ARSINOE II, detta Filadelfo ('Αρσινόη ἡ Φιλάδελϕος)
, Figlia di Tolomeo, prima satrapo e poi re d'Egitto, nata al più tardi nel 316-15 dal matrimonio che questi contrasse con la sorellastra Berenice, già dama di compagnia della soppiantata precedente sposa Euridice. Non ancora quadrilustre, verso il 299-98, fu data in matrimonio, per ragioni esclusivamente di stato, al maturo signore della Tracia, Lisimaco, il quale dovette separarsi perciò dalla generosa Amastri, d'origine persiana.
La nuova regina portava a Lisimaco una più stabile sicurezza del trono, ma gli portava anche una volontà dominatrice, un'ambizione senza limiti, un'anima senza scrupoli e senza rimorsi. Il temperamento poco amabile di lei non tardò a manifestarsi e, tra i cortigiani corse fortunato il motto d'un certo Telesforo: "emetica biliosa", ma pari fortuna non ebbe l'autore, come bestia feroce rinchiuso in una gabbia e lasciato morir di fame. Dopo la morte di Amastri, avvenuta nel 289, A. riuscì a ottenere in dono le città di Eraclea, di Tio, di Amastri, e sappiamo che almeno nella prima di queste instaurò un severissimo ordinamento. Più tardi troviamo in suo possesso anche Cassandria ed Efeso, che mutò il nome, assumendo quello della regina.
Nel figliastro Agatocle, che Lisimaco aveva avuto dal primo matrimonio e che era un bel giovane valoroso e popolare, A. non tardò a vedere un nemico per sé e per i proprî nati, ai quali avrebbe voluto assicurare la successione al trono. Fors'anche mossa dalla delusione per un respinto incestuoso amore (che per altro il Tarn ha recentemente definito "un vano pettegolezzo di corte"), riuscì a persuadere il vecchio e debole re, che Agatocle congiurava contro la vita di lui. Lisimaco si lasciò indurre a consentire che il figlio venisse soppresso. Dopo un non riuscito tentativo di avvelenamento, A. ottenne lo scopo, scegliendo a sicario il fratellastro Tolomeo Cerauno.
Questa volta la vittima non sfuggì, ma sfuggì agli assassini il premio agognato, poiché di lì a poco Seleuco di Siria invase il regno di Tracia, e, favorito da questo enorme scandalo, tolse a Lisimaco trono e vita nella battaglia di Corupedio (281). Anche A. che si trovava a Efeso, fu sul punto di perdere la vita, avendovi i partigiani di Seleuco preso il sopravvento. Essa riuscì a stento a scampare, fuggendo travestita a Cassandria, su malsicura nave.
Qui parve offrirsele l'occasione di rioccupare il perduto trono. Infatti il Cerauno, fingendo amicizia per il vincitore di Corupedio, era riuscito a ucciderlo a tradimento e a farsi proclamare re dalle soldatesche mercenarie. Col pretesto dell'amore verso la complice antica, ma in realtà per annullare i diritti dei figliuoli di lei al trono di Macedonia, il Cerauno le propose di sposarla e di adottare i principini. Le nozze ebbero luogo con grande apparato, e A. fu incoronata; ma la gioia ebbe assai breve durata, poiché Tolomeo appena riuscito a penetrare in Cassandria, dove A. aveva lasciato i figli, gettò la maschera e cercò di farli tutti assassinare. Dei tre riuscì a salvarsi solo il maggiore, che si rifugiò tra i Dardani.
Per la seconda volta A. dovette cercare scampo nella fuga, scacciata anche dalle città di suo personale dominio. Finalmente da Samotracia passò nel 279 in Egitto, dove regnava il fratello Tolomeo, già unito in matrimonio con un'altra A., figlia di Lisimaco. L'ambiziosa profuga presto tese la mano alla terza corona. Non molto tempo dopo il suo arrivo, la regina fu mandata in esilio nell'alto Egitto, a Coptos, sotto l'accusa d'aver congiurato contro la vita del sovrano, e questi si unì in matrimonio con la non più giovane ma intelligentissima e avventurosa sorella.
Un tale matrimonio rispondeva appieno al costume tradizionale dei Faraoni, e, se poteva apparire incestuoso ai criterî morali correnti della Grecia, poteva essere giustificato con esempî tratti dagli dei, avendo Giove sposato Era. Le male lingue presto furono messe a tacere dal crudele supplizio con cui fu punito l'irriverente e del resto malfamato poeta Sotade. Il matrimonio avvenne certo prima del 274, come attesta la stele di Pithom. A., sbarazzatasi di tutti i consanguinei e non consanguinei che alla corte, a torto o a ragione, le davano ombra, prese parte attiva tanto alla politica interna - accompagnò fra l'altro il fratello in campo, quando questi si recò a fortificare la frontiera orientale contro i Seleucidi - quanto alla politica estera. Anzi i Greci ebbero la persuasione che la politica estera fosse ormai guidata dalla robusta mano della regina; infatti le innalzarono statue in Atene, in Olimpia, a Delo, ad Amorgo, e in altre città. Sull'Elicona c'era una statua che la rappresentava, secondo Pausania, a cavallo di uno struzzo. Della prevalente influenza della regina è traccia evidente anche in un decreto attico appartenente al tempo della guerra cremonidea.
Ancora vivente, le fu consacrato un culto; subito dopo le nozze, e forse già in occasione del matrimonio, le fu dato il titolo di ϕιλάδελϕος "colei che ama il fratello", opportunissimo per giustificare quello, e per esaltare la salvatrice del re, colei che aveva sventata la vera o falsa pericolosa congiura. Comunque, un culto ufficiale di stato, fu istituito in suo onore subito dopo la morte avvenuta nel 269, con uno speciale sacerdozio annuale eponimo; infatti la κανηϕόρος 'Αρσινόης Φιλαδέλϕου figura dal 267 in poi nelle formule di datazione. Ebbe un tempio in Alessandria, nel quale doveva trovarsi la statua di topazio alta quattro cubiti, ricordata da Plinio, e santuarî minori in tutto l'Egitto, pure essendo associata a molti dei preesistenti culti locali. Presso Canopo, sul promontorio attuale dl Abukir era adorata come A. Zefiritis, in un tempietto noto, fra l'altro, per il ricciolo di capelli depostovi in voto dalla regina Berenice, moglie di Tolomeo III, e per un grazioso epigramma di Posidippo.
Questo culto speciale di A., perdurato anche per ragioni finanziarie sino alla fine della dinastia, dev'essere separato e distinto da quello degli "dei fratelli" (ϑεοὶ ἀδελϕοί) consacrato alla coppia fraterna in un tempio che Eroda, in uno dei suoi mimiambi, enumera tra le bellezze di Alessandria.
Sembra certo che non generasse alcun figlio al fratello poiché Pausania afferma che morì senza figli e lo scoliaste di Teocrito dice altrettanto. Sappiamo d'altra parte che aveva adottato come proprî i figli nati dall'esiliata regina.
Che A. sia stata un'anima fredda, irrequieta e intrigante, una crudele tessitrice d'inganni, è innegabile, ma è del pari innegabile che fu abilissima tessitrice di lungimiranti progetti politici, coraggiosa e indomita.
La sua personalità predominante e la sua perdurante rinomanza sono provate anche dai luoghi, città e paesi, che trassero da lei il nome; come l'intera provincia corrispondente all'attuale Fayyūm e la sua capitale, i villaggi di Teadelfia, Filadelfia, ecc. In Alessandria molte strade furono designate col suo nome, accompagnato da epiteti di varie divinità con le quali venne identificata.
Di A. possediamo numerosi ritratti sulle monete, su due sardonice una di Vienna e una di Leningrado, certo per lo più molto idealizzati, i quali mostrano un tipo di donna assai fine e bello per quanto austero ed energico, poco rispondente al carattere di un'intrigante crudele e di smodata ambizione.
Fonti: Pausania, I, 7, 1; 10, 3; IX, 29, 1; Plutarco, Demet., 31; Memnon, in Fragm. Histor. Graec., III, 530, 531, 534; Giustino, XXIV, 2, 1; 3, 2-3; Plinio, Nat. Hist., XXXIV, 148; XXXVI, 68; XXXVII, 108 Strabone, XIV, 640; la stele di Pithom; iscrizioni, papiri.
Bibl.: Oltre le opere generali di storia greca ed ellenistica vedi: E. Rohde, Der griechische Roman, 3ª ed., Lipsia 1914; E. Breccia, Il diritto dinastico nelle monarchie dei successori d'Alessandro Magno, Roma 1903, p. 15 seg. e bibl. ivi; id., in Revue internationale d'Égypte, I, n. 1, pp. 24-30; W. Tarn, Hellenistic Civilisation, Londra 1927, p. 13 seg.; R. Pfeiffer, Arsinoe Philadelphos in der Dichtung, in Die Antike, 1926, pp. 161-174; J. G. Milne, The Curreney Reform of Ptolemy II, in Ancient Egypt, giugno 1928, p. 39.
Per i ritratti sulle monete: Svoronos, Τὰ νομίσματα τοῦ χράτους τῶν Πτολ., Atene 1904, passim, e Journ. international de Numismatique, II, p. 183; cfr. inoltre, W. Koch, Die ersten Ptolemäerinnen nach ihren Münzen, in Zeitschrift für Numismatik, XXXIV (1923), pp. 67-106. Un ritratto di A. ha recentemente riconosciuto Roger Hinks in una testina di terracotta, proveniente da Naucrati: v. Journ. Hell. Studies, XLVIII (1928), pp. 239-242.