele ricorda quella d'una croce. Le più belle tra queste pietre scolpite sono la croce di Carndonagh (Donegal) e la stele di Fahan Mura (Donegal).
Il libro di Durrow è uno dei più celebri manoscritti irlandesi; si tratta di un Vangelo in cui si trova una decorazione astratta, priva di figure umane, armoniosa ed equilibrata, in cui gli stessi animali, combinati con intrecci, hanno qualcosa di irreale. Nella Northumbria il monastero di Lindisfarne introduce nello stile più propriamente irlandese influenze continentali; qui la combinazione di animali e intrecci assume forme nuove, vegetali, astratte, ispirate alla decorazione delle croci inglesi. Le maiuscole ornate diventano fregi ricchi di elementi animali, mentre le "pagine a tappeto" assumono una grande complessità di linee. Questa produzione artistica cade cronologicamente al di fuori dei limiti segnati alla presente opera, ma poichè rappresentala diretta e ultima continuazione dell'arte c. se ne riferiscono alcuni dati.
L'apogeo dell'arte irlandese è da porsi nell'VIII sec., e dura sino agli inizî del IX. Gli scavi di Lagore (a N di Dublino) hanno portato alla luce pezzi di oreficeria e hanno rivelato l'esistenza di vere fabbriche di bronzi e vetri. Si conoscono grandi spille, la piu bella delle quali, la "spilla di Tara" (Dublino, Museo Naz.) è tutta ricoperta di spirali, intrecci animali e uccelli, con filigrane d'oro, bordature d'ambra e di vetro a "cabochon". Il calice di Ardagh (ibidem) domina su tutte queste opere di oreficeria occidentale di quest'epoca per la sua perfezione tecnica (filigrane, smalti molati secondo l'antica usanza celtica) e la semplice bellezza della sua decorazione e dell'iscrizione. Le croci di pietra si ispirano a questi elementi dell'oreficeria: spirali, fogliami, teste d'animali, ma presentano anche scene figurate, talvolta di difficile e ancora problematica interpretazione.
I manoscritti dell'VIII sec. e degli inizi del IX trasformano in motivi decorativi persino i visi e i vestiti dei personaggi evangelici, e continuano ad avvolgere i soggetti intorno alle iniziali (libro di Armagh, libro di Kells, entrambi nel Trinity College di Dublino); il complicato intersecarsi degli elementi e l'astrazione qui sono spinti alle loro estreme conseguenze. Ma le invasioni scandinave vengono ben presto a distruggere queste fabbriche e gli artisti emigrati sul continente subiranno fortemente l'influenza dell'arte carolingia. L'importanza dell'arte irlandese risiede innanzitutto nel contributo apportato alla miniatura continentale, e poi alla scultura romanica.
L'arte c. dalle sue origini protostoriche fino a tutto il suo grande periodo cristiano, si palesa, così, basata su un gioco dello spirito che si rifiuta di imitare la realtà e la trasforma invece in temi e fantasie decorative di linee e colori. Arte di superficie, dunque, sia schematica ed espressionistica, che erudita e ridondante, ma sempre notevole per la finezza d'un equilibrio talvolta poco appariscente, per l'eleganza delle sue linee e l'armonia della sua decorazione.
(P.-M. Duval)
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2. Epoca di La Tène. - J. Déchelette, op. cit., IV, 1927: Second âge du Fer ou l'époque de La Tène, capp. V-XII; H. Hubert, op. cit.2, 1950, I parte, cap. V: Donnés archéologiques, la civilisation de La Tène; P. Jacobstahl, Early Celtic Art, 2 voll. (di cui uno di tavole), Oxford 1944: trattato completo dell'arte dei secc. V-II. v. cap. 3: Grammar of Celtic Ornament; Albert Grenier, Les Gaulois, 1945, cap. VIII; R. Lantier - J. Hubert, op. cit., Parigi 1947, I parte, III: L'art celtique; E. T. Leeds, Celtic Ornament, 1933; St. Piggott - G. E. Daniel, A Picture Book of Ancient British Art, Cambridge 1951; F. Henry, Irish Art in the Early Christian Period, Londra 1940, e 2 ed. 1947, cap. I: Irish Art in Pagan Times; id., Émailleurs d'Occident, in Préhistoire, II, 1933, i; J. Paulik, Kunst der Vorzeit, Praga 1956.
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5. Irlanda cristiana. - Christian Art in Ancient Ireland, I, 1932 (A. Mahr); II, 1941 (J. Raftery); G. J. Westwood, Fac-similes of the Miniatures and Ornaments of Anglosaxon and Irish Manuscripts, 1868; E. H. Zimmermann, Vorkarolingische Miniaturen, III, IV, Berlino 1916; A. K. Porter, The Crosses and Culture of Ireland, New Haven 1931; E. A. Lowe, Codices Latini Antiquiores, II: Great Britain and Irland, Oxford 1935; G. L. Micheli, L'enluminure du Haut Moyen Âge et les influences irlandaises, Bruxelles 1939; F. Henry, La sculpture irlandaise pendant les douze premiers siècles de l'ère chrétienne, 2 voll., 1932; id., Irish Art cit., Londra 1940 e 2 ed. 1947; R. A. S. Macalister, Corpusc Inscr. Insul. Celticarum, Dublino 1945-49; F. Masai, Essai sur les origines de la miniature dite irlandaise, Bruxelles 1947; F. Henry, Art irlandais, Dublino 1954.
(P.-M. Duval*)