BARBARICA, ARTE
. Si designa così l'arte che si sviluppò in Occidente all'epoca delle invasioni germaniche, dal sec. V ai sec. IX. In singolare contrasto con l'arte classica l'arte dei barbari deforma la realtà, impone agli elementi naturali, vegetali e animali e alla figura umana, il rigore e la simmetria dell'ornato geometrico. Sua legge suprema è la ricerca dell'effetto decorativo.
Quest'arte barbarica ci è nota soprattutto per gli ornamenti ritrovati nelle tombe contemporanee alle invasioni e per i lavori di oreficeria religiosa eseguiti con la stessa tecnica. Allora, l'oreficeria divenne predominante e impose i suoi temi ornamentali a tutte le altre arti.
Due generi di decorazione dominano; grandi nuclei non sfaccettati di vetro colorato o di pietre preziose, soprattutto di granati, sono incassati in alveoli dentro il metallo formando disegni variati (oreficeria alveolata); oppure fili d'oro e d'argento disegnanti un ornamento sono incastrati su placche di metallo in solchi incisi al bulino (filigrane, affini alla damaschinatura; e si noti che la Notitia dignitatum chiama barbaricarii gli orafi di filigrane). Le due tecniche si trovano spesso riunite nei medesimi oggetti. Tale arte regna dal sec. V al IX nei paesi occupati dai barbari, dalla Scandinavia all'Africa vandala, dalla Gallia all'Asia centrale.
Caratteri essenziali. - Predomina anzitutto l'ornamentazione geometrica, ma trattata senza monotonia e con fantasia così esuberante che fa pensare all'arte araba. Intrecci capricciosi, sotto forma di semplici trecce o di nodi chiusi, ricoprono la superficie degli oggetti e terminano talvolta con teste di serpente riportando così al significato primitivo questo ornamento: serpenti allacciati. La maggior parte dei motivi decorativi riproducono anche forme vegetali o animali più o meno deformate e assoggettate allo schema geometrico. I motivi zoomorfi sono i preferiti: uccelli rapaci dal becco adunco, leoni, felini di ogni specie, ruminanti, cervoidi, api, ecc. Pur nella stilizzazione sistematica se ne distinguono le diverse forme essenziali. La figura umana appare raramente, è sempre disegnata in una maniera infantile senza alcuna cura della verità e delle proporzioni.
Gli altri caratteri dell'arte barbarica consistono nella ricerca del colore splendente e della ricchezza della materia. La quantità di oggetti d'oro fino, decorati di granati, di zaffiri, turchesi, perle fine trovati nelle tombe dei capi, è prodigiosa. Nelle sepolture più modeste l'oro è sostituito dal rame, le pietre dal vetro colorato, ma la ricerca di ricchezza è la medesima.
Nulla è più contrario all'ideale di verità, di semplicità, d'eleganza sobria dell'arte greco-romana, e tuttavia l'arte dei barbari del secolo V non appare interamente disgiunta dalle tradizioni artistiche delle provincie in cui si svolse. In Gallia e in Italia soprattutto si osservano molti motivi d'ornamentazione classica (foglie d'acanto, viticci, ecc.), perfino la figura umana e l'iconografia religiosa dell'arte cristiana su oggetti barbarici, sebbene tutto sia quasi irriconoscibile, deformato sistematicamente secondo i principî dell'ornamentazione geometrica, come p. es. nelle fibule dette burgunde, con Daniele nella fossa dei leoni e sulle coppe d'oro del tesoro di Tirana (Albania), con busti di città turrite.
Una fibula d'oro proveniente dall'Asia Minore (Londra, British Museum) ha su sfondo di girali e intrecci una cacciatrice a cavallo accompagnata da un leone, di stile classico puro.
I barbari di tutti i paesi imitarono volentieri le monete romane nelle bratteate, medaglioni monetiformi provvisti spesso d'un gancio di sospensione e composti di lamina d'oro stampata più o meno grossolanamente sui tipi delle monete imperiali. Molte bratteate recano iscrizioni in caratteri runici.
Notevoli sono altre contaminazioni fra l'arte barbarica e le tradizioni anteriori. I barbari che si stabilirono in Gallia e nella Gran Bretagna vi trovarono un'arte indigena rimontante ai tempi preistorici e, malgrado la voga dell'arte importata dai Romani, non mai interamente scomparsa: l'arte "di La Tène", di carattere popolare, che ha lasciato numerose tracce nei monumenti gallo-romani, in particolare nelle stele funerarie. Sembra che all'epoca delle invasioni, mentre scompariva la tradizione classica, quell'arte millenaria abbia avuto una rifioritura, che si spiega con la rispondenza intima della sua ornamentazione favorita, fatta di motivi geometrici (losanghe, scaglioni, zigzag, rotelle, spirali, rose a sei petali, ecc.), con la decorazione di oggetti barbarici. Nei paesi scandinavi, dove le importazioni romane erano state deboli, si osserva un legame diretto fra quell'arte preistorica e l'arte del periodo delle invasioni.
Bisogna notare infine i rapporti stretti fra l'arte barbarica ornamentale e quella dell'Oriente indigeno, copta, siriaca, persiana, che aveva resistito all'azione dell'ellenismo, soprattutto nelle provincie continentali, nella vallata del Nilo, nella Siria centrale, nella pianura dell'Anatolia, nella Mesopotamia. Da molti secoli le importazioni commerciali dei mercanti siriaci avevano contribuito a diffondere per tutto l'Impero romano stoffe preziose e oggetti d'arte industriale eseguiti in Oriente secondo principî estetici opposti a quelli dell'arte greco-romana. Come la barbarica, l'ornamentazione orientale deformava la realtà, stilizzava le piante, gli animali e anche l'uomo secondo una norma geometrica. L'arte caldea del III millennio avanti l'era cristiana conosceva già tutte le forme decorative d'intrecci usate nell'oreficeria barbarica, dal nodo cruciforme alla treccia. Dalle foglie della palma simmetricamente disposte l'arte assira aveva tratto la palmetta; gli steli carichi di foglie a intervalli regolari aveva trasformato in candelabri. Presso le figure di animali riprodotte liberamente, e spesso con verità mirabile, l'arte orientale aveva composto i gruppi araldici di animali contrapposti ai due lati dell'"albero della vita" e aveva creato esseri fantastici (grifoni, chimere, tori dalla testa umana; ecc.) che passarono all'arte classica e ritrovarono novella giovinezza nell'epoca barbarica. Infine sinanche la tecnica degli oggetti barbarici si ritrova in Persia. La coppa detta di Cosroe (Parigi, Gabinetto delle medaglie), fatta di lamelle di cristallo di rocca tagliate e incastonate in un'armatura d'oro si può dire già un capolavoro d'oreficeria alveolata. Per cercare di spiegare queste rassomiglianze è necessario affrontare il problema delle origini dell'arte dei barbari.
Origini e diffusione. - Dal primo rinvenimento d'un tesoro d'oreficeria barbarica - la tomba di Childerico a Tournai, nel 1653 - molte teorie sono state proposte sull'origine dell'arte barbarica: e si può dire che esse si siano modificate a mano a mano che il campo delle scoperte si andava ampliando. I popoli germanici - Franchi, Burgundî e soprattutto Goti - furono considerati dapprima come creatori dell'oreficeria rivelatasi dalle loro tombe. La scoperta del tesoro di Petroasa (Petrossa) nei Carpazî (1837-1838), delle tombe barbariche d'Ungheria e di Crimea parve confermare l'ipotesi dell'azione creatrice dei Goti che avevano soggiornato in tutti questi paesi. Poi l'attenzione fu attratta da una placca d'oreficeria alveolata rinvenuta nel 1870 a Wolfsheim presso Magonza, e recante un'iscrizione pahlavica col nome d'Artaserse. Questo oggetto, ravvicinato alla coppa di Cosroe, indusse a ricercare in Persia le origini dell'arte barbarica. Le belle coppe del tesoro di Petroasa con le loro anse in forma di leopardi parvero oggetti di fabbricazione persiana.
Ma il problema ha ancora cambiato aspetto complicandosi in seguito all'esplorazione delle tombe di Russia, di Siberia, del Turchestan, di epoca scita, con oggetti d'oreficeria alveolata sensibilmente anteriori all'era cristiana. Tale è l'animale d'oro all'Ermitage di Leningrado, da una tomba del Kuban del sec. VI a. C.
Era la rivelazione dell'arte dei popoli nomadi che percorsero le pianure dell'Europa orientale e dell'Asia. Quell'arte fece sentire la sua influenza anche in Cina, in Persia e in Occidente. Dopo le ricerche del Rostovtzev e dello Strzygowski, vi si distinguono due periodi. Il primo è quello della potenza degli Sciti: nelle tombe dei capi, le quali hanno forma di tumuli (courganes), si son trovati in abbondanza oggetti d'oro massiccio, pettorali d'oro decorati con pietre preziose, fermagli di cinture, fibule in forma di animali le cui linee sono trattate con molta verità (come nel già citato felino del museo dell'Ermitage), mentre parti del corpo sono coperte di ornamenti geometrici, di pietre incastonate in alveoli e di perle fine. Il leone, la tigre, l'aquila, il gypaete dall'occhio rosso smisurato, lo stambecco, il cavallo sono gli animali favoriti, rappresentati spesso in combattimento fra loro e in atto di divorarsi. Una fibula celebre del museo dell'Ermitage trovata a Tomsk (Siberia) rappresenta un'aquila con le ali spiegate che tiene nei suoi artigli un capretto; granati sono incastrati nel collo, nelle ali, nelle zampe del rapace. In Siberia ugualmente le necropoli del Minusinsk, del sec. II avanti l'era cristiana, hanno restituito in abbondanza lastre traforate in forma di animali che combattono, coltelli di rame con manici ornati di teste di uccelli e pesci. Poi, sotto l'influsso delle colonie greche del Mar Nero, l'arte scita adottò motivi ellenici, animali fantastici come il grifone, ornamenti vegetali classici. Degenerò al contatto dell'ellenismo verso i due primi secoli avanti l'era cristiana, nel momento stesso in cui una nuova arte zoomorfa appariva nell'Asia centrale.
Era l'arte dei popoli nomadi che sostituirono gli Sciti e che vengono indicati col nome vago di Sarmati. Si ritrova in Siberia e in Mongolia; esercitò influenza in Cina, nell'epoca degli Han, penetrò anche nell'India. I Goti, stabilitisi nella pianura russa dal sec. II dell'era cristiana, accolsero quell'arte che si propagò dall'una all'altra tribù barbara, così da trovarla nello stesso tempo nelle tombe germaniche d'Occidente e nelle tombe degli Unni dell'Ungheria. Lungi dall'essere nazionale, quell'arte ebbe al contrario un carattere cosmopolita: fu l'arte dei popoli nomadi.
L'arte sarmata amò rappresentare viluppi d'animali in combattimenti furiosi o divorantisi e, senza alterare le forme animali, le stilizzò dando loro un aspetto ornamentale: e in qualcuno dei suoi gioielli vi è un raro senso di vita, congiunto al gusto decorativo.
Gli oggetti trovati nelle tombe germaniche d'Occidente dipendono in ultima analisi da quell'arte sarmata, ma fanno povera figura accanto alla sontuosità dei tesori sarmati e sembrano non rappresentare che una semplificazione di carattere industriale, della grande arte nata in Asia. Dalle tombe dei paesi occupati dagli Unni, che avevano conservato relazioni più strette con l'Asia, ci si può fare un'idea della magnificenza, veramente favolosa, del cumulo degli oggetti d'oro scintillanti di pietre che distinguevano le tombe dei grandi capi. Vi si trovarono i capolavori di quell'arte. Del tesoro di Petroasa del Museo di Bucarest (oggi a Mosca), attribuito senza molte prove a un capo goto, dodici oggetti solamente sfuggirono ai vandalici scopritori moderni. Ne abbiamo già ricordata la bella tazza d'oro ottagonale ornata di rosette di cristallo di rocca.
Ugual lusso distingue il tesoro di Nagy-Szent-Miklós (ora SânmiclăuŞul-Mare) trovato nel 1799 nel Banato (Museo di Vienna): 23 coppe d'oro, un tempo ricche di smalti, e brocche d'oro con ornamenti in rilievo, fogliami, steli ondulati, losanghe inscritte in cerchi, denti di sega, palmette e anche in medaglione un cavaliere armato di lancia, guarnita di fiamma, che tiene un prigioniero per la chioma. Il tesoro di Szilágy-Sanlyo (Museo di Budapest) ha restituito fibule in filigrane, monete imperiali incastrate in medaglioni d'oreficeria alveolata, tazze ornate di leopardi tempestati di pietre preziose, grifoni ed altri animali affrontantisi su fibule. Il tesoro di Tirana (Albania) trovato nel 1902 nel distretto d'El-Bassan (oggi nella collezione di Pierpont Morgan) è notevole anche per una prodigiosa quantità d'oggetti d'oro appartenuti ad un capo ávaro o bulgaro del sec. VII-VIII. Un tipo di fibula in forma di ape rnata di granati o di vetri entro alveoli si ritrova nelle tombe del Caucaso, della Crimea, dell'Ucraina, della Transilvania, dell'Ungheria; e fu portato dai barbari fino nella Gallia e in Gran Bretagna. Il Rostovtzev è dunque nel vero asserendo che l'arte dei Goti o dei Franchi non fu che la versione europea dell'arte sarmata nata nell'Asia centrale e adottata da tutti i popoli nomadi. D'altra parte, che quell'arte sia stata creazione originale dei popoli nomadi, come ha sostenuto lo Strzygowski, sembra poco probabile, se si osservino i rapporti certi che esistono fra l'arte dei barbari e alcune opere sassanidi. Come credere che la coppa di Cosroe non sia che imitazione d'una tecnica barbarica? E per il periodo più antico la difficoltà ad ammettere l'originalità barbarica è anche maggiore. Una gran parte dei motivi decorativi dell'oreficeria barbarica appare fin nell'alba della storia su monumenti caldei del III millennio a. C. (intrecci, trecce, nodo cruciforme delle sculture di Tello; uccelli araldici che afferrano simmetricamente due leoni dello stemma di Sirpurla), anche gli animali affrontantisi o addossati nel gruppo che il Rostovtzev chiama antitetico. La tazza di Gudea (Museo del Louvre) è ornata di due grifoni dal corpo chiazzato contrapposti ai due lati d'un stelo su cui si arrampicano due serpenti allacciati. Gli animalisti assiri sono giustamente celebri e sembra che alcuni oggetti d'arte scita siano quasi un riflesso della loro arte vigorosa e sincera il cui accento di verità non fu mai raggiunto neppure dai greci stessi. Perfino la tecnica dell'oreficeria con vetri entro alveoli si è riscontrata in oggetti d'arte assira scoperti a Van (Armenia).
Dai loro frequenti contatti con l'Iran e con la Mesopotamia i popoli nomadi sciti e sarmati trassero i principî delle arti decorative che le invasioni poi diffusero fino all'estremo Occidente. La loro originalità consistette nello spirito stesso con cui interpretarono gli elementi svariati, di tecniche e di motivi decorativi, che avevano ricevuto dai paesi inciviliti dell'Asia anteriore. Ignari di ogni nazionalismo, essi avevano arricchito quegli elementi con motivi nuovi che avevano conosciuto e accettato nelle loro corse errabonde. Fu così che gli Sciti presero dalle colonie greche del Mar Nero molti motivi ellenici; che i Goti in contatto con l'Impero romano, arricchirono il loro repertorio decorativo con ornamenti classici; che i Franchi, stabilitisi in Gallia, adottarono motivi dell'arte indigena rimontanti all'"epoca di La Tène". Ma qualunque fosse l'origine di questi elementi, essi furono sempre trasformati secondo l'ideale artistico proprio ai barbari: stilizzazione delle forme viventi, gusto dell'ornamentazione geometrica esuberante, ricerca dell'effetto di ricchezza, predilezione per il colore brillante.
I propagatori della loro arte furono i barbari stessi, com'è provato dagli oggetti di ornamento individuale ritrovati nelle loro tombe o dalle opere di oreficeria religiosa eseguite per volere dei loro capi. Ma bisogna anche segnalare l'azione delle colonie dei mercanti orientali confusi sotto il nome di siriaci, stabiliti dopo l'era cristiana in occidente non solo nei porti, ma nell'interno delle terre. Lo prova un'iscrizione di Lione, con il nome di un Costantino, originario di Germanicia nella Commagena che praticava l'ars barbaricaria, cioè la damaschinatura su metallo (Corp. Inscr. Lat., XIII, 1945). Un curioso monumento ci mostra inoltre l'adozione di questi modi barbarici negli eserciti imperiali: il gruppo di porfido di Venezia che proviene dall'Egitto e mostra quattro figure d'imperatori (forse Diocleziano e i suoi colleghi), con spade dal fodero guarnito di oreficeria alveolata, come la spada di Childerico trovata a Tournai e col pomo terminato in testa di falcone dall'occhio smisurato. Nulla dimostra meglio la voga dell'arte barbarica nell'Impero romano del sec. IV.
Estensione. Monumenti principali. - L'area dell'arte barbarica si stende per tutte le provincie occupate dai barbari e in paesi restati indipendenti come l'Irlanda e la Scandinavia. Singolare è il carattere omogeneo e l'unità di quell'arte che ha prodotto ovunque gli stessi oggetti ornati nella stessa maniera. Questi oggetti si dividono in due classi a seconda della loro destinazione: oggetti di armamento del vestiario o dell'armatura; opere d'arte religiosa. Ma le due categorie sono eseguite con la stessa tecnica e si ritrovano in tutti i paesi convertiti al cristianesimo.
Italia. - Fra i barbari stabilitisi in Italia i Longobardi lasciarono le necropoli più importanti. Citiamo quelle di Testona presso Torino, di Bolsena, di Nocera Umbra, di Castel Trosino presso Ascoli, di Civezzano (Trentino), di Cividale, di Benevento, quasi tutte del sec. VII o dell'VIII. Le tombe di Nocera Umbra restituirono fibule digitate (cioè con la testa terminata da appendici simili a dita), ornate altresì di motivi vermicolati all'agemina, che ricordano le fibule dell'età del ferro trovate in Germania. Le spade che ne provengono (Roma, Museo nazionale delle Terme), hanno l'impugnatura ornata di spirali, vecchio ornamento che data dall'età del bronzo, e d'intrecci in filigrana con nodi di granati in alveoli. Un magnifico umbone è decorato di motivi di bronzo dorato, fogliami stilizzati e palmette, in mezzo ai quali sono guerrieri combattenti. A Castel Trosino, nelle cui tombe le monete più recenti rinvenute vanno dal 582 al 602, si sono scoperte armi finemente ornate, un pugnale guarnito di lame d'oro di cui gli ornamenti mostrano l'influsso dell'arte classica, un umbone ornato nel centro con un grifo a tre teste, una guarnizione di arcione fatta di tre lastre d'oro cesellate con leoni e dragoni affrontati in mezzo a intrecci. Da Cividale provengono numerose fibule di tipi svariati, e di grande ricchezza: dischi con una cornalina incastonata nel centro e zone concentriche di palmette terminate da spirali non senza rapporti con gli ornati della tomba di Teodorico a Ravenna; fibule in forma d'uccelli dal forte rostro, orecchini ornati di mosche in oreficeria alveolata.
Nella maggior parte di queste tombe longobarde si sono trovate croci pettorali d'oro con braccia ornate di trecce.
Il capolavoro di quest'arte era una guarnizione di corazza scoperta a Ravenna nel 1854, ora scomparsa; essa aveva forse appartenuto a Teodorico; comprendeva due ornamenti arcuati di lavoro alveolato con vetri rossi incastonati in fini maglie d'oro, in un ornato di triangoli sormontati da dischi che rassomigliava a quello del coronamento esterno della tomba di Teodorico.
Ma le opere più importanti, cui è congiunto il ricordo della regina Teodolinda (591-625) e dello sposo Agilulfo, sono nella cattedrale di Monza. E in primo luogo una legatura di piatti d'oro orlati di larghe fasce d'oreficeria alveolata in cui il profilo degli alveoli e i vetri incastonati compongono un ornato di cerchi tangenti ritagliati in parti uguali da 4 segmenti di cerchio. È il trionfo dell'ornamento geometrico. Ciascun piatto è ornato inoltre d'una croce orlata di vetri entro alveoli e ingemmata di zaffiri, di smeraldi, di perle fine. Negli angoli un ornamento sottolinea i lati della croce e inquadra anche un cammeo antico. Vi è anche, nel tesoro di Monza, un reliquiario d'oro del sec. VIII (Tav. XI), di forma svasata, una corona d'oro attribuita anche a Teodolinda e un pettine d'avorio che avrebbe appartenuto a Teodolinda. La celebre corona di ferro dei re lombardi è invece opera bizantina del sec. IX.
Gli sforzi inetti degli orafi barbari per copiare le opere bizantine o romane sono rappresentati dalla lamella dorata del Museo Nazionale di Firenze lavorata a sbalzo e recante il re Agilulfo in maestà, seduto su un trono fra due guerrieri e fra vittorie che portano il labaro e i corni dell'abbondanza. Nulla di più mostruoso di quei gnomi dalla faccia di gufo, che attestano la decadenza irrimediabile dell'arte classica.
Ricordiamo anche un tesoro d'oggetti vandali trovato ad Arten, nella provincia di Belluno: due piatti d'argento, di cui l'uno, col nome del re Geilamir può provenire dal bottino portato dall'Africa da Belisario, e alcune fibule di rame. Uno dei principali tesori vandali, rinvenuto nei dintorni di Bone e attualmente nel British Museum, contiene fibule in oreficeria di pasta vitrea alveolata, fibbie di cinturoni, orecchini d'oro decorati da un poliedro a faccette, guerniti di granati, analoghi a quelli delle tombe franche.
Spagna. - Un tesoro visigotico ha dato opere di prim'ordine comparabili con quelle del tesoro di Monza; fu scoperto presso Toledo, l'antica capitale dei re visigoti, a Guarrazar nel 1858. Gli oggetti andarono divisi fra il museo di Cluny a Parigi (Tav. XII) e l'armeria reale di Madrid. Consiste in una placca di cinturone e una colomba d'oro con pietre preziose e perle entro alveoli, uno scettro a globo di cristallo, vasi, lampade, e soprattutto corone ornate di pendagli e di croci di cui otto grandi e 14 piccole. Le une sono composte di grandi fasce d'oro ingemmate e traforate a giorno, applicate su un'altra fascia di fondo. La più grande (23 cm. di diametro) è ornata di 30 zaffiri e di grosse perle; reca il nome di re Recesvindo (649-672). Altre si compongono di reticelle d'oro formate d'ornamenti in forma di olive molto allungate e di perle. Altre sono semplici fasce stampate o sbalzate, ornate di archetti a pieno sesto con viticci. Il tesoro della camera santa d'Oviedo mostra il persistere di questa magnifica tecnica nel sec. IX, come è provato dalla Croce degli angeli offerta da Alonso II (797-842) e dalla Croce della vittoria dovuta ad Alonso III (866-910), ornata di delicate filigrane in mezzo alle quali sono incastrate pietre preziose non sfaccettate.
Gallia. - La Gallia fu invasa da barbari di razze diverse di cui le più importanti sono quelle dei Franchi, dei Burgundi, dei Visigoti, degli Alemanni, sulla riva sinistra del Reno. Fra gli oggetti trovati nelle tombe delle diverse razze non vi sono differenze essenziali. Il gruppo più importante dei cimiteri franchi si trova fra il Rsno e la Senna; ritrovamenti sporadici, in Normandia e nel Maine. Le sepolture burgunde si trovano sui due versanti del Giura. Fra Loira e Garonna i cimiteri barbarici sono meno numerosi, mentre un gruppo importante, franco e visigoto, occupa la Linguadoca e il sud del massiccio centrale. I più begli oggetti furono trovati a settentrione della Senna. Nella tomba del re Childerico (morto nel 482), scoperta a Tournai nel 1653, lo scheletro era vestito di una stoffa di porpora cosparsa di api d'oro con granati entro alveoli, e con la stessa tecnica erano ornati la guaina e l'impugnatura della spada. Un anello d'oro a sigillo recante l'effigie d'un re chiomato mostra l'iscrizione: Childerici regis. Il Gabinetto delle medaglie di Parigi non conserva che una piccola parte di questo tesoro, depredato nel 1831: alcune api e fibule che ne provengono sono nel Museo di Tournai. Il tesoro di Pouan scoperto nel 1842 fra Arcis-sur-Aube e Mery-sur-Seine, contiene oggetti che ricordano quelli della tomba di Childerico.
Nulla di più uniforme che la suppellettile di queste tombe, ricche di oreficeria e spesso di lavori a incrostature su bronzo o su rame. La tecnica è lungi dall'essere così perfetta come quella dei tesori ungheresi o asiatici; le materie adoperate sono spesso comuni (vetro, stagno per le filigrane, rame), il disegno è stilizzato al massimo, le rappresentazioni di esseri viventi sono grossolane ed infantili. Si trova in tutte queste tombe ogni varietà di fibule anelli, orecchini, braccialetti, fermagli per capelli, placche, ecc.
Come in Italia, la stessa tecnica è nell'oreficeria religiosa, di esecuzione nondimeno più perfetta e più lussuosa. Ciò si vede nella urnetta del tesoro di Saint-Maurice-d'Agaune (Valais) in forma di sarcofago con coperchio a due spioventi sormontato da una cresta, tutta splendente di lamelle di vetro rosse e verdi che spiccano entro gli alveoli d'oro, e sulle quali sono disposte gemme antiche e pietre preziose grezze rilegate con perle fine. Di ugual fattura sono il calice e la patena (missorium) scoperti nel 1845 a Gourdon (Alpi Marittime), oggi nel Gabinetto delle medaglie di Parigi. Di una medesima tecnica sono i reliquiarî del tesoro di Conques (Aveyron) e la piccola cassa di Saint-Bonnet-Avalouze (Corrèze), di lavoro molto barbarico.
Europa settentrionale. - La stessa arte, con la stessa ornamentazione e i medesimi soggetti, si rivede nelle necropoli barbariche germaniche, dei paesi scandinavi, delle isole britanniche. Le raccolte del Lindenschmit per la Germania, del Montelius per la Svezia, del Roach Smith per l'Inghilterra mostrano gli stessi tipi di orecchini, di fibule, di bratteate, di else di spade che in Gallia e in Italia.
In Germania fra le necropoli che hanno fornito la più bella suppellettile si può citare quella di Wittislingen, i cui oggetti, nel Museo nazionale di Monaco, sono attribuiti al sec. VII. I musei di Magonza, di Stoccarda e altri conservano numerosi ritrovamenti fatti nelle tombe franche e alemanne della regione del Reno, a Weissenthurm, a Engers, a Kobern, ecc. Nel museo di Berlino la suppellettile proveniente da tombe slave di Pomerania, del Mecklemburg, della Posnania giunge a dimostrare anche più largamente l'unità dell'arte di tutte le tribù barbare senza distinzione di razza.
Nei paesi scandinavi l'epoca delle invasioni corrisponde a quella che gli archeologi chiamano la terza età del ferro; poiché la prima giunge all'era cristiana, la seconda comprende il periodo di rapporti coi Romani. Vicino all'importazione di numerosi oggetti classici durante questo periodo, più o meno imitati dall'arte indigena, si trovano anche motivi persiani come quello dei leoni beventi fronte a fronte in una coppa, in un pendaglio d'oro di Brangstrup (Fionia) il cui disegno riproduce quello di una stoffa persiana. A partire dal sec. V le imitazioni dei motivi classici sono sempre più rare; l'oreficeria barbarica analoga a quella del resto d'Europa predomina nelle tombe, in cui si trovano in abbondanza oggetti d'oro fino decorati a filigrana con disegni geometrici di carattere esuberante e talvolta con lamelle vitree in alveoli. Quest'arte durò fino all'età dei Vichinghi nel sec. IX. I suoi prodotti a fibule, impugnature di spade, bratteate e collane d'oro hanno un aspetto veramente barbarico. Le iscrizioni runiche non sono rare e dànno spesso i nomi degli artefici. Intorno al medaglione centrale delle numerose bratteate d'oro si vedono spesso grossolanamente eseguite figure della mitologia scandinava. I principali tesori sono stati trovati nelle isole di Bornholm, Rügen, Öland.
I rapporti fra quest'arte scandinava e quella delle tombe contemporanee delle Isole britanniche appaiono stretti, anche prima dell'invasione danese e norvegese in Irlanda e in Inghilterra. Nelle tombe anglosassoni delle contee di Kent e del Suffolk predominano le fibule digitate, o a corpo d'uccelli o ad S. Le fibule cruciformi, con semplice o doppia traversa, senza ornamento di vetri, ricordano i tipi svedesi e norvegesi; vanno distinte per la grande abbondanza degli ornamenti che occupano tutta la superficie senza lasciare il minimo spazio, ingenerando così notevole monotonia. Le spirali, le trecce, i nodi a intreccio, gli ornamenti dalle teste di serpenti ne sono i temi prediletti. Le iscrizioni runiche non sono rare. Fra quest'arte e quella del periodo precedente, di La Tène, il legame è diretto.
Influsso artistico dell'oreficeria barbarica. - L'esame rapido dei principali centri di scoperte mostra dunque fino all'evidenza la perfetta unità dell'arte dei popoli nomadi attraverso i secoli (i più antichi esempî datano dal sec. V a. C.), e, all'epoca delle invasioni, attraverso lo spazio, dalle Isole britamiche all'Asia centrale. I principî estetici dell'arte barbarica erano diametralmente opposti a quelli dell'arte greco-romana di cui la decadenza e l'esaurimento si presentono sin dal sec. III, prima che le dominazioni barbariche le dessero l'ultimo colpo. Soprattutto la voga prodigiosa dell'oreficeria barbarica ebbe la sua ripercussione in tutte le arti. Per un curioso fenomeno essa impose i suoi modelli ornamentali a tutte le altre tecniche che, imitandoli, ricercavano effetti di ricchezza e di colore, e la decorazione stilizzata puramente piatta.
Dal sec. VI al IX i costruttori, che non sapevano più tagliare pietre di grandi dimensioni, coprivano le facciate di decorazioni con materiali policromi incastrati tra embrici che imitano il disegno reticolato dell'oreficeria barbarica. Il muro merovingio della cripta di Jouarre (Seine-et-Marne) con i suoi cunei tagliati a rombi, a quadrati, in poligoni separati da rombi e incassati in alveoli di terracotta è quasi un ingrandimento d'un'opera d'oreficeria alveolata. Lo stesso si può dire del paramento a spina di pesce che si trova in quell'epoca in tutta l'Europa. Gli ornamenti scolpiti dimostrano la stessa influenza. Abbiamo già segnalato il coronamento esteriore della tomba di Teodorico a Ravenna; la sua decorazione, fatta di una fila di scaglioni, gli steli dei quali portano grossi dischi, per riallacciarsi a delle spirali, rassomiglia a quella della splendida guarnizione della "corazza di Teodorico" trovata non lungi di lì. A Sant'Apollinare in Classe i lati del ciborio di S. Eleucadio (sec. IX) tutti inghirlandati di trecce, di intrecci, di spirali, di nodi triangolari, di cerchi tagliati da losanghe, mostrano lo sviluppo originale di una decorazione che trae i suoi motivi dall'oreficeria barbarica. Nelle Isole britanniche, in Irlanda soprattutto, gli esempî di questa decorazione sulle facciate degli edifizî o sui fusti delle croci di pietra di cui molte risalgono al secolo VII, sono ancora più frequenti. Il gusto dell'oreficeria è così vivo che nuclei di vetro colorato vengono inseriti nell'ornamentazione architettonica, come per esempio a Poitiers, nelle facciate del battistero di S. Giovanni, sulle balaustre e sulle pietre tombali fra le quali ricordiamo quella di Boethius, vescovo di Carpentras, la cui grande croce gemmata conteneva vetri nelle sue cavità.
Gli stessi motivi ornamentali giungono al massimo sviluppo nei manoscritti irlandesi o anglosassoni, in cui le iniziali giganti e gli ornamenti in piena pagina rappresentano lo stile geometrico nella sua massima esuberanza. Gli animali e la figura umana ridivengono semplici profili. Il panneggio del Cristo è indicato da un sistema di curve e di controcurve sopra un campo punteggiato; anche i capelli e la barba sono divisi in ciocche disposte con una simmetria perfetta (Evangeliario di Dublino, sec. VII). Su un Evangeliario di San Gallo, il Cristo è attaccato alla croce con larghi nastri intrecciati. Un ornamento dell'Evangeliario di Dublino offre nei suoi orli un groviglio di serpenti allacciati e di quadrupedi che stanno per divorarsi mentre nel centro, in un rosone, una croce è circondata da un sistema complicato di rotelle e di intrecci.
La sopravvivenza. - La rinascita carolingia nel richiamare in onore i modelli antichi e la rappresentazione realistica della figura umana, troncò un'evoluzione che avrebbe spinto l'arte occidentale sulla medesima via dell'arte araba e avrebbe distrutto radicalmente ogni ispirazione naturalistica. Nel sec. IX l'oreficeria alveolata scompare in Gallia, in Italia, in Spagna mantenendosi ancora nell'Europa centrale al tempo delle invasioni ungare e in Scandinavia all'epoca dei Vichinghi.
Nondimeno, la lunga dominazione di quest'arte dei popoli nomadi lasciò tracce importanti nell'arte europea. L'arte dell'epoca carolingia è ancora tutta impregnata d'influenze barbariche che si veggono nelle murature decorate delle facciate degli edifici, negli ornamenti della sua scultura a bassorilievo, negli intrecci delle iniziali dei manoscritti, misti talvolta con motivi classici. Benché per le innovazioni tecniche e per la ricerca del rilievo, l'arte romanica del sec. XI e XII sia stata -quasi una liberazione dall'estetica barbarica, tuttavia essa conserva nella sua scultura monumentale e nelle arti decorative molti dei motivi ornamentali (combinazioui d'intrecci, gruppi d'animali araldici ecc.) derivati in ultima analisi da quell'arte dei nomadi che aveva imposto agli Europei le concezioni ornamentali dell'antichità asiatica.
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