ANATOLICA, Arte ( v. vol. I, p. 343 e s 1970, p. 41, s.v. Anatolia)
È frequente l'impiego, in luogo di arte a., del termine «arte ittita» nel tentativo di far rientrare in quest'ambito la maggior parte delle manifestazioni artistiche dell'Anatolia del II millennio a.C. Tuttavia è bene specificare che, in questo caso, si deve parlare di arte del Tardo Bronzo nell'Anatolia e regioni limitrofe e impiegare il termine «ittita» solamente nel senso che questo popolo (o questa élite) ha contribuito, probabilmente in misura massiccia, insieme con altri gruppi etnici mal definibili, alla costituzione di un linguaggio formale che si è espresso principalmente nell'arte aulica durante la seconda metà del II millennio (in realtà ben poco conosciamo di tutto quello che si può chiamare arte popolare che è per altro testimoniata per altre aree e periodi, p.es. per il periodo urarteo).
L'Età del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo in Anatolia è dominata dalla vasta letteratura ittita, talché la visione delle manifestazioni culturali collaterali viene a essere, a dir poco, sottovalutata. In effetti la capitale ittita e i pochi altri centri che possono dare elementi per la comprensione dei fenomeni artistici di questo periodo, hanno fornito dati fortemente ridotti rispetto a quello che una idea generale della situazione potrebbe far credere.
Non è facile comunque definire quali siano gli elementi caratteristici dell'arte a. durante l'Età del Bronzo Tardo: certamente vi sono particolari espressioni come la scultura su roccia o la produzione della glittica a stampo, che conosce un impareggiabile dominio nel periodo ittita, dopo il non breve momento della produzione e impiego dei sigilli cilindrici durante l'età delle colonie commerciali assire di Cappadocia. Tuttavia anche questi due elementi, che potrebbero costituire un segnacolo di espressione vernacola anatolica, sono in realtà elementi in parte determinati dalle condizioni geografiche, essendo impossibile nella regione siro-mesopotamica la rappresentazione di qualsiasi figurazione su pareti rocciose (per altro impiegate all'occasione, almeno a partire dal periodo arcadico in regioni montuose come l'Anatolia orientale o la catena dello Zagros).
D'altro canto è innegabile che le tradizioni anatoliche hanno sempre fortemente avvertito la compresenza delle culture a maggiore tasso di urbanizzazione e alfabetizzazione dell'area siro-mesopotamica. La presenza di elementi etnici e ancor più culturali nell'area dell'alto Eufrate sino a Malatya e oltre, durante la fase tarda di Uruk, ha mostrato come i sistemi di amministrazione e le forme artistiche siano stati adottati e trasformati in maniera autonoma all'interno di questa grande parte dell'altopiano. Le cause di una simile miscidazione e della «emigrazione» di tratti caratteristici meridionali sono da ravvisare verosimilmente nella ricerca di materie prime da parte mesopotamica, ricerca che può essersi trasformata nell'adozione di tecniche di vita più complesse e specifiche da parte anatolica.
Il processo di interazione che adesso si viene chiarendo, con ampia estensione per il periodo di Uruk, è tuttavia presente anche in fasi precedenti quale quella di Halaf. È tuttavia possibile che il proseguire delle ricerche possa far vedere come questo movimento sia riconoscibile anche per periodi come il Neolitico quando in Anatolia, a Çatal Hüyük, si sviluppa una cultura di primissimo piano sia sul piano dell'organizzazione sociale sia su quello della produzione artistica. Gliinizî della vita organizzata di villaggio si delineano sempre con maggior chiarezza anche nell'Anatolia orientale (Çayönü Tepesi, Cafer Höyük, ecc.): l'Anatolia quindi si pone tra le grandi aree propizie e sfruttate per le prime culture agricole e per l'addomesticamento degli animali, nonostante il problema delle mutazioni climatiche e dell'esistenza o meno della steppa di artemisia. Questo processo non può essere avvenuto isolatamente rispetto agli altri nuclei rappresentati dall'area palestinese e da quella dello Zagros. È possibile che anche in questa fase, in futuro, ci si possa trovare di fronte a elementi che collegano in un'unità fenomeni che per il momento sembrano sporadici e isolati.
Circa l'ipotesi della nascita e crescita delle manifestazioni artistiche ittite mediante l'apporto dell'arte hurrita, ipotesi che ha trovato largo favore anche se non un consenso generale, si deve dire che già alla metà degli anni '50 era messa in dubbio, dal momento che dell'arte hurrita solamente la glittica aveva una sua autonomia formale, sia pure sempre all'interno del continuum siro-mesopotamico. La brillante, ma non sostanziata teoria del Moortgat sull'esistenza di un'arte hurrita indipendente e formalmente coerente, è stata smontata in modo articolato in anni recenti (Barrelet). Ne discende che la complessità dell'arte a. nell'ambito ittita viene a risaltare ancor meglio nella sua originalità sia pure concepita all'interno della produzione generale del Vicino Oriente, con imprestiti di fuorivia, forse maggiori di quanto non possiamo documentare. A questo proposito va osservato che per quello che è il maggior sviluppo delle manifestazioni ittite, l'architettura monumentale, non è possibile escludere ma neanche confermare che vi sia un elemento di dipendenza preciso tra la costruzione di una struttura monumentale come quella del Tempio I di Boğazköy e il Ramesseo di Tebe (Bittel).
La spiegazione della nascita e crescita della cultura artistica del Bronzo Tardo nell'Anatolia centrale va quindi scissa dal concetto di egemonia culturale «straniera», sia essa il portato della immissione di rami estranei alla discendenza indigena e provenienti dall'alta Siria e Mesopotamia (e dall'Anatolia di SE come la Cilicia o la Cappadocia meridionale). Tanto più va escluso il concetto della unità dei Popoli delle Montagne, i Bergvölker, tanto caro alla storiografia della prima metà del secolo.
La prova dell'originalità della produzione concettuale anatolica, come quella di altre aree, all'interno di un flusso di esperienze formali maturate con coerenza entro le grandi società urbane dell'area siriana e mesopotamica, la si riscontra nella produzione della glittica di Cappadocia. In questa produzione, accanto a esemplari evidentemente importati, la grande maggioranza appartiene a stili diversi in cui sia gli elementi compositivi sia quelli iconografici appartengono a una tradizione indigena di grande forza e coerenza. Tradizione che trova le sue radici negli esemplari glittici prodotti nell'Anatolia orientale, a Malatya, durante la tarda fase di Uruk, anche questa volta sotto la spinta propulsiva delle tradizioni della Mesopotamia meridionale.
Per quanto riguarda le altre regioni, ci si deve immaginare l'Anatolia delle Età del Bronzo Antico e Medio come una serie di aree regionali, spesso conchiuse da margini naturali, partecipi di una comune esperienza culturale in senso lato, collegate da una rete di traffici su medie e lunghe distanze, di portata spesso notevole e insospettata se non per scoperte isolate (Dorak potrebbe essere un esempio se sostanziato in maniera adeguata), capaci di produzioni artistiche di alta e altissima qualità.
Quanto al popolamento della regione anatolica è troppo presto per individuare aree privilegiate e altre meno favorevoli agli insediamenti. Il caso della «barriera neolitica», postulata sino alla fine degli an ni '50, può servire da esempio. Tanto meno si può ritenere probante la supposta esistenza di foreste impenetrabili nell'Anatolia centro-settentrionale, tanto fitte da escludere la possibilità di uno sviluppo abitativo. Tale supposizione inoltre rende poco probabile la «improvvisa» crescita delle comunità di metallurghi, a vario titolo, proprio nella regione centrale e pontica all'inizio dell'Età del Bronzo Antico.
Paleolitico e Neolitico. Per lungo tempo le ricerche sul Paleolitico hanno dato scarsa consistenza alla presenza umana in Anatolia sino alle ricerche estensive condotte in special modo dalla scuola turca di K. Kökten e di E. Bostancı. In tempi recenti le indagini paleogeologiche hanno mostrato come il bacino del Mar di Marmara e quello pontico fossero laghi di acque dolci e che solamente durante l'Epipaleolitico si sia verificata una salinizzazione del Mar di Marmara. Sono proseguite le ricerche nell'area di Antalya, in cui si trova la ben nota grotta di Karain (dove al di sopra dei livelli del Paleolitico Medio e Superiore, simile a quello dall'area siro-palestinese, si trovano livelli neolitici), ma anche nella Pisidia, nella Tracia e in molte altre aree anatoliche.
La grande stagione del Neolitico aceramico, rappresentata così vistosamente dai trovamenti di Mellaart a Çatal Hüyük, si è venuta rinforzando con i trovamenti fatti nell'area orientale, specialmente a Çayönü Tepesi e nell'area dell'Eufrate, nella regione di Samosata, dove sono stati condotti nell'ultimo decennio importanti e numerosi scavi collegati alla costruzione di una diga.
Tuttavia è sempre a Çatal Hüyük, con i suoi 13 ha (di cui approssimativamente solamente uno è stato scavato), con i suoi 22 livelli architettonici collocabili tra la metà del VII e la metà del VI millennio e con la cospicua quantità di strutture architettoniche e di materiali, che ci si deve riferire per un quadro coerente di questa fase. L'arte naturalistica del Paleolitico e del Mesolitico, vagamente apparentata con quella occidentale, è assente nelle culture neolitiche di Çatal Hüyük e di Hacılar. La produzione di statuette in terracotta e pietra è particolarmente abbondante. A parte l'illustrazione dei tratti fondamentali di una religione incentrata sul culto della dea madre (che avrà lunga fortuna sino al periodo classico), la piccola plastica mostra un processo giunto a una maturazione e a soluzioni formali che, per certi versi, non troveremo più in manifestazioni che in seguito tengono molto più dello stereotipo.
Le scoperte più vistose sono quelle degli affreschi e della plastica, spesso uniti in simbiosi per la decorazione dei «sacelli». È ben noto l'affresco del livello VII con la rappresentazione in pianta dell'abitato, ordinato geometricamente con le strutture in file sovrapposte e, sullo sfondo, la raffigurazione di un vulcano con diverse bocche in eruzione. La decorazione parietale comprende una pluralità di motivi: avvoltoi stilizzati in volo spiegato, che si confrontano con corpi umani acefali, leopardi affrontati resi plasticamente e decorati con motivi geometrici (restaurati numerosissime volte con un mutamento della maculatura del pelame che diviene sempre più corsiva), figure femminili rese nella medesima tecnica, a braccia e gambe spalancate, crani taurini inseriti entro supporti pavimentali o nei muri, figure di vacche, leopardi e cervi, talvolta ricreati interamente in argilla, a tutto tondo, o intagliati nell'intonaco dei muri, su cui talvolta sono apposte decorazioni geometriche.
La decorazione funzionale a scopi rituali e magici (come è anche il caso della piccola plastica) tende alla geometrizzazione e allo schematismo delle forme naturali, in modo quasi antitetico rispetto alle ancorché scarsissime raffigurazioni paleolitiche (Beldibi). La medesima tendenza è evidente nelle sculture, tutte a buon titolo assai note, in argilla o in pietra di vario genere. Si è cercato di vedere nella plastica di Çatal Hüyük diversi stadi di sviluppo stilistico. Tuttavia, anche se la documentazione è abbondante, pare di essere in presenza di una pluralità di esperienze che non si articolano in uno stile unitario e coerente, anche se in numerosi casi le soluzioni a cui si è pervenuti dimostrano maturità di espressione e padronanza dei mezzi tecnici, spesso con risultati raffinati: si va dai ciottoli vagamente umanoidi o dai frammenti di stalattiti in cui alcuni tratti incisi, come la bocca e gli occhi, rendono un'idea della rappresentazione, a forme appena abbozzate come nella coppia femminile in cui le due teste, la quadruplice mammella e le due braccia si uniscono in una unità che si fa completa nella parte inferiore del corpo. Sempre su questa linea di una fusione tra i varî elementi, si possono ricordare le statuette che rappresentano personaggi per lo più maschili montati su animali, tori e leopardi. Esiste un gruppo di figurine, assai più articolate, in terracotta, tra cui la più famosa è la dea partoriente in trono tra due felini; ma di altissima qualità e di eccellente sensibilità per i passaggi dei piani e per le superfici sono altre, in alabastro o in terracotta, sempre rappresentanti personaggi femminili, spesso dalle forme abbondanti, recuperate in varî livelli, dal VI al II. Esistono anche rappresentazioni bidimensionali o ad alto rilievo: basti ricordare il gruppo delle quattro figure, a coppie, un uomo e una donna e una donna e un bambino, oppure le statuette di figure maschili o femminili montate su un felino, con una decorazione a cerchietti per indicare l'abito. Soluzioni non perfettamente riuscite ma sempre molto interessanti esistono nella resa delle figure sedute, dove le gambe sono semplicemente ripiegate nella parte inferiore della figura.
La plastica del Neolitico è ora ben rappresentata anche nel sito di Kösk Hüyük presso Tyana (Bor): si tratta di una serie di vasi a rilievo con rappresentazioni di animali e di figure umane stanti e sedute, specie femminili e obese, talvolta con un attributo in mano, che hanno un effetto di bicromia dovuta alla colorazione in rosso delle figure sullo sfondo color camoscio del vaso. Nel complesso si tratta di variazioni espressive in un repertorio figurativo alquanto limitato e stereotipo. Il collegamento con la produzione di Çatal Hüyük è dato da un tipo di figurina seduta con le gambe ripiegate al di sotto del corpo. Materiale plastico analogo proviene anche da Gridile Hüyük, poco a Ν di Samosata, sulle rive dell'Eufrate (altre stazioni di interesse sono, sempre nella medesima area, Cafer Hüyük, Hayaz Hüyük e Nevalla Çori).
Nella sfera della produzione o della sensibilità artistica in generale vanno citati anche numerosi oggetti minori di Çatal Hüyük, come lo splendido pugnale in selce e manico in osso a forma di serpente che si arrotola a 8, e i numerosi oggetti d'uso d'ossidiana come gli specchi leggermente convessi, tagliati a tronco di cono con le pareti laterali finemente sfaccettate. In sostanza tutta la produzione d'uso domestico e «minore» rivela cura e applicazione di uno sviluppato gusto, come si può vedere nel gruppo di «sigilli» di terracotta in cui la faccia inferiore è decorata con una serie di motivi geometrici rettilinei o curvilinei, assai ben calibrati e di grande inventiva. La medesima osservazione si può fare per le decorazioni parietali che riproducono stuoie e tessuti, con motivi di grande vivacità coloristica.
L'architettura del Neolitico aceramico si è venuta arricchendo di una nuova, interessante documentazione: le testimonianze architettoniche più antiche, nei siti di Çayönü Tepesi, di Cafer Höyük e di Nevalla Çori, nell'area tra Malatya ed Elâziğ e Samosata, mostrano affinità con quanto ritrovato in località Contemporanee o più antiche dell'area dell'Eufrate siriano è in Palestina, rispettivamente Muraybet e Šeikh Ḥassan, e Baydha (affinità che sono rilevabili anche nella strumentazione litica).
A Çayönü Tepesi e a Cafer Höyük, per la prima metà del VII millennio, si distinguono due tipi di abitazione, a seconda dell'impiego dello spazio interno, sia a livello del suolo che al di sopra di esso. Sono stati distinti tipi «a vano ampio» (large o broad room) e «con pavimento a terrazzo» (terrazzo floor), con spazi monocellulari o bicellulari. La cura maggiore di questi edifici, che costituiscono la vera e propria preistoria dell'architettura a., è volta all'isolamento della pavimentazione che presenta un accurato sistema di vespai, caratteristici del tipo di vani «a griglia» (grill plan) o «a cellula» (cell pian) in cui tutta l'area presenta una serie di muri paralleli che racchiudono piccoli spazi (da un minimo di 1 X 1,50 m) che potevano anche servire per il deposito di derrate. Lo spazio abitabile va da un minimo di 2 X 7 m a un massimo di c.a 6 X 10 m. Secondo un'ipotesi esisterebbe una sequenza temporale rappresentata dai tipi a griglia, cellula e infine da quelli a vano ampio.
A Çayönü Tepesi, inoltre, una struttura con un grande cortile, dove si trova una grande pietra piatta, presenta su un lato due vani cellulari; qui sono stati rinvenuti oltre 40 crani umani. E stata avanzata l'ipotesi che la struttura fosse destinata a una qualche forma di culto funebre. Tuttavia non siamo sul medesimo piano della complessità dei sacelli di Çatal Hüyük dove la plastica muraria e la decorazione dipinta delle pareti fanno di questa località un momento estremamente specializzato e avanzato sia nella concezione architettonica che in quella degli arredi connessi al sacro.
Le caratteristiche generali possono essere riassunte nella semplicità di elaborazione della pianta con un vano unico o con uno maggiore e altri minori, nella presenza di un piano rialzato con una sorta di cantina, nello schema agglutinante delle strutture nell'insediamento.
Tra il VI e il IV millennio si assiste a una trasformazione radicale. Nella seconda metà del VI millennio, a Can Hasan III (nella piana di Konya), ci troviamo di fronte a elementi monocellulari serrati uno accanto all'altro, senza soluzione di continuità e con accessi dai tetti, situazione che si trova impiegata contemporaneamente a Çatal Hüyük VIII (dove però la differenziazione all'interno della singola struttura può essere più netta).
La situazione si diversifica nella seconda metà del VI millennio: l'esempio migliore è tuttora quello del Neolitico Tardo di Hacılar VI, dove le strutture si presentano monocellulari con porte a livello del suolo e ampio spazio tra le varie unità secondo un sistema di agglutinamento. Oltre a piccoli vani accessori dove sono ubicati gli elementi dell'arredo fisso, l'abbondanza di sostegni lignei all'interno dei vani e lo spessore dei muri fanno ritenere assai probabile, se non certa, l'esistenza di un secondo piano di una certa complessità.
A Kuruçay, in Pisidia, esisterebbe (contemporaneamente alla fase VI di Hacılar) un muro di difesa con due torri rotonde, ciascuna con una porta. In questo caso gli accorgimenti difensivi posteriori troverebbero una già bene articolata soluzione che si accompagnerebbe a quella semplice offerta dal muro continuo esterno delle strutture abitative con ingresso dal primo piano.
La plastica in terracotta del Neolitico Tardo, specie quella di Hacılar VI (fase che segue l'ultima di Çatal Hüyük ma che non pare essere in diretta connessione né temporale né di filiazione culturale) è brillantemente attestata dalle numerose statuette femminili di terracotta, in varie e diversissime posizioni, che, pur nella essenzialità dei tratti, mostrano un accentuato gusto per una resa che tende al naturale. Alcuni vasi configurati a testa umana, al contrario, tendono a una più vistosa stilizzazione, che trova una perfetta realizzazione in alcuni recipienti zoomorfi.
Calcolitico. - Nella fase del Calcolitico è la decorazione della ceramica, bicroma (rosso su crema), che rivela lo sviluppo del gusto di questo momento: i motivi possono essere curvilinei o geometrici a seconda del periodo ma in ogni caso la resa dei motivi decorativi si sposa mirabilmente con la forma del recipiente. Un esempio di questa abilità combinatoria è data da diversi recipienti dove la parte superiore è configurata come una persona (talvolta due): gli occhi sono spesso in ossidiana e il viso, sommariamente reso, è decorato con tratti rettilinei e sinuosi, così come il corpo.
Per quanto riguarda l'architettura, le nostre conoscenze divengono più chiare quando nel livello IIA di Hacılar, del Calcolitico Antico, si riconosce la fortificazione (largamente integrata) dell'insediamento, all'interno della quale si trovano le abitazioni a uno o due vani (e talvolta a due piani) strette le une alle altre.
Sempre a Hacılar, nel livello IA, la concezione planimetrica dell'abitato fortificato muta radicalmente: in questo caso si avrebbe un ampio spazio centrale libero da costruzioni, destinato ad attività comuni, circondato da una doppia fila di strutture a più vani e a due piani, collegate tra di loro in modo da presentare un fronte continuo difensivo verso l'esterno.
Tuttavia la tradizione dell'agglomerato serrato, del tipo di Can Hasan III e Çatal Hüyük, si ritrova in questo periodo a Can Hasan I, dove il piano inferiore, a cui si accede dal primo piano, abitativo, è provvisto di robusti contrafforti interni e talvolta di una palificazione al centro del vano. La tradizione più semplice, sempre alla fine del V millennio, è rappresentata a Tülintepe (sull'Eufrate), dove il tipo di casa è a più vani, con uno maggiore e le solite installazioni domestiche.
Secondo l'interpretazione di Aurenche in tutti questi esempi dell'architettura a. si può distinguere una generale tendenza a utilizzare il primo piano come abitazione e a serrare le strutture le une alle altre (probabilmente per ragioni di difesa che saranno poi risolte nelle «fortezze» di Hacılar IIA e IA).
Le località note dell'Anatolia meridionale (Mersin) e della pianura dell'Amuq (Teli el-Ğudayda e Tabara elAkrad) partecipano invece, sia per tecnica costruttiva che per concezione spaziale, all'area siro-palestinese con strutture a uno o più vani e ampi spazi comuni.
Singolarmente, il tipo rappresentato a Hacılar dalle «fortezze» si ripete a Mersin XVI sia pure con un cospicuo intervallo cronologico. Il fenomeno va associato a un brusco mutamento nella produzione ceramica interpretato da Mellaart come segno dell'inserimento di una cultura dell'Anatolia interna sulla costa della Cilicia.
La differenziazione dello sviluppo interno dell'Anatolia durante questo periodo si viene ora meglio precisando con le ricerche che si svolgono in Pisidia, specialmente in un sito come Kuruçay: qui le strutture architettoniche, costituite da elementi monocellulari con contrafforti interni come quelli di Can Hasan e con decorazioni parietali geometriche in bianco e rosso, talvolta con la tecnica del risparmio, sono articolate intorno a una piazza centrale. Esiste un profondo inserimento della cultura di Ḥalaf, così ampiamente rappresentata in tutta l'area siro-mesopotamica con ampliamenti verso la Cilicia, nel bacino dell'alto Eufrate: p.es. il tipo architettonico, così particolare, della thòlos, o comunque delle strutture a pianta rotonda, si attesta a Çavı Tarlası, presso Samosata, con materiali ceramici del medesimo tipo (e somiglianze o strette relazioni con la produzione siriana dell'Amuq C-E), presenti anche nel non lontano sito di Kumartepe.
Sempre su questa linea di successivi stimoli provenienti dalle aree meridionali, assistiamo a sviluppi collegabili, durante il Calcolitico, con le culture siro-mesopotamiche di el-'Ubayd, specie nei siti di Deiğrmentepe e Arslantepe. In particolare nella prima località si trovano strutture architettoniche che si articolano intorno a una corte centrale ma senza giungere a una formulazione chiara e monumentale; siamo piuttosto di fronte all'adattamento delle esigenze di vita domestica e comunitaria con soluzioni locali. Per altro la produzione di oggetti d'uso come i sigilli risultano ripetere, nella geometrizzazione e nel bilanciamento delle figure, sia umane che decorative, stilemi comuni a tutto l'altopiano, anche se in questo caso con evidenti imprestiti dall'area della Ğazira settentrionale, specialmente Tepe Gawra.
Per la tarda fase di Uruk, secondo la cronologia siromesopotamica o Calcolitico Finale secondo la terminologia dell'altopiano, le scoperte più importanti provengono dalla località di Arslantepe (Malatya), importante centro anche in epoca imperiale ittita durante la prima Età del Ferro: qui è stato messo in luce un livello (VI A) in cui uno scavo raffinato ha mostrato esistere una serie di strutture pubbliche, tra cui una templare a cella oblunga e vano antistante rettangolare, con piccoli podi e una tavola per offerte, che mostra particolari affini a quelli della Mesopotamia meridionale (valle del Diyāla), con pareti affrescate a motivi lineari e geometrici in diversi colori. In un vano presso la porta di una struttura di ampie dimensioni (Edificio IV) è stato trovato un gruppo numeroso di cretule, che recano impronte di sigilli cilindrici e a stampo. Tra questi è di estremo interesse il c.d. re di Malatya, una figura trascinata su una slitta, resa in uno stile locale caratterizzato dal trattamento schematico delle figure, dalla loro direzione e dalla frequenza degli elementi di riempimento; tuttavia vi sono elementi che indicano come i concetti che stanno alla base sia del sistema iconografico che dell'apparato provengano dalla Mesopotamia.
La tendenza al geometrismo e al bilanciamento delle figure si evidenzia, in modo particolare, nella produzione di sigilli a stampo in cui il campo circolare offre ampio spazio di invenzione per gruppi di animali ruotanti e sovrapponentisi. I confronti con la produzione più o meno coeva di Tepe Gawra e di Tell Brak nella parte settentrionale dell'area siro-mesopotamica, mostrano come elementi comuni in questa produzione acquistino un sapore particolare e distinto ad Arslantepe, che si presenta come un centro di prima grandezza anche se forse dipendente da prototipi meridionali (ma in misura molto minore rispetto a centri, definibili «coloniali», della valle dell'Eufrate presso Samosata).
Sempre in questa prospettiva di innovazione anatolica va inquadrata la produzione di oggetti metallici, nella fattispecie le armi e un ornamento rinvenuti nel livello VI A di Arslantepe, in un edificio che si deve definire come un vero e proprio palazzetto. Si tratta di 9 spade, 12 cuspidi di lancia e una quadruplice spirale, forgiati in rame con una leggera percentuale di arsenico; alcune spade presentano una decorazione geometrica a niello in argento. A parte le cuspidi (la cui diffusione sia verso Ν sia verso S pare prendere le mosse da quest'area) che rientrano anche se con qualche differenza in una tipologia nota anche nella Altınova presso Elâziğ, sono le spade a essere pezzi unici, privi totalmente di confronti, sia per la tipologia sia per la eccezionale decorazione. Niente del genere si trova nei pur sviluppati centri mesopotamici (si ricordi comunque il «tesoro» di Naḥal Mismar, nella Palestina del Calcolitico, che attesta la rapida diffusione della metallotecnica nella metà del IV millennio) ed è evidente che siamo in presenza di una eccezionale testimonianza di una produzione metallurgica tipicamente anatolica. Quanto alla spirale, si può confrontare il motivo con quanto abbiamo nella glittica della fine del IV millennio nelle fasi mesopotamiche di Uruk tardo e Ğemdet Naṣr, ma più ancora con una fibbia che reca un motivo da İkiztepe nel Ponto.
Bronzo Antico. è intorno al 2300 a.C. circa che siamo in grado di scorgere in Anatolia quale fosse il livello della produzione artistica oltre che artigianale e collocarla nel quadro più ampio del Vicino Oriente. La località che per prima ha rivelato come la cultura del Bronzo Antico non fosse solo l'espressione di centri agricoli (fenomeno del resto già evidente nell'occidente della penisola con i «tesori» di Troia II) è quella di Alaca Hüyük. Qui la necropoli «reale» si stende entro la cerchia urbana o immediatamente al di fuori di essa e consta di 13 ampie tombe a fossa con un complesso rituale di inumazione. Le tombe sono su diversi livelli per una profondità di 4 m e si calcola che coprano un arco di tempo di almeno 200 anni. La datazione comprende quindi la fine del Bronzo Antico II e l'inizio del III scendendo, in termini assoluti, sino al 2200/2100. Secondo alcuni, questa cultura potrebbe riallacciarsi alle espressioni del Bronzo Medio quali sono testimoniate nel più tardo periodo detto delle colonie assire di Cappadocia.
L'ideologia funeraria dispiegata nelle sepolture è complessa e di non facile confronto. Questo ha condotto taluni a considerare la élite sepolta ad Alaca come la prova della immigrazione dal Caucaso (confronti con i tumuli di Maikop), ma la scoperta di tombe analoghe in altre località della stessa area ha dimostrato che si tratta di un'elaborazione culturale indigena che niente importa dall'esterno, almeno quanto a spunti stilistici e iconografici, e anzi prefigura in certa misura quelle che saranno le elaborazioni dell'Anatolia del Medio e del Tardo Bronzo.
La serie delle statuette zoomorfe e degli stendardi è ampia e di eccezionale valore sia per la tecnica di produzione (su una base di bronzo sono spesso inseriti a niello oro, argento ed elettro) sia dal punto di vista formale. Se le statuette di cervi e tori (le figurine di uccelli compaiono sempre in posizione subordinata e accessoria) mostrano accanto alla stilizzazione, talvolta dovuta alla funzionalità dell'oggetto, un'accurata sintesi di elementi naturali e di decorazione astratta, gli stendardi sono un conglomerato di elementi ideologici di difficile comprensione. Qui, all'interno di semicerchi, accoppiati a fiori stilizzati, corna di toro e figurine diverse, si trovano animali evidentemente connessi al culto, soli o in gruppo. La decorazione sul corpo degli animali è di tipo geometrico, altamente decorativo. In alcuni casi la placcatura in materiale prezioso del muso, del collo o del corpo mette in risalto le forme allungate degli animali. La decorazione può anche essere costituita da piccole escrescenze disposte in serie.
La perizia tecnica si esplica mirabilmente anche nel numeroso vasellame in metallo prezioso: le forme (che sono riflesse nella produzione ceramica) sono tipiche della metallotecnica: coppe, brocche, pissidi, ciotole su alto piede sono decorate a strigliature, a cerchi, semilune, chevrons, croci uncinate, variamente combinate, con un'ampia gamma di soluzioni, tutte estremamente efficaci ed eleganti. Un tipo di «teiera» a corpo ovoide, con manico mobile, trova un parallelo sia a Troia II che nella sequenza ceramica di Beycesultan; tuttavia anche se la forma è specializzata non è possibile attribuire un valore cronologico troppo preciso a queste analogie come taluno vorrebbe. Analogie che sono state messe tra l'altro in rilievo, per le «padelle» o specchi, tra Alaca, appunto, e l'area cicladica (Mellink).
Si evince dall'esame del materiale una «preistoria» di questa produzione che non può essere che il risultato di un lungo processo che per noi si concreta nei materiali di Alaca e di altre località, come Hasanoğlan, Mahmatlar, Eskiyapar, Kayapınar e soprattutto Horoztepe. La cultura che giunse a maturazione nelle tombe di Alaca dovrebbe quindi essere ancora in buona parte ignota. La definizione di questo fenomeno (di cui alcuni autori vorrebbero vedere il centro nell'area tra Amasya e Tokat, cioè nell'area tendente verso il Ponto) come espressione «mandarina» della cultura locale (Landsberger) centra il problema. In realtà, appunto, siamo di fronte a una fioritura culturale apparentemente priva di precedenti, specialmente nella zona di quello che sarà il foyer ittita; d'altra parte cercare di vedere elementi di collegamento con la posteriore cultura del Bronzo Medio e poi del Bronzo Tardo non pare un'operazione possibile allo stato delle nostre conoscenze, quando, dopo la fine del Bronzo Antico III non troviamo nell'Anatolia centrale e centrosettentrionale alcun elemento che ne raccolga l'eredità, se non a livello così generico da non costituire un punto fermo. Quanto poi alla definizione di cultura appartenente al popolo di Hatti, noto dalle fonti ittite, l'equazione è estremamente rischiosa e pare essere piuttosto la ricerca di una patente di nobiltà, di cui invero non si sente il bisogno.
Assai meno ricca è la produzione delle statuette antropomorfe, anche se i pochi casi a nostra disposizione mostrano ancora una volta l'esplorazione di differenti possibilità espressive. Si va da una stilizzazione da pupazzo nella statuetta femminile di Hasanoğlan, ancorché arricchita da elementi metallici preziosi, a tentativi di plastica più realistica come nella statuetta da Horoztepe della madre che allatta il bambino. Qui, alla quasi inespressa formulazione della parte inferiore del corpo fa riscontro una capacità di modellato e di atteggiamento molto complessa della parte superiore della donna e del bambino. È probabile che gli occhi fossero inseriti in altro materiale e che la statuetta possedesse qualche rivestimento non giunto sino a noi; da notare in particolare il dettaglio dell'acconciatura. Questa statuina condivide, nella sintesi espressiva, le migliori qualità che si trovano in alcune statuette di tori e cervi di Alaca. Le altre statuette in bronzo oscillano tra la goffa resa del gruppo delle due donne, di cui una con una brocca, e la maggiore attenzione che si vede nella figurina di infante, trovata accanto alle altre due, per passare poi alla semplificazione totalmente astratta della figurina, con i calzari e le mammelle in oro, con la testa a forma di semiluna, che effettivamente proviene da una tomba tra le più profonde del complesso. Tuttavia la documentazione non pare obiettivamente sufficiente per definire con sicurezza uno sviluppo, come vorrebbe Akurgal, all'interno del periodo rappresentato dalla necropoli, specie se si tiene conto dell'alta qualità degli altri materiali, sia per invenzione che per resa stilistica.
Su un versante totalmente diverso si pongono gli idoli piatti, con corpo a disco, collo spesso allungato, con tratti facciali stilizzati, talvolta a coppia (o in qualche caso raffiguranti una triade) noti da lungo tempo e da non molto rinvenuti in alcune tombe del Bronzo Antico di Kültepe e anche ad Acemhöyük: la rappresentazione rigidamente frontale ne fa un gruppo che anticipa, anche se in prospettiva differente, gli idoletti di piombo della medesima area d'età posteriore.
Altri elementi dei corredi delle necropoli centro-settentrionali, come i sistri di Horoztepe, i diademi e i gioielli di Alaca o le impugnature di scettri e litui, mostrano anch'essi perizia tecnica e amore per la forma. In alcuni casi, per i materiali di Alaca (come per il pugnale con lama in ferro e impugnatura semilunata) e di Troia, sono state messe in evidenza le affinità con la Mesopotamia meridionale (Ur) o con il Caucaso (Maikop): è possibile che questo aspetto dimostri non una dipendenza dall'esterno ma, al contrario, l'esportazione di tecniche e materiali finiti e la loro imitazione in contesti culturalmente più elevati o ancora arretrati.
Sullo stesso piano si collocano i trovamenti dei 16 «tesori» di Troia Ilg, meno spettacolari se messi a confronto con quelli dell'Anatolia centrale e settentrionale, ma estremamente utili per individuare una base comune alle manifestazioni di questo periodo in tutto l'altopiano e anche nelle isole vicine (come mostra Poliochni di Lemno). Un cenno a parte meriterebbero i materiali delle due tombe principesche di Dorak di cui per altro si conoscono solamente alcuni disegni (Mellaart); purtroppo non è possibile utilizzare i materiali di questi ritrovamenti che colmerebbero davvero la lacuna tra Anatolia centrale e occidentale, sia per la qualità degli oggetti di corredo comune che, in particolare, per la presenza di alcune statuette femminili.
Nuovi dati provengono dall'insediamento di İkiztepe, sul Ponto, ancora in corso di scavo e insufficientemente noto: qui esiste una vasta necropoli di oltre 520 tombe a inumazione databili al periodo di quelle principesche di Alaca Hüyük. I corredi sono abbastanza ricchi, specie per quanto riguarda la produzione di armi e utensili metallici. Inoltre sono state trovate statuette femminili, probabilmente connesse con il culto, con caratteristiche fisiche accentuate (vita stretta ma amplissimi fianchi) e per converso con teste appiattite e orecchi forati.
Per quanto riguarda le regioni esplorate recentemente, si sono evidenziate relazioni culturali, fino a pochi anni fa del tutto insospettate se non per i miti di derivazione accadica, tra l'area siro-mesopotamica settentrionale e i centri dell'Eufrate anatolico, specialmente nell'area di Samosata (Lidar Hüyük, Kurban Hüyük). Lidar è particolarmente importante sia perché possiede una sequenza architettonica notevole, sia perché la seriazione ceramica è abbondante, sia perché gli aspetti funerari del III millennio, con due fasi distinte, sono ben chiari. È adesso possibile proiettare quest'area e le sue affinità siro-mesopotamiche, sia con il settentrione sia con le zone occidentali (Gedikli, nella pianura di Islahiye) che scendono nella pianura dell'Amuq.
La necropoli di Lidar presenta ben 205 tombe a cista per un periodo che comprende ampiamente quello rappresentato dal cimitero di Alaca Hüyük e siti apparentati; tuttavia le affinità di Lidar sono appunto con l'area meridionale, come parrebbe mostrare una testa in calcare abbastanza rozza che certamente è più vicina alla produzione che troviamo nell'area del Khābūr che non in quella anatolica centrale. Le figurine da Lidar del Bronzo Antico III sono estremamente semplici, con decorazione plastica applicata e leggere incisioni.
L'Anatolia centrale della seconda parte del III millennio mostra, in conclusione, una forte indipendenza, specie per quello che attiene alla produzione metallica; questa, in ultima analisi, è la molla che farebbe risalire i prospettori dalle pianure meridionali. Il problema della produzione occidentale, quella di Troia e siti affini, si baserebbe sulla possibilità di ottenere stagno, dopo l'abbandono della tecnica della lega arsenicale: l'ipotesi più probabile, o quanto meno più consistente, secondo la Mellink, è quella di uno scambio con le regioni siro-mesopotamiche, per quanto non si possa escludere la possibilità di rifornimenti da altre aree, per quanto lontane potessero essere (Boemia, Cassiteridi?).
L'architettura di questo periodo è rappresentata praticamente da quanto rinvenuto nell'area occidentale, specialmente a Troia. La sistemazione dell'acropoli con i mègara, la sua evoluzione attraverso tutto l'insediamento di Troia II, la accurata e sofisticata architettura militare difensiva della cittadella mostrano un livello di elaborazione ormai complesso e standardizzato. La sistemazione di un centro più ampio (per non dire civico) la si incontra invece a Poliochni, nell'isola di Lemno, ed è forse qui, nella disposizione delle abitazioni private, nell'edificio «pubblico», nello sfruttamento degli spazi comuni che si apprezza maggiormente l'adattamento di un modulo abitativo sfruttato in tutte le sue possibilità. Il modulo del mègaron affonda le sue radici nel Calcolitico dell'Anatolia occidentale, come hanno dimostrato i saggi effettuati nel sito di Beycesultan. I rapporti presunti di filiazione con l'ambito greco (Mellaart) sono di difficile dimostrazione anche se le due sponde dell'Egeo spartiscono numerosi elementi che però non possiamo, al momento, ricondurre a un quadro coerente di agnizioni. Nell'interno dell'altopiano, a Norşuntepe, nell'alta valle dell'Eufrate, è stato portato recentemente alla luce un complesso che possiamo definire già palaziale, articolato in strutture indipendenti in tutto o in parte, di 2700 m2, intorno a un'area centrale aperta o cortile; anche se l'organizzazione degli spazi e delle strutture risente fortemente di necessità di carattere pratico quali l'ammasso delle derrate, si avverte il passaggio dal principio organizzativo a padiglioni a quello unitario.
Bronzo Medio. - L'Età del Bronzo Medio, corrispondente a un dipresso al XIX-XVII sec. a.C., vede un profondo progresso nella struttura sociale e politica dell'Anatolia. La penisola pare essere spartita in aree più grandi che non per il passato, dominate da un centro maggiore verso il quale affluiscono le risorse del territorio. Le nostre conoscenze sull'assetto politico provengono principalmente dai testi delle c.d. colonie commerciali assire di Cappadocia, che fanno emergere a livello di cultura scritta quanto era avvenuto nei periodi precedenti con la penetrazione delle genti siro-mesopotamiche nella regione dell'alto Eufrate e in quelle vicine. Per quanto riguarda la produzione artistica, alla complessità di invenzione, ai moduli espressivi della dinastia neosumerica e paleobabilonese in senso lato, l'Anatolia oppone un vigore forse leggermente grezzo ma pieno di coerente espressività.
In questo periodo per la prima volta è possibile quantificare e apprezzare la grandezza dei centri principali grazie a una serie non numerosa ma fondamentale di scavi come Troia, Beycesultan, Kültepe (antica Kaniš, Karahöyük presso Konya, Alişar Hüyük e anche quella che sarà poi la capitale ittita, Khattuša (Boğazköy), che coprono la penisola anatolica dall'occidente sino alla zona centrale, delimitata dalla grande ansa del Kızılırmak (antico Halys).
Se Troia VI e VII riprendono lo sviluppo della cittadella stabilito nei periodi precedenti, dopo il periodo poco documentato delle città III-V, dando un esempio mirabile dell'architettura militare e civile del periodo, la sistemazione palaziale o di residenza viene a presentarsi nella misura più completa nel palazzo di Beycesultan. Qui per la prima volta in Anatolia si è indagato un complesso strutturale articolato intorno a una corte centrale, secondo il modulo canonico sia in Oriente che a Creta. Tuttavia la somiglianza non crea dipendenza e le analogie sono probabilmente dovute a una funzionalità inerente al sistema di accentramento amministrativo dell'economia palatina vigente in tutto il II millennio nel bacino del Mediterraneo, nel Levante e nel Vicino Oriente. Il palazzo di Beycesultan, accuratamente scavato, presenta un sofisticato sistema di costruzione, particolari che possono essere interpretati come un sistema di riscaldamento o forse meglio di aereazione e drenaggio delle murature, e soprattutto un concetto quasi monumentale del percorso principale attraverso l'ingresso e il cortile sino all'accesso al secondo piano, che si raccoglie intorno alla corte e forse sui lati più favorevoli a seconda delle stagioni. Purtroppo il palazzo, che è stato devastato da un incendio, non ha restituito che poche suppellettili e non ci illumina sui dettagli decorativi e su quanto vi era contenuto in origine. Altri esempi di palazzi provengono dalla cittadella di Kültepe e da quella di Acemhöyük. Qui le strutture palaziali, coeve ai livelli II e Ib del kārum di Kültepe sono erette, nella parte inferiore, in grossi muri a doppio paramento, in blocchi di andesite, rozzamente squadrati, probabilmente con un rivestimento di intonaco, con contrafforti esterni. L'interno presenta spazi aperti ma non una grande corte centrale e la vita doveva svolgersi in prevalenza in un piano che potrebbe essere stato una sorta di ammezzato (specie a Kültepe). Le mura civiche non presentano le soluzioni di Troia, dato che sono erette in mattoni crudi, ma una struttura particolare della cinta esterna, che racchiudeva il kārum a Kültepe, mostra che poteva aversi una sorta di torre o bastione in pietrame, quasi ciclopico a detta dello scavatore, composto di quattro vani, su due piani, forse non l'unico a rafforzare la cortina.
L'ampiezza dei centri abitati, sempre riferita all'area del palazzo e dei complessi amministrativi e della corte, varia intorno al mezzo chilometro di diametro, con cinte murarie che potevano raggiungere i quattro chilometri. A questo si aggiunga la città bassa o esterna che nel caso più noto, quello appunto del fondaco commerciale di Kültepe, occupa un'area che è circa un terzo di quella della cittadella.
L'espressione più compiuta di questo periodo è data dalla straordinaria fioritura della coroplastica. Parrebbe che la metallotecnica fosse in ribasso ma probabilmente questo è un mero accidente dei ritrovamenti. Un'ampia produzione ceramica di notevole vigore per quanto riguarda la classe dei vasi configurati e quella di utilità mostra particolare attenzione nella manifattura, nella invenzione formale e nelle tecniche di rifinitura. È in questo momento che si viene dispiegando la produzione del particolare tipo di ceramica a superficie rossa levigata che passa abbastanza incongruamente sotto il nome di «ittita»; in realtà si tratta di una produzione dell'altopiano che trae le sue origini in loco e che difficilmente può essere collegata a un elemento etnico che si dice penetrato nell'altopiano intorno alla metà del III millennio e che certamente non ha soppiantato né in toto né in buona parte la precedente popolazione indigena. Comunque è in questo momento che si gettano le basi di iconografie e di produzioni che diventeranno canoniche e quasi irrigidite nel successivo periodo del Bronzo Tardo.
Di grande importanza è la presenza nelle colonie commerciali di una produzione glittica che adotta il sistema del sigillo cilindrico di tipo mesopotamico. Fondamentali in questo campo sono stati gli studi di N. Özgüç che ha pubblicato il più vasto corpus di glittica dell'Anatolia basandosi sugli scavi propri e del marito a Kültepe. Accanto alle importazioni e all'impiego di sigilli nello stile della III dinastia di Ur, paleobabilonesi, paleosiriani e paleoassiri (questi ultimi per altro non facilmente enucleabili come classe a sé stante), esiste una vastissima produzione locale che, basandosi in parte su schemi iconografici forestieri, dà vita a una sua propria rappresentazione del mito e del culto indigeno, di estremo vigore e complessità. Purtroppo, mancando testi letterari che illuminino sugli aspetti dell'ideologia religiosa del tempo, è giocoforza rifarsi a quanto si ricava dal periodo seguente, ma i risultati possono essere per lo più fuorvianti. Resta comunque la prova che le botteghe anatoliche, da un lato sotto lo stimolo esterno e dall'altro impiegando ampiamente repertori locali, assicurano una produzione di qualità eccellente ed estremamente vivace.
La medesima osservazione purtroppo non si può fare per la plastica: la classe più importante è costituita da una serie di idolini di piombo (o dalle loro matrici), piatti, assai semplici, singoli o a gruppi, talvolta costituenti una triade. Si tratta di sorta di ex voto, assai interessanti per la storia del costume ma non certo referenti di una corrente artistica.
Bronzo Tardo. - La documentazione delle strutture palaziali nell'Anatolia del Bronzo Tardo è stata notevolmente aumentata dallo scavo di Maşat Höyük (identificata con la Tapigga ittita). Qui (a differenza della capitale, Khattuša), è stato scavato un palazzo dell'epoca di Šuppiluliuma I, a forma di L, che ha reimpiegato la corte di quello precedente del II livello (e ne ha distrutto l'ala occidentale e quella meridionale). Questa scoperta ha colmato la lacuna delle testimonianze architettoniche per quanto riguarda il periodo ittita: nella capitale, infatti, le strutture dell'acropoli sono più tarde e di difficile comprensione, specie per quanto attiene alla residenza reale vera e propria.
Il palazzo, articolato intorno a una corte, si estende su tutta l'area della collina naturale. La corte centrale è delimitata da un regolo di pietra sopra al quale sono poste le basi del colonnato, di pietrame squadrato, alla cui sommità si trovano gli alloggiamenti cilindrici per l'inserzione del pilastro ligneo; nella parte porticata si aprono i vani retrostanti (tra cui due stanze destinate ad archivi). La tecnica strutturale è assai accurata: le fondazioni sono quasi ciclopiche, in pietra, a sorreggere l'elevato in mattoni crudi, probabilmente di due piani, a somiglianza degli altri palazzi del Vicino Oriente e di Creta, dove è stato possibile accertare questa caratteristica. Le mura sono rinforzate da travi verticali e orizzontali per rendere la struttura più elastica e coerente (e anche questa è una caratteristica dell'area anatolica e cretese). Da notare il rivestimento delle mura dei vani con lastre di pietra spesse pochi centimetri che prendono il posto del più fragile intonaco. È da rilevare l'assenza, nelle piante pubblicate, di scale che conducevano al secondo piano. Tuttavia, secondo una ipotesi del Lloyd, un vano dell'angolo NO del cortile (definito «vano dell'altare» da T. Özgüç) potrebbe essere quello che ospitava la scala (e l'altare sarebbe invece un pilastro interno intorno a cui girava la scala). Da notare che esistono tracce di una decorazione muraria consistente in intarsi di pietre triangolari policrome (nel palazzo più recente, del II livello).
Quanto alla città che circondava la struttura palaziale di Maşat, essa copriva i fianchi della collina naturale, mediante un sistema di edifici posti su terrazzamenti. Tra le strutture è da menzionare un edificio di carattere ufficiale, forse un tempio, eretto in grandi blocchi squadrati, con un cortile centrale intorno al quale sono disposti vani di magazzinaggio stretti e lunghi, databile al XV secolo.
Dal livello I di Maşat (del XIII sec.) proviene, tra l'altro, materiale miceneo del Tardo Elladico IIIB, insieme a ceramica levigata rossa (i c.d. bracci da libazione): ciò potrebbe fare intendere che i traffici non si svolgessero attraverso la via del Ponto ma lungo quella meridionale, Cilicia, Cipro e Siria, con un lungo percorso per via di terra, per quanto il tragitto dalla capitale ittita richiedesse solo tre giorni di viaggio. Anche la glittica ha ricevuto un notevole incremento dal sito di Maşat: sono state scoperte bulle di Tutkhaliya II e di sua moglie Tadukhepa, coppia che deve essere vissuta vicino al tempo di Šuppiluliuma I.
La maggior copia di informazioni, comunque, sulla crescita del più importante centro urbano dell'Anatolia del Bronzo Tardo continua a essere quella della capitale ittita, Khattuša, uno dei centri più esplorati ma che continua a fornirci dati sempre rilevanti, specie nell'ultimo decennio. In questo periodo, lo scavo germanico guidato da P. Neve ha messo in luce tutto un quartiere nella parte meridionale della città, quella alta, presso le mura tarde, intorno ai quattro santuari (II-V) e ai roccioni di Yenicekale e Sarıkale. Si è visto che, oltre alla presenza di un numero rilevantissimo di strutture templari (oltre 27), anche se di qualità più modesta rispetto ai santuari noti, tutta l'area non rispecchia un progetto fortificatorio ma piuttosto rientra nell'ambito di una grande visione religiosa, dovuta a Tutkhaliya IV, che appare come il grande fondatore a livello ideologico della struttura urbana della capitale e, probabilmente, anche di altri centri. La concezione delle mura, con le tre porte, decorate da rilievi (del Re, delle Sfingi, dei Leoni) si viene a compenetrare con la via processionale che corre al di fuori delle mura, all'esterno, mutando anche la funzionalità della duplice scala della Porta delle Sfingi (Yerkapı) che non rientra quindi più nella tecnica militare (come era stato sempre presunto) ma in una concezione rituale di grande respiro. I recenti restauri dello spalto e delle scale, anche se in parte rifatte pur con i materiali antichi, mostrano adesso la grandiosità di questa capitale dell'altopiano che si viene a porre come il grande centro settentrionale delle civiltà vicino orientali del II millennio.
Sempre nell'area della città alta si è accertato che le murature potevano essere stuccate in colori diversi, dal blu all'arancione, a motivi figurati, aprendo uno spiraglio in questo importante particolare delle strutture architettoniche che sono ricostruibili spesso solo nelle linee generali e nei volumi complessivi.
Sono ben noti i principî che presiedono all'architettura, specie quella tarda dell'impero ittita (mancando in realtà dati da altri centri importanti, a eccezione di Troia nel momento della VII città, che però si riallaccia concretamente a quanto la precede e che a ogni modo rientra nell'ambito dell'occidente anatolico). Lo schema di base, che si vuole ricondurre al tipo di abitazione indigeno, costituito da un cortile interno con vani all'intorno, viene in realtà variato con molta sapienza e, nonostante le evidenti somiglianze, ogni edificio si articola in un modo suo proprio. La discontinuità della muratura esterna fornisce un grande movimento alle masse che dobbiamo pensare distinte in un blocco inferiore (lo zoccolo in pietra) e in uno superiore, intonacato, con ampie variazioni delle masse strutturali, variazioni di altezza dovute anche alla necessità di illuminazione (in realtà la pratica di aprire finestre non dovrebbe essere così generalizzata). Intorno al cortile si stendono i vani accessori e mentre l'accesso è sempre costituito da un pròpylon monumentale a più luci, la corte, porticata su almeno un paio di lati, costituisce il fulcro dell'edificio; Yàdyton o gli àdyta sono praticamente invisibili, se non dall'esterno dove si presentano come corpi aggettanti, e il percorso per gli iniziati si svolge attraverso una sorta di chicane. Anche la sistemazione dell'acropoli rientra in uno schema di percorsi su diversi livelli, con una differenziazione degli edifici a seconda delle varie funzioni. È assai probabile l'ipotesi che l'edificio D con fondazione a muri paralleli sostenga una sala a pilastri (una sistemazione analoga parrebbe esistere anche a Maşat Höyük), prototipo per una soluzione analoga nelle strutture palaziali urartee e di qui in quelle achemenidi. Ciò dimostra una ricchezza di intuizioni architettoniche che non possiamo per il momento dire quanto siano innovative rispetto al passato o quanto dipendano da precedenti esperienze, per altro non molto probabili. La grande ideologia della città in senso ampio e della zona ufficiale, palaziale e templare, può avere qualche debito verso modelli stranieri (è stato fatto il nome del Ramesseo come ispirazione per il complesso del Tempio I) dal punto di vista generale ma l'elaborazione è sicuramente autoctona e anatolica, come del resto è bene evidente anche nel c.d. palazzo-tempio di Alaca Höyük, che presenta lo stesso sistema di porte e cortili successivi della capitale. Niente di analogo si conosce al di fuori dell'ambito ittita ed è possibile che le strutture statali delle zone anatoliche al di fuori del controllo ittita non potessero o sapessero esprimere, se non altro per ragioni di natura economica, altrettanti strutture e concetti di pianificazione.
L'architettura militare ittita è particolarmente ben rappresentata a Boğazköy e anche ad Alaca e Alişar: la stesura canonica è quella del muro a doppio paramento con riempimento a sacco e postierle sotterranee. Tale tipo di opera trova una buona esemplificazione nelle gallerie di Tirinto (anche il muro miceneo di Mileto è di tecnica puramente anatolica) ma è ben difficile provare dipendenze effettive, specie in un momento in cui in tutto il bacino del Mediterraneo si diffondono tipi architettonici, specie militari, analoghi, dall'Eliade micenea, a Creta, a Cipro, alla Siria costiera, oltre che all'Anatolia interna.
Poco è noto della plastica ittita. I materiali preziosi sono scomparsi e le nostre conoscenze si basano per lo più su statuette di piccole dimensioni. Unico caso rilevante è la parte inferiore di una statua più grande del naturale, rinvenuta fuori contesto ad Alaca, la quale ripete, sostanzialmente, per schema e volumi, una figurina in cristallo di rocca da Tarso. È quindi possibile che le nostre supposizioni, per inferenza, si possano adattare alla statuaria monumentale. In base a quanto è a nostra disposizione si sono potuti distinguere, sostanzialmente, due periodi che corrispondono al c.d. Antico Regno e all'Impero, all'incirca ai secoli XVI-XV e XIV-XIII a.C.
Nel primo periodo è notevole una libertà di espressione e di movimento che è bene esemplificata nella statuetta bronzea da Dövlek (e anche di Tirinto, Nezero e Lindos, secondo la Canby), caratteristiche che paiono esser tipiche della prima fase dei rilievi, come documentato da un ortostato non terminato dalla capitale, con un combattimento tra divinità, o da alcuni sigilli tra cui quello della Collezione Tyszkiewicz, ora a Boston. A questo ambito possono essere ricondotti pochi altri esemplari, sempre sporadici: uno da Konya (ora a Tubinga), assai povero, e un altro, incompleto, da Doğantepe (o da Amasya), che nel trattamento del torso e nella sicura impostazione del viso, con piani facciali assai ben delineati, mostra la sicurezza di una scuola affermata.
Di diverso tono ma comunque assai interessanti sono le decorazioni a rilievo di vasi, spesso di grandi dimensioni, principe fra tutti quello di Inandık, e una numerosa serie di frammenti provenienti principalmente dalla capitale ma presenti in quasi tutte le località scavate che presentano livelli dell'Antico Regno. A elementi decorativi, animali e arborei, spesso in posizione araldica, si affiancano processioni, come nel vaso di Bitik, o scene «di genere», in mancanza di una definizione generale. La sintassi narrativa, quando la si può scorgere, è semplice e descrittiva: la paratassi è dominante e la vivacità delle scene risiede più nella policromia che nello schema figurativo, per altro assai istruttivo sotto molti punti di vista.
Il periodo imperiale ittita presenta una numerosa serie di rilievi, specie rupestri, diffusi su buona parte dell'altopiano e delle terre basse, che illustrano in modo cospicuo quale sia l'espressione artistica dominante in un periodo che vede grandi trasformazioni sia dal punto di vista della classe al vertice sia per l'organizzazione e il controllo del territorio entro e oltre i confini dell'Anatolia propria. Le processioni e le scene singole di Yazılıkaya, il santuario presso la capitale, e i rilievi su blocchi di Alaca costituiscono i complessi maggiori e più noti. Qui, accanto a una volontà di chiarire ideologicamente la struttura religiosa e la gerarchia dei valori che viene proposta, si manifesta un irrigidimento che è probabilmente dovuto anche a una necessità di uniformità e di normalizzazione del processo figurativo. In alcuni gruppi, come la scena centrale della camera A di Yazılıkaya, prevale la necessità didascalica (soprattutto in monumenti rupestri o costruiti come nel caso di Eflatun Pınar e Fasiler, ai margini dell'area ittita propriamente detta, in Pisidia) ma in altri, come nel dio-spada o nel gruppo di Tutkhaliya abbracciato dalla divinità protettrice, Šarruma, risaltano moduli sicuri degni di grande attenzione, anche nel variegato panorama di tutto il Vicino Oriente. Gli schemi si ripetono anche nella glittica a stampo di pertinenza reale e per quanto ci consta è sempre evidente l'intenzione di chiarire e di propagandare una terminologia reale e culturale. Alcune volte, come in certi rilievi di caccia o con rappresentazioni di animali di Alaca, riemerge la libertà espressiva del periodo precedente, ma non si può escludere a priori che taluni rilievi possano essere stati reimpiegati per l'ultima fase decorativa, che, tra l'altro, è stata trovata in condizioni disturbate. Un pezzo di notevolissimo valore è rappresentato da un blocco angolare di Alaca, che rappresenta un leone in corsa che tiene tra le zampe anteriori un vitellino: la fusione tra la veduta laterale e quella frontale non è avvenuta ma la stilizzazione del muso leonino e la sicurezza con cui tutto il gruppo è stato concepito mostrano un progetto e una esecuzione di raffinata potenza, una lezione che purtroppo non avrà seguito né nell'altopiano né altrove in epoca coeva o successiva.
La piccola plastica, statuette e rilievi, sono sulla medesima linea della produzione di grandi dimensioni: prevale la formalizzazione come nel caso delle statuette in oro che raffigurano divinità in marcia o stanti (come la statuina in cristallo di rocca da Tarso già citata) o sedute (la dea con l'aureola e il bambino sulle ginocchia). All'ambito anatolico è stata ricondotta (Mellink) la statuetta in avorio da Nuzi, prima assegnata alla cerchia di una supposta produzione mitannica. Alla sfera del culto appartengono i piccoli pendenti formati in genere da una triade, di cui un bell'esemplare è stato ritrovato da poco tempo nella capitale ittita. A queste linee generali si allinea la produzione dei materiali in avorio, non ampiamente rappresentati ma per altro sufficienti a vedere che esisteva una scuola di intagliatori in Anatolia, probabilmente botteghe dipendenti dal palazzo, data la qualità e rarità della materia prima. La placca di Megiddo è un perfetto esempio di arte di corte; si ripetono anche qui i motivi ideologici e propagandistici della corte ittita: il sovrano allusivamente divinizzato si trova entro una congerie di genii, di gerarchie ascendenti e doveva essere analogo alla composizione di Karkemiš di cui restano figurine isolate in oro e materiali preziosi con caratteristiche analoghe. Il livello della metallotecnica è ben rappresentato dai due rhytà in argento della Collezione Schimmel, un toro e un cervo a tutto tondo, con una scena di culto sul collo del secondo: si sente che il gusto della coroplastica così presente nel periodo precedente condiziona ancora la produzione di questo tipo di oggetti, in questo caso ancor più rilevanti per la materia preziosa.
L'Età del Ferro. Dopo il crollo delle entità statali alla fine del II millennio occorre attendere almeno la fine del IX sec. per trovarne altre che, per quanto talvolta di limitata estensione, producano monumenti artistici degni di attenzione. Nell'Anatolia centrale e occidentale emerge la Frigia e a oriente l'Urartu, collegate per esili fili alle culture precedenti dell'altopiano. L'eredità del II millennio in varia misura può invece essere rintracciabile in una serie di stati dell'Anatolia sud-orientale, tra Malatya e la Siria settentrionale.
Gli stati siro-ittiti. - Variamente denominati siro-ittiti, neo-ittiti o luvio-aramaici, questi stati dominano spesso limitati tratti territoriali, risentono in parte della tradizione sovente solo formale dell'impero ittita, delle esperienze hurrite, o supposte tali, e, in misura altrettanto varia, dei moduli iconografici e stilistici che si sono sviluppati in questa area di forti interrelazioni tra filoni culturali diversi quali quelli aramaici, fenici e assiri. Non si tratta quindi di una «rinascita» ittita più o meno larvata ma di una nuova tradizione siro-anatolica propria del I millennio con eredità proveniente dalle due tradizioni (Matthiae).
I centri maggiori di questa produzione, che nella sua massima parte ci è nota dalla decorazione delle porte civiche e palaziali e dagli ortostati di rivestimento alla base dei muri, sono Malatya, Karkemiš, Zincirli (Sam'al) e Maraş (Gurgum). Altri centri come Karatepe, Teli Ḥalaf, Teli 'Ayn Dara e Yesemek, mostrano il versante più cosmopolita di questa produzione. Lo studio (iniziato da Akurgal e proseguito da Orthmann e Genge) di questi complessi, spesso di grande rilevanza monumentale, ha permesso di isolare alcuni tratti cronologici e di disporre la documentazione in tre fasi, di cui la più antica, di necessità, inizia in un indeterminato momento del X secolo. La suddivisione delle fasi è diversa a seconda degli autori ma in tempi recenti il riesame delle fonti documentarie (Hawkins) ha permesso una più precisa collocazione temporale dei diversi monumenti, collegati come sono da elementi stilistici e da «scuole» di scalpellini che hanno operato in diversi centri o sono influenzati da quanto si produceva nei centri di maggiore importanza come Karkemiš. Di grande importanza, comunque, è la forte presenza del nuovo elemento aramaico proprio all'interno dell'area interessata da questa produzione (Til Barsip 950, Zincirli 920, Tell Ḥalaf nell'VIII sec., Maraş c.a 700), anche se l'immigrazione deve avere assunto forme composite e non avere sradicato l'elemento etnico più antico al quale si rivolgono le numerose iscrizioni in ittita o luvio geroglifico (databili tra il X e l'VIII sec.).
I diversi luoghi di produzione risentono fortemente di tradizioni locali oltre che del patrimonio figurativo «classico» e le risposte sono quindi fortemente differenziate. Il complesso monumentale più aderente al mondo ittita del II millennio è quello della Porta dei Leoni di Malatya (che strutturalmente è vicina ai tipi della Siria settentrionale). Anche se è evidente il reimpiego nella seconda metà dell'VIII sec. degli ortostati e dei leoni, forse all'origine decoranti un edificio cultuale, le lastre, per elementi iconografici e stilistici, aderiscono in misura maggiore degli altri casi alla grande arte monumentale quale è rappresentata dai complessi di Alaca Hüyük e di Yazılıkaya presso Boğazköy. Se la scansione delle scene per singole lastre richiama il passato, alcuni particolari degli abbigliamenti e soprattutto la successione di una stessa figura rappresentata in due diversi momenti entro una medesima lastra possono indicare una influenza assira, il che non è improbabile, almeno in via di principio, anche se il gruppo è quello più rappresentativo della fase più antica. La grande tradizione precedente è ben attestata anche dalla figura incisa su roccia sul Kızıldağ, in Licaonia: qui il sovrano, Hartapuš, figlio di un Muršili, è ascrivibile al IX sec. solamente per tratti particolari quali l'abito (ma è comunque singolare che proprio qui si trovi la più antica attestazione in geroglifico dei Moschi, un èthnos da collocare all'interno delle tribù frigie).
Alla seconda fase appartengono i complessi di Karkemiš (del periodo di Katuwa e del padre), Zincirli, alcune lastre di Malatya (le scene con i carri), Teli Ḥalaf, Teli 'Ayn Dara e altri. Tuttavia le differenze tra le varie produzioni sono così forti che parlare di unità pare eccessivo e di ciò fanno fede le diverse terminologie stilistiche adottate per descrivere l'uno o l'altro dei diversi monumenti. Karkemiš è certamente il centro più rappresentativo e quello dove è individuabile una «scuola» di artisti che ha esteso la sua influenza in altri centri come Zincirli.
Dal punto di vista architettonico l'apporto maggiore di quest'area è la creazione (o il perfezionamento, dato che esistono i precedenti della metà del II millennio ad Alalakh e a Tilmen Hüyük) della struttura palaziale, il bit khilani. Questa struttura è rappresentata, oltre che a Teli Taynat e a Sakçe Gözü, nel modo migliore nell'acropoli di Zincirli (eretta tra la metà del IX e la prima metà del VII sec.) dove i diversi edifici formano, pur restando sostanzialmente in sé isolati, un complesso monumentale di rappresentanza, altamente specializzato. Le somiglianze con i precedenti ittiti, Boğazköy e Maşat, sono superficiali e dovute solo alla funzionalità della deambulazione; la realizzazione è dovuta unicamente alla tradizione locale che ha saputo esprimere al meglio le diverse componenti culturali che si incontrano in quest'area.
Frigi (v. vol. Ill, p. 739, s.v. Frigia, Arte). - Alcune testimonianze letterarie rimanderebbero a una presenza di gruppi frigi in Anatolia già alla fine del II millennio a.C.: un re Mita di Pakuwa (Divriği?) è citato, alla fine del XIII sec., nei testi del sovrano ittita Arnuwanda III; poco più tardi, intorno al 1110, sempre nell'Anatolia orientale, presso le sorgenti del Tigri, il sovrano assiro Tiglatpileser I si scontra contro cinque «re» del popolo dei Muški. È evidente che i fermenti che porteranno alla creazione di uno stato con caratteristiche autonome, quanto meno a partire dall'VIII sec., sono vitali già negli ultimi decenni del II millennio a.C.
La creazione di una identità culturale frigia è avvenuta tra la fine del IX e la fine dell'VIII sec. a.C. La cronologia si articola in due momenti principali: l'VIII sec. sino alla invasione cimmeria e la «rinascita» sotto la dominazione lidia, durante il VI secolo. A questi due momenti, scanditi in due sottofasi, secondo la cronologia dell'Akurgal, si riallacciano manifestazioni artistiche e culturali in senso lato dell'èthnos frigio. Alla prima fase, che ha una preistoria variabile a seconda delle situazioni locali, risalgono gli insediamenti principali tra cui Gordion, la Città di Mida e altri centri dell'altopiano, più a E, come Boğazköy, già capitale dell'impero ittita, Alişar Hüyük, Pazarlı, Alaca Hüyük, Ankara, Dınar, Eskiyapar, Tatarlı Hüyük, Yalıncak e molte altre località minori.
Il processo di sviluppo è, comunque lento, e graduale; non è accertabile quale fosse il patrimonio culturale che queste genti recarono con sé, ma è probabile che alcuni caratteri che si sono voluti individuare come propri dell'arte delle steppe, nei periodi posteriori, possano avere avuto tratti omologhi nella «preistoria» delle genti frigie. Inoltre è da considerare, come nel caso della Città di Mida, che alcune figure a rilievo poste sulla roccia lungo la strada che sale all'acropoli, possono risalire all'impero ittita o al sopravvivere di elementi culturali all'interno di principati epicorici, come vuole Akurgal (contra Haspels).
Secondo la cronologia ormai accertata, le facciate rupestri dell'area che gravita intorno alla Città di Mida, si dividono in due gruppi, distinti dalla cesura dell'invasione cimmeria. In mancanza di elementi probanti di scavo, la classificazione è basata su elementi formali. La questione della funzione di questi monumenti - se tombe o altro - è stata risolta accertando, per la maggior parte dei casi, la funzione di sacelli dedicati a una divinità femminile che possiamo identificare, in alcuni casi grazie alle iscrizioni, con Cibele, la Madre. Esiste un gruppo più antico, databile alla fine dell'VIII sec.: ne fanno parte il Monumento di Mida o Yazılıkaya, Maltaş, nella valle di Köhnuş, e Delikli Taş, a O di Kütahya. Tutti riproducono la facciata di una struttura lignea (si vedano in particolare i travi che sporgono dalla facciata a sostegno dell'architrave della porta). Nel monumento di Mida e in quello di Maltaş, la superficie è decorata con un motivo geometrico a rilievo (quadrati alternati a croci) che pare essere la riproduzione litica bidimensionale di un motivo espresso in origine con altro materiale (si veda, p.es., la somiglianza della resa di un motivo analogo in uno dei paraventi lignei del Grande Tumulo di Gordion). Le cornici e il timpano del Monumento di Mida sono decorati con motivo a rombo; la sommità del timpano si arriccia a formare un acroterio, ancora abbastanza geometrico. L'iscrizione corre sia verticalmente, all'estremità della facciata, sia lungo la roccia che protegge superiormente il monumento. È evidente la destinazione cultuale e non funeraria del complesso (come testimoniano più compiutamente altri casi come Delikli Taş, dove l'immagine di culto è resa in bassorilievo, mentre qui è supponibile in base all'esistenza dell'alloggiamento di un perno di fermo). Il Monumento di Mida, inoltre, presenta un elemento che non è rintracciabile altrove: a sinistra della facciata, ortogonale rispetto a questa, si trova un piccolo portico con facciata a quattro colonne, addossata alla roccia che termina contro il prospetto del monumento, in una nicchia che presenta un'iscrizione sulle tre pareti. L'impressione che se ne ricava è quella di una sistemazione posteriore di un elemento rupestre (la nicchia), forse un intervento secondario rispetto al monumento principale, che, con questa aggiunta, si presenta squilibrato (da notare inoltre che la pavimentazione dell'area antistante alla facciata non è regolarmente piana come quella del portico). Mentre il Monumento di Maltaş ripete in scala minore le caratteristiche generali di quello di Mida, quello di Delikli Taş presenta in alto, alla sommità del roccione, il timpano e i due spioventi della copertura, talché si ha l'impressione di un edificio vero e proprio, anche se in maniera approssimativa; la facciata per altro non presenta decorazione. Il Monumento di Mida in sostanza è il capostipite di tutta la serie, sia di quella dell'VIII sec. sia di quella posteriore e dispiega tutti gli elementi che saranno canonici.
Al secondo gruppo appartengono gli altri monumenti, tra cui i più importanti sono quello detto di Arezasti, di Bakşeyiş, di Büyük Kapı Kaya, di Küçük Kapı Kaya e di Kumca Boğaz Kapı Kaya. In tutti vi è testimonianza della statua di culto stante sul fondo della nicchia e tutti appartengono alla metà del VI sec., quando la Frigia si trova sotto l'amministrazione politica della Lidia. Di particolare interesse sono il Monumento non terminato e quello detto di Giacinto (ambedue nella Città di Mida), dove sono presenti elementi floreali di rosette, palmette e fiori di loto a rilievo, oltre all'acroterio con volute, sempre floreali. Elementi analoghi si trovano nelle terrecotte architettoniche di Larissa sull'Ermo, che sono databili alla prima metà del VI secolo. Arslan Kaya è senz'altro l'esemplare più cospicuo del secondo gruppo: è unico per il concetto generale di monumento isolato. La facciata, decorata con un motivo geometrico a rilievo, presenta la nicchia risolta in una porta aperta all'interno della quale è la statua della divinità stante, affiancata da due leoni rampanti in posizione araldica. Due sfingi antitetiche si trovano sul timpano; sul lato destro, un colossale leone a rilievo è eretto sulle zampe posteriori. Nonostante la mancanza di monumenti tra l'invasione cimmeria e la prima metà del VI sec., la linea di sviluppo di queste strutture rupestri appare continua e coerente senza che si debba ricorrere all'ipotesi di una influenza dei monumenti della Licia come ha proposto Akurgal. L'uso di impiegare le pareti di roccia per scopi cultuali è ampiamente attestato nell'Anatolia ittita (che secondo Akurgal appunto avrebbe lasciato rilievi proprio sull'acropoli della Città di Mida) e la riproduzione di facciate lignee, un elemento locale, si mostra tipica della produzione e dell’habitat frigio.
La maggior tomba decorata con elementi scultorei è quella di Yılan Taş (detta «del leone spezzato»), di cui la Haspels ha dato la ricostruzione grafica definitiva chiarendo numerosi dubbi. Di carattere assolutamente monumentale, presenta sul lato destro due leoni passanti in direzioni opposte con le teste girate all'indietro; sulla facciata, due opliti che brandiscono una lancia sono ai lati di un gorgòneion e della porta di ingresso. Akurgal ha assodato la dipendenza della figura umana da prototipi greci del VI sec.; stessa dipendenza vedrebbe anche per i leoni che hanno, tuttavia, ascendenze assire. L'altro grande monumento funerario è quello detto di Büyük Arslantaş: nella facciata due leoni si trovano in posizione araldica ai lati della spina centrale in cui si apre la porta della camera funeraria; al di sotto dei leoni se ne trovano altri due assai più piccoli. Resta comunque un fatto isolato la costruzione di una tomba monumentale come quella di Yılan Taş in questo periodo. Le altre, come quella detta di Solone, di Kümbet, di Çukurca, di Ayazin, di Kastamonu, sono d'età posteriore e rientrano nella koinè ellenistica e romana anche se conservano tratti locali.
La plastica frigia, a parte quella dei rilievi rupestri, è scarsamente conservata: nelle facciate monumentali si sono conservati alcuni altorilievi rappresentanti Cibele. Non molto di più si può ricavare dai frammenti di statue pressoché cilindriche rinvenute nella Città di Mida, ma fuori contesto. Una nicchia da Bahçelievler (Ankara) del VI sec. mostra un generico tentativo di resa plastica che si traduce in una geometrica resa dei panneggi e dei varî elementi della figura. Di miglior risultato è il gruppo della dea stante con i musici dall'ultima fase della porta dell'acropoli di Boğazköy: la divinità ha tratti che la collegano al mondo orientale ma anche elementi che sono ripresi evidentemente da modelli occidentali. I frammenti di teste di leoni o di toro da Gordion sono sostanzialmente un povero tentativo di trasportare a tre dimensioni elementi meglio adatti a decorazioni vascolari; scarsi risultati si rilevano nel pavimento a mosaico di uno dei mègara di Gordion e nel cippo da Daydalı, ora al museo di Afyon Karahissar, dove sono raffigurati tre grifi a corpo umano di cui uno a doppia testa.
La piccola plastica, le cui testimonianze provengono dai corredi dei tumuli, mostra una larga specializzazione nella produzione di oggetti dove la cura del dettaglio si unisce a diversi formulari, sia siriani che provenienti probabilmente dall'arte delle steppe (Köhler), secondo un percorso che è ancora da individuare. Il materiale può essere sia il legno di bosso sia l'avorio e ambedue le tecniche richiedono un alto grado di specializzazione, anche se i risultati non sono sempre del medesimo valore. Tra i migliori esemplari, a parte le figurine a tutto tondo di animali stilizzati di diverso valore stilistico del tumulo P, vanno ricordate le placchette quadrate dal mègaron 3 di Gordion, nonché il pettine in avorio: anche se quest'ultimo pezzo pare essere posteriore alla distruzione dei Cimmeri, in tutti è evidente la dipendenza da esemplari siriani. La medesima abilità è dimostrata dagli splendidi pezzi di mobilio, lavorati a tarsie con legni di colori contrastanti, ritrovati pressoché integri nel Grande Tumulo e in altri, dove i motivi geometrici, sapientemente accordati, propongono da un lato una stretta familiarità con l'arte della tessitura e dall'altro una comunità di concetti con le facciate rupestri.
I maggiori e, probabilmente, gli unici coerenti resti che mostrano la concezione architettonica dei Frigi sono quelli di Gordion. Sono ben noti, per lo stanziamento dell'VIII sec., sia il muro di difesa con la porta urbica che la sistemazione dei mègara, in doppia fila, secondo un progetto altamente specializzato. I mègara possono essere a vano unico o con una tripartizione interna che presuppone una balconata su tre lati. Questo tipo di architettura evoluta non è attestata in maniera ragionevole in altre località anatoliche ma trova un confronto calzante in alcuni edifici del sito di Hasanlu, nell'Azerbaigian iraniano.
Le terrecotte architettoniche sono impiegate già nell'VIII sec. con motivi geometrici a somiglianza dei monumenti rupestri: qualche resto proviene dalla stessa Città di Mida. Al VI sec. vanno ascritte le altre, con motivi figurati, animali passanti o in posizione araldica e file di cavalieri o guerrieri, con sporadici elementi geometrici, sempre vivacemente colorate, come quelle di Pazarlı, Düver e Gordion e di altre località: la dipendenza dagli esempi greci orientali è innegabile.
La Frigia vanta una grande tradizione per la produzione di bronzi: ciotole a omphalòs, brocche trilobate, attingitoi e lebeti con anse a forma di teste taurine con attaccatura a T, ecc. Questi ultimi entrano in concorrenza con quelli di produzione urartea o nord-siriana (De Vries). A ciò si aggiunga la produzione massiccia di fibule del gruppo XII del Blinkenberg (180 esemplari sono state ritrovate nel Grande Tumulo e ben 14 tipi di questo gruppo sono complessivamente presenti a Gordion) che, esportate in una vastissima area (Olimpia, Argo, Sparta, Perachora, Rodi, Samo, Lesbo e Chio), costituiscono una traccia preziosa per ricostruire i collegamenti commerciali durante l'VIII secolo. Per converso altri materiali, come le due situle a forma di testa di leone e di ariete del Grande Tumulo (MM) di Gordion, sono importati probabilmente dall'Assiria o da un centro della Persia occidentale. Altra importazione che non pare abbia avuto peso nella produzione locale di Gordion, è il frontino di avorio con figura femminile alata, ignuda e stante, al di sotto di un sole alato e con accompagnamento di due sfingi: si tratta di un prodotto tipico della Siria settentrionale con componenti neoittite (Prayon).
La ceramica è ovviamente il materiale più diffuso: E. Akurgal ne ha dato una classificazione che si può considerare definitiva, suddividendola in quattro fasi, agganciate agli avvenimenti della storia frigia. La più antica, denominata anche «stile protofrigio» si presenta come uno stile basato essenzialmente su motivi geometrici semplici, dove prevale il gruppo dei cerchi concentrici e di linee di triangoli, accompagnati spesso da stilizzate figure di animali, per lo più quadrupedi, resi in massima parte a silhouette. Akurgal vuole che questo stile derivi sostanzialmente da prototipi greci (mentre il Barnett vede in atto il processo opposto); Young propende per un collegamento con gli stili geometrici dell'altopiano persiano, con particolare riferimento al materiale della necropoli Β di Tepe Siyalk, dove effettivamente si trovano forme come le brocchette a lungo becco. Un collegamento con il materiale ittita del II millennio è indicato dalla Opificius e dal Bittel ma anche in questo caso mancano i punti di appoggio, tanto più che la ceramica dell'impero ittita nel suo complesso non presenta una decorazione dipinta. Il collegamento tra la più antica ceramica frigia e quella macedone, avanzato dall'Akurgal pur con molte cautele, non è ugualmente accettabile. Altri collegamenti, come quello con la produzione della Siria settentrionale (Teli Ḥalaf, Karkemiš e Ḥama) e di Cipro, presi in considerazione dal Bittel, vanno esaminati all'interno della rinascita di uno stile decorativo, basato su elementi geometrici, presente a partire quanto meno dal IX secolo in tutta l'area dell'Egeo e del Vicino Oriente. La datazione proposta dall'Akurgal tra il 750 e il 730 c.a è accettabile.
Lo «stile di transizione», datato tra il 735 e il 725, è una variante del precedente: alcuni motivi, come gli alberi, scompaiono, mentre si inizia la produzione di nuove forme ceramiche. Il grande periodo della produzione ceramica è quello della terza fase, dello «stile maturo» (ulteriormente tripartito) dove la quasi completa scomparsa di motivi figurati (che, quando sono presenti, sono sempre di animali, posti all'interno di metope, con riempimenti di puntini e tratteggi) si accoppia a una decorazione geometrica totale del vaso, con prevalenza di meandri e scacchiere. Il colore della decorazione presenta tutta la gamma dei grigi ed è applicata direttamente sul fondo. È rilevante la varietà di forme rispetto al periodo precedente, forme che si ritrovano anche nella produzione dei bronzi. L'invasione cimmeria pone fine a questo splendido e ricco sviluppo e la quarta fase, detta dello «stile tardo», vede una produzione impoverita con decorazione che per tecnica e sintassi è di mera sopravvivenza rispetto al passato, anche se non manca una certa vigoria nella composizione e nell'inventiva. Questa impressione di decadenza, per altro, può esser dovuta alla situazione di ritrovamento (Ališar, Karahöyük di Elbistan, Boğazköy, Pazarlı), centri che in questo ultimo periodo, il tardo VI sec., sono al di fuori della Frigia vera e propria e fanno parte di una larga koinè dell'Età del Ferro dell'Anatolia centrale e orientale.
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