ARTĀK VIRĀZ
. Il libro di Artāk Virāz è un testo pahlavico in cui si racconta la visione dell'oltretomba di un pio zarathustriano di questo nome. Il nome dell'autore, certamente un sacerdote, è ignoto; la data di composizione, non meglio precisabile, è da porre verosimilmente nel sec. VI. Vi si racconta come dopo l'invasione di Alessandro e la distruzione dei libri sacri ad opera di lui, i sacerdoti e gli uomini pii dell'Īrān tenessero un concilio nella sede del vittorioso fuoco Farnbagh allo scopo di riportare la religione alla primitiva purezza, e venissero nella determinazione di dare mandato al più pio fra essi di sentire la parola stessa di Ahura Mazdāh. Vengono indicati per tale missione sette fra i più saggi, e questi alla loro volta scelgono Artāk Virāz della città di Nīshāpūr, il più saggio e il più pio. Egli accetta e, ritiratosi in un luogo tranquillo e purificatosi, prende un sonnifero mediante il quale s'immerge in un sonno profondo che dura sette giorni e sette notti. Al risveglio racconta ai fedeli che gli stanno attorno come "a colui che è tornato dalla città della morte alla città della vita" quanto ha visto nel suo viaggio attraverso il regno dell'oltretomba: le delizie che nel paradiso accolgono gli uomini buoni e le terribili punizioni dei peccatori nell'inferno, dove ognuno si sente solo, e un giorno gli sembra lungo dieci mila anni.
Fra i componimenti del genere, che dal Māhavastu del buddhismo settentrionale arrivano alla mirabile visione dantesca, il libro di Artāk Virāz ha certo un posto notevole. Ma di un'influenza più o meno diretta per cui si possa considerarlo una delle fonti della Divina Commedia come il Blochet e il Modi han sostenuto, non sembra si possa parlare.
Noto in Europa attraverso la traduzione che nel 1816 il Pope pubblicò da un rifacimento in persiano moderno, il testo dell'Artāk Virāz è stato edito con la traduzione inglese nel 1872 dal Dastur Hoshangji Jamasp Asa, da M. Haugh e E. W. West. Una traduzione francese è stata poi pubblicata da A. Barthélemy a Parigi nel 1887.
Bibl.: Jivanji Jamshedji Modi, Dante Papers, Bombay 1914.